Scritti sulla storia della astronomia antica - Volume II/X. Le sfere omocentriche di Eudosso di Callippo e di Aristotele/V. - L'Ippopeda d'Eudosso. Meccanismo delle stazioni e delle retrogradazioni
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v. l’ippopeda d’eudosso.
Meccanismo delle stazioni e delle retrogradazioni.
Prima di entrare a discorrere delle teorie speciali, con cui Eudosso spiegava i movimenti di ciascun pianeta, è necessario spendere qualche parola intorno ai caratteri generali comuni a tutte queste teorie, e studiare con qualche cura il singolare e fin qui poco conosciuto meccanismo da lui impiegato per
rappresentare l’anomalia solare del pianeti, cioè quella massima irregolarità del loro corso, di cui gli effetti più salienti sono i noti fenomeni delle stazioni e delle retrogradazioni.
Leggendo le relative esposizioni di Aristotele e di Simplicio (per il primo vedi l’appendice I e per il secondo l’appendice II §§ 4, 5 e 6) vediamo, che delle quattro sfere assegnate a ciascun pianeta, alla prima e più esterna era affidata la missione di produrre il moto diurno, con rivoluzione uguale a quella delle stelle fisse; la seconda serviva a produrre la rivoluzione dei pianeti lungo l’eclittica in un periodo uguale a quello della loro rivoluzione zodiacale, la quale per i pianeti superiori coincide colla nostra rivoluzione siderale, per Mercurio e per Venere è uguale ad un anno in tutti i sistemi geocentrici di astronomia. La rivoluzione di queste seconde sfere essendo supposta uniforme, chiaro è che Eudosso non aveva alcuna idea dell’anomalia zodiacale dei pianeti, cioè di quella che dipende dalla eccentricità delle loro orbite, ed alla quale più tardi fu provvisto nell’introduzione degli eccentri fissi. Per Eudosso dunque erano equidistanti sull’eclittica i punti delle successive congiunzioni e delle successive opposizioni; e gli archi di retrogradazione erano da lui per ciascun pianeta supposti costanti ed uguali in tutte le parti dello zodiaco. E non solo delle eccentricità delle orbite planetarie, ma anche delle loro inclinazioni rispetto all’eclittica non si trova fatto il minimo cenno. Il movimento delle seconde sfere (se bene siamo informati) coincideva per tutti i pianeti col circolo dello zodiaco. Le digressioni dei pianeti in latitudine non erano restate ignote agli osservatori; ma Eudosso, come più tardi si vedrà, credette che queste seguissero i periodi dell’anomalia solare, e che dipendessero esclusivamente dall’elongazione dei pianeti dal Sole, non dalla loro posizione in longitudine.
A rappresentare l’anomalia solare e insieme il loro movimento in latitudine erano destinate per ciascun pianeta una terza ed una quarta sfera, interiori alle due sopraccennate. La terza sfera aveva i poli fissi sopra due punti opposti del circolo zodiacale tracciato sulla superficie della seconda, e si aggirava intorno a questi poli con un periodo uguale a quello della restituzione sinodica, ossia dell’intervallo che corre fra due opposizioni consecutive, o fra due congiunzioni consecutive del medesimo nome. I poli della terza sfera, dice Aristotele, erano diversi per i diversi pianeti, ma identici per Venere e per Mercurio. Circa il senso della rotazione di questa terza sfera, Simplicio aggiunge, che essa si muoveva da settentrione a mezzodì e da mezzodì a settentrione, ciò che è una conseguenza del giacere il suo asse nel piano zodiacale. Egli però non determina in quale dei due versi possibili succedesse la rotazione; dalle cose seguenti apparirà la cosa esser indifferente, ed i fenomeni esser rappresentati ugualmente nell’una o nell’altra supposizione.
Sulla superficie della terza sfera così disposta erano infissi i poli della quarta, e l’asse di questa serbava sull’asse della precedente una inclinazione costante, ma diversa per i diversi pianeti. Ed intorno a questo asse s’aggirava la quarta sfera in un periodo uguale a quello della terza, ma in senso contrario; e finalmente sull’equatore della quarta sfera era infisso il pianeta, che riusciva così a moversi di un movimento diurno, di una rivoluzione zodiacale, e di due altri movimenti regolati secondo il periodo sinodico. La combinazione di questi due ultimi movimenti disposti in senso contrario intorno a due assi obliqui fra loro, l’uno girevole intorno all’altro, costituiva la base del meccanismo, con cui Eudosso produceva simultaneamente il moto dell’anomalia solare, le stazioni, le retrogradazioni e le digressioni in latitudine.
Astraendo per ora dall’azione delle due prime sfere, che è facile ad immaginare, rivolgeremo tutta la nostra attenzione a studiare a parte il movimento che risulta nel pianeta dalle due ultime. La questione, ridotta ai termini più semplici, è questa: «Intorno al diametro AB (fig. 2) fisso, si aggira con moto uniforme una sfera portante due poli opposti P, intorno ai quali si avvolge uniformemente una seconda sfera concentrica alla prima, con periodo eguale e con movimento contrario. Determinare la via percorsa da un punto M della seconda sfera, collocato ad eguale distanza da’ suoi poli».
Questo problema non offre oggi certamente alcuna difficoltà a chi sia iniziato nei principi della trigonometria sferica o della geometria analitica. Ma ciò che nel presente caso importa, non è tanto conoscere il risultato, quanto sapere che tal problema non era inaccessibile alla geometria di quei tempi. Ed a ciò non si potrà arrivare, se non col trovare una soluzione, la quale dipenda in modo semplice e diretto dai soli princìpi della geometria più elementare. Trovata questa, ed acquistata così la certezza, che Eudosso poteva rendersi conto esatto della natura del suo problema, ed ottenerne, se non il calcolo, almeno la costruzione rigorosa, rimarrà la parte storica del nostro compito: dimostrare cioè che veramente Eudosso è giunto ad una soluzione conveniente al suo bisogno, e che egli conosceva con precisione la forma della curva descritta dal punto M in conseguenza del moto combinato delle due sfere. Noi ci applicheremo ora con tutta la cura possibile alla dilucidazione dell’una e dell’altra questione, cioè della geometrica e della istorica, e procureremo di non lasciare, su questo argomento importante, alcun dubbio nell’animo dei lettori.
Proposizione I. Problema. — Essendo date le due sfere in una fase qualunque del loro movimento secondo le ipotesi preannunziate (fig. 2), determinare, sopra di una sfera fissa e concentrica alle due prime, la posizione di quel circolo massimo AOB, sul quale arrivano simultaneamente il polo P della seconda sfera e il pianeta M, che ad essa è attaccato1.
Conducasi pei poli fissi della prima sfera il circolo massimo APB, il quale passi per la posizione, che il polo P occupa nell’istante considerato. E si conduca per A e per B un circolo massimo AOB tale, che l’angolo sferico PAB sia uguale all’angolo sferico MPB. Dico che AOB sarà il circolo massimo dimandato. Infatti, per le supposizioni fondamentali, essendo il moto di M intorno a P uguale e contrario al moto di P intorno ad A, quando l’arco MP avrà girato verso PB in modo da coincidere con PB, l’arco AP si sarà girato di un angolo uguale verso AO, e coinciderà con AO. I due poli ed il pianeta M si troveranno dunque tutti e tre sul circolo massimo AOB, ed M si troverà sul prolungamento dell’arco AP che congiunge i due poli, e giacerà dalla parte di P.
Scolio I. Quando, a partire da AB, il polo P avrà descritto mezza circonferenza del suo parallelo QR, l’angolo MPB sarà pure di mezza circonferenza; quindi anche in quest’altra posizione i tre punti APM giaceranno sul circolo massimo AOB, ma ordinati fra loro diversamente. Dopo un giro intiero di P intorno ad A e di M intorno a P si ristabilirà completamente la posizione iniziale: onde il moto di M sarà strettamente periodico, e il periodo sarà equivalente alla durata di una rivoluzione delle due sfere.
Scolio II. Se consideriamo dall’altra parte del circolo AOB una posizione P’ del polo mobile simmetrica rispetto a P (cioè prendiamo l’angolo P’AO = PAO), si avrà pure l’angolo M’P’B = MPB; e la posizione del pianeta in M’ sarà simmetrica colla posizione M rispetto al circolo AOB. Di qui si conclude, che la via percorsa dal pianeta M è simmetrica rispetto a questo circolo, il quale perciò chiameremo circolo fondamentale, e il suo piano, piano fondamentale. Per brevità inoltre designeremo il piano CD, perpendicolare all’asse fisso AB della prima sfera, col nome di piano diametrale, e il piano del circolo ACBD, perpendicolare ai due precedenti (del qual circolo O è il polo anteriore), sarà chiamato piano ortogonale. La distanza costante AP pei poli omologhi della sfera fissa e della sfera mobile chiameremo inclinazione. E l’angolo uniformemente variabile OAP = MPB, che determina ad ogni istante la posizione del pianeta, chiameremo l’argomento.
Proposizione II. Teorema. — Se si consideri il circolo APB (fig. 3) in una determinata sua posizione durante il movimento, e di questo circolo in quell’istante sia E il polo: dico che, conducendo da E al pianeta l’arco di circolo massimo EM, si avrà EM = EO, e di più sarà EM perpendicolare sopra MP. — Poichè E è polo del circolo APGB, la distanza di P da E sarà un quadrante, e siccome per supposizione la distanza di P dal pianeta M è pure un quadrante, P sarà polo dell’arco EM, onde avremo PM ortogonale su EM. Prolungato poi l’arco EM fino in F, l’arco MF misurerà l’angolo FPM che abbiamo chiamato l’argomento: onde EM sarà di esso il complemento. Ma è palese altresì che l’arco GO misura l’argomento GOA, e che EO è il complemento di GO; dunque EM = EO, come si voleva dimostrare.
Corollario. Se dunque col polo in E si conduca un circolo minore della sfera che passi per O, questo pure passerà per M, e inversamente. E l’arco di questo circolo compreso fra O ed M starà alla sua circonferenza intiera, come l’inclinazione AP sta a tutto il circolo massimo. Infatti, se noi facciamo girare intorno al polo E il triangolo AOG fino a che coincida col suo eguale PFM, si vedrà che A passerà in P, G in F, O in M, tutti i punti descrivendo archi di uguale ampiezza. E quest’ampiezza sarà misurata da AP, cioè dall’inclinazione.
Proposizione III. Teorema. — Le stesse cose essendo poste (fig. 4), se dal pianeta M si abbassa l’arco MH perpendicolare sul circolo massimo diametrale COD, dico che questo arco sarà uguale all’arco simile OK abbassato da O perpendicolarmente su EM. Infatti, se pel punto I, dove s’intersecano i circoli PM, OB, si conduca l’arco EI al polo E del circolo APB, i due triangoli OIE EIM saranno uguali, avendo il lato EI comune, gli angoli in O, M, retti, ed EO = EM (Prop. II). Essi saranno simmetrici rispetto all’arco EI. Se dunque da M si abbassa perpendicolarmente MH, e da O, OK, questi due archi saranno anch’essi simmetricamente disposti rispetto ad EI, e fra loro uguali.
Corollario. Essendo B polo di OE, l’arco MH passerà per B; ed essendo P polo di EM, l’arco OK passerà per P. Sarà PK = BH, perchè ambo quadranti: quindi PO = BM. La distanza del pianeta dal polo fisso B è dunque ad ogni istante del movimento uguale alla distanza del polo mobile P dal punto O, polo fisso del circolo ABCD. Proposizione IV. Teorema. — Le stesse cose essendo poste, la lunghezza della perpendicolare rettilinea abbassata dal pianeta M sul piano diametrale CD (fig. 4) sarà ad ogni istante uguale alla lunghezza della perpendicolare abbassata dal polo P sul piano ortogonale ABCD.
Il circolo massimo KOP della fig. 4 si prolunghi fino in L. L’arco LO è di un quadrante, e così pure è di un quadrante l’arco PK, per esser P polo di EM (Prop. II). Dunque arco LP = arco OK. Ma nella proposizione precedente si è dimostrato, che arco OK = arco MH. Dunque LP = MH. Essendo uguali questi archi perpendicolari, saranno pure uguali le perpendicolari rettilinee corrispondenti abbassate da P sul piano del circolo ABCD, e da M sul piano del circolo COD2.
Corollario. Quindi si ricava una facile costruzione della distanza del pianeta dal piano diametrale. Descrivasi (fig. 5) in piano un circolo uguale al circolo minore QR percorso dal polo P, e condotti i due diametri perpendicolari ab, cd, si faccia l’angolo aop uguale all’argomento. La perpendicolare pr sarà la cercata distanza del pianeta dal piano diametrale. Scolio. La precedente costruzione mette subito davanti agli occhi la legge, con cui varia la distanza del pianeta M dal piano diametrale. Ad ogni rivoluzione delle due sfere, il polo P descriverà il suo parallelo una volta, e così pure il suo rappresentativo p della fig. 5. Quando P si trova nel piano fondamentale, p sta in a od in b, e la distanza del pianeta dal piano diametrale è uguale al raggio del parallelo. Quando P si trova nel piano ortogonale, cioè in Q od in R, p si troverà in c o in d, il pianeta si troverà nel piano diametrale. E la distanza del pianeta da tal piano seguirà le fasi del moto oscillatorio, che il piede q della perpendicolare pq fa sul diametro ab durante il rivolgersi uniforme di p sulla circonferenza del circolo abcd.3 Proposizione V. Teorema. — Se per i punti M od O si conduca (Fig. 3) il circolo minore avente per polo il polo E del circolo APGB, e dal punto M, luogo del pianeta, si abbassi la distanza rettilinea perpendicolare MR sul piano diametrale: questa distanza avrà un rapporto costante col diametro del parallelo OM, qualunque sia la posizione del pianeta M.
Abbiamo veduto, nel corollario della proposizione II, che l’arco MO del circolo minore sta alla circonferenza di questo, come l’inclinazione AQ a tutto il circolo massimo ABCD. La perpendicolare abbassata da M su quel diametro del parallelo, che passa per O, sarà evidentemente la stessa, che la perpendicolare abbassata da M sul piano diametrale. Questa perpendicolare avrà dunque al diametro del parallelo il rapporto costante, che la perpendicolare QS ha al diametro AB, essendo OM, AQ archi simili di circoli diversi.
Corollario. Così pure la saetta della semicorda RM del circolo minore, cioè la distanza rettilinea del punto O al piede R della perpendicolare RM, avrà al diametro di esso circolo minore il rapporto costante, che la saetta AS al diametro AB.
Proposizione vi. Teorema. — Se, muovendosi le due sfere di moti uniformi e contrari secondo le supposizioni fondamentali, ad ogni posizione che prenda il punto M si abbassi la perpendicolare MR sul piano diametrale (fig. 3), il piede R di questa percorrerà con moto uniforme su di esso piano la circonferenza di un circolo tangente in O alla sfera, ed avente il diametro uguale alla saetta AS; e gli archi descritti da R su questo circolo avranno un’ampiezza doppia degli archi corrispondenti descritti da P sul proprio parallelo.
Nella fig. 6, sia CD il piano ortogonale, OCO’D il piano diametrale, OO’ il piano fondamentale: A sarà rappresentativo dei poli della prima sfera, P del polo della seconda sfera finora designato con questa lettera: VV' rappresenterà il circolo massimo indicato con APB nelle figure precedenti, e l’argomento sarà l’angolo OAP. Essendo M la posizione corrispondente del pianeta, E il polo di VV', ON il parallelo a VV' condotto per O, abbiamo veduto, che M si trova sul parallelo ON. Il piede della perpendicolare abbassata dal pianeta M sul piano diametrale OCO’D in questa figura sarà rappresentato dallo stesso M: ed OM sarà la distanza di questo piede dal punto O, polo del piano ortogonale. Ora dal corollario della Prop. V risulta, che questa distanza OM sta al diametro ON del parallelo in un rapporto costante. Il luogo dei punti M sarà dunque simile e similmente posto rispetto ad O, che il luogo dei punti N; sarà perciò un circolo tangente in O al circolo OCO’D. Ed è manifesto, che l’arco TM, il quale indica la distanza di M da T sul circolo, ha per misura il doppio dell’angolo NOO’, ossia il doppio dell’argomento PAO. Mentre dunque il polo P della seconda sfera descrive sul suo parallelo una circonferenza a partire dalla linea OA, il punto M descriverà nel medesimo senso due circonferenze sul circolo TO partendo da T. Siccome poi il rapporto costante di OM a ON è (Prop. V. Coroll.) quello della saetta AS (fig. 3) al diametro AB della sfera: ne concluderemo che OT è uguale alla saetta ora nominata AS: che è quanto ci proponevamo di dimostrare.
Corollario I. Se pel centro X del circolo OT si conduca una retta perpendicolare al piano diametrale, potremo dire che il pianeta descrive angoli uguali intorno a questa retta.
Corollario II. Se immaginiamo da tutte le posizioni del pianeta condotte le corrispondenti perpendicolari al piano diametrale, queste formeranno nel loro insieme un cilindro retto, avente per base il circolo OT. E la curva descritta dal pianeta sopra una sfera fissa, concentrica alle due mobili, non è altro che l’intersezione di quella sfera con quel cilindro retto.
Corollario III. Facilmente ora si potrà costruire la distanza del pianeta dal piano fondamentale OO’ ad ogni momento. Basta sul circolo OT prendere, partendo da T, un arco TM di ampiezza doppia dell’argomento. La distanza del punto M dal diametro OT esprimerà in grandezza ed in direzione la distanza domandata4 Dunque, anche questa distanza, come l’altra precedentemente considerata nella Prop. IV, segue nelle sue variazioni la legge di un moto oscillatorio, ma qui il periodo è la metà del periodo che regola le variazioni della distanza dal piano diametrale.
Corollario IV. La retta OM ha un rapporto costante col diametro del parallelo ON. Sopra si è veduto, che la lunghezza della perpendicolare abbassata dal pianeta sul piano diametrale ha pure un rapporto costante con quel diametro (Prop. V). Immaginando dunque un triangolo rettangolo, di cui un cateto sia la perpendicolare suddetta, l’altro sia la retta MO, questi due cateti avranno fra di loro un rapporto costante; onde l’ipotenusa di tale triangolo (la quale congiungerà il pianeta col punto O) avrà coi detti cateti un rapporto pure costante, e l’angolo che tale ipotenusa fa col piano diametrale OCO’D sarà pure costante. Dunque le infinite rette condotte dal punto O a tutte le posizioni del pianeta hanno sempre la stessa inclinazione sul piano diametrale. E se per O si conduca la retta perpendicolare al piano diametrale e tangente in O al circolo fondamentale OO’, questa retta, come ugualmente inclinata a tutte le precedenti, sarà l’asse di un cono retto da quelle formato. E facilmente si vedrà, che l’angolo di tal asse colle generatrici del cono è uguale alla metà dell’inclinazione.
Corollario V. Dunque la linea descritta dal pianeta M, durante una rivoluzione delle due sfere, sopra una terza sfera fissa concentrica alle prime può considerarsi come l’intersezione della sfera fissa col cono sopra descritto. Epperò questa linea avrà il pregio di risultare dalla intersezione simultanea e tripla dei 3 corpi rotondi, cioè di un cono, di un cilindro e di una sfera.
Corollario VI. Movendosi il punto M sulla circonferenza del circolo OT con moto uniforme, anche l’angolo MOT varierà con variazione uniforme. Quindi si può dire, che il pianeta si muove di moto angolare uniforme intorno all’asse del cono. Ed il pianeta nel suo corso serberà simultaneamente tre moti uniformi: uno intorno all’asse della seconda sfera, uno intorno all’asse del cilindro (V. qui sopra Coroll. I. ), ed un terzo intorno all’asse del cono ora designato. Il primo asse è mobile nello spazio; gli altri due sono fissi e paralleli fra di loro. Proposizione VII. Problema. — Costruire sul piano ortogonale la traccia icnografica del corso del pianeta durante una intiera rivoluzione delle due sfere.
Preso come raggio QS, semidiametro del parallelo descritto dal polo P (fig. 3), e come altro raggio la metà della saetta AS, si descrivano due circoli concentrici (fig. 7), e si divida il circolo minore in un certo numero di parti uguali, e il circolo maggiore in un numero doppio di parti uguali, avendo cura che le origini delle divisioni (segnate collo zero sulla figura) siano, nei due circoli, opposte rispetto al centro comune: quindi si numerino le divisioni progressivamente, andando nel medesimo senso, e nel circolo minore si continui la segnatura per due giri, onde avere in ambi i circoli due numerazioni uguali.
Quindi si conduca il diametro XX che passa per le origini delle due divisioni, e il diametro perpendicolare YY; e per ogni punto delle divisioni del circolo maggiore condotta una parallela ad YY, per l’omologa divisione del circolo minore si conduca ad incontrar quella una parallela ad XX; gli incontri così ottenuti formeranno una serie di punti a guisa di 8, e questa sarà la proiezione icnografica dimandata, in cui XX rappresenterà il piano fondamentale, YY il piano diametrale, e in cui la proiezione del pianeta apparirà muoversi secondo l’ordine dei numeri romani scritti sulla curva in corrispondenza a quelli scritti sulle due circonferenze. La ragione di questa costruzione sta nelle regole speciali date per trovare ad ogni valor dato dell’argomento la distanza del pianeta dal piano diametrale (Prop. IV. Coroll.) e dal piano fondamentale. (Prop. VI Coroll. III)5.
Scolio I. Si noterà facilmente, che l’asse longitudinale della curva è uguale al diametro del parallelo descritto dal polo P della sfera che porta il pianeta, e che la sua larghezza è uguale alla saetta AS (fig. 3), o al diametro del cilindro, su cui si trova la traiettoria descritta dal pianeta nello spazio. Le quattro digressioni estreme dal piano fondamentale, i due passaggi pel punto doppio centrale, e i passaggi pei due apsidi estremi, costituiscono otto fasi principali del movimento, e dividono la curva in otto archi, i quali dal pianeta sono percorsi in tempi eguali.
Scolio II. Combinando l’aspetto della traccia icnografica sul piano ortogonale con la nozione, che la vera curva descritta nello spazio del pianeta è l’intersezione di una sfera AB (fig. 3) con un cilindro di diametro AS, il cui asse è parallelo all’asse AB e tocca la superficie sferica nel punto O, potremo giudicar facilmente della forma che ha la curva percorsa dal pianeta nello spazio. La fig. 8 indica in modo sufficientemente chiaro in qual guisa la curva si adatta simultaneamente alla sfera ed al cilindro. L’intersezione o punto doppio centrale O coincide col polo del piano ortogonale, designato colla stessa lettera nelle figure precedenti; e così pure si riconoscerà in A B il piano fondamentale, in CD il piano diametrale. Si deve immaginare che nei due minori dei quattro angoli che formano la curva in O, il cilindro copra la sfera, e nei due maggiori la sfera copra il cilindro, le due superficie toccandosi e intersecandosi simultaneamente in quel punto. Nè più difficile sarebbe mostrare come la stessa curva si adatti pure al cono descritto nella Prop. VI, Coroll. IV; in questo caso si vedrebbe, come il vertice del cono essendo in O, ognuna delle due falde opposte del cono dà origine ad uno dei due lobi della curva, e come l’angolo sotto cui la curva taglia sè medesima in O, è uguale all’angolo al vertice del cono, cioè all’inclinazione.
Queste poche e semplicissime proposizioni, in cui veramente più nella sostanza che nella forma ho cercato di serbare il carattere dell’antica geometria, danno il modo di giungere alla costruzione della curva descritta dal pianeta, alla quale per la sua forma daremo il nome di lemniscata sferica; ed offrono anche già un breve quadro di alcune sue principali proprietànota. Credo inutile accrescerne il numero, prima perchè questi fiorellini di geometria oggi non presentano più l’interesse d’una volta, e dai matematici, occupati intorno al troncc ed alle radici dell’albero della scienza, si abbandonano alla coltura dei principianti; ma sovratutto perchè ampiamente già è ottenuto il nostro scopo, di provare, che a quella costruzione 6 e a quelle proprietà si può giungere brevemente e facilmente, col soccorso di una geometria molto più elementare di quella che siamo in diritto di attribuire ad Eudosso, e senza far alcun uso di metodi moderni. Verrò ora ad indicare in qual modo è credibile che se ne sia fatto uso ber spiegare quei fenomeni dei pianeti, elle si collegano coll’anomalia solare.
Ritorniamo per questo alla considerazione delle quattro sfere, che, secondo Aristotele e Simplicio, Eudosso attribuiva a ciascun pianeta; ed invece di lasciar fisso l’asse AB (fig. 3), immaginiamone appoggiati i poli sulla seconda delle sfere di Eudosso, in modo che questi poli percorrano il circolo dell’eclittica in un tempo uguale alla rivoluzione zodiacale del pianeta. Supponiamo di più, che il circolo fondamentale AOB coincida costantemente col circolo dell’eclittica. Allora il punto O, che è il centro della nostra lemniscata sferica, si troverà sull’eclittica, e l’asse longitudinale della lemniscata (cioè il circolo massimo che ne unisce gli apsidi estremi) coinciderà pure con questo circolo; ed il punto O, del pari che A e B, descriverà con moto uniforme in una rivoluzione zodiacale tutto il circolo dell’eclittica, trascinando seco la lemniscata. Noi potremo ora, senza turbare il movimento del pianeta, surrogare alla terza ed alla quarta sfera la lemniscata, sulla quale il pianeta si muove secondo le regole qui sopra sviluppate. Componendo dunque questo moto del pianeta sulla lemniscata col movimento progressivo della lemniscata stessa lungo l’eclittica, avremo il movimento composto del pianeta nella fascia zodiacale. Ora il moto della lemniscata lungo lo zodiaco è uniforme, e la sua velocità è tale, da farle percorrere tutta l’eclittica nel tempo della rivoluzione zodiacale del pianeta, ed è sempre nel medesimo senso, cioè secondo l’ordine dei segni. Al contrario, il corso del pianeta sulla lemniscata si traduce in una oscillazione periodica d’andata e ritorno, di cui la legge è stata definita nella Prop. IV. L’intiero ciclo di quella oscillazione si fa nel tempo assegnato da Eudosso alla rivoluzione della terza e della quarta sfera, che è il tempo della rivoluzione sinodica. Ad ogni periodo sinodico avverrà dunque, che per mezzo periodo il moto del pianeta lungo l’eclittica sarà accelerato, sommandosi il moto della lemniscata con quello del pianeta lungo di essa; e per l’altro mezzo periodo il pianeta apparirà ritardato, contrastando l’uno all’altro i due moti ora accennati. Ed anzi, se in qualche parte della lemniscata il pianeta nell’oscillazione retrograda si moverà più rapidamente nel senso della longitudine di quanto avanzi la lemniscata col suo moto diretto, il moto risultante del pianeta sarà retrogrado durante un certo intervallo, e si avrà una retrogradazione compresa fra due stazioni. Ed è manifesto, che da una parte la massima accelerazione del pianeta in longitudine e dall’altra la massima ritardazione o la massima velocità retrograda avranno luogo quando il pianeta correrà più veloce nel senso longitudinale, ciò che avviene quando esso passa pel centro o punto doppio della lemniscata. L’insieme dei movimenti dovrà dunque esser combinato in modo, che il pianeta si ritrovi al contro della lemniscata e abbia su di essa movimento diretto, quando succede la congiunzione superiore, dove notoriamente la velocità apparente dei moti planetari in longitudine è massima; ed occupi il medesimo centro e sia retrogrado sulla lemniscata, quando il pianeta è in opposizione o in congiunzione inferiore, ai quali punti risponde la retrogradazione più veloce. Manifestamente poi cotesta combinazione di moto progressivo e di moto oscillatorio in longitudine sarà accompagnata da un corrispondente moto in latitudine, il quale potrà allontanare il pianeta dall’eclittica di tanto, quanto importa la mezza larghezza della lemniscata. Questo movimento farà giungere il pianeta due volte ai limiti boreali e due volte ai limiti australi, e gli farà traversare l’eclittica quattro volte in una rivoluzione sinodica.
Questi sono i risultamenti, ai quali conduce una libera ma logica riflessione sulle poche notizie ohe restano intorno alle teorie planetarie d’Eudosso. Tali sviluppi però non acquisteranno per noi alcun valore istorico, e non saranno di alcun uso al nostro proposito, se non quando avremo fatto vedere, che Eudosso, o per la via da noi seguita, o per altra egualmente piana e diretta, è giunto veramente ai principali risultamenti da noi accennati; onde, esaurita la parte matematica e teoretica della nostra dimostrazione, aggrediremo la parte isterica; e primieramente verificheremo, se gli effetti da noi descritti non sono in opposizione con quelli che brevemente Simplicio accenna verso la fine della sua narrazione, sulle sfere d’Eudosso, § 6. «La terza sfera, egli dice, la quale ha i suoi poli nella seconda collocati lungo l’eclittica, rivolgendosi da mezzodì a settentrione e da settentrione a mezzodì, conduce seco la quarta, che porta l’astro, e cagiona il movimento di questo in latitudine. Nè però è sola a produrre questo effetto. Perchè di quanto, seguendo la terza sfera, l’astro si è avanzato verso i poli dell’eclittica, e si è avvicinato ai poli del mondo di altrettanto retrocedendo la quarta sfera, che compie il suo giro in senso contrario alla terza in egual tempo, lo riconduce indietro, facendogli anzi traversare l’eclittica, ed obbligandolo a descrivere da ambi i lati di questo circolo la linea curva chiamata da Eudosso ippopeda. Questa occupa appunto tanta larghezza, quant’è il moto dell’astro in latitudine». Queste dilucidazioni di Simplicio comprendono in modo breve e abbastanza preciso gli effetti del movimento della terza e della quarta sfera, e corrispondono egregiamente alla descrizione che qui sopra lo dato dei medesimi effetti. Noi vediamo di più, che alla curva percorsa dal pianeta in conseguenza del suo moversi simultaneo sulla terza e sulla quarta sfera, Eudosso aveva dato il nome d’ippopeda. Se noi proveremo, che questa curva aveva la forma e le proprietà della nostra lemniscata sferica, la dimostrazione potrà dirsi completa.
Non è questa la sola volta, che il nome d’ippopeda si trova applicato ad una linea curva nella geometria dei Greci. Nel suo prezioso Commentario sul primo libro degli Elementi d’Euclide, Proclo parla tre volte di una curva chiamata ippopeda. In un luogo classifica l’ippopeda fra le linee miste (cioè diverse dalle semplici, che erano la retta ed il circolo), e dice che essa appartiene alla classe delle linee, spiriche7. Altrove ripete che l’ippopeda è una linea spirica, ed aggiunge che questa curva, sebbene curva, forma un angolo, intersecando se medesima8. L’ippopeda dunque, secondo Proclo, era una curva dotata di un punto doppio. Maggiori particolarità si trovano in un terzo luogo9, dove, dopo avere narrato come Perseo geometra scoprisse tre linee curve derivanti da sezioni piane del solido detto spira, Proclo espone «l’una di queste sezioni spiriche esser ripiegata sopra sè medesima (ἐμπεπλεγμένη) e simile alla ἵππου πέδη; l’altra allargata nel mezzo e restringentesi verso le estremità; la terza essere allungata, ristretta nel mezzo e più larga alle due estremità».
È noto, che presso i geometri greci andava designato col nome di σπεῖρα quel solido anulare di rivoluzione, che è generato da un circolo ruotante intorno ad una retta qualunque contenuta nel suo piano, e non passante pel suo centro 10. Questo solido, che oggi con vocabolo desunto dalla tecnica architettonica si suol designare col nome di toro, può ammettere un’infinità di sezioni differenti; ma considerando solo le sezioni che rendono una certa specie di simmetria, e che prima d’ogni altra Perseo ha dovuto studiare, il lettore si avvedrà, ben presto dalla descrizione, che dà Proclo delle tre spiriche, che esse rappresentano le tre principali forme risultanti dalla sezione del solido fatta con un piano parallelo all’asse principale. Le tre curve indicate nella figura 10 corrispondono a capello pei loro caratteri a quelle di cui parla Proclo. La prima è ripiegata sopra sè medesima, ed ha un punto doppio, proveniente da ciò, ohe il piano segante tocca la superficie in un punto del circolo di gola; è la curva designata col nome d’ippopeda, e che Proclo dice simile alla ἵππου πέδη. La seconda ha luogo quando il piano segante dista dall’asse più che il centro del circolo generatore; è una specie di ovale, gonfia nel mezzo, e stretta agli estremi. La terza ha luogo quando il piano segante dista dall’asse meno che il centro del circolo generatore, e questa ha una figura allungata, stretta nel mezzo, e larga agli estremi11. L’ippopeda di Proclo (o piuttosto di Perseo) ha dunque anch’essa la figura di lemniscata, come la curva sferica decritta dai pianeti in conseguenza del movimento della terza e della quarta sfera: la quale curva pertanto noi crediamo esser l’ippopeda d’Eudosso, essendo ben naturale che a curve di forme consimili (sebbene geometricamente assai diverse), Eudosso e Perseo abbiano assegnato il nome di un medesimo oggetto di uso familiare ai Greci, l’ἵππου πέδη, la cui forma quelle curve richiamavano alla memoria.
Per completare la nostra dimostrazione occorre dunque ancora ricercare qual è l’oggetto a cui i Greci usavano dare il nome di ἵππου πέδη, e indagare se la sua forma giustifica la traslazione del nome, che Eudosso e Perseo ne fecero alle curve da loro inventate. Ora a tali questioni risponde completamente un passo del trattato di Senofonte sull’equitazione, dove parlando del modo di far manovrare i cavalli e di esercitarli in modo uguale alle conversioni verso destra e verso sinistra, dice: «Noi lodiamo quella manovra, che si fa secondo la linea chiamata πέδη: imperocché esercita i cavalli a voltarsi da ambidue i lati delle mascelle: ed è bene cambiare il corso del cavallo (da destra a sinistra, e reciprocamente), affinchè la manovra renda simmetrica l’una parte delle mascelle coll’altra. E lodiamo la πέδη allungata piuttosto che quella arrotondata; perchè il cavallo, sazio di correr dritto, si presterà più volentieri alla conversione, e così insieme si eserciterà al corso rettilineo e a voltarsi». E nello stesso libro, in altro luogo: «Si riconoscono i cavalli non eguali dai due lati delle mascelle, col farli camminare lungo la linea chiamata πέδη»12. Considerando queste indicazioni appare, che l’ἵππου πέδη presso i Greci era una specie particolare di linea o di corso, che aveva la proprietà di obbligare i cavalli ad alternate conversioni dal lato destro e dal lato sinistro; proprietà la quale suppone, che il cavallo, procedendo lungo tal linea, ora no avesse la convessità verso destra, ora verso sinistra. La più semplice forma di curva chiusa, a cui questa proprietà compete, è evidentemente quella di una più o meno allungata: forma ancora oggidì usata nelle manovre dei cavalli, e che è appunto quella delle curve di Eudosso e di Perseo. Infatti, da uno sguardo dato alla figura 13 si comprende subito, che se l'animale, descrivendo uno dei due lobi della curva, ha la destra rivolta verso la parte esterna della medesima, nel descrivere l’altro lobo avrà alla destra la paste interna; onde se* giunto ad una estremità della curva, la la sua conversione verso destra, all’altra estremità sarà obbligato a far conversione verso sinistra.
Io debbo dimandar perdono al lettore di trascinarlo in sviluppi ed in digressioni di queste specie; pure soltanto dopo bene ponderate tutte le analogie e le relazioni esposte in questo articolo, è possibile riguardare come sufficinetemente dilucidata e dimostrata la natura del meccanismo delle stazioni e delle retrogradazioni e del moto in latitudine nel sistema delle sfere omocentriche.
Non il nome dell’ippopeda, ma la cosa stessa sotto nome diverso sembra accennata con probabilità in altri antichi scritti. Nel papiro d'Eudosso, del quale già si è avuto occasione di parlare, e che sembra contenere un sommario delle dottrine di quest’astronomo, è detto, che Mercurio impiega 116 giorni a descrivere la sua elicanota. Il periodo di 116 giorni 13 evidentemente è quello della rivoluzione sinodica di Mercurio, onde si conclude, che l’autore del papiro intendeva designare per elica quella curva, che percorsa in intiero dal pianeta, ne produce le fasi sinodiche. Questa curva non può esser l’epiciclo, perchè in tal caso lo scrittore del papiro non avrebbe usato per designarlo il nome di elica. Considerando dunque, che il papiro contiene dottrine direttamente derivate da Eudosso, noi reputiamo assai probabile, che l’elica qui serva a designare appunto l’ippopeda. Veramente il nome di elica era più frequentemente usato dai Greci per indicare una linea spirale come quella d’Archimede, od anche la curva che forma il verme di una vite, ed in quest’ultimo senso l’ha usato Platone. Tuttavia la parola elica, o linea elicoide era pure impiegata a designare curve complesse, e differenti dalle ordinarie curve considerate nella geometria. Perseo stesso, se dobbiamo credere a Proclo, designò col nome di elicoidi le linee spiriche da lui inventate 14. fra le quali pure era una specie di ippopeda, come si è veduto.
In questo modo di pensare mi conferma la considerazione degli ultimi capitoli dell’Astronomia di Teone Smirneo, nei quali questo autore intraprende di dare una breve esposizione delle dottrine astronomiche professate dal filosofo platonico Dercillide15. Dercillide «non crede, che le linee elicoidi e le simili alla (linea) ippica possano riguardarsi come causa del moto erratico dei pianeti; essere queste linee prodotte por accidente; la prima e precedente causa del moto erratico e dell’elica essere il moto che si fa nell’obliquità del circolo zodiacale. Il moto de’ pianeti nell’elica è infatti avventizio, e prodotto dalla combinazione di due movimenti di quegli astri. Descrive quindi Dercillide, come un’elica nasce dalla combinazione del moto zodiacale e del moto diurno dei pianeti, e ne indica molto chiaramente il risultamento finale, che è identico all’elica descritta da Platone nel Timeo.
Questo passo ci apprende da prima, che esistevano certi filosofi o astronomi confutati da Dercillide, i quali spiegavano i movimenti erratici dei pianeti per mezzo di linee elicoidi e simili alla linea ippica. Per noi costoro non possono esser altri che Eudosso, e quelli che gli succedettero nel professare e nel perfezionare il sistema delle sfere omocentriche; le linee elicoidi e simili all’ippica non sono altro che le diverse ippopede dei diversi pianeti.
Dal medesimo pure intendiamo, che non dirittamente Dercillide assimilava all’elica di Platone le linee elicoidi e l’ippica. Non è facile vedere, come l’elica di Platone abbia somiglianza con una linea qualunque descritta da cavalli. Veramente Dercillide poco più sotto avverte, esser due le specie di elica, cioè quella simile alle spirille della vite ed alle circonvoluzioni delle scitale laconiche (l’elica cilindrica dei moderni), ed un’altra elica piana, che egli anche insegna a descrivere, ed è semplicemente una sinusoide piana indefinita, corrente fra due linee parallele. Questa sinusoide, secondo H. Martin, è l’ippica di Dercillide; anzi l’ippopeda di Eudosso non sarebbe, secondo lui, diversa da tal sinusoide. In questo io mi permetto di esprimere un parere contrario a quello dell’egregio espositore di Teone; perchè: l.° Dercillide in nessun luogo accenna alla identità dell’ippica colla sua pretesa elica piana. 2.° Questa e derivata per sviluppo cilindrico, non già dall’elica platonica, ma dal solo e semplice circolo obliquo dello zodiaco, onde la sua funzione è perfettamente identica a quella di questo circolo, ed essa non spiega gli erramenti dei pianeti più che questo circolo non faccia. 3.° Non si comprende come l’ippica planetaria che è una curva essenzialmente sferica e rientrante in sè medesima, possa identificarsi all’elica piana di Dercillide, la quale è indefinita. 4.° Eudosso non ha potuto impiegare per le sue ipotesi una linea, che non presenta alcun mezzo di spiegare le retrogradazioni dei pianeti; infatti il corso nella sinusoide è sempre diretto, e non mai retrogrado. 5.° Per quanto io sappia, la sinusoide non ha, per la sua forma, alcun titolo speciale ad esser denominata curva ippica. 6.° Finalmente, essa non può identificarsi colla ippopeda d’Eudosso per la semplice ragione, che i movimenti delle sfere planetarie, così chiaramente descritti da Aristotele e da Simplicio, non possono produrla in alcuna maniera. — Io credo piuttosto, che Dercillide, con quella sua digressione affatto fuor di luogo sopra una curva inutilissima per l’astronomia, abbia voluto far pompa di sapere geometrico, anzi che esporre la natura della linea ippica, la quale egli non intendeva bene. Epperciò la citazione che Dercillide fa, dell’opinione di coloro, i quali volevan derivare gli erramenti dei pianeti dalle linee elicoidi e simili all’ippica, rimane per noi sommamente preziosa e confermativa delle cose in questo articolo dichiarate, sebbene il filosofo platonico co’ suoi commenti fuor di luogo ne abbia reso il senso alquanto oscuro.
- ↑ Chiamo qui prima e seconda sfera quelle che Eudosso poneva come terza e come quarta. La prima suppongo girevole intorno ai poli AB, la seconda intorno al polo P ed al suo opposto, secondo l’enunciato del problema.
- ↑ In linguaggio moderno: essendo uguali gli archi LP, HM, saranno pure uguali i loro semi.
- ↑ In linguaggio moderno, detta i l’inclinazione, x la distanza del pianeta dal piano diametrale, θ l’argomento, si ha, fatto il raggio della sfera = 1, x = sin i cos θ.
- ↑ Secondo le moderne espressioni, il diametro del circolo OT essendo uguale a 1 — cos i, ossia a 2 sin2 i, sarà il raggio di tal circolo sin2 2 i; dicendo y la distanza del pianeta dal piano fondamentale, contata negativamente sotto questo piano, avremo l’espressione
y = -sin2 i sin 2 θ.
- ↑ In linguaggio moderno, che le equazioni della curva sono le due precedentemente trovate, cioè
x = sin i cos θy = -sin2 i sin 2 θ,
dove x ed y rappresentano le coordinate rettangole riferite agli assi XX e YY: dalle quali si potrebbe, volendo, eliminar θ. La proiezione della curva sul piano ortogonale è dunque il risultato delle combinazioni di due moli vibratori fra loro perpendicolari, dei quali l’uno compie le sue fasi due volte più velocemente dell’altro, coincidendo le quattro fasi principali del molo più lento colle fasi centrali (o posizioni d’equilibrio) del moto più veloce. La curva risultante è una delle note linee acustiche di Lissajons (Jamin, Physique, vol. II, tav. III).
- ↑ Vari interessanti problemi offre la considerazione di questa curva, delle parti di superficie sferica, cilindrica, e conica in essa rinchiuse, dei volumi compresi fra quelle superficie e limitati dalla curva; problemi che tutti danno soluzioni semplici ed eleganti, e dimostrabili colla geometria elementare. Quando l’inclinazione è un angolo retto, la curva offre il caso del problema di Viviani della vòlta emisferica quadrabile, in cui ogni metà di uno dei lobi rappresenta una delle quattro finestre. Accennerò ancora alla proprietà che hanno gli archi di tutte queste lemniscate sferiche, di poter esser sommati, sottratti, moltiplicati e divisi con regole mollo simili a quelle, che servono ad eseguire le medesime operazioni sugli archi ellittici; della quale l’espressione più notabile è questa, che la lunghezza di tutta intiera la lemniscata è uguale a quella di una ellisse, di cui un semiasse è uguale alla corda dell’inclinazione AQ, l’altro semiasse è uguale alla saetta o Seno verso AS (fig. 3). Queste lemniscate appartengono inoltre alla classe delle epicicloidi sferiche, e godono di tutte le loro proprietà. Infatti, sia AB (fig. 9) l’asse della prima sfera e QR il parallelo descritto dal polo P della seconda; sia diviso per metà l’arco QB in Z, e condotto il parallelo ZZ’. Poi da Q come polo si descriva il circolo minore ZB; e supponiamo, che stando fissa la callotta sferica ZBZ’, l’altra calotta uguale ZQU ruoti sulla medesima senza strisciare nel contatto comune Z. Se colla callotta mobile sia connesso invariabilmente un punto M tale, che si applichi costantemente sulla superficie sferica, e sia lontano da Q un quadrante: il punto M descriverà la lemniscata corrispondente all’inclinazione AQ.
- ↑ Procli Diadochi in primum Euclidis elementorum librum Commentarii ex recognitione God. Friedlein. Lipsiae in aedibus G. B. Teubneri, 1873, p. 127.
- ↑ Ibid., p. 128.
- ↑ Ibid., p. 112.
- ↑ V. Proclo, nell’opera citata, p. 119: v. pure Erone nelle Definizioni geometriche pubblicate da Friedlein nel Bullettino del Pr. Boncompagni, t. IV, p. 108. Secondo Erone, alla spira si usava dare anche il nome di κρίκος (anello). Vitruvio nell’Arch. III, 3 usa il vocabolo spire nel senso di modanature curve anulari nelle basi delle colonne; modanature che sono parti o combinazioni di parti di superficie spiriche.
- ↑ L’interpretazione qui adottata del passo piuttosto indeterminato di Proclo sulle linee spiriche e sulla forma di queste curve, concorda nel punto essenziale con quella, che come più probabile venne designata da Knoche e da Maerker nel loro pregevolissimo programma scolastico intitolato: Ex Procli successoris in Euclidis Elementa commentariis definitionis quartae expositionem, quae de recta est linea et sectionibus spiricis commentati sunt T. II. Knochius et F. J. Maerkerus, Herefordiae, 1856. Differiscono però i citati autori in questo, che secondo loro la curva, la quale Proclo dice esser più larga nel mezzo e più stretta agli estremi, sarebbe una delle due ovali coniugate, in cui si risolve la sezione spirica, quando il piano segante parallelo all’asse penetra nel vuoto interno dell’anello, dividendo questo in due tronchi separati. Delle tre sezioni, questa sarebbe la più vicina all’asse, mentre, secondo il mio modo di vedere, sarebbe la più lontana. Ma ciò non importa nulla alla questione che ci occupa, relativa all’ippopeda, sulla quale ho il piacere di trovarmi d’accordo coi due dotti sopra nominati. Knoche e Maerker però, ammettono come possibile, se non come probabile, l’opinione che si possa soddisfare alle espressioni di Proclo, supponendo le tre sezioni non parallele all’asse principale della spira, ma inclinate e passanti pel centro della spira nel modo che indica la fig. 11. L’ippopeda sarebbe allora la sezione AB bitangente alla superficie, e avente due punti doppi: le altre due curve consterebbero ciascuna di due ovali, cioè la sezione CD darebbe due ovali concentriche, sebbene non simili, e la sezione EF darebbe due ovali disgiunte e simmetriche intorno ad un solo asse. Non posso accostarmi a questa opinione. Primo, è da notare che i Greci avrebbero forse veduto nelle sezioni GD due linee diverse, invece di una sola; ove le sezioni spiriche si trovano sempre designate come tre. Ma l’obbiezione più grave sta in questo, che la sezione AB non può esser stata chiamata ippopeda, per la semplice ragione, che questa sezione non è una curva nuova, ma risulta semplicemente dall’insieme di due circonferenze di circolo, che s’intersecano nei due punti m n dove il piano segante AB tocca e taglia simultaneamente la superficie nella parte concavo-convessa. In qual fatto sembra che sia sfuggito alle indagini di quei due dotti espositori di Proclo. Una terza interpretazione diversa dalle precedenti di Proclo (Comun. in Euc. ed Friedlein p. 119): «La superficie spirica è generata dalla rivoluzione di un circolo, che rimane costantemente perpendicolare (ad un piano e si aggira intorno ad un medesimo punto diverso del proprio centro. Onde nascono tre specie di spira, secondo che tal punto è sulla circonferenza, o dentro della circonferenza, o fuori della circonferenza (del circolo generatore). Nel primo caso la spira dicesi continua, nel secondo implicata, nel terzo disgiunta. E ci sono tre sezioni spiriche corrispondenti a queste tre differenze». Secondo questa descrizione adunque le tre spiriche di Perseo non nascerebbero dalla stessa spira divesamente tagliata, ma bensì dalle tre diverse specie di spira tagliate secondo una medesima norma, come da tre coni di diversa specie tagliati secondo una stessa regola derivavano gli antichi le tre coniche. Però notano qui giustamente i prelodati Knoche e Maerker, questo passo trovarsi in manifesta contraddizdone colla descrizione data da Proclo medesimo in un altro luogo dei caratteri geometrici delle tre spiriche, e da me riferita qui sopra. Infatti, in qualunque modo si voglia cercare di tagliare le tre spire secondo una costante regola, non si otterranno mai tre curve, le quali quadrino esattamente con quella descrizione. Sembra dunque che il parallelo delle tre specie di spira colle tre spiriche, sia derivato da una imperfetta idea della generazione delle medesime. Ciò che aumenta il dubbio è il fatto, che nell’edizione principe di Proclo curata da Simone Grineo nel 1533 quel luogo, che qui si è stampato in caratteri corsivi, manca, e non vi si allude in alcun modo alle linee spiriche, sebbene quel luogo si trovi, col tenore qui riferito, nella versione di Barozzi e nella recente edizione di Friedlein. È da notare di più. che quelle parole: E vi sono tre sezioni spiriche ecc., sono perfettamente inutili in quella parte del discorso, che è tutta sulle superficie e non sulle linee. Ma senza dare troppo peso a queste circostanze, diremo che l’autore di quelle parole (chiunque si fosse) era forse erroneamente persuaso, che dalle tre forme di spira dovessero derivar le tre spiriche in un modo analogo a quello, con cui dalle tre varietà di cono ottusangolo, rettangolo ed acutangolo derivavano, con una sezione perpendicolare ad uno dei lati del cono, l’iperbole, la parabola e l’ellisse. Per la nostra questione tuttociò è abbastanza indifferente, risultando con evidenza dalle notizie di Proclo sull’ippopeda, che questa linea era una curva unica, ripiegata sopra sè medesima in modo da tagliar se stessa ad angolo, formando un punto doppio. La possibilità di due punti doppi è esclusa, perchè la sezione si risolve allora nell’insieme di due circoli. Dunque il piano segante la spira secondo l’ippopeda dovea esser tangente alla spira in un punto della sua parte concavo-convessa. Le forme che si possono ottenere in questo modo si riducono a tre tipi: il primo dei quali è simmetrico rispetto a due assi fra loro perpendicolari, ed è simile alla lemniscata; gli altri due sono simmetrici rispetto ad un asse solo e danno curve simili a quelle della fig. 12. Il secondo tipo ha due foglie disuguali, di cui una è circondata dall’altra; il terzo dà due foglie uguali separate. Il secondo tipo non può manifestamente adattarsi alle funzioni d’ippopeda descritte da Senofonte (vedi la nota seguente); perchè correndo lungh’essa in un senso determinato, la concavità della curva rimane sempre a destra o sempre a sinistra. Il terzo tipo potrebbe, a rigore, soddisfare agli usi dell’ippodromo; ma la sua disposizione non è la più adatta, risultandoda una trasformazione,poco opportuna del primo tipo, cioè della lemniscata. Questa rimane dunque sempre la figura più probabile, anche astraendo dalla circostanza, che Perseo ha dovuto considerare i casi più semplici delle spiriche, a preferenza dei più complessi; e dall’altra circostanza, che curve simili a quelle del secondo e del terzo tipo non potrebbero risultare in alcun modo dalle combinazioni geometriche di Eudosso.
- ↑ Xenoph, De re equestri, cap. 7 ....Ἱππασίαν δ´ἐπαινοῦμεν τὴν πέδην καλουμένην· ἐπ´ἀμφοτέρας γὰρ τὰς γνάθους στρέφεσθαι ἐθίζει. Καὶ τὸ μεταβάλλεσθαι δὲ τὴν ἱππασίαν ἀγαθὸν, ἵνα ἀμφοτέραι αἱ γνάθοι καθ´ἑκάτερον τῆς ἱππασίας ἰσάζονται. Ἐπαινοῦμεν δὲ καὶ τὴν ἑτερομήκην πέδην μᾶλλον τῆς κυκλοτερoῦς, ecc. Lo stesso cap.3....τούς γε μὴν ἑτερογνάθους
- ↑ Traggo questa citazione del papiro da Letronne, Journal des Savats, 1844, p. 544: Στίλβων ὁ Ἑρμοῦ τὴν ἕλικα διεξέρχεται ἐν μησὶ τρισὶν καὶ [ἡμέραις] εἴκοσι ἕξ.
- ↑ V. il celebre epigramma relativo all’invenzione delle linee spiriche presso Proclo nel Commentario al 1° d’Euclide, p. 112 dell’edizione di Friedlein.
- ↑ Theonis, Astron. ed. Martin, p. 328 e seg. Il passo più importante è questo: Οὐκ ἀξιοῖ (Δερκκυλλίδης) δὲ τοῦ πλανωμένου αἰτίας οἴεσθαι τὰς ἑλικοειδεῖς γραμμας... τὰς τε ἱππικῇ παραπλησίας...
μενύει μὲν καὶ ἡ πέδη καλουμένη ἱππασία. Parimente Esichio, grammatico alessandrino, tra i significati che nel suo gran lessico da alla voce πέδη ha anche quello di «figura di manovra equestre» (εἶδος ἱππασίας). Heychii Lexicon ed. Alberti Lugd. Bat. 1746-66. Tom. II, p. 808.