Scritti sulla storia della astronomia antica - Volume II/XI. - Origine del sistema planetario eliocentrico presso i Greci/I. - Eraclide Pontico, ed il corso dei pianeti inferiori

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I. - Eraclide Pontico, ed il corso dei pianeti inferiori

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XI. - Origine del sistema planetario eliocentrico presso i Greci XI. - Origine del sistema planetario eliocentrico presso i Greci - II. - Il corso dei pianeti superiori

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i. eraclide pontico,

ed il corso dei pianeti inferiori.


1. Dello svolgimento d’idee che prendiamo a studiare, si può assegnare prossimamente il principio sotto il regno di Filippo Macedone, quando, morto Platone (347 a. C.), la direzione e l’insegnamento nella scuola filosofica da lui fondata [p. 118 modifica]passò prima a Speusippo, indi a Senocrate. Circa la struttura dell’universo continuavano naturalmente a prevalere in questa scuola le idee svolte così splendidamente, ma anche così nebulosamente nel Timeo, dove la Terra, sferica ed immobile nel centro dell’universo, si supponeva circondata dalle orbite dei sette pianeti, regolati nel loro corso e nelle loro diverse velocità dai motori celesti, formanti parte dell’anima del mondo. Sulla natura e forma dei loro movimenti, e sul modo di rappresentarli geometricamente, pare si avessero idee vaghe e poco determinate.

Aristotele era allora nel maggior fervore della sua attività speculativa. Tornato in Atene nel 335, non più come uditor di Platone, ma come capo di scuola nuova, aveva dato allo studio positivo della natura un’importanza assai maggiore che Platone non avesse fatto. Non meno persuaso che Platone della posizione centrale e della immobilità della Terra, circa il sistema ed il moto dei corpi celesti preferiva, alle immagini alquanto fantastiche dei Platonici, la forma chiara e precisa del Cosmo, che presentava alla sua mente l’ipotesi delle sfere omooentriche di Eudosso e dei matematici della scuola cizicena, corrette e completate da Callippo. Quelle ipotesi erano pure e semplici rappresentazioni geometriche dei fenomeni; consultatosi con Callippo e con Polemarco discepolo di Budosso, Aristotele le modificò in modo da rappresentare con esse uno stato di cose realmente possibile in natura, traendone così un sistema fisico, appoggiato ad nn tempo sulla speculazione filosofica e sulla osservazione diligente dei fenomeni1. E tale fu per allora la base del concetto del mondo presso i Peripatetici.

In quel medesimo tempo non era ancora intieramente cancellato l’influsso, che sulle idee aveva esercitato l’oramai estinta scuola pitagorica. Meno d’un secolo prima Filolao aveva insegnato in Tebe; la sua dottrina della Terra e dell’Antiterra, moventisi di circolazione quotidiana intorno al Fuoco centrale dell’universo, continuava ad avere i suoi partigiani; anzi abbiamo qualche motivo di supporre, che Platone nei suoi ultimi anni non fosse alieno dall’associarsi al concetto filolaico, od a qualche altro simile2. Dopo Filolao, spinti dalla [p. 119 modifica]necessità di non discostarsi troppo dalla realtà delle cose, altri Pitagorici erano stati indotti a riunire la Terra e l’Antiterra in un globo solo, includente il Fuoco centrale nel suo seno; sostituendo così alla rivoluzione quotidiana di quelle, la rotazione diurna di questo intorno al centro del mondo. Un tal modo di vedere ebbe pure nell’epoca qui considerata i suoi seguaci, che Aristotele non credette inopportuno di confutare3. Esso costituiva evidentemente un’importante preparazione all’ulteriore corso di speculazione cosmologica, che ci proponiamo di descrivere. Ma l’influsso dei concetti pitagorici sn questo svolgimento fu anche maggiore per ciò che rese familiare alle menti riflessive l’idea, al volgo quasi inaccessibile, della mobilità della Terra; idea che sarà un eterno titolo di gloria per quelli, che primi osarono di concepirla.

2. Non mancarono certamente neppure in quel tempo altri, i quali condotti da propria riflessione, oppure guidati da osservazione più accurata dei fenomeni celesti, si scostarono più o meno dalle idee prevalenti nelle maggiori scuole, combinandole, modificandole, od ancora creandone di nuove. Di questi il più celebre fu Eraclide Pontico; il quale sebbene abbia frequentato assai tempo Platone, e fosse uno dei filosofi di maggior nome usciti da quella scuola, in molte parti si scostò dai dogmi del Maestro. Eraclide Pontico deve considerarsi come uno dei pensatori più profondi e più indipendenti di quel tempo; e quanto sappiamo delle sue speculazioni sui movimenti celesti basta a dar di ciò una prova evidente.

Grazie alle indagini di vari eruditi, e principalmente di H. Martin, il sistema astronomico di Eraclide Pontico è conosciuto nei suoi tratti più caratteristici4. Egli aveva francamente adottato l’ipotesi d’Iceta e d’Ecfanto sulla rotazione diurna della Terra; e si rendeva perfetto conto delle 5 [p. 120 modifica]modificazioni, che in corrispondenza a questa nuova ipotesi si dovevano introdurre nel movimento degli altri corpi celesti. Ei supponeva grandi le distanze degli astri, ed infinita addirittura l’estensione del mondo; probabilmente per non aver a preoccuparsi della parallasse diurna, cioè dall’anomalia apparente che negli astri è prodotta dalla rotazione quotidiana dell’osservatore intorno all’asse della Terra. Ed ei sapeva ancora, che in questa ipotesi la durata della rotazione terrestre, per soddisfare ai fenomeni, non deve essere di un giorno solare esattamente, ma alquanto più breve.

3. Ma ad Eraclide Pontico si deve ancora un’altra innovazione, forse non meno importante nelle sue conseguenze. I sistemi con cui i filosofi sino allora si erano industriati di dare una spiegazione approssimata dei movimenti celesti, erano fondati tutti sulla ipotesi di rivoluzioni circolari e concentriche intorno al centro del mondo; sia poi che questo centro fosse occupato dalla Terra, come volle Platone ed altri prima di lui, sia che in quel punto si mettesse il focolare dell’universo, come volle Filolao e con lui altri Pitagorici. Questo principio, di non ammettere altre circolazioni che intorno al centro del mondo, fu pure strettamente osservato da Eudosso nelle sue sfere omocentriche; le quali appunto a tal principio devono quella bella ed assoluta simmetria, che le distingue. Ma appunto verso l’epoca di cui stiamo discorrendo si cominciò a riconoscere, che nessuna delle costruzioni fino allora inventate poteva dare conto sufficiente di tutti i fatti osservati; che quindi, esaurite tutte le supposizioni che il principio suddetto poteva fornire, era necessario introdurre qualche principio nuovo.

Un tal principio fu suggerito dallo studio dei movimenti di Mercurio e di Venere, e dalle variazioni notate nel loro splendore apparente. Le loro digressioni alternate e regolari a destra ed a sinistra del Sole, e le vicende della loro luce, notabili specialmente in Venere 6, con evidenza quasi intuitiva spingevano a supporre, che il centro della loro circolazione non fosse la Terra, ma bensì un altro punto collocato nella [p. 121 modifica]direzione del Sole; e qual altro punto poteva essere questo, ho non il Sole medesimo? L’idea di assumere come centro di questa e d’altre circolazioni celesti un semplice punto ideale, dovette allora, ed ancora per alcun tempo dopo, essere considerata come assurda; e non fu introdotta nell’astronomia ehe molto più tardi.

4. Eraclide Pontico fu il primo, siccome è storicamente attestato, a riconoscere, che per i due pianeti inferiori il migliore e più semplice modo di rappresentare le fasi osservate era quello di farli circolare in tome al Sole come centro, con periodo uguale a quello della loro rivoluzione sinodica7 e nel senso diretto, cioè secondo l’ordine dei segni. Cosi s’introduceva per la prima volta il concetto di far circolare un corpo celeste intorno ad un altro corpo celeste, girante esso medesimo intorno al centro dell’universo.

Quali idee avesse Eraclide Pontico intorno al movimento dei pianeti superiori, non risulta dalle poche e scarse testimonianze che abbiamo intorno al suo sistema d’astronomia. Dal silenzio che esse serbano intorno ai pianeti superiori si potrebbe argomentare che per questi egli non si scostasse dall’opinione degli altri Platonici, e ponesse nella Terra il centro delle loro orbite8. Ma questa sarebbe una conclusione affrettata, e per ora dobbiamo lasciare la cosa in sospeso, aspettando luce da altre considerazioni.

Comunque sia, il sistema di Eraclide Pontico conteneva in sè diverse idee fondamentali, che hanno dovuto facilitare di molto il passaggio al sistema eliocentrico. Coi Pitagorici esso aveva comune l’idea, tanto difficile ad afferrare, di un moto dell’osservatore intorno al centro del mondo. Con Iceta ed Ecfanto avea comune l’ipotesi della rotazione diurna; per la quale d’un tratto si trovarono liberati da una enorme e comune complicazione tutti i movimenti celesti, ridotti ormai alle loro proprie e vere rivoluzioni rispetto alla Terra. Proprio invece ad Eraclide Pontico era il moto eliocentrico di Mercurio e di Venere, per cui si veniva ad attribuire al Sole [p. 122 modifica]nell’eco- generale del Cosmo un carattere importante tino allora non avvertito; quello di potere, come la Terra, servire di centro alle circolazioni dei pianeti. E da ultimo per la prima volta si ammetteva come possibile, che non solo il centro del mondo, ma anche un astro mobile e posto fuori di esso centro, potesse servire alla sua volta come centro ai giri di altri corpi celesti.

  1. Per maggiori notizie sul sistema d’Eudosso veggasi la mia memoria, «Le sfere omocentriche di Eudosso, di Callippo e di Aristotele».
  2. Questa notizia a torto è stata revocata in dubbio da diversi eruditi, fra altri da Augusto Boeckh (Ueber das kosmische System des Platon,
  3. De Cælo 11, 13.
  4. H. Martin, Mémoires sur l’histoire des hypothèses astronomiques chez les Grees et les Romains, Chap. V, §§ 3 et 4. Nelle Mémoires de l’Acadèmie des inscriptions et belles lettres. Vol. XXX, 2° partie, 1881. Vedi Inoltre: F. Hultsch, Das astronomische System des Herakleides von Pontos nei Neae Jahrbùcher für Philologie und Paedagogick. Heransgegehen ron A. Fleckeisen und R. Richter, 1896. Erste Abteilung, pp. 305-316.
  5. p. 114 e seg., Berlino 1852). Essa si appoggia all’autorità incontrastabile di Teofrasto, il quale potè averla da Aristotele, o fors’anche da Platone medesimo. Vedi i miei Precursori di Copernico, Documenti XXII e XXIII.
  6. Che le osservazioni dello splendore di Venere abbiano fornito uno degli argomenti per dimostrare che essa non descrive un circolo intorno alla Terra e non rimane a distanza invariabile da questa è attestato formalmente da Sosigene presso Simplicio Comm. De Cælo, p. 504 della nuova edizione di Heiberg, Berlino, 1894.
  7. lntendesi qui, secondo l’uso costante degli antichi, che il periodo della circolazione descritta si conti dall’apogeo mobile, non da una direzione fissa rispetto allo Zodiaco.
  8. Vedi su questo punto la discussione contenuta nei §§ 48-50 della presente memoria.