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Storia dell'arte in Sardegna dal XI al XIV secolo/Capitolo XVI.

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CAPITOLO XVI.

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Capitolo XV. Capitolo XVII.

[p. 277 modifica]Particolari del pulpito della Cattedrale di Cagliari.

CAPITOLO XVI.

IL PULPITO DELLA CATTEDRALE DI CAGLIARI.


I due pergami medioevali, nei quali in sedici bassorilievi è rappresentata la vita di Gesù, sono gli oggetti d'arte più pregevoli del Duomo Cagliaritano. Studiando queste rappresentazioni scultoriche, queste forme iconografiche del Cristo e della Madonna, sorge il dubbio che non siasi esagerata la decadenza della scultura toscana anteriore al risorgimento pisano, avanti che venisse

. . . . . . . . . . dal verde paese di Cibele
D'eterie mormoranti aure un conforto
Che fuga dictro sè tempo crudele.

Prima di procedere ad un esame critico di queste interessanti forme iconografiche è necessario esaminare se nei pulpiti non sieno aggiunte [p. 278 modifica]o rimozioni e, quando se ne riscontrassero, quali fossero le forme primitive.

Le aggiunte sono evidenti: fra i capitelli delle colonne e la vaga cornice, squisitamente intagliata, che limita inferiormente le lastre scultoriche, abbiamo una struttura marmorea a grandi sagome bacellate che evidentemente fu collocata quando gli amboni dal sito primitivo si portarono dove sono presentemente. L'anacronismo stilistico salta anche agli occhi di un profano.

I capitelli, le basi ed i fusti delle colonne per la sagomatura e per le leggiadre ornamentazioni mostrano d'esser coevi all'opera pisana, mentre ne sono posteriori gl'informi dadi in muratura, su cui poggiano le colonne dei pulpiti.

Abbiamo, per seguire una consuetudine che per più di un secolo non fu contrastata da verun scrittore, parlato di due amboni, benché, usandosi nelle chiese medioevali accomunare la lettura dell'evangelo e dell'epistola in un solo pergamo, non possa non recar meraviglia tale sdoppiamento. Questa ed altre considerazioni d'indole artistica fecero in me sorgere il dubbio che i due monumenti originariamente non costituissero due pulpiti separati e ch'essi invece non fossero che parti di un unico pergamo. Questo dubbio divenne certezza quando estesi le mie indagini agli scrittori che lo conobbero nella primitiva ubicazione e forma, indagini che ampiamente esposi in altre mie pubblicazioni.

Già il Fara nel suo cenno descrittivo sul Duomo parla di un suggestus marmoreus affabre laboratus multis sustentatur columnis spiralibus super quatuor leonum simulacris residentibus.

Il Padre Esquirro è più esplicito e nella sua opera Santuario de Caller a pag. 202 narra che i Pisani dentro de la Iglesia hizieron un pulpito de marmol, con ocho quadros, esculpidos en ellos historias del nuevo testamento de personaye grandes de statura de un nino, a este pulpito le sustentan quatro leones grandissimos, coda qual tiene encima de las espaldas una columna de finissimo Jaspe y sobre la columnas estributado el pulpito tiene cada leon un animal hazido con las garras. . . . .

Anche il Vico parla di un pulpito que estiva sobre unos Lcones de hermosissima fabrica, todo ello de marmol finissimo, obra muy luzida y costosa. . . . .

Non può sorger dubbio alcuno: i due così detti amboni della cattedrale di Cagliari sono parti di un pulpito pisano che originariamente, [p. 279 modifica]secondo una forma artistica ed un concepimento ieratico in uso non solo in Toscana ma anche nelle altre regioni italiane, poggiava per mezzo di colonne sui quattro bellissimi leoni in marmo, collocati poscia dai restauratori spagnoli ad ornamentazione della grande scalea per le quali si accede al coro.

Niente di più grandioso di questi quattro leoni, che per le muscolose forme e per la larga modellatura ricordano le vigorose sculture degli Assiri.

Che i quattro leoni della gradinata della Cattedrale di Cagliari sieno gli stessi che sostenevano il pulpito risulta da un passo dell'Aleo che traduco letteralmente: Ultimata ed abbellito questa nuova Cattedrale, i Pisani lavorarono un gran pulpito di marmo con otto quadri in cui erano scolpiti personaggi alti come ragazzi ed alcune storie del Nuovo Testamento. Sostenevano questo pulpito quattro leoni grandissimi, ciascuno dei quali teneva fra le zanne un animale e sopra le spalle colonne di diaspro finissimo, sovra le quali poggiava il detto pulpito, che serviva per cantare l'epistola e l'evangelo e ch'era collocato alla terza colonna della nave centrale a la mano destra entrando.

Non si potrebbero desiderare più dettagliate notizie. Abbiamo ancora di più: a pag. 532 dello stesso volume, trattando dei lavori eseguiti ai suoi tempi da Monsignor Vico, riferisce che il pulpito grande per non esser proporzionato alla poca capacità della Chiesa si tolse e, per conservarne i marmi antichi, si sdoppiò in due, che stanno ai lati della porta principale alla parte di dentro, ed i leoni si collocarono ai piedi della gradinata agli angoli del presbiterio.


Le storie scolpite negli otto quadri di questo pulpito che la vanità spagnola tolse, guastandolo, dal sito originario, rappresentano diversi episodi della vita di Gesù.

Nella descrizione di queste forme iconografiche incomincieremo dal pulpito collocato a sinistra di chi è volto verso di essi, indicando con lettere romane i diversi quadri e procedendo da sinistra a destra.

Ambone a sinistra.Scomparto I.Scena superiore. — Erode atterrito per la notizia pervenutagli della nascita di Cristo. La disperazione di Erode è rappresentata grottescamente collo strapparsi questi la barba appuntita. Nel listello superiore è la leggenda: rex dollt avdito nasentis nomine regis. [p. 280 modifica]

Scena inferiore. — Erode ordina la strage degli innocenti: hos ivbet occidi deflens sua pignora matres.

Scomparto II.Scena superiore. — L'annunciazione e visita di S. Elisabetta: post gabrielis ave elisabet festinat adire.

Ambone a sinistra della Cattedrale di Cagliari.

Ad un angolo è S. Giuseppe sostenentesi con una stampella secondo l'iconografia medioevale. Il corpo ha tozzo e le pieghe della tunica son dritte. La testa è ben attaccata alle spalle ed il viso è energicamente [p. 281 modifica]scolpito. L'arcangelo Gabriele ha la mano destra sollevata ed è in atto di pronunziare il gentile e mistico annunzio. La Madonna è ritta e confusa. Un po' più a destra la madre di Gesù tiene fra le sue le mani di S. Elisabetta.

Scena inferiore. — Nascita di Gesù colla leggenda: virgo parit cui turba canit mox celica laudem

Ad un lato seduto sopra una seggiola è S. Giuseppe pensieroso in quell'attitudine non scevra di fine umorismo, di cui si compiaquero gli iconografi medioevali nel rappresentare questo santo. Il seggio è architettonico con piccola archeggiatura sostenuta da colonnine. La Madonna è goffamente avvolta in lenzuola. mentre vicino è la culla col bambino sopra il quale sono scolpite le teste dell'asino e del bue; a destra le donne lavano il bambino, attorniato da angeli.

Scomparto III.Scena superiore.Surrexit vere dominus nolite timere. L'angelo seduto sul sarcofago rassicura le Marie; queste che sono due invece delle tre menzionate dai sacri testi, sono stecchite e senz'espressione: le vesti sono piegheggiate duramente: l'Angelo & acefalo, essendosi spezzata la testina nei diversi cambiamenti subiti dal pulpito. Interessante il sarcofago in cui sono agli angoli raffigurati due angeli che tengono sollevato il coperchio. che lascia sporgere un lembo del funereo lenzuolo.

Scena inferiore. — Vi sono raffigurati gli armati a guardia del sepolcro, storditi e spaventati dalla resurrezione di Cristo. I soldati sono vestiti alla medioevale e sono armati di spade e di lancie e muniti di scudi. Fra essi s'agita con orribili smorfie un diavoletto dalla bocca enorme spalancata e dagli aguzzi artigli. Nel listello sovrastante è incisa la leggenda: Turbantur stulti servantes clavstra sepulchri.

Scomparto IV.Scena superiore. — V'è rappresentata l'ultima cena colla leggenda: iude cum cenat pro signo mandere se dat. Espressive ed interessanti le testine degli apostoli, alcune delle quali paiono eseguite su modelli classici.

Scena inferiore. — Arresto di Gesù nell'orto colla seguente leggenda: signa dat armatis iesu dans oscula pacis. Mancano molte testine.

Ambone a destra.Scomparto V.Scena superiore ed inferiore: Vi è rappresentata l'ascensione. In alto Gesù colla croce fra una gloria di angeli e giù in basso la Madonna ed i dodici apostoli che mirano lieti ed estasiati il celeste miracolo. È lo scomparto più guasto. man[p. 282 modifica]cando la testa del Cristo, della Madonna, degli angeli, e delle figure degli apostoli scolpiti nel primo piano. Spiegano il quadro le due leggende: inferni claustra frangens conscendit ad astra — discipuli iesum mirantur scandeore celun.

Scomparto VI.Scena superiore ed inferiore. — Trasfigurazione di Cristo colle seguenti leggende: monstrat naturan propriam mvtando figvram — in faciem errore cadvnt non visa ferentes.

Scomparto VII.Scena superiore. — Il battesimo di Cristo colla seguente leggenda: lex nova segnatvr sacro baptismate christi. Le acque del Giordano sono rappresentate con una superficie leggermente striata ed ondulata, in cui s'intravede il corpo di Cristo la di cui testa nimbata esce fuor delle onde. La figura del Battista è tozza e la posizione manchevole. Più perfetta è l'esecuzione degli angeli.

Scena inferiore. — La presentazione al tempio colla seguente leggenda: accipit iste senex templi qvi fertuvr ad edes. Meritevole di attenzione l'architettura del tempio con porticato romanico.

Scomparto VIII.Scena superiore. — L'adorazione dei Re Magi colla seguente leggenda: intrantes orant puerum cvi mvnera donant.

Scena inferiore. — V’è rappresentato il ritorno dei Re Magi. La cavalcata non manca di vivacità, benchè non si possa apprezzare che in parte. essendo il quadro molto guasto. La leggenda spiegativa è la seguente: sic alia gradiendo via moniti rediervnt.

Lo scomparto secondo è separato dal terzo dal gruppo degli evangelisti: l'angelo al centro ha un rotolo fra le mani ed ha ai lati sollevati sulle zampe anteriori il leone ed il bue. Sormonta il gruppo l'aquila sostenente il leggio, che indubbiamente dovea servire per la lettura degli Evangeli.

Nel secondo ambone fra gli scomparti sesto e settimo è il gruppo degli apostoli, fra i quali è S. Paolo, avente in mano un libro in cui è scritto: pavlvs | servvs | xº thv | vocat | apos | tolvs. Sormonta il gruppo statuario tre angeli sostenenti il lettorile dell'Epistola.

Le diverse scene sono inquadrate da listelli con fascettine ornate, nei quali in belle lettere medioevali sono incise le leggende spiegative delle rappresentazioni iconografiche.

Nei listelli inferiori degli scomparti secondo e quinto è inciso uno stemma a forma di croce con tre spade decrescenti in grandezza da si- nistra a destra e poste di traverso. [p. 283 modifica]

La cornice superiore è costituita da un listello e da uno smusso in cui sono intagliate vaghe ornamentazioni a fiorami ed a rosette con intrecci e meandri elegantissimi.

La cornice inferiore è più complessa e più classicamente ornata.

Ambone a destra della Cattedrale di Cagliari.

Ha le seguenti modanature: un listello liscio, un'ovolo intagliato, una guscia decorata elegantemente con fogliami, ed un listello con ovoli e perline. I capitelli intagliati squisitamente hanno una speciale lavorazione, [p. 284 modifica]in cui gli effetti di chiaroscuro sono aiutati da fori eseguiti col trapano. Essi sono inspirati al corinzio ed all'ionico e queste forme classiche sono rese finamente con arte medioevale. In uno dei capitelli è scolpita ana rana, il che fece scrivere al buon canonico Spano, e per conseguenza a quanti copiarono dal benemerito archeologo, che esso fosse dovuto a Batraco che con questo simbolo amava segnare le proprie opere.

Tralasciamo di metter in evidenza l'importanza grandissima che sotto l'aspetto iconografico hanno i due amboni. Accennerò invece succintamente ai pregi stilistici di queste più che interessanti sculture.

Addossato ad un pilastrino che divide in due specchi la fronte del pergamo a sinistra, sta, come abbiamo detto. in piedi l'angelo annunziatore del verbo divino, fiancheggiato dalle bestie dell'apocalisse: il bove ed il leone, ritto quest'ultimo come nel pulpito di Guido da Como. Un'aquila dell'espressione viva e forte domina il gruppo e colle ali aperte sostiene la tavoletta che fa da leggio.

L'angiolo, che trionfa del centro come la figura del Redentore nei musaici bizantini, è serenamente semplice. L'atteggiamento è freddo e dal suo viso, egregiamente modellato, non traspare alcunchè di mistico c di divino.

Questo gruppo statuario, pur non raggiungendo la bellezza delle opere della scuola di Nicola, supera di gran lunga per il sentimento d'arte e per la tecnica dell'esecuzione quelle dei suoi antecessori.

Havvi in queste figure e specialmente nell'angelo una tendenza allo studio del vero che invano si ricercherebbe nelle opere di Gruamonte, di Adeodato, del Bonamico e dello stesso Guido.

Il gruppo sotto il leggio dell'epistola è ancora più egregiamente scolpito; per la modellazione accurata ed inspirata ad uno spiccato naturalismo e per una bellezza tutta nuova le tre teste possono competere colle migliori sculture della scuola pisana.

Se altro non vi fosse di notevole nel pulpito, questo gruppo sarebbe da se solo documento artistico di un pregio indiscutibile, perchè caratterizza la tecnica ed il sentire degli scultori toscani prima di quel rinascimento, mercè il quale la scultura italiana iniziò il suo glorioso cammino.

Se l'atteggiamento ed il panneggio hanno ancora dell'arcaico e della rigidità bizantina, le teste però manifestano una tecnica ed un naturalismo che segnano una rinascita di nuove forme. [p. 285 modifica]

La testa dell'apostolo, collocato a sinistra di S. Paolo, è mirabile per le giuste proporzioni e per una modellatura classica, non disgiunta dall'osservazione della natura e degli affetti umani.

Inferiori a queste sculture sono le storie bibliche, le quali ricordano nella tecnica e nella disposizione delle figure le rappresentazioni scultoriche degli artisti pistoiesi ed in special modo quelle dell'architrave di Gruamonte in S. Andrea.

particolari del pulpito della cattedrale di Cagliari.

Abbiamo ancora la semplicità delle ingenue sculture di questi artisti con tutti i loro difetti, non escluse la goffagine dell'esecuzione e la puerilità delle concezioni.

Queste forme arcaiche non sono disgiunte da qualche accenno classico; una certa preoccupazione profana è evidente nella natività.

Nella Cena è facile riconoscere una maggiore accuratezza che nelle altre formelle: le teste, alcune delle quali sono egregiamente modellate, palesano i sentimenti che agitano gli animi degli apostoli alle parole [p. 286 modifica]del maestro; le proporzioni sono equilibrate; le figure non sono stipate a forza e palesano uno studio artistico ed una tecnica di molto superiore agli altri bassorilievi. Notevole in questa scena un diavoletto, quasi impercettibile, che s'agita fra le pieghe della tovaglia, simbolo forse del tradimento che si svolge nel dramma.

Una particolarità che le sculture del pulpito di Cagliari hanno di comune con quelle del pergamo di Guido da Como. è lo smalto nero, di cui a guisa di capocchie di spille sono riempiti gli occhi delle figure e delle statue centrali.

Gli sfondi di molte scene sono ornati a rose ed a stelle ed in ciò, come pure nelle pieghe dritte e nelle barbe appuntite dei personaggi il pulpito ha non pochi punti di contatto colle sculture di Gruamonte.

Lo scultore del pulpito di Cagliari, se nelle storie bibliche che in parte ritengo eseguite da aiuti, non potè o non volle svincolarsi dalle tradizioni bizantine e dalle forme arcaiche, nei gruppi statuari, che per la grandezza delle figure e per il significato simbolico doveano dare l'espressione del valore scultorico del pulpito, profuse le grazie e la vigoria del suo scalpello.

Lo stile non è più arcaico e le forme non sono più soggette alla rigidità delle tradizioni bizantine.

Le teste degli apostoli — una delle quali costituisce un'opera d'arte da per sè, indipendentemente dall'epoca in cui venne scolpita — sono ben modellate, proporzionate e di forme carnose.


Chi fu l'artista, che scolpi il grandioso pulpito che, diviso in due, si conserva nella Cattedrale di Cagliari?

Il De Laurière, fondandosi su certe affinità artistiche esistenti fra il pulpito di Cagliari e quello che Guido da Como scolpi in Pistoia, assegnava le sculture di Cagliari alla seconda metà del XIII secolo fra il 1250 ed il 1170; nè stilisticamente questa data si può ritenere un anacronismo, non essendo le nostre sculture inferiori a quelle che precedettero nel XIII secolo l'opera dci Pisani.

Il Brunelli riscontrando grandi analogie fra le sculture del pulpito di Cagliari e quella di Gruamonte, attribuì quelle al XII secolo.

In alcune mie pubblicazioni, basandomi sopra dati incompleti c sulla perfezione dei due gruppi statuari in confronto alle sculture del [p. 287 modifica]XII secolo, esposi in forma dubitativa l'opinione ch'esse dovessero attribuirsi a Fra Guglielmo che avrebbe dovuto scolpirle nel 1260, prima che il pio fraticello del Convento di S. Caterina seguisse le orme del suo maestro Nicola Pisano.

Le ragioni addotte per assegnare il pulpito al XIII secolo avevano tale attendibilità, tale parvenza del vero da persuadere il Venturi, critico dotto ed adusato alle ricerche le più rigorose. Il pulpito di Cagliari, egli scrisse, sembra riunire in se le forme degli altri di Brancoli, di Gruppo di evangelisti nel pulpito del Duomo di Cagliari.Barga e di S. Bartolomeo in Pantano. È attribuito a Fra Guglielmo d'Agnolo di Pisa, il celebre discepolo di Nicola d'Apulia.

Dintorno al pulpito era scolpita quest'iscrizione: hoc gvllelmvs opvs prestantior arte modernis qvator annorum spatio sed doni centvm decies sex mille duobvs. | Quest'opera Guglielmo tra i moderni eccellente (fece) nello spazio di quattro anni ed in quelli del Signore 1260.

E più sotto: Non sembrò inverosimile che Fra Guglielmo d'Agnolo, il quale nel 1267 lavorava all'arca di S. Domenico a Bologna, nell'anno 1270 a Pistoia, fosse lo stesso autore del pulpito di Cagliari, mentre è così grande la distanza tra quest'opera e le altre da non poterla credere elaborata prima che Fra Guglielmo si perfezionasse alla scuola di Nicola d'Apulia.

Da queste e da quelle susseguenti pagine del Venturi traspare una certa esitazione fra due tendenze: una, basantesi su ragioni stilistiche, che lo porta a ritenere il pulpito proveniente dalle botteghe degli artefici del XII secolo, e l'altra che ha il suo fondamento nella data dell'iscrizione che lo porta a conchiudere che « lo scultore Guglielmo a Cagliari segna l'ultimo progresso della scultura romanica in Toscana, il perfezionamento delle forme di Gruamonte e di Adeodato, prima che da mezzogiorno giungesse maestro Nicola, veramente prestantion arte modernis ».

A dir il vero l'attribuzione del pulpito di Cagliari a Guglielmo d'Agnolo da me esposta in base alla trascrizione dell'iscrizione hoc [p. 288 modifica]gvillelnys opus ecc. non mi avea soddisfatto interamente. Permanevano in me molti dubbi che m'incitavano a nuovi studi ed a nuove ricerche. le quali approdarono a risultati ben differenti che ritengo definitivi e che vennero accettati anche da coloro, che, come il Venturi, sposarono, se non l'attribuzione a Guglielmo d'Agnolo, l'assegnazione dell'esecuzione al 1260.

Questi risultati esposi nell'opuscolo « L'antico pulpito del Duomo di Pisa scolpito da Guglielmo d'Innspruck », che per l'interesse dell'argomento e per essersene stampate un ristretto numero di copie, e tutte fuori commercio, ritengo opportuno di riassumere.

Per determinare l'origine e le vicende del pulpito di Cagliari è d'uopo metter in correlazione alcune iscrizioni del Duomo di Cagliari con altre della Primaziale di Pisa.

Ricordiamo: Giovanni Pisano ai primi del XIV secolo, essendo podestà di Pisa Federigo, conte di Montefeltro, scolpì il pergamo istoriato che fino ai primi del XVII secolo fu decoro della Primaziale. Le belle sculture, che dovrebbero, ricomposte nelle prische forme, restituirsi alla Cattedrale, per cui Giovanni fece opera così bella, furono ultimate nel 1310.

Si presume facilmente che il pulpito di Giovanni dovesse sostituire un altro più antico. Non è infatti immaginabile che si dovesse attendere quasi due secoli per fornire la Cattedrale di un accessorio tanto essenziale per le funzioni del culto.

Della preesistenza di un pulpito più antico si ha del resto menzione nell'epigrafe che ricorda il capolavoro della plastica pisana: .

Evidentemente, come ben rilevò il Supino, questo nuovo pergamo di Giovanni dovette surrogare il vecchio pulpito costruito appena la Chiesa fu compiuta e non più degno della ricchezza del magnifico tempio.

Ed allo scultore dell'antico pulpito, del Duomo certamente deve riferirsi un'altra iscrizione sepolcrale ✠ sepultura guglielmi magistri qui fecit pergum sancte marie, scoperta nel 1865 nell'ultimo pilastro a destra della facciata della Cattedrale.

Questo Guglielmo par che sia tutt'uno con l'architetto che insieme a Bonanno fondò il campanile di Pisa. Ei fu grande artefice e tale lo [p. 289 modifica]ricorda il Vasari « pigliando poi l'arte miglioramento per l'opera di un Guglielmo di nazione, credo io, Tedesco, furono fatti alcuni edifici di grandissima spesa e d'un poco miglior maniera, perché questo Guglielmo, secondo che si dice, l'anno 1174 insieme con Bonanno scultore fondo in in Pisa il campanile del Duomo . . . . . ».

Risulta dunque da questi documenti che Giovanni Pisano incominciò il pulpito del Duomo di Pisa nel 1302 ultimandolo nel 1310 (stile comune).

Questo pergamo surrogò un altro scolpito da Guglielmo, che Gruppo degli Apostoli nel pulpito del Duomo di Cagliari.alcuni vogliono d'Innspruck, e che nel 1174 iniziò la costruzione della torre pendente. Questo Guglielmo è ricordato ancora nei rendiconti, conservati nell'Archivio del Duomo, come maestro dell'Opera della Primaziale di Pisa: in un documento del 165, insieme con maestro Riccio, stabilisce patti cogli operai circa il salario loro e dei discepoli.

L'antico pergamo da tutti si ritenne perduto e la crítica italiana dovette contentarsi d'acquisire nelle pagine d'oro il nome di un artista, studiato e discusso come lo furono pochi, dal Vasari ai migliori dei viventi, senza conoscerne alcun'opera che desse modo d'apprezzarne il valore.

Questa conclusione ritengo di poter dimostrare fallace: estendendo le ricerche, che formarono oggetto di alcuni mici studi sulla Cattedrale di Cagliari, potei convincermi che il pulpito di Cagliari, che in base alle prime ed incomplete indagini mi parve opera di Fra Guglielmo d'Agnolo, non è altro che il pulpito di Guglielmo (d'Innspruck?) scolpito verso la seconda metà del XII secolo e nel 1310 surrogato dal celebre pergamo di Giovanni Pisano.

Esaminiamo infatti la tanto discussa iscrizione: hoc gvillermvs opus prestantior arte modernis qvatuor annorum spatio sed doni centum dectes sex mille dvobvs.

Essa, come già dicemmo, è andata perduta, ma della sua autenticità depongono molti scrittori del XVII secolo che la trascrissero quando [p. 290 modifica]il pulpito non era ancora smembrato e si conservava nel posto originario.

Quest'iscrizione, ch'erroneamente si volle riferire alla fondazione della Cattedrale di Cagliari, è riportata nelle opere dell'Esquirro, del Vico, dell'Aleo, del Cossu e, portandoci a tempi più recenti, del Lamarmora e dello Spano.

Nel Luglio del 1902, eseguendo alcuni assaggi per constatare le condizioni statiche della torre campanaria, rinvenni incastrata nell'angolo di levante un avanzo di fascia ornata avente inciso in grosse e belle lettere dello stesso stile di quelle del pulpito la parola decies, susseguita da un mozzata.

Indubbiamente questo frammento apparteneva all'iscrizione suddetta, la quale, a somiglianza di altri pulpiti medioevali, doveva svolgersi lungo una fascia posta immediatamente sopra le colonne.

Che la detta epigrafe fosse incisa nel pulpito risulta chiaramente dalle opere degli scrittori che conobbero la cattedrale nella prima forma, prima che all'attuale venisse ridotta da Monsignor Vico.

L'Esquirro nella sua opera Santuario de Caller ecc. trattando a pag. 202 del pulpito scrive che todo (il pulpito) tan bien esculpido y tan al vivo, que dudo hallarse en parte alguna, otro que fele eguale, pero parsenal de su bellesa, pusieron en el nombre del maestro, que lo hizo y el tiempo que estuvo haziendolo, esto se vee a la redonda del mismo pulpito, a la parte de basso con los versos que sigen: hoc gvillelsins opus prestantior arte modernis quator annorum spatio sed doni centvm decies sex mille dvobvs.

L'Aleo, che fu tanto minuzioso nel descrivere le cose del suo tempo quanto fantastico nelle narrazioni dei più antichi eventi dell'isola riferisce: La fabrica, y hecura de este pulpito, salio tan rica, y primorosa, que non solo dexava admirados, à todos los despus les versan, pero am el mismo Alvanil, o, scultor, que le labrò, quedo tan ufano y satisfecho que para perpetua memoria al derredor del mismo pulpito esculpio el lettere siguiente con letras de la grandeza de un dado, con el qual dexò expressado su nombre, el tiempo, y dinero que le gasto lor la dicha obra: hoc gyllermvs opvs prestantior arte modernis qvator anxorym spatio, sed doni centvm decies sex mille duobus, y trabucido en romanze resa lo seguiente: Esta obra la hizo Guillelmo, que fue el mas valiente y primoroso escultor de su tiempo: estunola trabajando quatro anos, y por premio, y paga le dieron seis mil y dos centos. . . . . no especifica que moneda fue. [p. 291 modifica]

Lasciando da parte la cervellotica interpretazione, rimane ineccepibilmente stabilito che la detta iscrizione era incisa nel pulpito e che quindi a questo deve unicamente riferirsi.

Essa c'indica che autore del pergamo fo Guglielmo, tra i moderni eccellente nell'arte, il quale v'impiegò quattro anni.

Sulla data centvm decies sex mille dvobvs puossi dare un'altra interpretazione di quella fin qui seguita, glacchè, come scrisse il Supino, è più esatto doversi intendere mille centvm decies sex dvobvs e cioè Leoni che anticamente sostenevano il pulpito della Cattedrale di Caglairi.l'anno 1162 piuttosto che il 1260, che richiederebbe la seguente dizione mille dvobvs centum decies sex.

L'anno 1260 si presentava più verisimile in quanto nel pulpito erano incise le armi, che ritenni di Guglielmo di Capraia, che conquistò la rocca di Cagliari il 1257. E fu questa strana coincidenza che m'indusse a leggere in tal modo la data ed attribuire il pulpito a Fra Guglielmo d'Agnolo, l'unico scultore italiano di merito di tal nome operante nella seconda metà del XIII secolo.

Se non che ricerche, ch'ebbi cura d'eseguire nell'Archivio e nelle [p. 292 modifica]chiese di Pisa, mi portarono a risultati che correggono le conclusioni, cui addivenni in base alle prime indagini. È vero che i Capraia ave- vano per insegne gentilizie tre spade (d'argento) in campo rosso, ma tre spade egualmente inclinate in campo rosso ornavano lo stemma d'altra nobilissima famiglia pisana, quella degli Scacceri. La differenza araldica consiste forse nel colore delle spade, ma essa non può risultare dalle armi scolpite nel marmo del pulpito.

Confrontiamo questi risultati colla metrica iscrizione da noi riportata nel precedente capitolo colla traduzione in volgare inserita nelle storie del Roncioni.

✠ castello castri concexit
virgini matri direxit
me templum istud invexit
civitas pisana
. . . . . . . . .


Essa non è d'attribuirsi nè alla fondazione, nè all'ampliamento della Cattedrale di Cagliari e ciò risulta dalla stessa iscrizione. Infatti traduciamo letteralmente:

La Città Pisana mi donò a Castel di Castro, mi diresse alla Vergine Madre e mi eresse in questo tempio, correndo l'anno dell'incarnazione 1312. Trattasi adunque non del bel tempio, che non si potea trasportare neanche traslatamente ma di qualche cosa trasportabile. E questo concetto emana anche dalla bella, se non esatta, traduzione del Totti che incomincia: Qui con nave portommi . . . . . .

Ammesso adunque che quest'iscrizione si riferisca a qualche oggetto trasportabile, il nostro pensiero non può non ricorrere al pulpito. Si spiega quindi nel pulpito lo stemma degli Scacceri che. occupando la carica più eminente nel Castel di Castro ed in pari tempo essendo operaio dell'Opera del Duomo di Pisa, fu probabilmente l'ispiratore dell'invio e l'organizzatore della ricomposizione del pergamo.

Ciò sarebbe sufficiente per non lasciar dubbi di sorta su queste conclusioni: purtuttavia volli estendere le mie indagini per conoscere l'ubicazione della metrica iscrizione e da un passo dell'Aleo, sfuggitomi nelle prime ricerche, mi risultò che quest'epigrafe era fissata nel pulpito « para perpetua memoria fixaron en el sobre a « dicho pulpito » e che, [p. 293 modifica]scritta in lettere rudi ed antiche, era incisa in una gran lastra di marmo. che era a vista di tutti fino a che nel 1670 coll'ampliamento della Cattedrale, si rimosse il pulpito e la detta iscrizione. Anche il Vico, storico anteriore all'Alco, scrisse che i pisani ornarono la chiesa con un pulpito grandioso di marmi scolpiti con varie e misteriose storie, poggiante sovra leoni molto ben fatti e con una iscrizione del seguente tenore: castello castro confecit . . . . .

Riassumiamo: pulpito di Cagliari, in cui le istorie iconografiche si collegano alle sculture toscane del XII secolo, fu da Guglielmo scolpito nello spazio di quattro anni ed ultimato nel 1162. In Pisa restò 150 anni, avendolo nel 1312 la Città Pisana inviato al Castel di Castro, facendone omaggio alla Chiesa di Santa Maria.

Mettiamo in correlazione questi risultati colle iscrizioni del Duomo di Pisa, precedentemente inserite. col passo di Vasari e la storia del primo pulpito della Primaziale pisana, il quale è tutt'uno con quello che si conserva in Cagliari, n'esce fuori palpitante, d'una chiarezza meravigliosa. Quando nel 1158 il Duomo di Pisa, il meraviglioso tempio che Buschetto avea cominciato nel 1063, fu in grado di poter esser officiato regolarmente, fin dato incarico a Guglielmo (d'Imspruck?) di eseguire il pulpito per la lettura dell'Evangelo e dell'Epistola. Questo scultore, che fu anche grande architetto per avere con Bonanno nel 174 fondato il Campanile del Duomo di Pisa, terminò il grandioso pulpito nel 1162. Questo ornò il bel tempio fino a che il soffio rinnovatore dell'arte dei pisani non indusse l'opera di Santa Maria a surrogarlo con altro che esprimesse i nuovi sentimenti artistici e maggiormente si confacesse alla bellezza del tempio. Del movo pulpito fu dato incarico a Giovanni Pi- sano, il più grande senza dubbio della prima rinascenza dell'arte italiana, che lo incominciò nel 1302 ultimandolo nel 1310. In quest'anno dovette rimoversi il vecchio pulpito di Guglielmo ed i marmi, raccolti religiosa mente, furono inviati a Castel di Cagliari e ricomposti poco dopo, nel 1312, nella Cattedrale di Cagliari, dedicata come la primaziale di Pisa alla Gran Madre di Dio, essendo castellani di Castel di Castro Michele Scacceri e Bernardo Guitti.

Il pulpito stette nella nostra Cattedrale presso la terza colonna a destra fino al 1670, nel quale anno si demolì, ricomponendo poscia gli sparsi marmi nei due pergami che tutt'ora sono collocati lateralmente, uno per parte, alla porta principale d'ingresso. [p. 294 modifica]

Il pergamo istoriato acquista coi risultati, cui siamo pervenuti, un valore eccezionale non tanto per le vicende della Primaziale di Pisa quanto perchè, essendo stato ultimato nel 1162, il suo autore, Guglielmo, risulta il primo in ordine cronologico di quel gruppo d'artisti che tenne il primato nella scultura toscana avanti che sorgesse l'opera meravigliosa di Nicola.

Gruamonte resta sempre lo scultore più affine a Guglielmo; come questi segna le pieghe a punta: sparge i fondi di cerchi e di stelle con effetti decorativi; orna di figurette le cattedre della Madonna e contorna con scritte esplicative i pannelli scultorici quasi ad aiutar il riguardante nell'interpretazione delle storie iconografiche non rese evidenti da un'arte ancor bambina.

Malgrado tante affinità, l'arte di Guglielmo è di molto superiore a quella di Gruamonte e ben ciò vide il Venturi che la definì il canto del cigno, l'ultimo progresso, della scultura romanica in Toscana.

Antecipando di un secolo l'esecuzione del pulpito di Cagliari, Guglielmo apparisce invece rinnovatore e caposcuola, nè fu iperbolica lode dell'epigrafista il chiamarlo prestantior arte modernis, giacchè egli fu realmente tale, mentre Gruamonte, che dovette sortire dalla sua scuola, fu solo, com'è chiamato nell'architrave di S. Andrea, magister bonus.


Cattedrale di Cagliari — Leone dell'antico pulpito pisano.