Vai al contenuto

Scritti sulla storia della astronomia antica - Volume II/XIII. - Rubra Canicula. Nuove considerazioni sulla mutazione di colore che si dice avvenuta in Sirio/XI. - Sirio e la Fenice

Da Wikisource.
XI. - Sirio e la Fenice

../X. - La divina Sothis ../../XIV. - Sui Parapegmi o Calendari astro-meteorologici degli antichi IncludiIntestazione 22 febbraio 2023 100% Da definire

XIII. - Rubra Canicula. Nuove considerazioni sulla mutazione di colore che si dice avvenuta in Sirio - X. - La divina Sothis XIV. - Sui Parapegmi o Calendari astro-meteorologici degli antichi

[p. 230 modifica]

XI. SIRIO E LA FENICE.

Notissima è l’antica tradizione egiziana della Fenice, la quale dicevasi apparire nel tempio del Sole ad Eliopoli a lunghi intervalli. Il periodo dei suoi ritorni è assegnato dai più degli antichi scrittori a 500 anni; soltanto da Tacito sappiamo che alcuni al suo tempo ne assegnavano la durata a 1461 anni, facendola così identica a quella del grande anno sotiaco, che riconduceva la coincidenza del primo giorno dell’anno vago col levare eliaco di Sirio, e col principio dell’anno solare. Secondo Erodoto (II, 78) le penne di questo uccello erano parte dorate, parte rosse: Plinio (X, 2) assegna il colore aureo al capo ed al collo, il rosso alle ali, alle penne della coda il roseo ed il ceruleo1.

In questo insieme di circostanze il dott. See ha veduto una nuova conferma del color rosso di Sirio negli antichi tempi. Ecco il suo ragionamento2: «Abbiamo dimostrato (egli dice) che Sirio anticamente era di color rosso fuoco. Questo fatto ci metterà ora in grado di spiegare non solo quanto si afferma delle magnifiche penne della Fenice; ma ancora ci farà comprendere, perchè questo uccello fosse creduto consumarsi nelle fiamme accese da lui medesimo, e rigenerarsi dalle proprie ceneri. Infatti i colori della Fenice non erano altri che quelli del Sole aureo e di Sirio rosseggiante. E il periodo della Fenice si chiudeva quando il primo giorno di Thoth (il cominciamento dell’anno vago) veniva a corrispondere all’apparire simultaneo di Sirio e del Sole all’orizzonte orientale; in questo stesso giorno cominciava il periodo seguente. Dunque poichè il levare eliaco di Sirio determinava il principio e la fine dell’anno Sotiaco, e la stella era rossa color fuoco; [p. 231 modifica]è facile vedere il motivo per cui i sacerdoti dicevano la Fenice consumarsi nel fuoco da lei stessa acceso (cioè nel fuoco di Sirio) e come per essi la nuova Fenice sorgesse dalle ceneri della precedente. Il fuoco in cui la Fenice periva, non era altro che il fuoco di Sirio rosseggiante, al quale forse si potrebbero aggiungere i colori dell’aurora, a traverso dei quali Sirio nel suo levare eliaco si manifestava precedendo il levare del Sole».

Ingegnosa è questa teoria, ma offre diverse difficoltà. Anzitutto l’equivalenza del periodo della Fenice coll’anno Sotiaco non è sostenuta da sufficienti autorità. Tacito (Ann. VI, 28) è il solo che ne parla; ed anch’egli dubitativamente dicendo: De numero annorum varia traduntur. Maxime vulgatum quingentorum spatium: sunt qui asseverent mille quadringentus sexaginta unum interici. Numerosi invece sono gli scrittori che assegnano la durata di 500 anni3. Gli stessi scrittori egiziani erano fra loro in completa discordanza. Horapollo di Nilopoli, che scrisse in idioma egizio una spiegazione dei geroglifici, e doveva esser molto versato nelle scienze sacerdotali, si tiene al dato comune di 500 anni. Nonno Panopolita nel suo gran poema delle Dionisiache assegna 1000 anni; Cheremone di Naucrati, jerogrammate e bibliotecario del tempio di Serapide in Alessandria, il quale specialissimamente si era occupato delle antichità sacre dell’Egitto e aveva scritto su queste un’opera assai pregiata, assegnava 7006 anni4. Sembra dunque che i più dotti fra gli Egiziani stessi non sapessero la vera durata del periodo; se pur periodo vi era. A dubitare di ciò ci conduce un passo di Eliano5 secondo cui l’epoca del ritorno della Fenice era in Egitto argomento di grandi dispute; gli uni lo aspettavano ad un tempo e gli altri ad un altro, e la Fenice finiva per comparire improvviso nel tempio di Eliopoli, quando meno la si aspettava. L’apparizione si dava come avvenuta nel tempio di Eliopoli, presenti i soli sacerdoti; l’annunzio che questi ne davano al popolo era seguito da grandi feste. Quali motivi determinassero i sacerdoti a tali annunzi piuttosto oggi che domani, nessuno l’ha mai saputo. Certo è soltanto, che le epoche assegnate da Tacito, da Plinio e da Dione Cassio per alcune [p. 232 modifica]apparizioni della Fenice non si possono assoggettare ad alcun periodo6 e ad ogni modo accennerebbero ad intervalli di due o tre secoli, escludendo affatto il periodo Sotiaco di 1461 anni. Contro quest’ultimo parla anche chiaro la circostanza, che al suo rinnovarsi nell’anno 139 di Cristo non si fa parola di alcuna apparizione della Fenice, la quale certo non sarebbe sfuggita agli storici di quel tempo se fosse avvenuta.

Gli studi fatti negli ultimi decenni dagli studiosi dell’archeologia egizia ci hanno condotti a notizie più sicure circa il carattere della Fenice. Nei monumenti e nei papiri ne occorre frequentissima la menzione col nome di Bennu; e vien rappresentata da un uccello di gambe lunghe e diritte, e di lungo e tortuoso collo, simile in tutto ad un airone. La testa è distinta da un duplice pennacchio rivolto all’indietro7. Il tempio d’Eliopoli è chiamato il soggiorno del Bennu; che dall’insieme delle qualificazioni dategli appare esser stato considerato come simbolo o rappresentazione del dio solare, e precisamente del Sole levante, che coi suoi raggi richiama la natura alla vita e all’attività. Nel Capitolo XVII del Libro dei Morti e precisamente nelle parti più antiche di questo capitolo, che forse risalgono all’epoca delle Piramidi, s’introduce il Sole a parlare di sè medesimo: Io sono Ra (il Sole) al suo primo apparire: il grande iddio, che ha generato sè stesso: sono Osiride, sono il Ieri e conosco il Domani... sono il gran Bennu che è in Eliopoli, il quale regola tutto quello che è e tutto quello che sarà: sono Amsu nelle sue manifestazioni; due penne mi sono state poste sul capo8. [p. 233 modifica]

In un altro testo9 si legge: io esco fuori come il Bennu, il dio dell’aurora. Qui troviamo una plausibile spiegazione dei colori che gli antichi assegnavano alla Fenice: aureo, rosso, roseo e ceruleo. Sono infatti questi i colori del cielo orientale durante il crepuscolo mattutino. Non sembra dunque necessario di ricorrere, per spiegarli, ad una colorazione ipotetica di Sirio. Nei monumenti, per quanto mi è dato oggi sapere, finora nulla si è trovato che accenni ad una connessione dell’uccello Bennu colla stella Sothis.

Invece si trova qualche volta messo il Bennu in relazione col pianeta Venere. Nelle tombe di Seti I e di Ramesse VI questo pianeta è chiamato la stella della barca del Bennu-Osiride10. Questa barca presso gli Egiziani teneva luogo del carro, su cui i Greci facevano viaggiare il Sole. Il Bennu-Osiride non è altro che il Sole levante, e la stella che guida la sua barca è una immagine bene appropriata di Venere mattutina o di Fosforo. Considerato questo fatto, sembra plausibile concludere che, se realmente gli Egiziani conobbero qualche periodo relativo alla Fenice, questo dovette esse determinato da Venere, anzichè da Sirio.

E non potè neppure esser un periodo di grande lunghezza. Non bisogna dimenticare che la determinazione dapprima, e poi l’uso di periodi moltisecolari richiede come primaria ed inevitabile condizione un computo esatto e non interrotto dei tempi. Secondo tutte le apparenze, un tale computo agli Egiziani mancò affatto, e l’incertezza della loro cronologia storica ne è la dimostrazione più evidente. Quando vediamo Manetone, sacerdote, jerogrammate ed istorico, esser in continua contraddizione colla testimonianza indefettibile dei monumenti non solo rispetto alla durata dei regni, ma anche rispetto al loro numero e alla loro successione: quando consideriamo che gli Egiziani non seppero mai riferire i tempi ad un èra, cioè ad [p. 234 modifica]un’origine fissa, e neppure seppero consacrare per uso dei posteri la successione degli anni per mezzo di liste di magistrati eponimi, ciò che ben seppero fare gli Assiri; come poter supporre che essi determinassero colle osservazioni cicli sì lunghi, dei quali non il minimo uso, anzi neppure la più lontana menzione appare dai monumenti? Riflettendo bene a questo, troveremo verisimile che quei lunghi cicli e specialmente l’anno sotiaco, siano combinazioni erudite e prive d’ogni significato pratico, inventate in tempi assai posteriori, quando gli Egiziani, illuminati dalla scienza dei Greci, finirono col persuadersi che l’anno sacro e canonico di 365 giorni esatti (l’unico che risulti dai monumenti anteriori all’epoca tolemaica) discordava di sei ore dal periodo del levare eliaco di Sirio e dell’inondazione e appresero l’uso, sin allora ad essi interamente sconosciuto, delle intercalazioni quadriennali, di cui Eudosso da Cnido sembra esser stato l’inventore. Tutto porta a credere che prima di quel tempo il loro anno, contato sempre (come attestano numerosi monumenti) dal levare eliaco di Sirio, e tuttavia costretto alla durata di 365 giorni interi, ricadesse in disordine manifesto entro pochi decenni; e di quando in quando fosse empiricamente ricondotto a posto coll’osservazione diretta della stella. Queste induzioni, che risultano dall’esame imparziale dei monumenti, tolgono ogni base alle infinite speculazioni degli eruditi sui periodi della Fenice e di Sothis11.



Note

  1. Le antiche narrazioni sulla Fenice trovansi raccolte e discusse da vari scrittori moderni, fra i quali citeremo specialmente Ideler, Handbuch der Chronologie, vol. I, pp. 183-194 (Berlin, 1825); e Lepsius, Chronologie der alten Aegypter, pp. 180-195 (Berlin, 1849). Sul periodo Sotiaco vedi la prima di queste opere, vol. I, pp. 124-140; e la seconda, pp. 165-180.
  2. Astronomy and Astrophisics, vol. XI, pp. 457-461.
  3. Sono almeno dodici e se ne può vedere la lista nell’opera citata di Lepsius, p. 180.
  4. Lepsius, Chron. der alten Aegypter, pp. 180-181.
  5. Eliano, De natura animalium, VI, 58.
  6. Apparizioni della Fenice registrate negli antichi scrittori:
         1. al tempo di Sesostri (Tacito)... 1300? av. Cristo.
         2. al tempo di Amasi (Tacito)... fra 569 e 525 av. Cristo.
         3. apparizione citata da Plinio... 312 av. Cristo.
         4. al tempo di Tolomeo III (Tacito)... fra 284 e 246 av. Cristo.
         5. al tempo di Tiberio (Plinio, Tacito e Dione) 34 e 36 dopo Cristo.
    Vedi Tacito, Ann. VI, 28: Plinio, Hist. Nat. X, 2: Dione Cassio, Hist. Rom. LVIII, 27.
  7. In questa descrizione ho sott’occhio due bei disegni della Fenice pubblicati da Le Page Renouf nei Proceedings of the Soc. of Biblical Archeology, vol. XVI, Tav. XXI. Essi sono tratti da due esemplari del Libro dei Morti, uno dei quali appartiene al Museo Britannico, l’altro al Museo Egizio di Berlino. Del pennacchio fa già menzione Plinio, Hist. Nat. X, 2: Caput plumeo apice houestari.
  8. Cosi la versione di Le Page Renouf (Proceedings of the Soc. of Bibl. Arch vol. XIV, p. 377) il quale nota esser testo antichissimo e molto anteriore alla XII dinastia (ibid. p. 381). Il confronto colle versioni di Brugsch (Religion und Mytol. der alten Aegypter, pp. 21-23) e di Pierret (Livre des Morts, pp. 53-56) non offre differenze importanti pel presente argomento.
  9. Le Page Renouf, Proceedings of the Society of Biblical Archeology, vol. VII, p. 211.
  10. Brugsch, Die Aegyptologie, p. 336: lo stesso, Mémoire sur les abserrations planétaires &c. p. 50.
  11. Vedi su questo punto le sensatissime osservazioni di Maspero (Proceedings of the Soc. of Bibl. Arch., vol. XIII, pp. 305-307) alle quali completamente sottoscrivo. Una di queste epoche di confusione cronologica pare abbia avuto luogo al tempo di Seti II (circa 1250 anni av. Cristo); da un papiro della sua epoca (detto Papiro Anastasi IV), Maspero riferisce la seguente preghiera: «O Ammnone, vieni a liberarmi da quest’anno disgraziato, ove non arriva più il solstizio estivo, l’inverno accade quando aveva luogo l’estate, i mesi van fuori di posto e le ore s’imbrogliano (Ibid. p. 310)». Era dunque press’a poco lo stato del Calendario Romano prima della riforma di Giulio Cesare.