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Storia dell'arte in Sardegna dal XI al XIV secolo/Capitolo XV.

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CAPITOLO XV.

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Capitolo XIV. Capitolo XVI.

[p. 251 modifica]Archeggiature esterne in una cappella del Duomo di Cagliari.


CAPITOLO XV.

LA CATTEDRALE DI CAGLIARI.


Il Duomo di Cagliari, trasformato nei secoli XVII e XVIII secondo il gusto barocco dei tempi, non presenta ad un visitatore superficiale alcunché d'interessante. Estendendo invece le ricerche a parti costruttive e decorative oggi non messe più in rilievo, anzi tenute in disparte quasi che ostacolassero il godimento di una decorazione in stucchi ed in marmi pretenziosa, ma non ricca, si troverà di che appagare il gusto di un artista in tutto quanto dell'antica chiesa pisana pervenne a noi.

Del Duomo scrisse estesamente il senatore Giovanni Spano, ma la sua Guida1, se ha il pregio della minutezza nelle descrizioni, pecca per mancanza d'acume critico e d'esattezza storica.

Par che prima del XIII secolo la Cattedrale di Cagliari invece che sulla collina fosse nel piano dove si estendeva la città, e lo Spano, basandosi sulle pergamene d'Arborea e sulle opere del Bonfant, del Vitale e d'altri minori, ne determinò l'ubicazione nella regione di Santa Gilla in prossimità allo stagno. Le fonti di cui si valse l'egregio [p. 252 modifica]archeologo, non sono al riguardo molto attendibili, poichè gli autori sovraccennati abbondarono d'inesattezze e le loro asserzioni sulle vicende storiche isolane, quando non riferiscansi ai loro tempi oppure non sieno convalidate da documenti non sospetti e ineccepibili, hanno quasi sempre del fantastico. Gli autori poi delle tanto discusse pergamene d'Arborea non fecero che convalidare coi loro falsi queste stramberie e queste: allucinazioni.

In tanta penuria di documenti certo non sarò io ad avventurare alcuna congettura sull'ubicazione dell'antica cattedrale di Cagliari, tanto più che la constatazione, dato che ci arrivassi, non avrebbe che un'importanza abbastanza limitata pei nostri studi.

Sull' origine della chiesa, presentemente insignita della dignità episcopale, dirò che il La Marmora, lo Spano, il Martini e quanti s'occuparono di essa, seguendo le orme del Dottor Cossu, ne stabilirono la costruzione all'anno 1313; e ciò in base alla seguente iscrizione ritmica — ora smarrita — che ai primi dello scorso secolo leggevasi nel passaggio che dà accesso al coro e che è riportata da molti scrittori seicentisti e settecentisti:

CASTELLO CASTRI CONCEXIT
VIRGINI MASTRI DIREXIT
ME TEMPLUM ISTUD INVEXIT
CIVITAS PISANA

ANNO CURRENTE MILLENO
PROTINUS, ET TERCENTENO
ADDITOQUE DUODENO
INCARNATIONIS

REDEMPTIONIS IESU CHRISTI
DOMINUS BERNARDI GAETI
MICHAEL EXCLAVANI DICTI
ERANT CASTELLANI

ILLE QUI CREAVIT MUNDUM
REDDAT IUGITER INCUNDUM
COMMUNI PISANO.

Il Roncioni, eminente storico pisano che morì nel 1619, si fece inviare da Cagliari copia di questa e d'altre iscrizioni, conservantisi ai [p. 253 modifica]suoi tempi nella cattedrale di Cagliari, e le trascrisse nelle sue Istorie Pisane, dando della prima una elegante, se non esatta, traduzione del chiamo letterato pisano del XVI secolo, Rainieri Totti, traduzione che per non esser conosciuta o meglio per non trovarsi nelle opere di scrittori sardi, ai quali certo dovette sfuggire, amo trascrivere per intero:

Quì con nave portonmi e alla benigna
Vergine Madre, il bel Castello e 'l tempio
Eresse e fece la città pisana;

Correndo l'anno del milletrecento
E dodici di più, da che il Figliolo
Di Dio per noi la carne umana prese

Bernardo Guiti e Michele Scacceri
Erano del bel castello i castellani
Allorchè fatto fu l'opera si degna.

Quel ch'a creato il mondo faccia sempre
Ch'invitto il popol sia di Pisa, e faccia
Ch'eternamente goda e allegro sia.

Altra iscrizione che andò ancor essa perduta ma che conservavasi ai tempi del Cossu che la trascrisse nella sua Guida, è la seguente: HOC GUGLIELMUS OPUS PRESTANTIOR ARTE MODERNIS QUATUOR ANNORUM SPATIO SED DONUM CENTUM DECIES SEX MILLE DUOBUS.....

Neanche sull'autenticità di quest'iscrizione può eccepirsi alcun dubbio. La conobbero ancora nell'originario sito molti scrittori del seicento, quali l'Esquirro e l'Aleo che la inserirono nelle loro opere. Del resto, su quanto il Dottor Cossu riferisce d'aver veduto in Cagliari sarebbe follia il sospettare, poichè di tutto ciò che scrisse, chiama a testimoni le autorevoli persone che gli diedero l'incarico di compilare la guida. Di più, alla chiusa del libro è inserita, debitamente firmata, una dichiara zione, colla quale gli officiali del magistrato civico di Cagliari attestano che tutto ciò che contiene la sopradescritta relazione formata dal nostro benemerito concittadino, l'illustre e magnifico dottore Don Giuseppe Cossu, giudice della Reale Udienza ecc., è tale e quale riferisce.

Altre due iscrizioni che, scolpite in grandi lastre di marmo, erano [p. 254 modifica]nella facciata della cattedrale di Cagliari, amo trascrivere, benchè non portino alcuna luce sulla fondazione del Duomo e le riporto tanto più volentieri in quanto ricordano le ultime gloriose gesta delle armi pisane, quando la già fiorente repubblica del Tirreno, estenuata dalle lunghe lotte e divisa da discordie civili, perdeva quanto ancora le restava d'energia e di vitalità.

Narra il Roncioni che « i Pisani presero Lucca e concessero per questo acquisto ad Uguccione lor capitano che entrasse in Pisa trionfante, e sotto il baldacchino: e per vittoria liberarono dalle carceri sessanta prigioni. Questi ricordi sono in lisa; e dubitando essi che le carte (come il più delle volte avviene) andassero male, ne fecero onoratissima menzione in Cagliari, città metropoli di Sardegna. Perchè avendo descritto una tanta vittoria in tanti luoghi, la fecero intagliare dentro una tavola di marmo, e metterla Pianta originaria del Duomo secondo lo Spano.nel palazzo di Lucca: ma di poi (non si sa già la cagione) comandarono the fosse portale in Cagliari. Leggonsi quivi fino al giorno d'oggi le seguenti parole » : anno domini mcccxv, indictione xii, die xiv mensis iunii, divina gratia precedente, pisana civitas versus civitatem lucanam, sua victricia vexilla erexit, ipsamque civitatem lucanam, preliando viriliter expugnavit et infrascriptum lapidem sic sculptum de palatio civitatis lucane fecit civitas pisana elevari, ipsumque ad castellum castri ad futuram rei memoriam destinari: et tempore dominorum musis de vico iuristeriti, et bonaiunctae buldronii, pisanorum civium, castellanorum prefati castri pro comuni pisano, fuit cum gaudio hic infixut, ut aspicientibus memoria prebeatur, ac etiam amicorum pisani comunis semper crescat audacia, et inimicorum ipsi compescatur.

Anche la sanguinosa battaglia sulla Nievola vollero i Pisani che [p. 255 modifica]non si leggesse solamente sulle carte; ma ne fecero oggetto di una magniloquente epigrafe che scolpirono in una grande lastra di marmo, ordinando che fosse collocata nel fastigio del Duomo di Cagliari, dove già esisteva l'altra commemorante la presa di Lucca. Eccola come la riporta i Roncioni: anno domini mccxvi die xix augusti, domino uguccione de fagiola pisane civitate feliciter presidente: comune pisarum cum esset in obsidione castris montis catini, luca in districtus, cum suo exercito trium millium militum et triginta millium peditum; et princes de taranto, et petrus tempesta fratrvs regis ruberti, et carolus eiudes principis natus; congregato eorum exercito militum et peditum florentinorum, senensium, regnicolorum et omnium italicorum guelforum, qui quattuor millia equites et quinquaginta millia pedites censebantur, venissent ad dictas partes pro munitione dicti castri, inito hinc inde prelio, eos, eorumque exercitum posuit viriliter in conflictu in planiti e buggiani, secvs rivolum vallis nebule: in quo conflictu de gente guelforum fuerunt gladio perempti ultra viginti quinque millia; captivi vero fuerunt ultra tria millia; gens autem pisana tota quasi fuit incolumis et illo die dictum castrum montis catini, et plura alia castra partium inimicorum, pervenerunt in fortia pisani comunis: de qua victoria deo exelso, eiusque beate virgini matri marie gratias referamus. hic quidem lapis positus est textore sapientis viri domini nicolai luli, iurisperiti castellani solius castelli castri, pro comuni pisano dicto anno, de mense octobris.

A completare l'epigrafia pisana del Duomo di Cagliari riporto la seguente iscrizione rinvenuta nel 1897 in un fondaco della chiesa: in eterni domine amen — hoc opus fecit fieri bonacosa speciarus operajus opere huius sanctae marie eccl. in anno domini mcclv. indicti xiii.

Quale forma ebbe l'originaria chiesa, di cui tutt'ora ci rimangono così pregevoli avanzi? Lo Spano che dell'archeologia sarda fu benemerito fondatore ed apostolo disinteressato, ma che per gli argomenti tecnici ed artistici usava riferirsi all'opinione di altre persone, molto spesso giudicanti a vanvera senza studi coscienziosi, scrisse che la cattedrale pisana era a tre navate, sostenute da colonne di marmo e di granito e che comprendeva unicamente l'area dell'attuale croce latina, cioè dal mausoleo del Re Martino alla Cappella di S. Isidoro. [p. 256 modifica]

Ed a maggiore evidenza del suo asserto riportava nella sua Guida una disposizione planimetrica secondo la forma c la struttura della chiesa, come l'innalzarono i pisani, disposizione assolutamente cervellotica che fa pensare alle fantastiche stramberie degli scrittori e degli storici sardi del seicento.

La ricostruzione ideale dello Spano costituì articolo di fede, e tutti gli scrittori, che del Duomo ebbero a trattare, compresi i migliori e cioè il Martini, il La Marmora e per gli studiosi stranieri, il Barone di Maltzan, l'ammisero senza discuterla.

I rilievi dettagliati dell'edificio che si riassumono nell'iconografia attuale, nonchè i dettagli costruttivi di alcune parti mi permisero in altro studio, che oggi sono in grado di completare, d'asserire che la pianta emessa ed enunciata, senza illustrarla, dallo Spano è assolutamente errata. Essa non si spiega con quanto ci rimane dell'antica chiesa pisana ed è in assoluta contradizione con le descrizioni alcune anche particolareggiate che del Duomo fecero alcuni scrittori che lo conobbero prima delle radicali trasformazioni eseguite nel XVII secolo. E di ciò potrà facilmente convincersi chiunque vorrà procedere ad un particolareggiato esame delle parti originarie della chiesa pisana ed in special modo delle due porte antiche aperte nei due bracci della nave trasversale formante l'asta piccola della croce latina, le due porte sono stilisticamente differenti. Nella porta a sinistra, abbiamo il solito tipo pisano quale si riscontra in tutte le chiese erette in Sardegna da artefici toscani o sotto l'influenza delle loro opere. Un architrave poggia su due pilastri stipiti con capitelli a fogliami e l'arco di scarico a fil di muro è contornato da una cornice vagamente ornata a fogliami, la quale poggia su due mensole decorate con teste umane. Niente di speciale e di notevole ad eccezione di un'accurata lavora- zione e di un pregevole sentimento artistico, palesantisi negli ornati dei capitelli e delle cornici scolpite con squisita eleganza. La lunetta è decorata con avanzi ornamentali collocati alla rinfusa, fra i quali è degna di considerazione una formella in cui havvi scolpito un modello di quella fauna simbolica, di cui compiacevansi gli artefici medioevali. Un'altra formella rettangolare è ornata di un fregio a girali d'acanto, opera decorativa di gusto classico tanto che si potrebbe ritenerla di fattura romana se non sapessimo che questo elegante motivo ornamentale venne copiato od imitato nel medioevo da artisti italiani. [p. 257 modifica]

Completano la lunetta alcuni intagli geometrici in cui erano incassate le lastrine marmoree, elementi decorativi di cui s'aggraziavano le chiese di Toscana e che noi riscontriamo in molte chiese dell'isola ed in special modo nella Basilica di S. Pietro di Sorres.

Altri sentimenti ed altri ideali artistici inspirarono l'artefice ch'esegui l'altra porta a destra. L'architrave monolitico poggia non sui due soliti stipiti o pilastri, sibbene su due colonne con capitelli a fogliami di gusto classico e con basi, le modanature delle quali si raccordano elegantemente Pianta del Duomo nello stato odierno.coi fasci di colonnine, elevantisi nella facciata sino agli archetti del prim'ordine.

Sopra l'architrave non più l'arco circolare a fil di muro contornato da cornice, ma un arco sagomato trilobata, mentre un frontone a forma di cuspide con vaghissime ed intagliate modanature sovrasta tutta quanta la costruzione.

Questa porta — se non si può dire addirittura gotica - fu però costrutta sotto l'inspirazione delle prime forme gotiche apparse in Toscana e che doveano poscia dar vita a quello stile che fu un sorriso d'arte divina. [p. 258 modifica]

Uno dei caratteri più spiccati di questa porta è l'amorevole e leggiadra fusione di elementi decorativi medioevali con frammenti classici d'arte pagana, il che non è facile rinvenire negli architetti medioevali, i quali o per pregiudizi religiosi o per differente sentire e comprendere l'arte furono grandi distruttori di sculture e d'ornamentazioni classiche. Il bellissimo sarcofago, rappresentante un busto di personaggio togato in mezzo ad un festosa trionfo di genietti, è collocato, come già si disse, non a casaccio ma col chiaro intendimento di metterne in evidenza le belle sculture e di farle trionfare nel campo della lunetta.

Queste due porte sono aperte nella nave trasversale la quale, secondo l'opinione che una volta più prevaleva, costituiva il vano dell'antica chiesa, ampliata poscia con l'aggiunta del coro e della navata principale.

Indubbiamente questa nave trasversale è antica ed il rialzamento dei muri per la costruzione della cupola centrale e del voltone s'eseguì lasciando inalterate le sottostanti antiche murature. Di ciò abbiamo prova evidente nei tratti, in cui sono aperte le due porte, e nelle ossature architettoniche degli altri lati ed in special modo di quello, in cui, secondo la costruzione dello Spano, dovea svolgersi l'abside e che invece si presenta unito con rilievi e sagomature eguali a quelle contornanti le due antiche porte.

Cade quindi senz'altro la ricostruzione ideale troppo ideale dello Spano, poichè il muro in cui dovea svolgersi l'abside circolare si presenta continuo. Anche senza queste constatazioni la suddetta ricostruzione non potea dirsi accettabile per la ristrettezza del vaso della chiesa. Non è presumibile infatti che un vaso rettangolare largo appena una diecina di metri potesse esser sufficiente a tre navate.


Esclusa la disposizione planimetrica quale la descrive lo Spano, dobbiamo ritenere per ragione di logica che il vano rettangolare che si voleva che costituisse l'area della chiesa pisana, non fosse che la navata trasversale e che le due porte antiche, tutt'ora conservantisi, non siano state anche allora che gl'ingressi delle due braccia della croce.

In altre parole la disposizione planimetrica della chiesa pisana era a croce latina della stessa forma della chiesa com'è presentemente, pur avendo minori dimensioni, colla facciata ad occidente sulla stessa linea dell'attuale prospetto. [p. 259 modifica]

A queste conclusioni pervenni nel 1902, allorchè non erano venuti a luce nuovi ed importantissimi elementi dell'antica chiesa.

Giovandomi dei lavori di restauro che nel 1901 si compirono nell'episcopio addossato al Duomo feci scrostare l'intonaco e rimuovere i rincassamenti della testata a tramontana della navata trasversale.

Venne a luce una serie d'archetti al primo ordine in continuazione di quelli che sono sovra le due porte laterali, al secondo ordine una bifora gotica e nel frontone gli accenni della caratteristica decorazione a fasci trilobati che già rilevammo nelle chiese di Valverde e di S. Bardilio.

Questi avanzi sono così completi da permettere la ricostruzione ideale di questa testata insieme alla porticina gotica, che ora è nascosta dal grandioso monumento funerario del Re Martino e della quale ebbi la ventura di mettere nuovamente in luce le forme architettoniche penetrando in due cappelle murate sino dal XVII secolo.

Da questi frammenti risulta chiaramente che in questa facciata vennero svolti, profittando degli antichi elementi romanici, quelle forme di transizione che vedemmo esplicarsi nelle chiese del terzo gruppo.

Se paragoniamo le linee architettoniche di questa testata con quelle contornanti le due porte vediamo subito che la parte inferiore n'è una continuazione. Infatti l'archeggiatura è a tori e cavetti e le mensoline hanno lo stesso gusto ornamentale. Posteriormente s'apri la grandiosa bifora centrale, in cui la castigatezza delle modanature e la lavorazione attestano dell'origine toscana delle sue forme gotiche.

Contemporaneamente all'apertura di questo finestrone si elevò il frontone decorandolo con le archeggiature che vedemmo dominare nelle chiese meridionali dell'isola allo scorcio del XIII secolo.


Nel 1902, minacciando di crollo molte parti del rivestimento barocco di cui nel settecento si rivesti la facciata principale, l'amministrazione comunale d'allora venne nell'intendimento di rimoverla onde evitare funeste conseguenze.

Effettuata la rimozione di questi marmi, assolutamente mancami di qualsiasi pregio d'arte, vennero a luce diversi elementi che, se possono passare inosservati per i profani, si presentano interessantissimi per lo studio di quella che era la più bella e la più ricca fra le chiese, di cui gli artefici pisani ornarono le nostre città e le nostre ville. [p. 260 modifica]

Le tre porte si presentano rivestite di artistici marmi, ora rotti, spezzati in modo che per ripristinarne colla mente la antiche forme è necessario un attento ed accurato studio dei frammenti.

La porta centrale era di maggiori dimensioni delle altre due laterali e sui suoi stipiti monolitici sormontati da capitelli e fogliami poggiava un architrave marmoreo, in cui è tutt'ora scolpito quel motivo ornamentale a girali d'acanto, così frequente nelle chiese di Pisa. Esso lo si ritrova scolpito con attica grazia in Pisa nelle porte del Battistero e del Duomo e con tecnica e con arte più rozza in molte chiese di Lucca, di Prato, di Pistoia e nell'abbazia di S. Galgano in quel di Siena.

Quest'architrave era ed è alleggerito da un arcata di scarico a cunei alternati di marmo bianco e di verde di Prato.

Dovea contornare quest'arco di scarico una cornice decorata, che per esser sporgente venne spezzata onde poter applicarvi i marmi settecentisti.

Interessanti per la ricostruzione della facciata sono lo smusso a guscio dello zoccolo ed alcuni incavi, stretti ed alti, che dinotano l'esistenza in origine di lesene o pilastrini, scalpellati nel settecento per applicarvi le tenui lastre marmoree.

Sopra le porte la distruzione fu più intensa in modo che delle antiche forme non ci pervenne che la traccia di una bifora, in cui sono le stesse modanature della finestra della testata.

Sparsi quà e là nelle murature si rinvennero diversi frammenti ornamentali ed architettonici, nonchè alcune iscrizioni che non hanno attinenza col nostro Duomo.

Notevole un fregio di squisita ornamentazione romanica con leggiadri girali d'acanto dipartentisi da un mostro dal viso umano e dalle strane forme. Questa grottesca che avea un significato simbolico, ricorda i versi di Carducci:

Dai capitelli orride forme intrise
A le memorie di capitelli argivi
Sagni efferati e spasimi del bieco
Settentrione

Fra gli avanzi architettonici rilevo un frammento arcuato di cornice vagamente ornato con caulicoli e con foglie d'acanto rese con arte me[p. 261 modifica]dioevale ed alcuni intarsi ad intrecci geometrici, in cui però mancano le lastrine di marmo o di porfido che doveano ravvivarli.

Sono pochi questi avanzi dell'antica facciata, ma pur tuttavia, facendo gli opportuni riscontri con altri monumenti e specialmente con la chiesa di S. Pantaleo che ritengo elevata colle stesse forme costruttive della Chiesa di S. Maria di Cagliari, sono sufficienti a poterla idealmente ricostrurre.

La presenza delle scanalature attestanti l'esistenza delle lesone, il tipo architettonico delle porte e i frammenti di cornice arcuata ci permettono di stabilire che al primo ordine, sovra le porte, svolgevasi una Pianta dell'antica cattedrale di Cagliari.serie d'arcate impostantisi alternativamente su mensoline e su strette lesene in modo che la porta centrale restava inquadrata fra due di esse e ciascuna delle porte minori fra una lesena ed un pilastro angolare.

Questo motivo architettonico che risulta chiaramente dalle tracce sovraccennate, non ha riscontri nelle altre chiese dell'isola, fatta eccezione della Chiesa di S. Pantaleo. Anche questa ha nella facciata tre porte e nel primo ordine rincorre la stessa disposizione d'archetti.

Tenendo conto dell'influenza che potè svolgere il massimo tempio dell'isola, specialmente su chiese contenute nella giurisdizione ecclesiastica dell'arcivescovado cagliaritano, e considerate le analogie fra le forme architettoniche della Chiesa di S. Pantaleo e del Duomo di Cagliari, non siamo lungi dal vero ritenendo che questa servi di modello alla cattedrale dell'antica diocesi di Dolia. Non questa a quella per molteplici ragioni, fra le quali la maggiore perfezione ed antichità delle forme decorative della cattedrale di Cagliari e l'esser più attendibile che l'irradiazione di date forme parta dai centri evoluti e ricchi verso paesi meno progrediti e non viceversa.

La presenza della finestra arcuata nella parte alta della facciata [p. 262 modifica]lascia supporre che agli ultimi del XIII od ai primi del XIV secolo i pisani ampliarono ed adornarono con forme gotiche non solo le testate della nave trasversale ma anche la facciata principale.


In queste opere di modifica, che sono caratterizzate dall'introduzione di forme archiacute, dobbiamo anche comprendere la costruzione di due antiche cappelle poste lateralmente al coro, di forma quadrata una e di forma esagonale l'altra.

Queste cappelle di bellissima architettura non sono più visibili, essendo state nascoste da posteriori aggiunte, le quali per fortuna si eseguirono senza demolire o rimovere alcunchè dell'antico, cosichè, togliendo le murature, le scale, gli organi, le volte, ecc., ricomparirebbe la bella architettura in cui la leggiadria toscana si sposa alle prime forme gotiche.

Esse sono posteriori alla costruzione della chiesa; su ciò non vi può esser dubbio. Indipendentemente da alcune particolarità costruttive, per cui risulta chiaro il posteriore attacco dei muri delle cappelle, convalidano quest'asserto le diversità di stile. Nell'antica chiesa e nella navata trasversale le decorazioni sono inspirate allo stile lombardo-toscano e solo in una porta abbiamo rilevato alcuni lievi accenni al gotico. Nelle due cappelle invece impera questo stile nelle forme più smaglianti: le volte sono a crociera con spigoli sagomati, intersecantisi in gemme anulari come nelle più belle cattedrali gotiche: le finestre bifore sono alte, strette ed a sesto acuto; il traforo è gotico, come gotiche sono le ornamentazioni dei capitelli e delle basi.

Che sieno state erette da artefici toscani risulta da alcune particolarità costruttive ed ornamentali e dal tipo pisano della madonna scolpita in una delle gemme anulari.

I muri di queste cappelle sono rivestiti di pietra concia in ambedue le pareti. Nelle parti esterne prospicienti a levante svolgesi la solita decorazione romanica ad archetti poggianti su mensole e su fasci di colonnine della stessa sagomatura di quelle della navata trasversale. I capitelli delle colonnine sono oltremodo pregevoli ed alcuni costituiscono delle vere trovate decorative: sono visi grotteschi da cui si dipartono nastri intrecciati elegantemente con fogliame gotico; sono ornati con foglie a nodi e gemme; sono collegamenti resi con vera genialità e con squisito sentimento d'arte. [p. 263 modifica]

Una particolarità architettonica di queste due cappelle è la diversità stilistica fra la decorazione superiore ad archetti a pieno sesto con forme romaniche e le rimanenti strutture decorative (volte a crociera, archi a sesto acuto e bifore) del più puro gotico italiano.

Cagliari Cattedrale (porta a sinistra).Quest'anacronismo spiegasi col fatto che le due cappelle vennero erette sotto il dominio di Pisa, ma posteriormente alla costruzione della chiesa, quando le nuove forme gotiche s'erano imposte nelle fabbriche italiane. Le ricorrenze in stile romanico-pisano furono usate col giusto intendimento di armonizzare le cornici e gli archetti colle nuove forme.

Al nucleo primitivo della chiesa pisana s'aggiunsero sotto il dominio d'Aragona molteplici altre costruzioni le quali distinguonsi da quelle eseguite posteriormente per il predominio della volta a crociera con spigoli sagomati impostantisi su mensole goticamente ornate ed intersecantisi secondo gemme anulari.

Di esse formava parte quella che ora suolsi chiamare la cappelletta e che si prolungava fino all'oratorio della Speranza, del quale il portone in stile lombardo ad arcate concentriche è notevole per l'elegante sagomatura e per i capitelli finamente e genialmente scolpiti.

Prima che Monsignor Vico nel 1676 procedesse a quei radicali restauri che trasformarono la chiesa nella forma attuale, ai muri laterali e terminali della navata trasversale ed ai muri delle due navate [p. 264 modifica]longitudinali addossaronsi numerose cappellette in stile gotico le quali si fecero comunicare a mezzo d'arcate con il corpo della chiesa.

Ciò spiega la struttura dei detti muri, la quale si palesa antica con gotici trafori che sono posteriori alla costruzione pisana ed evidentemente anteriori agli ampliamenti eseguiti nel XVII secolo.

Gli altri lavori eseguiti nel XVII e XVIII secolo, non esclusa la facciata marmorea, demolita perchè pericolante, non meritano che se ne tratti di proposito.


Esaminato quanto dell'antica chiesa pervenne sino a noi, procederemo ora alla determinazione dell'antica disposizione planimetrica. Poichè la facciata della cattedrale antica coincide con quella che sulla linea della torre campanaria prospetta alla piazzetta del Municipio, è necessario senz'altro scartare l'ipotesi dello Spano ed ammettere, poichè anche la navata trasversale è d'origine pisana, che essa fosse a forma di croce latina e cioè con un corpo centrale, terminato indubbiamente dall'abside, e con una nave trasversale, in cui vennero aperte le due porte tutt'ora conservantisi integre nella loro antica architettura.

La larghezza del corpo centrale era in origine minore dell'attuale ed era determinata dai pilastri angolari della facciata. La distanza fra questi è tale, per cui non è possibile pensare ad una sola navata. Dobbiamo quindi ammettere una navata centrale con due navatelle laterali in conformità al tipo dominante nelle chiese medioevali di Toscana.

Posteriormente vennero aggiunte le due cappelle gotiche che sono a lato del coro.

Confermano queste conclusioni derivate da uno studio degli avanzi rimastici dell'antica cattedrale le descrizioni che di essa riscontriamo negli scritti di coloro che la conobbero prima che l'arcivescovo Viro nel 1676 demolisse la navata principale, minacciante rovina, peritorum judicio casum minitantem magna sedulitate, riedificandola più sontuosamente, sumptuosius reaedificanda curavit.

Nella Sardiniae brevis historia et descriptio, tabula chorographica insulae ac metropolis illustrata dal giureconsulto sardo Sigismondo Arquer, ed inserita nella Cosmografia di Schastiano Münster. stampata in Basilea nel 1557, è disegnata una pianta a volo d'uccello della città di Cagliari. In questo disegno a linee schematiche è indicata la cattedrale con la [p. 265 modifica]Cagliari — Cattedrale di Cagliari (porta a destra).facciata ad occidente ed in prolungamento di un lato della torre campanaria.

Dalla Choregraphia Sardiniae di Giovanni Francesco Fara ben poco può apprendersi. Accennando al Duomo, lo dice Templum maximum Archiepiscopale et Parochiale, S. Ciciliae sacrum, a Pisanis egregie constructum, colomnisque marmoreis fultum, ubi suggestus marmoreus affabre elaboratus multis sustentatur columnis spiralibus super quatuor leonum simulacris residentibus.

Un po' più di luce si ricava allorchè parla del Castello di Cagliari che fu anno circiter 1257 moenibus et turribus cincto a Pisanis, et Castellum-Castri appellato, ut constat ex Johanne Villano Chron. Agustino Iustiniano in Chron. Genuens, et ex inscriptionibus in dictis turris, et in frontispicio, et suggestu marmoreo, templi maximi sculptis. Da quest'accenno risulta che ai tempi del Fara nel fastigio della cattedrale pisana eranvi inscrizioni, in cui Cagliari era chiamata Castellum-Castri.

Esse, non v'ha dubbio, sono quelle da noi riportate dalle Istorie Pisane del Roncioni e dalla Storia di Sardegna dell'Aleo, e che il Cossu dichiara ch'esistevano fino a che non venne eretta la nuova facciata. [p. 266 modifica]

All'angolo della chiesa che guarda il palazzo municipale — esistente sotto altre forme anteriormente al XV secolo — havvi un parallelepipedo di pietra avente due faccie, in cui sono scolpiti due scudi pisani, sormontati da due frontoncini modanati. Dubitando che questo dado, potesse essere una misura pisana, feci alcune indagini al riguardo le quali non solo modificarono in certezza ciò che era induzione, ma mi fornirono clementi preziosissimi per la nostra cattedrale, come si può dedurre dal seguente passo della Storia di Sardegna del Vico: Con esta ocasion quedaron los Pisanos senores deste Indicado y fortificurô este Castillo de Castro con murallas, y torres, y fabbricaron en el la Iglesia Parrochial de la invocation de Santa Maria madre de Dios (que es la misma Patrona de la Iglesia de Pisa) en los anos 1217 como se lee en los litreros gravados en un marmol de frontispicio de la misma Iglesia, y en el pulpito que estriva sobre unos Leones de hermosissima fabrica, todo de la ello de maramol finissimo, obra muy luzida e costosa: a la esquina della, que mira a la de la casa Cindad pusieron en senâl de dominio la medida de pietra, que sirve de original del estaio que comunemente se usa en Pisa para medis los trigos y tegumbres, que hasta oy se vee cun nombre corrompido de estaio en estarel.

Questa misura esiste tuttora nel sito originario quale lo indica il Vico, nell'angolo cioè della chiesa che guarda la casa comunale, e poichè ai tempi dello storico Vico non erano ancora state eseguite le opere che trasformarono la cattedrale e questa conservava ancora la forma e la struttura che le dettero gli artefici pisani, risulta in modo evidente che noi restauri posteriori non si abbatte il muro di prospetto.

Maggiori schiarimenti ci fornisce l'Esquirro nel libro ch'egli scrisse ad esaltazione del rinvenimento dei corpi santi: El otro edificio que hizieron en esse tiempo los Pisanos en Caller fue la Iglesia mayor, que es la segun hauemos dicho que dize este epitaphio fue dedicada a Nuestra Señora, la qual aunque non fea muy grande sino de grandesa razonable, es però muy bella y sumptuosa con muchas colunnas de marmol, y otras cosas tanto de dento como de fuera que la hazen muy vaga y hermosa, edificaron en ella los mismos Pisanos una torre altissima, donde estan las campanas. . . . .

L'Alco nell'opera sua manoscritta Successos generales de l'isla y Reino de Sardena che si conserva nella Biblioteca di Cagliari, descrive ampiamente la nostra cattedrale prima che si eseguissero i radicali la[p. 267 modifica]vori di trasformazione, sui quali si estende dettagliatamente, magnificando Cagliari — Cappella gotica della Cattedrale.l'opera di Monsignor Vico, a spese ed a cure del quale furono compiti. Questa descrizione ci fornisce sicuri elementi per determinare l'originaria forma della cattedrale, confermando quanto ci risultò dall'esame della chiesa e dagli altri scritti che ad essa si riferiscono. Narra l'Aleo che i Pisani, dopo aver fortificato il Castello con baluardi e torri di gran mole pensarono di nobilitarlo trasportandovi la cattedrale ed erigendo nella parte più eminente la nuova cattedrale che riuscì molto bella e ricca, benchè la ristrettezza dello spazio non avesse permesso di farla grande e spaziosa. L'elevarono in forma di croce e per fabbricarla usufruirono dei materiali dell'antica costruzione. Divisero la chiesa in tre navate con otto colonne, sovra le quali caricarono gli archi, i muri laterali, nonchè la copertura con i cavalletti di legname. Avea cinque portali, i tre principali volti a ponente e gli altri due nei bracci della cattedrale prospicienti a tramontana ed a mezzodì. Edificarono inoltre per le campane una torre molto alta c forte a settentrione, mentre all'interno estesero la crociera dal palazzo episco[p. 268 modifica]pale al seminario de los Monaguillos; eressero il presbiterio, l'altare ed il coro di fronte alla facciata. collocando l'organo nella parete interna di questa sopra la porta principale. . . . .

Ricordando che l'Aleo viveva in Cagliari prima e dopo i restauri eseguiti nella cattedrale e che probabilmente, per esser egli tenuto in grande conto dall'Arcivescovo Vico, vi compartecipò coi suoi consigli, le indicazioni sovrariferite devono ritenersi scrupolosamente esatte. Da esse risulta che l'antica cattedrale pisana era a forma di croce latina con la navata principale divisa dalle due laterali per mezzo di otto colonne di marmo, quattro per parte, con due crociere ai bracci della croce e che le navate del tempio erano coperte non con volta, come sono attualmente, sibbene con tetto di cui i cavalletti e la grossa travatura erano allo scoperto. Abbiamo insomma la forma basilicale, quale di frequente usarono gli artefici pisani nelle chiese erette da loro in Toscana ed in Sardegna.

Quali fossero i lavori eseguiti da Monsignor Vico risulta da un brano susseguente della stessa opera, il quale completa la sovraccennata descrizione. Traduco alla lettera: nella detta chiesa e palazzo del Castello restò permanente la Cattedrale di Cagliari e la dimora dei suoi arcivescovi dall'anno 1312 fino al 1682. Si conservò il detto tempio nella medesima forma, grandezza, struttura e dimensione che i Pisani adottarono nella prima fondazione senz'aggiungere nè tagliere cosa alcuna. Infracidendosi per l'antichità e per il lungo uso l'ossatura del tetto, ch'era di legno, nell'anno 1669, essendo arcivescovo Monsignor Don Pedro de Vico, si pose mano alle riparazioni, fabbricandola quasi tutta a nuovo, ben che non si sia potuta allargare, non concedendo maggior spazio la località. Si tolsero le colonne ch'erano di un sol pezzo, sostituendovi pilastri sui quali si gettarono gli archi lavorati con arte moderna e che dividono la nave di mezzo dalle collaterali, nelle quali hanno costrutto tre cappelle per parte abbandonando quelle che sono nei bracci a crociera ad eccezione di due collocate lateralmente all'altare maggiore, alle quali si diedero tali disposizioni che in basso restarono due cappelle ed in alto si posero gli organi. La copertura si costrusse più in alto di quel che era e la si eseguì tutta con volta .....

Credo che non si possa essere più chiari nell'esporre le trasformazioni che la cattedrale di Cagliari subì nel seicento ai tempi del Vico. Se un dubbio può sorgere, esso a mio parere non si eleverà mai sulla [p. 269 modifica]antica forma della Cattedrale Cagliaritana, sibbene sulla serietà degli scrittori che fantasticarono, gabbandola per pisana, una cervellotica forma iconografica, la quale non ha riscontro con quanto dell'antica chiesa ci Archeggiatura in una delle cappelle gotiche del Duomo di Cagliari.lasciarono detto gli storici che sono più noti, e contrasta colle parti antiche rimasteci, colle norme costruttive degli artefici medioevali di Toscana, nonchè, mi si permetta d'esser franco, col buon senso.

La disposizione a croce latina ha anche una conferma nell'ubica[p. 270 modifica]zione del primitivo altare della chiesa, che si conserva inalterato sotto l'armatura in legno sostenente il grandioso tabernacolo d'argento.

Quest'altare al pari di quello che si conserva nella chiesa medioevale di Sorres è semplicissimo, componendosi di una tavola marmorea poggiante su cinque colonnine, quattro ai vertici ed una al centro. Esso è collocato ad oriente di fronte al muro di prospetto, il che fa ritenere che l'abside si svolgesse all'incirca dov'è presentemente il coro e non nella parte comunicante colla sagrestia.

Non havvi inoltre alcuno che ignori, che nei primi tempi del cristianesimo c nel medio evo generalmente usavasi disporre l'abside ad oriente e la facciata a ponente in modo che il popolo ed il sacerdote officiante rivolgessero la faccia ad oriente.

Non mancarono le eccezioni a questa disposizione rituale, ma sono rarissime. In Sardegna le chiese medioevali erette dai pisani hanno questa disposizione, nè mi venne dato di riscontrare una sola eccezione.

Sarebbe assai singolare che i pisani, i quali non solo in Sardegna ma anche nei territori loro si mostrarono sempre ossequenti a questo orientamento, l'avessero ripudiato nell'erigere la cattedrale di Cagliari, collocando, se si seguisse lo Spano, la facciata a tramontana e l'abside a mezzodì.

Potrei con altre considerazioni e con molteplici argomenti di critica artistica e tecnica dimostrare l'inesattezza delle conclusioni, cui addivennero lo Spano, il La Marmora ed altri; ma a che pro?

Credo più utile invece riassumere quanto precedentemente ho esposto: La Chiesa di S. Maria avea, al tempo della dominazione pisana, la stessa forma ed orientazione dell'attuale chiesa: l'abside svolgevasi dov'è presentemente il coro, avendo sotto l'arco di trionfo l'altare, costituito da una tavola marmorea sostenuta da colonnine; i due bracci della croce erano coperti con volte a crociera ed ad essi dall'esterno si accedeva dai due portali in marmo, ancora conservantisi nelle originarie linee.

Il corpo longitudinale della chiesa, un po' più ristretto dell'attuale, era diviso per mezzo di otto colonne di marmo monolitiche in tre navate: la centrale, avente la copertura sostenuta da cavalletti di legno, come la maggior parte delle chiese medioevali sarde di forma basilicale, e le due laterali, più basse e probabilmente coperte con volte a crociera. La facciata era dov'è attualmente la nuova ed in essa, formante, come nella Chiesa di S. Pantaleo. un solo piano col lato di ponente [p. 271 modifica]della torre campanaria, erano incastrate le lapidi che i pisani tolsero al Palazzo di Lucca e che ricordavano con magniloquenti parole le vittorie di Pisa e le gesta di Uguccione. Nella parte inferiore della torre i pisani in segno di dominio incisero le misure lineali e nello spigolo della facciata che guarda il palazzo comunale collocarono un cubo di pietra, Duomo di Cagliari (porta centrale).tutt'ora esistente, dello stesso volume dello stadio in uso a quei tempi di Pisa.

Determinata la struttura e la forma della chiesa qual'erano quando i pisani abbandonarono il Castello di Cagliari, l'esame stilistico e costruttivo, delle diverse parti dell'edificio, messe in relazione coi dati epigrafici e colle memorie storiche, ci permetterà ora d'assegnare con una certa approssimazione la sua fondazione e le vicende subite durante il dominio di Pisa.

Dall'Esquirro, dal Vico, dall'Aleo, scrittori del XVII secolo, dal Padre Angius, dal Valery, dal La Marmora, dallo Spano, dal Vivanet e da quanti s'interessarono del Duomo di Cagliari s'assegnò la sua fondazione al 1313, dando il merito della bella opera ad un architetto pisano di nome Guglielmo.

In quest'asserzione i detti studiosi basaronsi sull'iscrizione ritmica castello castro concexit ecc. e sull'altra hoc guglielmus opus pestantion ecc. trascritte precedentemente, le quali vennero riferite alla fondazione della Chiesa di S. Maria. Queste assegnazioni, che contrastano con le memorie storiche che si hanno del Duomo, sono da riferirsi ad altro monumento e di ciò tratteremo estesamente, quando si procederà all'esame critico di due amboni conservati nell'interno della Cattedrale. La prima menzione della Chiesa di S. Maria risale al 1254 e si [p. 272 modifica]ha nell'atto con cui Chiano o Giovanni, marchese di Massa e giudice di Cagliari, istituisce suoi eredi i cugini Guglielmo e Rinaldo, figli di Russo e di Maria Disserra. Furono testi di questo documento actum in Castello de Castello fra gli altri domino Arlocco Matello canonico suncte Marie de Cluso et dominus Georgio de Calagonis cappellano sancte Marie de Castello. . . . .

Questo documento oltre ad attestarci l'esistenza della Chiesa di S. Maria nel 125 ci fa conoscere ch'essa non era ancora elevata a dignità episcopale.

La cattedrale, come l'episcopio di Cagliari, era nella Villa di S. Cecilia. Ne fa menzione una concessione del 1229 di Benedetta, marchesa di Massa e giudicessa di Cagliari, al Legato Pontificio Gottifredo stipulata in inferiori camera palatii venerabilis patris . . . . . Archiepiscopi Calaritani apud Villam Sanctae Caeciliae. . . .

Ai primi dell'anno 1255 un mercante pisano, Bonacosa speciarius, è ricordato nell'iscrizione rinvenuta nel 1847 come operaio della Chiesa di S. Maria e come donatore dell'oggetto di cui la colonna era un sostegno.

Il Solmi ritiene che la Chiesa di S. Maria venisse innalzata quando i pisani costrussero il Castello di Cagliari. « Ne può dubitarsi, egli scrive, che su quella piazza non sorgessero fino d'allora il disegno e le fondamenta della Chiesa di S. Maria, che fu poi il Duomo di Cagliari perchè i pisani, anelanti di riprodurre in ogni loro sede l'immagine della patria lontana, non poterono nemmeno concepire la esistenza di una città pisana senza il sacro presidio della Gran Madre di Dio, che vigilava la loro potenza e incarnava ogni loro pensiero ».

Dissento dal chiarissimo studioso in queste conclusioni, fondantisi sulla premessa, a mio parere errata, che cioè la collina fortificata dai Pisani nel 1217 fosse anteriormente disabitata e che coll' erezione del Castello di Cagliari s'iniziasse la fondazione della nuova città pisana compresi gli edifici pubblici.

Invece ritengo che su quel monte chiamato Castro era già, molto prima del 1217, la colonia dei mercanti pisani con case ed edifici propri, costituenti una città distinta dall'antica Cagliari svolgentesi nel piano. Nè ciò può rappresentare un'anomalia col reggimento dei giudicati, giacchè questo era troppo e da molto tempo scosso dall'inva[p. 273 modifica]dente influenza delle due repubbliche marinare di Pisa e di Genova per impedire questo che era una menomazione dei loro dritti sovrani.

In tutti i porti della Sardegna, a Torres, ad Oristano ecc. erano consimili colonie di mercanti pisani o genovesi organizzate all'infuori dei giudicati cui propri consoli ed ufficiali.

Porta antica canonica del Duomo di Cagliari.

E questo spiega che sin dal 1217 era in monte di Castro la platea Communis e quindi anche il palazzo del Comune, di costruzione indubbiamente anteriore al Castello di Castro.

Egualmente dovea preesistere alla fondazione del formidabile Castello la Chiesa di S. Maria, giacchè non è possibile concepire un nucleo di [p. 274 modifica]popolazione pisana senza una chiesa, rievocante coll'immagine della Madonnina e col nome la loro grandiosa primaziale.

Questi risultati, cui siamo pervenuti con criteri induttivi, hanno un efficace riscontro negli clementi stilistici che, quando sieno ben vagliati, raramente ingannano. Lo stile d'un'opera, scrisse un maestro di critica artistica, è il suo documento primo e più sicuro.

Esaminiamo infatti la struttura architettonica quale può desumersi dagli avanzi restituiti a luce e le forme stilistiche dei frammenti ornamentali, appartenenti alla primitiva chiesa.

L'organismo architettonico si palesa a false gallerie sovrapposte, per cui devesi l'antica chiesa comprendere fra quelle del secondo periodo, appartenenti quasi tutte al XII secolo.

I frammenti ornamentali sono più espliciti: il girale d'acanto che orna l'architrave della porta centrale, i capitellini delle colonnine sostenenti il primitivo altare ed altre parti decorative sono scolpite arcaicamente; il bassorilievo in cui è effiggiato un mostro a due corpi ed ad una sola testa per la tecnica e per il concepimento simbolico è da attribuirsi al XII secolo.

Nella lunetta della porta a sinistra della navata trasversale sono frammenti di intrecci geometrici ad intarsie e di motivi ornamentali del XII secolo che doveano appartenere all'antica chiesa.

Questi rilievi ci attestano della preesistenza della Chiesa di S. Maria alla fondazione del Castello di Cagliari non solo, ma provano ch'essa fosse in origine più ristretta e che gli stessi pisani v'apportarono in diverse epoche modificazioni ed aggiunte non lievi.

Una prima aggiunta dovette essere la costruzione della navata trasversale in cui sono le due porte tutt'ora esistenti e per cui la chiesa assunse la forma a croce latina. Originariamente la chiesa avea forma basilicale a tre navate come S. Giusta. S. Pantaleo, S. Pietro di Sorres, S. Antioco di Bisarcio, S. Maria del Regno d'Ardara e tante altre.

La non concavità della navata trasversale col corpo principale della chiesa risulta lampante solo che si considerino le forme decorative dei due bracci con quelle della facciata.

Nella navata trasversale abbiamo una decorazione ad archetti poggianti su pilastri e su mensoline, queste scolpite con arte delicata e squisita ed imitanti le forme più classiche con vera maestria decorativa. I pilastri seguono la sagomatura attica a tori, scozie e cavi, degli [p. 275 modifica]archetti, per cui possono ritenersi una continuazione. Questa speciale modanatura estendesi anche nello zoccolo e nelle basi dei piedritti delle porte.

Nella facciata invece gli archetti erano decorati ad ovoli come in Sorres, in Saccargia ed in Bisarcio; i pilastrini non erano polistili ma rettangolari senza sagomature ed infine lo zoccolo era come nella maggior parte delle chiese medioevali limitato superiormente da un semplice smusso.

Abbiamo in questa una struttura più semplice e più arcaica, men- tre nella navata trasversale si hanno forme decorative più evolute c modanature tendenti a quelle nuove forme di cui seppe così nobilmente giovarsi il gotico toscano.

Per l'aggiunta della navata trasversale si dovette rompere i muri delle due navatelle e della navata centrale, il che mise a disposizione dei costruttori frammenti ornamentali, scacchiere ad intarsi, girali di acanto, di cui si servirono per ornar le nuove mura.

Quando venne così trasformata la Chiesa di S. Maria? Per rispondervi non si hanno elementi sicuri, ma non si sarà lungi dal vero, assegnando questi abbellimenti ed ampliamenti all'epoca in cui la chiesa venne elevata a dignità episcopale.

Assicurato nel 1257 al Comune di Pisa il giudicato di Cagliari colla conquista del Castrum Kallaris e cessato definitivamente il governo dei giudici, la città dei mercanti pisani acquistò inatteso splendore, mentre dovette decadere la villa di S. Igia in cui erano stati il palazzo dei giudici, l'episcopio ed il Duomo.

Trasportato su in alto il governo della cosa pubblica, la trasla- zione della cattedrale e dell'episcopio a Castello di Cagliari non dovette tardare ed infatti il legato pontifico ed arcivescovo di Pisa, Federigo Visconti, entrando solennemente in Cagliari si portò immediatamente nella Chiesa di S. Maria et sic intravimus solemniter in Castellum de Castro usque in ecclesiam sancte Mariae, ubis fecimus sermonem ad populum alloggiando in quodam hospitium iuxta ipsam ecclesiam, quia domus archiepiscopi non erat capax in cui ricevette gli omaggi dei vescovi suffraganei dell'arcivescovado di Cagliari. Facendo la Chiesa di S. Maria capo a tutte le solenni funzioni religiose ed a tutti gli atti pertinenti alla legazione del Visconti, indubbiamente essa già funzionava da cattedrale. [p. 276 modifica]

La porta a sinistra ha tutt'altra architettura di quella di destra; questa indubbiamente è posteriore e deve formar parte delle modificazioni apportate alla chiesa ai primi del XIV secolo.

Queste modificazioni sono improntate alle nuove forme gotiche e comprendono le due cappelle gotiche e la sopraelevazione della facciata e delle due testate che vennero trasformate stilisticamente con l'aggiunta di frontoni decorati con archi trilobati e con fasci sagomati ascendenti secondo la pendenza del tetto ed abbelliti con le grandiose bifore gotiche, di cui sono visibili traccie nella facciata e nella testata internata nell'episcopio.

È molto probabile che durante questi lavori si murassero nella facciata le due lapidi marmoree, in cui erano incise le magniloquenti iscrizioni ricordanti le vittorie di Uguccione della Fagiola contro Lucca.


Cattedrale di Cagliari — Leone dell'antico pulpito pisano.

  1. Guida del Duomo di Cagliari pel Canonico GIOVANNI SPANO. Cagliari, 1856.