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Scritti sulla storia della astronomia antica - Volume II/X. Le sfere omocentriche di Eudosso di Callippo e di Aristotele/VI. - Teoria speciale dei pianeti secondo Eudosso

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VI. - Teoria speciale dei pianeti secondo Eudosso

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vi. teorie speciali dei pianeti

secondo eudosso.


Nelle antiche teorie planetarie, gli elementi più importanti erano la durata della rivoluzione zodiacale e quella della rivoluzione sinodica. Simplicio ci ha conservato questa parte delle teorie planetarie di Eudosso, ma, a quanto sembra, soltanto in numeri rotondi: perchè delle rivoluzioni zodiacali le durate sono assegnate in anni intieri, e delle rivoluzioni sinodiche in mesi, e in decine di giorni. Supponendo che i mesi qui designati siano di 30 giorni ciascuno, abbiamo la seguente tavola, dove, per comodo di paragone, a lato dei numeri antichi furono apposti i risultamenti dei moderni.


Pianeta Rivoluzioni sinodiche Rivoluzioni zodiacali
d’Eudosso. moderne. d’Eudosso. moderne.
Saturno giorni 390 giorni 378 anni 30 anni 29 giorni 166
Giove » 390 » 399 » 12 » 11 » 315
Marte » 260 » 780 » 2 » 1 » 322
Mercurio » 110 » 584 » 1 » 1 » 0
Venere » 570 » 584 » 1 » 1 » 0


Sebbene la qualità dei numeri mostri, che in essi non si intendeva dar altra cosa che un’idea grossolana di quei periodi, pure vediamo già in questi primi saggi delle teorie planetarie dei Greci una discreta approssimazione, quale era allora difficile ottenere dalle osservazioni di un sol uomo1. Nel papiro [p. 67 modifica]di Eudosso si trova indicata la rivoluzione sinodica di Mercurio in 116 giorni, che è appunto il numero moderno 2: se questo dato, come sembra probabile, proviene da Eudosso, dobbiamo ammettere in lui la nozione di numeri più precisi, quali forse egli ha potuto apprendere in Egitto, od anche da comunicazioni con Babilonia. Dobbiamo però osservare, che nel medesimo papiro è indicata la rivoluzione zodiacale di Marte in due anni3 e quella di Saturno in 30 anni4, esattamente come qui sopra. Cosi stando le cose, è inutile discutere su questi numeri, essendo perfino impossibile di sapere da essi se Eudosso conosceva la relazione fondamentale che è noto esistere fra l’anno solare, la rivoluzione zodiacale di un pianeta, e la rivoluzione sinodica del medesimo. Senza dunque occuparci altro del grado di approssimazione di quei numeri, passeremo ad esaminare quali sono le conseguenze che derivano dall’applicarli al meccanismo fondamentale sviluppato nell’articolo precedente, e quali ne sono i risultati per le teorie dei singoli pianeti, cominciando da [p. 68 modifica]

1. Saturno. Da quanto si è detto sui fondamenti delle teorie planetarie di Eudosso si vedrà, che per completarne gli elementi basterebbe assegnare per ciascun pianeta il valore dell’inclinazione dell’asse della quarta sfera sull’asse della terza; infatti, con questo solo dato si determinano completamente tutte le misure dell’ippopeda, e con questa il moto sinodico del pianeta e l’ineguaglianza solare e il moto in latitudine è totalmente definito. Sventuratamente Simplicio non dà il valore dell’inclinazione nè per Saturno, nè per gli altri pianeti, ma semplicemente indica che questa inclinazione è diversa nei diversi pianeti (V. App. II, § 5). Su questo punto siamo dunque ridotti a semplici congetture. Siccome però è certo, che Eudosso nello stabilire il suo meccanismo ha avuto principalmente in vista, almeno per Saturno, per Giove e per Marte, il problema delle retrogradazioni, così non crediamo di andar troppo lontano dal vero nel supporre, che egli abbia regolato quelle inclinazioni in modo da ottenere per ciascuno dei tre pianeti accennati, un’ippopeda capace di produrre retrogradazioni di ampiezza uguale agli archi di retrogradazione osservati. Onde, senza pretendere di esporre precisamente quello che ha fatto Eudosso, discuteremo quello che deriva dall’accomodare le sue ipotesi all’osservazione dell’arco di retrogradazione, e vedremo come da questo studio si ricavi la spiegazione di più circostanze singolari, che altrimenti apparirebbero oscure ed inesplicabili. Esaminando dunque la teoria di Saturno da questo punto di vista, e sapendo noi che il suo arco di retrogradazione importa circa sei gradi, con alcuni tentativi e calcoli non sarà difficile trovare, che un tal risultamento si ottiene combinando il moto zodiacale di 30 anni col moto sinodico di 13 mesi sulla terza e sulla quarta sfera, adottando per l’asse di quest’ultima un’inclinazione di 6° rispetto all’asse della terza. Allora la lunghezza totale dell’ippopeda sarà di .12°, e la sua mezza larghezza, cioè la massima digressione del pianeta in latitudine dall’eclittica sarà appena di 9’. La combinazione del moto zodiacale col moto sinodico sull’ippopeda farà descrivere al pianeta, ad ogni rivoluzione sinodica, una curva nodata simile a quella descritta nella figura 14, dove le dimensioni trasversali della curva sono state tracciate in scala dieci volte maggiore di quella adottata per le dimensioni longitudinali, allo scopo di rendere più visibile la natura de’ suoi flessi. In questa figura, O è il punto [p. 69 modifica]occupato dal pianeta nell’istante dell’opposizione, A significa il limite orientale della retrogradazione e il luogo della prima stazione, B il limite occidentale della retrogradazione, e il luogo della seconda stazione, AB misura l’arco di retrogradazione, C è il luogo della congiunzione superiore. Partendo da quest’ultima fase, in un’ottava parte della rivoluzione periodica, il pianeta da C giunge alla prima massima digressione in latitudine D; in un secondo ottavo percorre l’arco DE e ritorna all’eclittica,: e così in eguali intervalli di tempo, tutti di un ottavo della rivoluzione sinodica, compie gli spazi EF, FO, OG, HI, IC’, ritornando in C’ alla congiunzione superiore col Sole, per ricominciare un simile corso in un’altra parte dello zodiaco. Manifestamente le digressioni trasversali di 9’ da ambe le parti dell’eclittica si possono considerare come trascurabili affatto per le osservazioni di quei tempi: onde l’effetto realmente sensibile di questo movimento così complesso si riduceva al moto di longitudine, il quale insomma non è altro che una retrogradazione compresa fra due stazioni distanti fra loro circa sei gradi, che è appunto quanto potevano aver osservato gli astronomi di quel tempo. L’anomalia solare di Saturno poteva dunque rappresentarsi dall’ipotesi d’Eudosso con una esattezza eguale ed anzi superiore a quella della osservazioni.

2. Giove. Pel moto di Giove valgono precisamente le medesime riflessioni. Io trovo, che supponendo l’inclinazione di 13°, si ottiene una ippopeda lunga 26° e larga due volte 44’. Se, mentre l’ippopeda descrive col suo centro la rivoluzione zodiacale in 12 anni, si fa descrivere al pianeta la sua rivoluzione sinodica sull’ippopeda in 13 mesi 5, le digressioni [p. 70 modifica]massime del pianeta dalle due parti dell’eclittica non riusciranno di 0" 44’ e saranno ancora insensibili alle osservazioni, mentre l’arco di retrogradazione sarà di circa 8°. La linea descritta dal pianeta dalle due parti dell’eclittica durante una rivoluzione sinodica sarà rappresentata dalla fig. 15, nella quale le dimensioni trasversali sono state esagerate nel rapporto 3:10 , perchè si potessero delineare chiaramente le circonvoluzioni della curva. Le fasi del movimento sono analoghe a quelle già descritte per Saturno. Durante una rivoluzione sinodica, il pianeta traversa l’eclittica 4 volte ad intervalli di tempo uguali, tocca due volte il limite australe di latitudine e due volte il limite boreale, e queste otto fasi del movimento dividono il periodo sinodico in otto parti uguali. Le digressioni in latitudine però rimanendo anche per Giove insensibili all’osservazione, possiamo dire che per Giove, come per Saturno, Eudosso raggiunse egregiamente la soluzione del problema proposto da Platone, di rappresentare il loro corso con movimenti circolari ed uniformi ed omocentrici entro il limite della precisione delle osservazioni di quel tempo. Infatti è certo, che l’ampiezza, la durata, e la frequenza delle retrogradazioni sono press’a poco quali risultano dalle supposizioni descritte.

3. Marte. Non affatto la stessa cosa può dirsi per Marte il cui corso apparente nel cielo offriva complicazioni maggiori, e da Plinio era designato col carattere di maxime inobservabilis6. Non è facile comprendere, come Eudosso abbia potuto così [p. 71 modifica]gravemente errare sulla durata della sua rivoluzione sinodica, assegnandole 8 mesi e 20 giorni, cioè 260 giorni, mentre, sono veramente 780, appunto il triplo di 260. Ideler pensa che qui sia corso qualche errore, e che si debba leggere ventincinque mesi e 20 giorni7; Letronne poi, confondendo la rivoluzione sinodica colla zodiacale, vorrebbe surrogare la durata di due anni o 24 mesi, a torto appoggiandosi sull’autorità del papiro, siccome già si è indicato8. Certamente non sembra facile ad ammettere che Eudosso, il quale conosceva per Marte una rivoluzione zodiacale poco distante dal vero, desse alla rivoluzione sinodica una durata, che si trova con quella in evidente contraddizione, ed ignorasse, che data la rivoluzione zodiacale del pianeta e quella del Sole, è data pure la rivoluzione sinodica9. In tale dubbio io seguirò l’usato metodo, di non decidere intorno a ciò che più non è possibile sapere; invece esaminerò a qual risultato conduca l’applicazione della teorica planetaria d’Eudosso alle due ipotesi che si possono fare sulla rivoluzione sinodica da lui adottata per Marte, l’ipotesi cioè di 260 giorni, e l’altra di 780 patrocinata da Ideler. Adottando da prima quest’ultima, si vedrà tosto, che è impossibile ottenere per il corso di Marte una soluzione soddisfacente, e simile a quella già descritta per Saturno e per Giove. Infatti, in tal caso non si giunge ad assegnare por l’ippopeda di Marte alcuna ragionevole dimensione. Se, per esempio, si suppone l’ampiezza della lemniscata anche eguale al massimo limite compatibile colla descrizione di Simplicio, cioè eguale a 180° (il che equivale a porre l’inclinazione uguale a 90°), si ottiene un’ippopeda larga 60°, e quindi si è obbligati ad ammettere digressioni di 30° in latitudine. Malgrado queste concessioni estreme, la velocità retrograda del pianeta nell’ippopeda non [p. 72 modifica]giunge ad uguagliare la velocità zodiacale diretta dell’ippopeda stessa, e Marte nell’opposizione non può diventar retrogrado, ma soltanto appare assai rallentato nel suo movimento. Onde produrre una retrogradazione, bisognerebbe supporre l’inclinazione maggiore di 90°, e quindi dare alla terza ed alla quarta sfera movimenti nel medesimo senso, contro l’espressa affermazione di Simplicio; ma con ciò non si guadagnerebbe nulla, perchè ne deriverebbero per Marte latitudini superiori a 30°, cosa che Eudosso non poteva certamente ammettere. — Se invece supponiamo la rivoluzione sinodica di 200 giorni, il moto di Marte lungo l’ippopeda diventa quasi tre volte più rapido che nell’altra supposizione: ed in tal caso si può ottenere una retrogradazione sufficientemente conforma al vero, prendendo l’inclinazione di 34°, la lunghezza totale dell’ippopeda di 68°: allora si ottiene una massima digressione in latitudine di 4° 53’, che non è molto diversa dalla vera, e si ha per arco di retrogradazione 16°, che è poco maggiore di quello che generalmente si osserva in questo pianeta. La figura 16 mostra la forma del nodo descritto da Marte intorno alle sue opposizioni in tale supposizione. Questo sufficiente accordo colle osservazioni poteva forse indurre Eudosso ad assumere una rivoluzione sinodica eguale ad un terzo della vera; ma in simile ipotesi si dovevano avere due retrogradazioni fuori dell’opposizione col Sole, e sei stazioni, quattro delle quali intieramente immaginarie. — Noi concludiamo da tutto ciò, che qualunque ipotesi fra le due abbia adottato Eudosso, la sua teoria ha fallito intieramente nell’applicazione al pianeta Marte; e pochi decenni dopo, Callippo dovette pensare a correggerla.

4. Mercurio. Per Mercurio e per Venere il luogo medio coincidendo col luogo medio del Sole, è palese che Eudosso doveva supporre per ambidue il centro dell’ippopeda coincidere costantemente col luogo del Sole. E poiché questo centro dista di un quadrante dell’eclittica dai due poli di rotazione [p. 73 modifica]della terza sfera, siccome si è veduto nella generazione di quella curva, ne concludiamo che secondo Eudosso dovevano i poli delle terze sfere di Mercurio e di Venere stare collocati nell’eclittica costantemente in quadratura col Sole, e quindi i poli della terza sfera di Mercurio sempre coincidere coi poli della terza sfera di Venere. Di questa conseguenza della teoria d’Eudosso abbiamo una conferma importante nelle parole di Aristotele (v. Appendice I), dove dice, che secondo Eudosso «i poli della terza sfera sono diversi per alcuni pianeti, identici per Afrodite e per Ermes». Tale coincidenza, non artificialmente invocata, prova ad un tempo l’esattezza della descrizione d’Aristotele e la verità della presente ricostruzione dalle teoriche planetarie del grande astronomo di Cnido.

Poiché il luogo medio del pianeta è il centro dell’ippopeda coincidente col Sole, e poiché la massima elongazione del pianeta da quel centro altro non è che la mezza lunghezza dell’ippopeda, ossia l’inclinazione, concluderemo, che la massima digressione in longitudine di quei due pianeti dal Sole sarà appunto uguale alle rispettive inclinazioni; proprietà questa, di cui possiamo affermare con molta probabilità aver fatto uso Eudosso per determinare la inclinazione di quei due pianeti, tanto più che non si vede qual altro mezzo avrebbe egli potuto usare al medesimo scopo, le retrogradazioni di Venere essendo difficili, e quelle di Mercurio impossibili ad osservare 10. Non constando però da Simplicio quale fosse il valore assegnato da Eudosso a quelle massime elongazioni, io ho supposto per Mercurio l’elongazione di 23°, che press’a poco risulta dai calcoli moderni, dalla quale si deduce subito la lunghezza totale dell’ippopeda di Mercurio essere 46°; la mezza larghezza dell’ippopeda, ossia la massima digressione in latitudine essere di 2° 14’. Secondo i moderni, tale digressione è un poco maggiore. La curva descritta da Mercurio ad ogni retrogradazione non forma, secondo quest’ipotesi, un nodo chiuso come le altre, ma soltanto una triplice inflessione, come [p. 74 modifica]si vede nella figura 17. Si ha qui un arco di retrogradazione di circa 6°, che è molto minore del vero; ma l’errore cadendo in una parte non osservabile del corso sinodico, non può esser imputato a vizio della teoria. Nelle parti visibili di questo corso, le longitudini si possono rappresentare con discreta esattezza, sebbene le epoche delle massime elongazioni non riescano molto conformi al vero. 5. Venere. Per la rappresentazione del corso di Venere si devono applicare le cose dette per Mercurio, sebbene il risultamento sia lontano dal corrispondere egualmente alle osservazioni. Ammettendo infatti, secondo i moderni, che l’elongazione massima o l’inclinazione di Venere sia di 46°, se ne ricava la lunghezza totale dell’ippopeda uguale a 92°, e la mezza larghezza o la digressione in latitudine di 8° 54’; il che per caso coincide press’ a poco colle massime digressioni di latitudine che effettivamente si osservano in quel pianeta. Ma la durata della rivoluzione di Venere sull’ippopeda (570 giorni secondo Eudosso) essendo quasi doppia della rivoluzione lungo lo zodiaco, la celerità in longitudine del primo moto è sempre molto inferiore a quella del secondo. Onde avviene qui per Venere ciò che già si è veduto per Marte; secondo questa teoria d’Eudosso, Venere non può mai diventar retrograda; nè tale errore si può evitare, qualunque valore ad arbitrio si dia all’inclinazione del pianeta. Tuttavia, dobbiamo notare qui, che le stazioni e le retrogradazioni di Venere generalmente si fanno nei crepuscoli solari, dove è difficile la comparazione di quell’astro colle stelle fisse, e potrebbe anche darsi che Eudosso non avesse neppure l’idea della possibilità di quei fenomeni. Ma un altro errore assai grave della sua teoria (in misura minore anche comune colla teoria di Mercurio) stava in questo, che il periodo di 570 giorni della rivoluzione sinodica, doveva, secondo la legge del moto di Venere sulla sua ippopeda, essere diviso in due parti uguali dai due istanti delle massime elongazioni orientale ed occidentale, poiché il moto della terza e della quarta sfera era supposto equabile. [p. 75 modifica]Ora nella verità della natura, dei 584 giorni della sua rivoluzione sinodica, Venere ne impiega bene 441 a passare dalla massima elongazione orientale alla occidentale, e soli 143 per ritornare dall’occidentale all’orientale; onde tutta la rivoluzione sinodica è divisa in due parti, le cui durate stanno fra di loro prossimamente come 3:1. In conseguenza di questo errore, le epoche delle massime elongazioni possono differire di 70 e più giorni da quelle convenienti alla teoria di Eudosso, sebbene, a cagione del piccolo movimento di Venere rispetto al Sole, in quelle fasi l’errore sulla elongazione dal Sole e sulla posizione di Venere nello zodiaco non superi 10°. Nella parte inferiore del corso per verità gli errori potevano riuscire anche molto maggiori, ma ciò succedeva soltanto nelle vicinanze della congiunzione inferiore, dove il pianeta non era osservabile.

Un difetto poi si mostrava nelle teorie d’Eudosso rispetto al moto in latitudine; difetto sensibile in Venere, più che in ogni altro pianeta. L’ippopeda taglia l’eclittica in quattro punti, cioè due volte nel centro, e una volta in ciascuno degli estremi. Ne segue, che il pianeta ad ogni rivoluzione sinodica deve traversare l’eclittica quattro volte. Ora ciò è lontanissimo dal vero, perché la parallasse annua in latitudine è nulla due volte ogni anno, cioè quando la Terra traversa la linea dei nodi; quindi solo anche due volte all’anno deve il pianeta trovarsi sul circolo massimo, che segna sulla sfera celeste il suo movimento eliocentrico. La latitudine del pianeta poi è nulla soltanto quando esso è nella linea dei nodi, cioè due volte in ogni rivoluzione siderea. A questi fatti si annette l’altro, che la forma dei flessi e dei nodi della traiettoria apparente nei mesi intorno all’opposizione ed alla congiunzione inferiore, è veramente meno simmetrica, ma assai più semplice che quella risultante dalle ipotesi d’Eudosso. Invece di un nodo ad intersezione quadrupla, si ha generalmente un nodo semplice, e qualche volta anche solamente un flesso contrario (fig. 18). Queste imperfezioni non erano di gran momento nelle teorie [p. 76 modifica]di Saturno e di Giove, per i quali il moto in latitudine era impercettibile alle osservazioni di quel tempo. Già di qualche importanza potevan riguardarsi nelle ipotesi relative a Marte ed a Mercurio; ma più che altrove erano sensibili nel moto di Venere, che può raggiungere una latitudine di nove gradi.

Con queste riflessioni credo d’aver esaurito quanto è possibile con qualche fondamento dimostrare o congetturare intorno alle teorie celesti d’Eudosso. Riassumendone i tratti essenziali, diremo: Che per il Sole e per la Luna queste ipotesi rendevano buon conto di tutti i fenomeni principali, salvo che dell’anomalia dipendente dall’eccentricità, la quale anomalia da Eudosso era ignorata, o almeno non riconosciuta. Per Giove e per Saturno, e in certa misura anche per Mercurio, davano esse una spiegazione generale abbastanza soddisfacente del movimento di longitudine, delle stazioni e delle retrogradazioni, e di altre fasi dipendenti dall’anomalia solare. Più manifesti erano i difetti della teoria in Venere, e grandissimi e apparentissimi in Marte; onde a correggere le ipotesi di questi due pianeti dovettero presto applicarsi i discepoli e successori di Eudosso. I limiti delle digressioni in latitudine risultavano dalle varie ippopede in assai buona proporzione colle digressioni realmente osservate, sebbene i periodi di queste digressioni e i loro luoghi nel ciclo fossero al tutto errati. Sommando però insieme ogni cosa, e tenendo conto anche dell’astronomia pratica di quei tempi, ogni discreto lettore non potrà ricusare di vedere in questo sistema un’invenzione ben degna d’essere ammirata dagli antichi ed anche dagli astronomi del nostro tempo, i quali non ignorano quanto sia talora difficile la scoperta della verità anche in problemi molto semplici. Ad Eudosso si deve in ogni caso il vanto di aver tentato per primo la spiegazione geometrica della legge con cui varia il primo e più considerabile dei termini periodici onde sono costituite le ineguaglianze planetarie, cioè quel termine che dipende dall’elongazione dei pianeti dal Sole. Che se ad alcuno le sue teorie planetarie paressero ancora molto rozze, faremo riflettere, che Eudosso non impiegò in ciascuna di esse più di tre costanti, o di tre elementi, cioè l’epoca di una congiunzione superiore, la durata della rivoluzione siderale, a cui è connessa la sinodica, e l’inclinazione dell’asse della quarta sfera su quello della terza, che determina per intiero le dimensioni dell’ippopeda. Oggi richiedonsi a tale ufficio sei elementi per ciascun [p. 77 modifica]pianeta. La qual circostanza raccomandiamo alla considerazione di coloro, che, guardando le cose superficialmente, hanno rimproverato ad Eudosso la complicazione in un sistema, del quale l’astronomia non vide il più semplice e il più simmetrico fino ai tempi di Keplero.


  1. Conviene eccettuare la rivoluzione sinodica di Marte, di cui parleremo più sotto. Un singolare effetto della poca attenzione e dell’apatia, con cui generalmente furono considerate le ipotesi astronomiche di Eudosso, si può vedere presso lo stesso accuratissimo Schaubach, il quale nella sua Storia dell’Astronomia Greca prima d’Eratostene, discutendo i numeri qui sopra riferiti, sembra ignorare affatto che la prima delle due serie indica le rivoluzioni sinodiche dei pianeti, e si perde in discussioni inutili per comprendere ciò, che la comparazione di quei numeri coi numeri moderni indica a primo tratto (V. l’opera citata pp. 436-439). Peggio è stato trattato Eudosso da Cornewall Lewis, il quale paragona le rivoluzioni geocentriche assegnate da Eudosso per Mercurio e Venere (le quali sono esattamente di un anno, come Eudosso bene ha veduto) colle rivoluzioni eliocentriche nel sistema copernicano, che naturalmente sono molto diverse, e che non potevano esser determinate in alcun sistema geocentrico d’astronomia. L’errore rispetto a questi due pianeti, dice egli, è grave ed inesplicabile; ma questo errore è di Cornewall Lewis e non di Eudosso.
  2. Letronne, Journal des Savants, 1841, p. 544
  3. Letronne, Ibidem. Erroneamente però Letronne pretende che questa durata si riferisca alla rivoluzione sinodica; il testo dice chiaramente Πυροειδὴς τὸν ζωδίων κύκλον διεξέρχεται ἐν ἔτεσι β. Si tratta dunque della rivoluzione zodiacale.
  4. Φαίνων δ᾽ὁ τοῦ ἡλίου ἀστὴρ, τὸν ζωδίων κύκλον διεξέρχεται ἐν ἔτεσιν λ. Letronne, Journ. des Sav., 1839, p. 582. Questa denominazione di astro del Sole trovasi applicata a Saturno anche presso Simplicio. (V. App. II, § 4); ed è probabile che tanto l'autore del papiro, quanto Simplicio l’abbiano derivata dalla stessa fonte, che era originariamente il libro περὶ ταχῶν d’Eudosso. Diodoro Siculo, 11, 30, attribuisce questa denominazione ai Caldei, i quali forse potrebbero avere qualche parte nei numeri d’Eudosso.
  5. Si può domandare qui, come per tutti gli altri pianeti, in qual senso l’Ippopeda deve esser percorsa dal pianeta. L’esame attento farà riconoscere, che ciò è affatto indifferente, e che qualunque verso si adotti, il moto di longitudine sarà sempre lo stesso, e sempre ugualmente prossimo al vero; mentre il moto in latitudine cambierà l’ordine delle sue fasi, quella parte della curva descritta dal pianeta, che è sopra l’eclittica, passando al disotto, e inversamente. In una parola, la curva del pianeta subirà una inversione simmetrica rispetto all’eclittica considerata come suo asse.
  6. Hist. Mundi, II, 17.
  7. Ueber Eudoxus. Abh. der Berl. Akad. für 1830, p. 78.
  8. Vedi sopra la nota (2) a p. 67.
  9. Essendo I il numero dei giorni nella rivoluzione annua solare, e quello della rivoluzione zodiacale d’un pianeta superiore, s quello della rivoluzione sinodica del medesimo pianeta, è noto doversi sempre avere . Ha conosciuto Eudosso questa relazione? Noi dovremmo dubitarne, considerando i numeri che assegna Simplicio per le rivoluzioni sinodiche e per le zodiacali. Ma noi siamo inclinati a credere, che quei numeri siano stati arrotondati per ragione della memoria, le durate sinodiche essendo espresse in mesi e in decine di giorni, le zodiacali in anni intieri.
  10. Secondo l’opinione di alcuni astronomi, citata da Plinio, Mercurio non diventerebbe mai retrogrado nel Toro, nei Gemelli ed in una parte del Cancro (Hist. Mundi II, 17); ciò che dalla teoria di quel pianeta si riconosce essere falso. Esisteva dunque ai tempi di Plinio una teoria di Mercurio, colla quale si calcolavano le retrogradazioni di questo pianeta, che all’osservazione sono affatto inaccessibili.