Specchio di vera penitenza/Trattato dell'umiltà/Capitolo quarto

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Trattato dell'umiltà - Capitolo quarto

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Trattato dell'umiltà - Capitolo quarto
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CAPITOLO QUARTO.


Dove si dimostra quali sono quelle cose che sono cagione e inducono ad avere umiltà.


La quarta cosa che séguita a dire della umilità, si è quali sono quelle cose che sono cagione e che inducono ad avere umilità. La prima cosa si è la considerazione de’ propi difetti; della quale dice santo Gregorio: Gli uomini santi, acciò che guardino in sé la virtù della umiltà, ponghino dinanzi agli occhi della mente loro i difetti e la loro infermità, acciò che, considerandogli, istieno umili, e l’animo loro, per qualunque bontà che abbino, non si levi1 in superbia. E ha l’uomo [p. 250 modifica]cagione e materia d’essere umile, e da parte del corpo e da parte dell’anima. Da parte del corpo, se2 considera il suo originale principio, lo stato della presente vita e ’l fine della morte. E di ciò parlava san Bernardo, e diceva: Vedi, uomo, donde tu vieni, e vergógnatene; e dove se’, e piagnine; dove vai, e con paura ne triema. E di queste tre cose è detto di sopra nel trattato della superbia, dove si dimostra quali sono i rimedi contro a la superbia. Da parte dell’anima abbiamo materia d’umilità: chè se l’uomo è in peccato mortale, l’uomo è peggio che non è un porco o un cane; chè que’ sono debitori pure d’una morte, cioè del corpo; e egli di due, cioè della corporale e dell’eternale. Anche è l’uomo in miseria3 della colpa e della pena: il porco e ’l cane, che sono senza colpa, hanno pure la miseria della pena. Se l’uomo è in dubio s’egli è in peccato mortale o sì o no, pur questo dubio è una grande miseria; della quale dice Salamone: Sunt iusti atque sapientes, et opera eorum in manu Dei; et tamen nescit, homo utrum amore vel odio dignus sit, sed omnia in futurum reservantur incerta: E’ sono degli uomini giusti e savi, e l’opere loro nelle mani di Dio; e nientedimeno, non sa l’uomo s’egli è degno d’amore o d’odio, ma tutte le cose si riservano incerte. La qual parola sponendo san Gregorio, dice: Imperò ci sono tutte le cose incerte, acciò che una cosa certa tegnamo, cioè l’umiltà. Or pognamo che l’uomo fosse certo di non essere in peccato mortale; se considera il rischio a ch’egli sta tutto dì di cadere, tra per la negligenzia, e per la ignoranzia, e per la concupiscenzia, e per le tentazioni del diavolo e del mondo e della carne, che dovunche si rivolge truova isdruccioli e trappole, ha cagione d’essere umile e di temere: e con tutte queste cose non si rintuzza, e non si aumilia la superbia nostra. Onde dice san Bernardo: O [p. 251 modifica]maravigliosa vanità! o grande stoltizia del nostro quore! la cui superbia non può domare materia di tanta umiltà, che non si levi pure in alto, terra e cenere. La seconda cosa che c’induce ad umiltà, si è l’usare colle persone umili: chè, come dice la Scrittura, chi usa e conversa col superbo, ne trae superbia; così chi usa colla persona umile, appara da lei umilità. Onde dice santo Ieronimo: Come chi tiene mente4 all’opere ree dell’uomo superbo, per lo male essemplo ha inducimento a superbia; così considerare l’opere buone della persona umile, presta cautela d’umilitade. La terza cosa ch’è cagione d’umilitade, è d’ausarsi a vili offici, e a sostenere le ’ngiurie, gli oltraggi e’ vituperii, le villanie, le vergogne e’ dispetti; non rispondere, e non vendicarsi, ma riputarsi degno di quello e di peggio. Onde dice san Bernardo: L’umiliazione è via all’umilità, come la pazienzia è via alla pace, e come la lezione alla scienzia. Adunque, se desideri la virtù della umiltà, non fuggire la via della umiliazione. La quarta cosa che induce all’umilità, è la memoria della morte; della quale disse Iddio al primo padre dell’umana natura, Adamo:5 Pulvis es, et in pulverem reverteris: Tu se’ polvere, e in polvere tornerai. La qual cosa ci reca a memoria la santa Chiesa il primo dì della quaresima, quando ci pone la cenere in capo, e dice a ciascuno: Ricorditi che tu se’ cenere, e in cenere ritornerai. Dêsi l’uomo reputare cenere eziandio mentre che vive; imperò ch’egli è certo che di qui a poco tornerà in cenere. E le cose che son certe per lo tempo che dee venire, si debbono reputare come fossono presenti. Onde dice san Paolo: Corpus mortuum propter peccatum: Il corpo è morto per lo peccato, cioè deputato e dato alla necessità della morte. E però dicea6 san Gregorio: Quasi morto già si reputa chi tiene per certo di dovere morire. Così si reputava [p. 252 modifica]quel santo patriarca Abraam, quando diceva a Dio: Loquar ad Deum, cum sim pulvis et cinis: Avvegna ch’io sia polvere e cenere, pure ardirò di parlare al mio Signore.

7 Leggesi che, anticamente, quello medesimo dì che ’l papa era creato, gli era portato innanzi una manata di stoppa et una candela accesa, e in sua presenza messo fuoco nella stoppa, et eragali detto: – Così passa tosto la gloria del mondo, come il fuoco ha tosto arsa questa stoppa, e fáttone favilla e cenere. – Onde santo Bernardo, scrivendo a papa Eugenio, diceva: Come è bella et utile coniunzione, che pensando tu d’essere sommo pontefice, consideri insieme che tu se’ vilissima cenere! Non è grande fatto essere umile nel basso stato; ma grande vertù e rada l’umiltà onorata. E però dicea il savio Ecclesiastico: Umilia valde spiritum tuum: Umilia molto lo spirito tuo. Non si tiene polvere e cenere colui che si veste di drappi di seta e di scarlatto: chè, chi farebbe cotali sacca alla cenere, se non fosse già matto? Non si tiene polvere e cenere colui che si pone in altura di stato e di degnità: chè la cenere e la polvere posta in alto, n’è portata e sparta8 dal vento. E avvegna che non si tegnano,9 e’ pur sono; de’ quali dice il Salmista: Non sic impii, non sic; sed tamquam pulvis, quem proiicit ventus a facie terrae: I peccatori superbi non si tengono così; ma e’ pur sono come la polvere, che ’l vento gitta dalla faccia della terra. Non solamente si dee l’uomo umiliare perch’egli è cenere e polvere, ma perch’egli è ancora più vil cosa; ch’egli è sterco e vermini. Così dice la Scrittura: Gloria eius stercus et vermis: La gloria dell’uomo è sterco e verme. E ’l savio Ecclesiastico dice: Vindicta carnis impii ignis et vermis: La vendetta della carne del peccatore è il fuoco e i vermini. Va’, o uomo d’altura, [p. 253 modifica]quando vaneggi nella mente tua, e considera la viltà della sepoltura. Va,10 o giovane altiero e sanza freno, quando t’allegri co’ compagni e vai11 in brigata sanza temperanza, seguitando i voleri tuoi; va e poni mente i sepolcri pieni di bruttura e di puzzolente lordura. Va, o donna isvaliata12 e leggiadra, quando ti diletti d’essere guatata, e gióvati d’essere pregiata e tenuta bella, isguarda nelle fôsse de’ cimiteri le carni verminose e fracide. Va, donzella vezzosa, che studii in ben parere, azzimandoti e adornandoti per avere nome e pregio di bellezza, o d’essere dagli amanti amata, ispécchiati ne’ monimenti, pieni d’abominevoli fracidumi. Andiamo tutti quanti, e consideriamo se fu mai pelle verminosa di cane fracido, se mai si vide carne d’asino iscorticato e gittato alle fòsse, se mai si sentì fastidioso puzzo di carogna corrotta, tanto spiacevole e abominevole e di tanto orrore, quanto sono le carni degli uomini e delle femmine, state alcuno tempo sotterra, innanzi che si consumino affatto: sanza le brutte cose13 che di quelle carni fracide nascono; chè di tutto il corpo s’ingenerano fastidiosi vermini; di certe membra dell’uomo, come dicono i savi esperti, nasce uno scorzone14 serpentino, velenoso e nero; e di quegli della femmina nasce una botta velenosa, fastidiosa e lorda. E di ciò pare che parlasse il savio Ecclesiastico quando disse: Cum mortuus fuerit homo, hoereditabit serpentes et bestias et vermes: Quando l’uomo sarà morto, il suo [p. 254 modifica]retaggio15 saranno serpi e bestie e vermini. Come, adunque, secondo che dice san Ierolimo, insuperbirà l’uomo, il quale tanta viltà e miseria possiede? E avvegna che la memoria della morte sia amara, come dice il savio Ecclesiastico: O mors, quam amara est memoria tua! O morte, come è amara la memoria tua! tuttavia dee l’uomo volere sostenere questa amaritudine, considerando il frutto che ne séguita; imperò che per tale memoria l’anima umiliata e temorosa16 vieta il peccatore. Così dice il savio Ecclesiastico: In omnibus operibus tuis memorare novissima tua, et in oeternum non peccabis: In tutte l’opere tue ricordati della fine tua, e mai non peccherai. Onde dice san Ierolimo in una sua pistola, che fu sentenzia di Platone filosafo, che tutta la vita degli uomini savi si dee essere in pensare della morte. E quell’altro filosafo dicea, ch’ell’era somma filosofia. Ancora per tale memoria l’uomo spregia sé e tutte le cose di questo mondo. Così dice san Ierolimo: Agevolmente ogni cosa spregia chi sempre pensa di dovere morire; e spezialemente, per la memoria della morte, si tempera e spregia la vana letizia delle cose temporali e carnali. Onde dicea Salamone: Si annis multis vixerit homo, et in iis omnibus loetus fuerit, meminisse debet tenebrosi temporis et dierum malorum, qui cum venerint, vanitatis arguentur proeterita: Se l’uomo viverà molt’anni lieto, dêsi ricordare del tempo tenebroso della morte, e di molti17 dì, che poi saranno venuti e passati, s’avvedrà l’uomo come ciò ch’è stato e passato, è vanità. E però diceva il savio Ecclesiastico: In die bonorum ne immemor sis malorum: Nel tempo del bene e della prosperità non dimenticare il male e l’avversità.

[p. 255 modifica]18 Scrive santo Isidoro, ch’e’ fu antica usanza che il primo dì che lo imperadore di Costantinopoli era coronato, quando era nella maggiore gloria, veniva a lui uno maestro di pietre, e portavali il saggio di quattro marmi di diversi colori, e domandavalo di qual di quegli più gli piacea che si facesse il suo sepolcro; a dare ad intendere come la memoria della morte dovea temperare la gloria temporale et imperiale, e farlo essere umile.

La quinta cosa che induce ad umilità, si è l’essemplo di Iesu Cristo e de’ Santi suoi. Dell’umilità di Cristo dice santo Agostino: Va per la via dell’umiltà di Cristo se vuoi venire alla gloria della sua eternità. Vuoi avere la sua altezza? prendi prima la bassezza della sua umilità; la quale Cristo mostrò, acciò che noi ne pigliassimo essemplo (secondo che egli disse: Exemplum enim dedi vobis), nascendo, quando volle avere umile madre, umile casa, umile letto, umile vestimento; e vivendo. Onde19 volle essere circunciso come peccatore, offerto e ricomperato come servo, nel mezzo dei dottori come discepolo domandare, e a Maria e a Giosep essere subietto. Umile compagnia avere volle, cioè de’ pescatori; ed essere battezzato da uomo, e tentato dal diavolo, come minore; sanza propio, vivere povero,20 e pagare censo, o vero il passaggio; villania, oltraggio, vituperio, rimproverio, infamia volle21 sostenere sanza difendersi; e predicando e faccendo miracoli, fuggiva l’onore e la gloria; e quando volle essere fatto re, si partì, e’ discepoli riprese dell’ambizione. Abbracciava i parvoli, e ponevagli in essemplo d’umiltà e di [p. 256 modifica]suggezione. Cavalcò in su l’asino quando venne al luogo della passione. Lavò i piedi a’ discepoli, e cenò con loro a una mensa, in una scodella mangiando e come ministro servendo; e poi diede loro la communione; e, morendo, sofferse d’essere tradito, accusato, preso e legato, esaminato, battuto e schernito, giudicato e sgridato, e mandato al luogo della giustizia, colla croce in collo, per dirisione. Non ischifò la vilissima morte della croce, dove salì ignudo, assetato, fragellato, piagato, nel luogo della pubblica giustizia, nel mezzo de’ ladroni, come malfattore. E dopo la morte, volle essere messo sotterra nel monimento; e volle discendere allo inferno a dare a quegli che erano imprigionati salute e liberazione.22 Di questa profondissima umilità che Iesu Cristo mostrò nascendo, vivendo e morendo, parlava san Paolo quando dicea: Exinanivit semetipsum, formam servi accipiens; et habitu inventus ut homo, humiliavit semetipsum, factus obediens usque ad mortem; mortem autem crucis: Iesu Cristo essendo Iddio, essinianì23 e annullò sé medesimo, prendendo forma di servo ed abito d’uomo; cioè la carne della natura umana: umiliò sé medesimo, facendosi obbediente insino alla morte della croce. E avendo l’Apostolo mostrata l’umilità di Cristo, soggiugne la gloria e l’esaltazione, la quale egli meritò per la sua umilità, onde dice: Propter quod et Deus exaltavit illum, et dedit illi nomen quod est super omne nomen, ut in nomine Iesu omne genuflectatur, coelestium, terrestrium et infernorum; et omnis lingua confiteatur, quia Dominus Iesus Christus in gloria est Dei Patris: Per la qual [p. 257 modifica]cosa Iddio l’esaltò, e diègli tal nome ch’è sopra ogni nome; acciò che al nome di Iesu Cristo s’inginocchi chiunche è24 in cielo e in terra e nello ’nferno; e ogni lingua confessi che messer Iesu Cristo è nella gloria del Padre. Dove si dà a ’ntendere, che chiunche seguiterà Cristo nella sua umilità, sì ’l seguirà ad avere l’esaltazione e la gloria della sua divinità. L’umilità de’ Santi chi la vuole sapere, legga le loro leggende, dove l’uomo si potrà specchiare, e conoscere la sua superbia, e all’essemplo loro prendere forma di vera umilità.

Note

  1. Il Manoscritto però, colle due stampe antiche: non si levino.
  2. Altre edizioni aggiungono: 95: con diligentia; 85: si.
  3. Gli editori del quattrocento, che non si avvidero di riprodurre la correzione di uno sbaglio: di questa vita, cioè della pena.
  4. Ediz. 95 e 85: Che chi pon (o tiene) mente.
  5. Nel Manoscritto: al primo uomo.
  6. Le due antiche aggiungono: bene.
  7. Manca, come già sopra, l'esempio nel Codice e nelle stampe del quattrocento e del Salviati; cioè sino alle seguenti parole (linea 14): Non si tiene polvere e cenere colui che si veste ec
  8. Ediz. 95 e 85: spazata (e spazzata).
  9. Le stesse aggiungono: cenere.
  10. Le stampe dell'85 e del 25 hanno, pare a me, inutilmente, o per effetto di glossena: Va garzone giovane ec. E ciò dico non avendo dimenticato le differenza che tra garzone e giovane un etimolo saprebbe assegnare. Supporrei piuttosto che avesse a correggersi: Va, garzone e giovane altiero ec.
  11. Nel Manoscritto: co' compagni tuoi in ec.
  12. É certo il medesimo che isvariata o svariata. (Vedi nella Crusca, Svariato). Quanto alla dichiarazione da farsene, credo che piuttosto alla mobilità dell'animo che alla varietà delle vesti avesse qui l'autore inteso il pensiero.
  13. La stampa del primo secolo: sanza le brutture e le cose orribili.
  14. Non bene il Testo: uno iscorpione.
  15. Qui pure l'edizione del 95, ma sola, hereditaggio.
  16. Ediz. 95 e 25: timorata.
  17. Così, con tutte le stampe, ancora il Manoscritto: ed è segno evidente che il frate nostro, invece di malorum, leggeva nella Bibbia multorum.
  18. Manca questo esempio nel Codice e nelle due antiche edizioni; cioè sino al fine del paragrafo.
  19. Manca onde nelle stampe dell'85 e del 95.
  20. Il Testo, cred'io, per errore, o per correzione suggerita da ignoranza: vivere propio povero.
  21. Quest'ultimo verbo è nel Codice, ove però mancano rimproverio ed infamia. E mancano all'edizione del 25 infamia e vituperio: senza dire delle minori differenze.
  22. Curiosamente il Codice nostro: a dare salute a tutti quegli che erano in prigione. e liberogli.
  23. Le stampe hanno (e chi dirà che stia bene?) isvanì; e quella del quattrocento, con errore tipografico: isnani. Mi credici licenziato a raddrizzare la lettera in parte erronea dell'apografo delle Murate, secondo cui sarebbe da leggersi: eximani. Ma sia di scusa al mio ardire, che ancora un Codice veduto dagli editori del 25, portava il verissimo e modernamente scritto: esinanì.
  24. Il Manoscritto sopprime è.