Sonetti burleschi e realistici dei primi due secoli (1920)/XXIII. Tenzoni di rimatori perugini/VIII. Tenzone tra Cucco di messer Gualfreduccio Baglioni e ser Cecco Nuccoli

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VIII. Tenzone tra Cucco di messer Gualfreduccio Baglioni e ser Cecco Nuccoli

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VIII. Tenzone tra Cucco di messer Gualfreduccio Baglioni e ser Cecco Nuccoli
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VIII

TENZONE
TRA CUCCO DI MESSER GUALFREDUCCIO BAGLIONI
E SER CECCO NUCCOLI

I — CUCCO
Sta nel limbo, ma spera di salire poi iti paradiso.

Io sto nel limbo, e spero di vedire
la gloria de colui, ch’è somma luce,
la qual da morte a vita me conduce,
4tenendome soggetto al suo volire.
E, ciò ’spettando, non sento martire,
sperando sempre udir la dolce vuce,
la qual lo spirto mio tuttor riduce
8a benigno signor sempre ubbedire.
Però lui prego che troppo non tardi
al servo suo mostrar quilla chiarezza,
che scampe ’l cor dagli amorosi dardi.
Ch’en veritá ninna inaggiur fortezza
dar si porria a! cor per sostenere
14li grave colpe, che lo fan patére.

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2 — SER CECCO
Dal limbo non si va in luogo di perfezione; e poi, Cucco è mcor troppo legato
alle cose mondane...

Tu se’ nel loco, se ben ti rimire,
che gloria o ben per te mai non traluce;
né mai lá giú non scende el sommo duce,
4poi ch’Abraám ne trasse e gli altre sire.
Ma, se tu ere’ rinascere e morire,
cotest’è un van pensier, che sempre’nduce;
né mai a perfezion nessun s’adduce,
8a uscir di fuor, ma avran doppie sospire.
Ma ei par ch’en tua matèra net mondo ardi
l’alma col cor sol per l’altrui bellezza,
11rubato pur dagli amorosi dardi.
Ma, se mi crede, usa maggiur larghezza,
poi coteste novelle son pur vere;
14proverbio antico: — Iddio si fé’ li sere.
Non piacquer mai sonette a tai persone;
ma, s’ei t’accoste, donai del bolgione.

3 — CUCCO
Conferma le sue speranze di lasciar il limbo, e rimprovera l’amico
perché è uscito fuor del’argomento.

Io so’ en la mia oppinion piú fermo,
ser Cecco, ch’en la tua non ragionaste,
però che di speranza mi privaste,
4come s’io fusse mortalmente infermo.
Ma in veritá ti dico e si t’affermo
ch’en quilla parte, dove ini trovaste,
scise el verace lume, che rimast’è,
8e feri ’l cor, che non glie valse schermo.

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Però ti prego che, quando tu parli,
che tu non esche fuor di la matèra;
11ben vói’che sappi ch’io non so’da Arli.
Ch’io giuro a Dio ch’a seguir la bandèra
sarei piú presto con mille fiorini,
14ch’un altro non Siria di bagattini.
Ma, poi ch’entendi ad esser camarlinga,
servirte convèn d’altro, ca de linga.

4 — SER CECCO
Ribadisce la sua affermazione che dal limbo non si sfugge.


Saper ti fo ch’el mio detto rifermo,
da poi che le mie rime mal notaste;
come Iddio fe’ li sere, tu ’l provaste,
4s’io traggo ben l’effetto del tuo sermo.
E vói’ che sappi ch’io non mi disfermo:
ché mai non uscerai, se lá giú intraste;
però ti prego che piú noi contraste,
8ch’en sul Dicreto el disse quel da l’ermo.
Ché ’l Signor sommo seria in briga trarli
fuor di tal luoco, e questa è cosa vera;
11ond’io ti prego che piú non ci sparli:
ché converrá che tua oppinion péra;
e vincitor ne remarrò a la fine,
14e girò in sella, e tu t’atterra’ ai crine.
Ben so che l’hai mainèr, ma se raminga:
ch’altre glie dá denari, e no i berlinga.