Scritti sulla storia della astronomia antica - Volume II/XIII. - Rubra Canicula. Nuove considerazioni sulla mutazione di colore che si dice avvenuta in Sirio/VII. - Sirio nell'Iliade

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VII. - Sirio nell'Iliade

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XIII. - Rubra Canicula. Nuove considerazioni sulla mutazione di colore che si dice avvenuta in Sirio XIII. - Rubra Canicula. Nuove considerazioni sulla mutazione di colore che si dice avvenuta in Sirio - VIII. - Sirio, stella ardente

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VII. SIRIO NELL’ILIADE.

In tre luoghi di questo poema è fatta allusione a Sirio, che qui si riferiscono nel testo loro originale e nella versione del Monti.

Iliade V, vv. 4-7:

δαῖέ οἱ ἐκ κόρυθός τε καὶ ἀσπίδος ἀκάματον πῦρ,
ἀστέρ' ὀπωρινῷ ἐναλίγκιον, ὅς τε μάλιστα
λαμπρὸν παμφαίνῃσι λελουμένος Ὠκεανοῖο·
τοῖόν οἱ πῦρ δαῖεν ἀπὸ κρατός τε καὶ ὤμων.

Ibid. XI, vv. 61-63:

Ἕκτωρ δ´ ἐν πρώτοισι φέρ´ ἀσπίδα πάντοσ´ ἐΐσην,
οἷος δ´ ἐκ νεφέων ἀναφαίνεται οὔλιος ἀστὴρ
παμφαίνων, τοτὲ δ' αὖτις ἔδυ νέφεα σκιόεντα,
ὣς Ἕκτωρ κ. τ. λ.

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Iliade XXII, vv. 25-32:

Τὸν δ´ ὃ γέρων Πρίαμος πρῶτος ἴδεν ὀφθαλμοῖσι
παμφαίνονθ´ ὥς τ´ ἀστέρ´ ἐπεσσύμενον πεδίοιο,
ὅς ῥά τ´ ὀπώρης εἶσιν, ἀρίζηλοι δέ οἱ αὐγαὶ
φαίνονται πολλοῖσι μετ´ ἀστράσι νυκτὸς ἀμολγῷ,
ὅν τε κύν´ Ὠρίωνος ἐπίκλησιν καλέουσι.
λαμπρότατος μὲν ὅ γ´ ἐστί, κακὸν δέ τε σῆμα τέτυκται,
καί τε φέρει πολλὸν πυρετὸν δειλοῖσι βροτοῖσιν·
ὣς τοῦ χαλκὸς ἔλαμπε περὶ στήθεσσι θέοντος.

Monti V, vv. 4-9:

Lampi gli uscian dall’elmo e dallo scudi
D’inestinguibil fiamma, al tremolio
Simigliante del vivo astro d’autunno,
Che levato nel mar splende più bello.
Tal mandava dal capo e dalle spalle
Divin foco l’eroe.

Id. XI, vv. 84-90:

Maestoso fra tutti Ettor si volve
Coll’egual d’ogni parte ampio pavese.
E qual di Sirio la funesta stella
Or senza vel fiammeggia ed or rientra
Nel buio delle nubi, a tal sembianza
Or nelle prime file, or nell’estreme
Ettore comparia.

Id. XXII, vv. 30-40:

                                        ...Primo lo vide,
Precipitoso correre pel campo
Priamo, e da lungi fogolar, siccome
L’astro che Cane d’Orion s’appella,
E precorre l’Autunno; scintillanti
Fra numerose stelle in densa notte
Manda i suoi raggi; splendissim’astro,
Ma luttuoso e di cocenti morbi
Ai miseri mortali apportatore.
Tal del volante eroe sul vasto petto
Splendean l’armi.

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In tutti e tre questi passi si fa comparazione dello splendore di Sirio col luccicar delle armi di un guerriero, il quale nel primo caso è Diomede, nel secondo Ettore, nel terzo Achille; tutti e tre in atto di combattere o di prepararsi al combattimento. Or qual è la ragione, per cui qui s’introduce Sirio piuttosto che un’altra stella? Il dott. See crede di trovarla nel colore della stella, il quale sarebbe stato simile a quello delle armi luccicanti, simile cioè a quello del χαλκός, che il See traduce per rame. La ripetuta menzione del πῦρ nel primo dei tre passi accennati è per lui argomento incontrastabile che il colore della stella fosse rosso come fuoco, fiery red.

Questo ravvicinamento è certo assai ingegnoso; ma è permesso dubitare che il poeta l’avesse sott’occhio nello scrivere quei versi. Il chiaro nostro collega prof. Francesco Cipolla, il quale si è interessato vivamente a questi miei studi, mi scrive su tale proposito con competenza ben maggiore di quella che io potrei avere in simile materia: «Quello che spiccava nell’astro, era lo splendore, non altro. Diomede si distingueva fra tutti gli Argivi: ἔκδηλον μετὰ πᾶσιν Ἀργείοισι (Il. V, 2-3), appunto come Sirio si distingue per la sua luce tra l’altre stelle, come è detto in Il. XXII, 27: ἀρίζηλοι δέ οἱ αὐγαὶ φαίνονται πολλοῖσι μετ´ ἀστράσι. L’immagine del fuoco non credo che accenni punto a colore rosso: si parla di fuoco che arde, πῦρ δαῖεν; fuoco inestinguibile, ἀκάματον πῦρ. Insomma il poeta guarda allo splendore fiammeggiante e non al colore. E il tremolìo del Monti è felice interpretazione. Aggiungo: λαμπρός è aggettivo applicato da Omero anche al Sole (p. e. Il. I, 605), e spesso alle armature. Or bene questo ci mostra che il nucleo, a così dire, del paragone tra Sirio e l’armatura di Diomede era il λαμπρόν, che non accennava a colore, ma a splendore, e se mai, a splendore candido. Così dicasi del λαμπρότατος di Il. XXII, 30». Rispetto al colore delle armature il Cipolla scrive: «Io credo che il χαλκός delle armature non fosse il rame ma il bronzo. Gli studii linguistici, archeologici, filologici concorrono, per quanto a me pare, a provar questo assunto; di che io ho parlato nel mio scritto Dei prischi Latini e dei loro usi e costumi, inserito nella Rivista di filologia e d’istruzione classica di Torino1. Lo scritto è vecchio, ma non credo di dover cambiare quello che allora ho detto». [p. 219 modifica]

Non è necessario che io attesti qui il mio completo assenso alle dichiarazioni sopra esposte dal nostro illustre collega. Un’altra ragione per cui tre volte Omero è stato condotto a comparare con Sirio il scintillare delle armature di quei guerrieri, parmi si possa dedurre agevolmente dal secondo e dal terzo dei passi sopra addotti, dove si fa particolare menzione della maligna influenza della stella. Quando il poeta chiama Sirio stella funesta (οὔλιος ἀστήρ) e di cattivo augurio (κακὸν δέ τε σῆμα τέτυκται) egli vuole, secondo ogni apparenza, indicare che quel scintillìo annunziava grande sciagura agli avversari che loro stavan di fronte. Il poeta, che secondo Orazio nil molitur inepte, avrebbe certamente accennato al colore, se al colore avesse posto mente nel fare quelle comparazioni.

Ma concediamo pure, che qui si tratti veramente di color rosso. Nel primo dei passi surriferiti Omero dice espressamente che Sirio è più luminoso quando si è lavato nelle acque dell’oceano. Questa, come giustamente osserva il dott. See, è una pura illusione dovuta alla maggior forza con cui le stelle scintillano presso l’orizzonte; l’agitazione della stella fa parere più intenso il suo fiammeggiare, qualunque del resto sia il suo colore. Adunque nella mente del poeta, Sirio si mostrava nella massima magnificenza al suo levare, cioè nel tempo appunto, in cui può apparire effettivamente rosso anche a noi in conseguenza dell’assorbimento atmosferico. Le comparazioni di Omero si riferirebbero in ogni caso a questo speciale aspetto della stella e nulla proverebbero circa il suo colore vero, quale prossimamente appare intorno alla culminazione nei nostri climi.

Concludiamo dunque, che in questi passi dell’Iliade tutto si può ragionevolmente spiegare senza ammettere che Sirio ai tempi d’Omero avesse un colore diverso dal presente.

Note

  1. Anno VII, fasc. I e II, luglio-agosto 1878, pp. 6 e segg.