Scritti sulla storia della astronomia antica - Volume II/XIII. - Rubra Canicula. Nuove considerazioni sulla mutazione di colore che si dice avvenuta in Sirio/X. - La divina Sothis
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X. LA DIVINA SOTHIS.
La coincidenza approssimativa del levare eliaco di Sirio col principio dell’inondazione del Nilo aveva condotto gìà da tempo immemorabile gli Egiziani a considerare questi due fenomeni nella relazione di causa ed effetto. Divinizzata sotto il nome di Sothis, la stella fu considerata come una forma o una manifestazione della Dea Iside, e diventò celeberrima nella liturgia egiziana. Il prof. Brugsch così scrive su questo argomento nella sua recente opera sulla Religione e sulla Mitologia degli antichi Egiziani1: «L’apparizione d’Iside al mattino sotto forma della stella Sothis. che annunziava non soltanto il principio del nuovo anno, ma anche il cominciare della piena del Nilo, aveva un alto significato simbolico, che stava in intima relazione coll’essenza di quella divinità... In vari templi dell’Egitto (a File, a Siene, ad Edfu, e a Dendera) speciali onori si rendevano ad Iside-Sothis e speciali altari erano ad essa consacrati; innumerevoli iscrizioni ne celebravan la lode». E altrove2: «Le iscrizioni del tempio di Dendera non rifiniscono mai di celebrare la Dea Sothis di Elefantina (Satit), la signora del principio dell’anno, che a suo tempo fa inondare il Nilo». Una di queste iscrizioni è degna di particolare attenzione, come quella che assimila Sothis alla Dea Hatit della grande Apollinopoli3. Secondo il Brugsch Hatit significherebbe in egiziano bianca o bianco-splendida4: ovvio è il domandarsi, se qui per caso non si nasconda appunto un’allusione al colore della stella.
Nella stessa opera5 il Brugsch ha raccolto una lunga serie di titoli e di designazioni date alla Dea Iside nei monumenti egiziani e specialmente nelle iscrizioni che adornano esternamente ed internamente il tempio di Dendera. Ne trascrivo qui in italiano la parte che concerne Iside-Sothis. Essa è dunque: l’occhio destro di Ra: il diadema sulla fronte di Ra: la regina dei 36 decani (o divisioni del cielo stellato): la stella che annunzia il primo giorno dell’anno: la signora del principio dell’anno: quella che occupa nell’etere il posto più degno: quella che produce il levare del Sole: la signora del cielo: la sublime nel cielo: quella che riluce nel cielo appresso Ra: quella che irradia come oro: l’aurea Sothis: la più lucida delle lucide ecc.
Fra questi appellativi si noteranno quello di aureo-raggiante e quello di aurea, i quali potrebbero pur avere qualche relazione col colore della stella. Anche alla luce del Sole si dava il medesimo appellativo. Cito ancora il Brugsch6: «il Sole a cagione del suo splendore viene per lo più paragonato collo splendore dell’oro e quindi in cento iscrizioni celebrato come il gran disco solare d’oro purissimo. In altre iscrizioni e principalmente in numerosi testi di Dendera e di Edfu è spesso detto splendente come oro. In una iscrizione delle tombe tebane si trova: Salute a te, Fta di Menfi, gran Sole dai raggi d’oro ecc.». Anche questa assimilazione della luce di Sothis a quella del Sole potrebbe esser non intieramente priva di significato per la questione che ci sta occupando.
Non ignoro però, con quanta cautela si debba far uso di testi scritti in istile poetico sopra argomenti di carattere religioso in una lingua di cui anche oggi, malgrado tutti i progressi fatti, è ancora impossibile apprezzare tutte le gradazioni di significato. Non potendo usare di criterio proprio in una materia così difficile, così lontana da’ miei studi ordinari, mi son fatto animo ed ho pregato il prof. E. Schiaparelli, Direttore del Museo d’antichità di Torino, affinchè colla grande competenza che lo distingue in queste materie, volesse fare un esame delle iscrizioni nel loro originale geroglifico; cosa meno difficile ora, che tutte le numerosissime iscrizioni del tempio di Dendera sono pubblicate con ogni cura7. Egli aderì al mio desiderio, e mi mandò sull’argomento una breve nota, che col suo consentimento qui sotto si riproduce. Io aggiungerò soltanto, che l’epoca delle iscrizioni in questione è approssimativamente conosciuta: perchè secondo le ricerche di Dümichen8 la costruzione del tempio ha durato circa 200 anni dal 117 avanti Cristo fino al 98 di Cristo.
«Nei testi delle piramidi è più volte nominata Sothis: ma nulla può arguirsene sul colore di essa.
«Nemmeno dalle iscrizioni di Dendera può aversi in proposito alcuna indicazione diretta; sebbene possa indirettamente supporsi che nello iscrizioni stesse sia attribuito a Sothis il fulgore dell’oro.
«È certo che a Dendera, più che in ogni altro tempio, Iside-Hatlior era adorata sotto il punto di vista astronomico, identificando Sothis con essa; ma questa identificazione, che certo predomina, non è tale da impedire che nelle iscrizioni stesse a Iside vengano assimilate tutte le divinità femminili dell’Egitto, all’infuori di qualsiasi considerazione per Sothis; la quale scompare per lasciar posto semplicemente ad Iside-Hathor, quale rappresentante di esse divinità.
«Sotto queste condizioni Iside è pareggiata ad Hatit di Edfu (bianca di Edfu), che in altre iscrizioni è sostituita da Hatit di Necheb (bianca di El-Kab), ed anche da Hatit o Hadid di Edfu, col determinativo dello scorpione per indicare la Dea Selk a testa di scorpione.
«Crederei perciò che si possa escludere che la menzione fatta di Hatit di Edfu nelle iscrizioni accennate dal Brugsch, si riferisca a Sothis e tanto meno al suo colore.
«Una lunga iscrizione di Dendera (Mariette, Dendera, I, 25) enumera circa cento forme o qualifiche diverse di Iside (non esclusivamente però di Iside-Sothis) e fra queste: 1.° Nubit, la dea d’oro; 2.° Nenemnubit, la dea che sorge (o che rifulge) come dea d’oro; 3.° Nubitneteru, la dea oro degli dei; 4.° Nubit-honit-nubtiu, la dea d’oro regina delle dee d’oro; 5.° Nubit-nubtiu, la dea d’oro delle dee d’oro, ossia dea d’oro in grado superlativo.
«I nomi 4.° e 5.° non sono molto frequenti: sono assai frequenti il 2.° ed il 3.°, ed è frequentissimo il 1.°, quasi altrettanto come quello d’Iside o di Hathor, coi quali si scambia continuamente.
«È però da tener conto, che secondo una leggenda, Iside colle ali d’oro abbracciando Osiride, lo ricoperse d’oro; per cui la qualifica di dea d’oro potrebbe venire ad Iside da quella od altra consimile leggenda estranea alla identificazione sua con Sothis. Ma potrebbe anche essere l’opposto, che cioè dalla qualifica di dea d’oro, venuta ad Iside per la sua identificazione con Sothis, fosse derivata la leggenda sopra ricordata.
«Nel labirinto di forme, nomi, attributi delle divinità egiziane non è sempre facile il distinguere quali di essi siano i più antichi.
«Comunque sia, nelle iscrizioni di Dendera noto le seguenti espressioni:
a) Dendera è detta talora città di Nubit e più spesso sede o dimora di Nubit;
b) ...gli dei vedono Nubit nell’interno del tempio di Dendera (pa Nubit), che rifulge di dietro nelle sue feste (Mariette I, 19 e passim);
c) Iside (Nubitneteru) che risiede in Auit (Dendera) ...stella del mattino che gli dei adorano giorno e notte (Ibid. I, 33): Iside, che sorge (o rifulge) nella festa del principio dell’anno (I, 39): Iside che rifulge come la vacca sacra che illumina i due mondi coi suoi raggi (I, 42): Iside, occhio destro (del Sole) che rifulge come oro (I, 43): Iside, signora di Punt, illumina il padre suo nel cielo, nella notte (I, 75);
d) La dea Ma, adorando Iside, dice: io fo adorazione a te, che sei Nubit nell’alto del cielo (II, 2);
e) ...Hathor illumina ...nella sua forma di Nenit (abbreviazione di Nenemnubit, v. qui sopra): Hathor sorge (o rifulge) nell’orizzonte orientale (II, 7): nella dimora augusta (II, 7): nell’oriente (I, 26);
f) ...Adorazione a te, che tramonti nel tuo santuario, o Hathor, la grande, che risiedi in Auit. Sothis in cielo, sovrana fra le stelle che risplendono in cielo nella festa del principio dell’anno... (II, 55);
g) ...Hathor, Sothis nelle sue forme, regge essa il Sud e il Nord, ureo grande che sta davanti ad Oro dei due orizzonti, che riempie la fronte del padre suo colle sue bellezze (coi suoi splendori)... (II, 58);
h) Rat (Sole femmina) ...che splende in terra come auro fulgente (II, 64);
k) Sothis, netta sede di Ra, riempe il cielo e la terra co’ suoi splendori (I, 54, 6);
l) Nubit rifulge sulla fronte di chi la creò.
«Non ho trovato, nè nel Thesaurus di Brugsch, nè nella pubblicazione di Mariette, la espressione Sothis riluce come oro in qualità di Nubit. Oserei dire che non esiste9. Una perfetta equazione di Sothis con Nubit io non l’ho trovata, benchè sian frequenti quelle di Sothis con Iside, e di Nubit con Iside, insomma il centro non è Sothis, come suppone il Brugsch in tutta la sua disquisizione sulle iscrizioni di Dendera, ma Iside, alla quale spesso viene identificata Sothis.
«Nemmeno trova giustificazione nelle iscrizioni ciò che il Brugsch dice, che la dea Sotliis di Elefantina ha parte principale nella celebrazione del principio della inondazione del Nilo10. Il fatto è che Sothis di Elefantina è assai raramente nominata, e invece la parte principale, anche per il principio dell’inondazione del Nilo, è fatta ad Iside-Hathor. Certo però Iside-Hathor va presa qui nel suo senso astronomico; e forse questo diede origine alla inesattezza del Brugsch qui notata.
«Lo stesso Brugsch, alla pagina 325 del suo Dizionario geografico dell’antico Egitto, parla di una dea Nubit adorata nel basso Egitto, e nominata sopra un sarcofago proveniente da Sais: di questa nulla si sa, se abbia o no attinenza diretta con Sothis.
«Malgrado le accennate riserve, io credo che l’equazione Nubit=Sothis, per quanto non mai direttamente affermata, pure si possa ragionevolmente indurre; e si possa supporre che realmente per gli Egiziani il colore di Sothis si avvicinasse a quello dell’oro. Probabilmente il colore poteva variare secondo l’altezza della stella sull’orizzonte e secondo la stagione; in Egitto la coloritura del paesaggio è assai diversa secondo le ore e le stagioni a motivo dei vapori, e a seconda della maggiore o minore purezza dell’atmosfera; e ciò in una misura anche maggiore che da noi».
Fin qui il dotto e cortese Professore del Museo di Torino. Come si vede, da queste iscrizioni, malgrado il loro numero, non è possibile ricavare alcuna indicazione positiva circa il color bianco di Sirio. Forse di qualche maggior peso è l’argomento negativo, che esse danno circa il color rosso della medesima stella. Se infatti Sirio fosse stato più rosso di Marte (siccome dovremmo ammettere stando all’autorità di Seneca), sembra difficile, che qualche indizio non avesse a trovarsi di ciò nelle iscrizioni. In questa opinione siamo confermati considerando il caso parallelo di Marte e il modo con cui gli Egiziani si sono comportati rispetto a questo pianeta. Nel medesimo tempio di Dendera, e precisamente nelle due celeberrime rappresentazioni zodiacali ad esso appartenenti, sono rappresentati e distinti per nome i cinque pianeti; il nome di Marte è Her-tosch, che sarebbe come dire in latino Horus rubens11. Questo medesimo nome di Marte si trova ripetuto in parecchi altri monumenti e due volte sta scolpito nel soffitto del così detto Ramesseum a Tebe12; così pure è usato nelle tavolette astronomiche che il rev. Stobart portò dall’Egitto, e furono studiate filologicamente da H. Brugsch e astronomicamente di W. Ellis13. In altri monumenti Marte è designato come Horo lucente, stella del cielo orientale, stella che cammina retrogradando14: nelle quali ultime parole vi è una manifesta allusione alle irregolarità del moto di Marte, le quali sono ben più apparenti che quelle di qualsivoglia altro pianeta. Nel Libro dei Morti al Capo XVII, si enumerano i sette Spiriti luminosi che accompagnano il sarcofago di Osiride. In quello che ha il viso di fuoco e cammina retrogradando io non saprei ravvisare altro che Marte15.
Gli Egiziani dunque già assai per tempo avevano notato il color rosso di questo pianeta e fattone uso per distinguerlo dagli altri. Se Sirio fosse stato anche più rosso, difficile sarebbe immaginare come per un astro tanto più importante, e celebrato in iscrizioni tanto più numerose, manchi ogni più lieve allusione ad un fatto così notevole e così raro fra i corpi celesti.
Note
- ↑ H. Brugsch, Religion und Mythologie der alten Aegypter, p. 648. Leipzig, 1888.
- ↑ Ibid. p. 301.
- ↑ Ibid. p. 301.
- ↑ Ibid. p. 301.
- ↑ Ibid. p. 646.
- ↑ H. Bruhsch, Religion und Mythologie der alten Aegypter, pp. 276-277. Leipzig, 1888
- ↑ Per opera di Mariette-Bey e di vari altri collaboratori in quattro grossi volumi, 1870-1883.
- ↑ Dümichen, Geographie des alten Aegyptens, Berlin, 1887, p. 140.
- ↑ Cf. Brugsch, Religion und Mytologie der alten Aegypter, p. 319.
- ↑ Cf. Brugsch, Religion und Mythologie der Aegypter, p. 301.
- ↑ H. Brugsch, Die Aegyptologie, pp. 336-337. Leipzig, 1891.
- ↑ R. Lepsius, Chronologie der alten Aegypter, p. 90. Berlin, 1849.
- ↑ H. Brugsch, Mémoire sur des observations planétaires consignées dans quatre tablettes égyptiennes en écriture démotique. Berlin, 1856. Sono effemeridi planetarie calcolate per gli anni 103-132 di Cristo e quindi un poco anteriori a Tolomeo. Vedi pure W. Ellis, Results derived from an examination of certain places of the five planets as interpreted from inscriptions on four old tablets (Memorie della Soc. Astronomica di Londra, XXV, 1856).
- ↑ Brugsch, Die Aegyptologie, p. 336.
- ↑ Ho sott’occhio le traduzioni di Pierret (Le Livre des Morts des anciens Égyptiens, Paris, 1882) e di Le Page Renouf (The book of the Dead, Proceedings of the Society of Bìblical Archaeology. vol. XIV, p. 379). La prima dice di Marte: celui qui a le visage en feu et vient à recutons: la seconda lo chiama Fiery face which turneth backwards. — Secondo quest’ultimo traduttore non sarebbe questione di Marte, ma di una delle stelle dell’Orsa Maggiore, della quale costellazione si fa cenno alquanto prima nel medesimo capitolo XVII del Libro dei Morti. L’opinione da me espressa mi sembra più probabile, tanto più che nelle figure accompagnanti il testo del Libro dei Morti lo spirito retrogrado ha una perfetta rassomiglianza col Marte che è nei zodiaci di Dendera; una figura umana, con in mano uno scettro, e con la testa di sparviero (vedi l’accennato volume XIV dei Proceedings of the Soc. of Bibl. Arch. Tav. III. fig. 15).