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Sotto il velame/L'altro viaggio/IV

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L'altro viaggio - IV

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L'altro viaggio - III L'altro viaggio - V
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IV.


Per l’accidia non v’ha dubbio. Nel brago è punito il difetto di fortezza. Nella reità dei peccatori è l’ira e l’invidia e la superbia, passioni. Poichè il timore, donde vien la tristizia, le inceppa e le rende vuote d’effetto, quella reità si chiama accidia. Dante lo dice così per incidente, come non dice apertamente e dottrinalmente che sia lussuria o gola o avarizia il peccato delle tre sottospecie dell’incontinenza di concupiscibile. Un altro nome ha quel difetto di fortezza: infermità. E infermità (originale) è il difetto degli sciaurati del vestibolo. Ad essi somigliano sì i rissosi, sì i fangosi dello Stige. Già lo Stige è il vestibolo di Dite o basso inferno; e ha il suo Caron che è Flegias. Poi, sono puniti in modo analogo: là è suon di mani, qua si percotono non pur con mano; là sono sospiri e pianti e lagrime, qua è un che piange; là accenti d’ira, qua un’ombra furiosa; là sono cattivi, qua sono tristi; là corrono perpetuamente, qua (appunto quelli che per alcuni [p. 335 modifica]non sarebbero accidiosi) sono in continuo moto. Dei primi non si racconta alcun reo, qua non si racconta alcun bene: quelli visser senz’infamia e senza lodo, di questi bontà non fregia, la memoria. Sono sdegnati e quelli e questi: non ragioniam di loro; più non ne narro; guarda e passa; sarei vago di vederlo attuffare. Invidiosi sono i primi d’ogni altra sorte. Filippo Argenti, perchè tende le mani al legno, se non per passare? È invidioso anch’esso d’ogni altra sorte. Lassù son angeli, quaggiù gran regi; lassù uno che fece un gran rifiuto e che non si nomina; quaggiù una persona orgogliosa, il cui nome non è fatto da Dante, sebbene egli lo conosca come conosce l’altro. E cosa più notevole ancora, sono accennati, sì per i primi sì per i secondi, tutti i peccati d’ingiustizia. Nei primi, la superbia è accennata col ricordo degli angeli ribelli, l’invidia con le parole “invidiosi son d’ogni altra sorte„, l’ira (e anche qui dobbiamo pensare e meravigliare di tanto sottile provvidenza del poeta), l’ira apertamente e formalmente, come nello Stige (cui vinse l’ira): accenti d’ira. O sono iracondi gli sciaurati? Già, come i fangosi. Infine gli sciaurati guaiscono e fanno pozze di sangue e lagrime e vermi a’ lor piedi; e i fangosi sono cani e porci e stanno nel putrido fango. Misero modo di tutti e due! e bassa vita di tutti e due! Infermità di tutti e due; pei primi avanti la giustizia, originale, degli altri avanti la giustizia attuale.[1]

Dopo costoro, dentro l’inferno superiore e dentro [p. 336 modifica]il basso, si vedono i peccatori, meno e più volontari d’ignoranza; dell’ignoranza originale e della attuale: quelli che non vollero vedere o si diniegarono a vedere Dio, il sommo e incommutabile bene; che fecero contro la prudenza, infusa e abituale. Tanto i primi quanto i secondi non entrano nel novero che fa Virgilio dei peccati e peccatori dell’inferno. Nel qual novero pur non entrano gli sciaurati del vestibolo, come quelli che, non essendo morti della seconda morte ed essendo disdegnati sì dalla misericordia e sì anche dalla giustizia di Dio, non sono in verità nell’inferno. Questo silenzio, col quale si omettono sì i sospesi del limbo e sì i sepolti nelle arche, li pone in una certa relazione con gli sciaurati e con i fangosi, che sono il loro proprio contrapposto nella vita piena in quelli di attività e nella morte piena di gloria, come inerte e ingloriosa fu l’una e l’altra di questi; e nel tempo stesso risponde a un altro concetto. Per il primo, noi vediamo che i sepolti, i quali si trovano allo stesso piano dei fangosi, vengono a integrare con essi il concetto d’accidia, che non è solo in acquistare ma anche in vedere il sommo bene.[2]

               Se lento amore in lui (il bene) veder vi tira,
               o a lui acquistar, questa cornice,
               dopo giusto penter, ve ne martira.

Qual cornice? La quarta. La quale, se si esclude il limbo, i cui sospesi sono pur taciuti nel novero, corrisponde al cerchio appunto dei fangosi e al cerchio degli eresiarche che sono, tutti e due insieme, il [p. 337 modifica]quarto dalla lussuria in giù. Nè bisogna qui dimenticare l’indubitabile raffronto dell’antinferno (vestibolo e limbo) con l’antipurgatorio. Gli scomunicati e i negligenti sono pur somiglianti agli sciaurati e ai non battezzati: e la somiglianza è duplice.

Gli scomunicati furono esclusi dal meritare; e in ciò somigliano più ai sospesi che agli sciaurati; furono messi fuori della chiesa, e in ciò somigliano più agli sciaurati che ai sospesi. I negligenti indugiarono fino alla fine i buoni sospiri, e in ciò ricordano gl’ignavi che non osarono nemmeno sulla morte mettersi nel gran passo, e nemmeno morti possono ora più varcarlo. Di più, nel luogo a loro designato è anche una valletta amena; e questa, che ricorda il nobile castello, ha la virtù di fare simili i principi negligenti agli spiriti magni. Quelli ebbero ogni valore, questi hanno onrata nominanza, sono eroi, sapienti, poeti. Ma con le somiglianze ci sono le differenze. Basti che la tenebra è totale per quelli del limbo, e che qui la tenebra notturna fa a mezzo con la luce del sole; e che pur la tenebra del limbo non impedisce agli eroi e ai poeti di errare per i due regni della concupiscenza, infermità, malizia e ignoranza, poichè essi ebbero le quattro virtù opposte alle quattro piaghe; mentre la tenebra dell’antipurgatorio impedisce l’andar su, se non il tornar giù. Ora perchè indugiano i principi della valletta? Perchè, essendo cristiani e non avendo perciò la difficultas e la tenebra originali, ed essendo principi, e avendo però il posse quanti altri mai e quanti altri mai il dovere della giustizia, furono nella loro giustizia ottenebrati alquanto da quella cupiditas che qui si presenta sotto le forme sue primitive di serpente. La loro [p. 338 modifica]giustizia possibile e facile e debita, ebbe “contrarietà nel velle„, perchè la loro volontà non era sincera da ogni cupidità, e perciò sebbene giustizia fosse in loro, tuttavia non c’era “nello splendore di sua purezza„.[3] Perciò sono tra i negligenti. E perciò assomigliano ai fangosi e ai gran regi che staranno nel brago: perchè quel po’ di cupidità che altro è se non il residuo dei due vizi collaterali alla fortezza? se non dismisura d’ira? dell’ira che è cote della fortezza? che è necessaria a giustizia? Onde non senza perchè, qui, dove la volontà è tutta volta al bene, Dante mostra un Giudice[4]

                                segnato della stampa
               nel suo aspetto di quel dritto zelo,
               che misuratamente in core avvampa.

L’ira per zelum, la passione che genera la fortezza e perciò propugna la giustizia, è ora in lui; non sempre fu, nè certo mai in quell’alto grado eroico che fu in Enea il giusto. Ma il lungo tema mi caccia. Basti ancora accennare l’analogia che è tra i sepolti nell’arche e i sospesi tra la tenebra e non solo i principi della valletta ma anche gli scomunicati. Le due specie di peccatori dell’antipurgatorio sono così trattate e disposte e colorite dal poeta, perchè da qualunque delle due si cominci, si trovi una rispondenza con i due ordini dell’antinferno e dell’antidite. Ma la rispondenza è a ogni modo più netta all’inverso. Nell’antinferno è prima la difficultas, seconda l’ignorantia, originali; nella antidite prima l’infirmitas, seconda l’ignorantia, attuali: [p. 339 modifica]nell’antipurgatorio, prima quella che risponde all’ignoranza originale e attuale nella proporzione in cui sta uno scomunicato pentito a un miscredente e a un non battezzato, seconda quella che risponde all’infermità o negligenza o viltà attuale nella proporzione in cui un Belacqua e anche un principe negligente sta a un non mai vivo che corre e a un re che grufola. Or è caso ed è scorso di penna quell’ordine delle parole nella definizione dell’accidia che si purga nella quarta cornice?

               Se lento amore a lui veder vi tira
               o a lui acquistar...

Primo è nominato il lento amore a vedere: quello degli scomunicati; secondo, il lento amore ad acquistare: quello di Belacqua, di Buonconte, di Nin gentile. E l’accidia della quarta cornice è negligenza, tepidezza, indugio. Nel purgatorio dunque è un antipurgatorio e una quarta cornice che contengono il primo una ignoranza e una infermità, la seconda una negligenza e un indugio a vedere ed acquistare il bene, corrispondenti all’ignoranza e difficoltà originali, all’ignoranza e infermità attuali; ma in ordine inverso.

E conclude che il peccato dello Stige e quello d’oltre Stige è proprio il peccato d’accidia in acquistare, di qua, in vedere, di là, il bene.

Note

  1. A risparmio di spazio, rimando tutto in una volta ai canti III 22-67 e VII 109-126, VIII 1-64. E rimando alla Minerva Oscura, che qui riassumo con poche aggiunte, ma anche, necessariamente, con qualche omissione.
  2. Purg. XVII 138 segg.
  3. De Mon. I 13.
  4. Purg. VIII 82 segg.