Storia della geografia e delle scoperte geografiche (parte seconda)/Capitolo XI/Alvise Cadamosto. Antoniotto Usodimare

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Alvise Cadamosto. Antoniotto Usodimare

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[p. 196 modifica]65. Alvise Gadamosto. Antoniotto Usodimare. — La storia delle esplorazioni africane registra, nell’anno 1455, due importanti viaggi, i quali, quantunque diretti a scopo commerciale, ebbero tuttavia non ispregevoli risultamenti geografici. Alludo ai viaggi del veneziano Alvise da Cà da Mosto e del genovese Antoniotto Usodimare. [p. 197 modifica]

Il Cadamosto aveva appena ventidue anni quando nel 1454 (agli 8 di agosto) partì da Venezia sopra le galee venete destinate ai porti di Fiandra e comandate da Marco Zeno. Venti contrari costringono la flotta a fermarsi al capo San Vincenzo. Quivi sedotto il Cadamosto sia dalla cordiale accoglienza fattagli dall’Infante D. Enrico, sia dalla speranza di poter avviare lucrosi negozi nel commercio di Guinea, sottoscrive alle condizioni regolamentari imposte ad ogni spedizione intrapresa sotto bandiera portoghese, e, dopo aver regolato i suoi interessi coi Veneziani, i quali continuano il loro viaggio verso la Fiandra, assume il comando di una caravella di 90 tonnellate concessagli dall’Infante, avendo a pilota Vincenzo Dias di Lagos.

La piccola nave mette alla vela da Lagos il 22 marzo, tocca risola di Porto Santo e l’isola Madeira, e, nel gruppo delle Canarie, Gomera e Ferro: da quest’isola si dirige alla costa occidentale, riconosce il capo Bianco e il golfo di Arguin, e, navigando a mezzodì, passa il Rio de Senega (Senegal) e pone l’ancora in un luogo a 50 miglia dalla bocca di questo fiume.

Nella relazione di questa prima parte del viaggio si leggono parecchie cose interessanti intorno alle Canarie, che il Cadamosto dice essere allineate da occidente ad oriente; al Picco ardente di Tenerifa, di cui però esagera di molto l’altezza; alle quattro isole del golfo di Arguin (Arguin, Bianca, delle Grazie e di Cuori) piccole, arenose, deserte e prive d’acqua all’infuori di quella di Arguin; alla natura delle coste africane, le quali sono abitate, finché dura la Barberia, ma dal capo Cantin sino al capo Bianco, così detto per la bianchezza dell’arena, sono sabbiose e corrispondono nell’interno al gran deserto di Sarra (Sahara) confinante al nord colle montagne della Berberia, al sud con i negri di Etiopia, e talmente esteso che a traversarlo si impiegano da 50 a 60 giornate; — al luogo chiamato Hoden, il quale è dentro circa sei giornate da cammello, ed è luogo di convegno delle carovane che vengono da Tombuto e altri luoghi dei Negri. E qui il viaggiatore si estende in molti particolari relativamente al commercio interno dell’Africa, specialmente in sale ed in oro. «A Tegazza, che, secondo il [p. 198 modifica]Cadamosto, significa bisaccia d’oro (o Carcadore nella edizione del Ramusio), si cava una grandissima quantità di sale di pietra, e quella ogni anno da grandissime carovane di cammelli vien portata per Tombuto, e di là vanno a Melli imperio dei Negri… e dicono che da Tegazza a Tombuto sono circa quaranta giornate da cavallo, e da Tombuto a Melli trenta… In Melli poi tutti quelli di cui è il sale ne fanno monti alla fila ciascuno segnando il suo; e dappoi fatti i detti monti, tutti della carovana tornano indietro mezza giornata; di poi viene un’altra generazione di Negri, che non si vogliono lasciar vedere nè parlare, e vengono con alcune barche grandi che pare che escano da alcune isole, e smontano, e veduto il sale mettonvi una quantità d’oro all’incontro di ogni monte, e poi tornano indietro lasciando l’oro e il sale; e partiti che sono, vengono li Negri del sale, e se la quantità dell’oro lor piace prendono l’oro e lasciano il sale, e se non piace lasciano il detto oro con il sale, e tornansi indietro, e di poi vengono gli altri Negri dell’oro, e quel monte che trovano senza oro, levano e agli altri monti di sale tornano a mettere più oro se a loro pare, ovvero lasciano il sale, e a questo modo fanno la sua mercanzia senza vedersi l’un l’altro…». «E questo oro che capita a Melli si divide in tre parti: la prima va colla carovana verso la Soria e il Cairo; la seconda e la terza parte viene con una carovana di Melli a Tombuto, e di là una parte ne va a Toet (Tuat nel Sahara marocchino?) e da quel luogo si estende verso Tunisi, e l’altra parte viene ad Hoden donde si spande verso Oran ed One luoghi pure di Berberia dentro dello stretto di Gibilterra, e a Fessa (Fezzan), e a Marocco, e a Arzila, e Azafi, e Messa luoghi della Berberia fuori dello stretto».

Importanti sono pure le indicazioni che la relazione del Cadamosto dà intorno al Senegal. «Questo fiume divide i Negri dagli Azanaghi (cioè dalla tribù berbera dei Zenaga), e partisce ancora la terra secca ed arida che è il deserto sopraddetto (di Sahara) dalla terra fertile che è il paese dei Negri (cioè la Senegambia). Esso è grande e largo in bocca più di un miglio [p. 199 modifica]ed ha fondo assai, e fa ancora un’altra bocca un po’ più avanti, e un’isola in mezzo… Questo fiume, secondo che dicono gli uomini Savi, è un ramo del fiume Gion, che vien dal Paradiso terrestre, e questo ramo fu chiamato dagli antichi Niger, che vien bagnando tutta l’Etiopia, e appressandosi al mare Oceano verso ponente dove sbocca, fa molti altri rami e fiumi oltre quello di Senega; e un altro ramo del detto fiume Gion è il Nilo, qual passa per l’Egitto, e mette capo nel nostro mare Mediterraneo; e questa è l’opinione di quelli che hanno cercato il mondo». Nelle quali parole del viaggiatore veneziano vediamo ripetersi il sistema delle biforcazioni fluviali, tanto comunemente accolto dagli Arabi e dai cartografi del Medio Evo, e che si potrebbe, fino ad un certo punto, scusare quando si ponga mente alle direzioni del Senegal, del Niger, del Komadogu (affluente dello Tsade), e dei fiumi che immettono nel Bahr-el-Ghazal tributario del Nilo sotto la latitudine boreale di circa 9 gradi.

A 50 miglia dal Senegal, verso mezzodì, il Cadamosto pose piede a terra, e quivi entrò in relazione con un signore di quel territorio, di nome Budomel1, il quale lo accolse con molta benevolenza. Durante il suo soggiorno in questo paese, che fu dì 28 giorni, il viaggiatore veneziano ebbe occasione di radunare molte notizie intorno alle produzioni naturali del territorio del Senegal, ed alle condizioni fisiche, morali della popolazione, ai costumi ed ai commerci, ed è forse per questa importante parte della sua relazione che il celebre Ritter si credette autorizzato ad affermare che il Cadamosto fu per l’Africa occidentale ciò che Marco Polo era stato per l’Asia orientale e meridionale2.

Desideroso di scoprire nuove terre, e principalmente di esplorare più da vicino il paese di Gambra (Gambia), che alcuni [p. 200 modifica]negri condotti schiavi in Europa dai navigatori portoghesi che lo avevano preceduto colà, raccontavano essere molto abbondante di oro, il Cadamosto prese commiato dal principe di Budomel; e, mentre stava per salpare da quella costa, vide due vele in mare, alle quali appressandosi conobbe che una di esse era comandata dal genovese Antoniotto Usodimare, e l’altra da uno scudiero dell’Infante D. Enrico. Il medesimo scopo, quello cioè di «passare il capo Verde e provare la ventura» (come dice il Veneziano), unisce le tre navi, le quali, veleggiando di conserva, oltrepassano il capo Verde, e giungono, a’ 29 di giugno, all’isola Gorea. Il giorno seguente le navi pongono l’àncora alla bocca di un fiume detto dei Barbacini, a 60 miglia dal capo Verde; più lungi incontrano un altro fiume non inferiore, in grandezza, al Senegal, e quindi l’imboccatura di un gran fiume, della quale «giudicarono essere di tre a quattro miglia nel più stretto, e nella sua prima entrata di miglia sei in otto, ed opinarono essere la Gambra o Gambia tanto desiderata, e potersi trovare qualche ricetto fra terra per agevolmente procacciarsi buona ventura d’oro, e altre cose preziose». A tal proposito le navi entrarono nel fiume, ma gli indigeni, con molte barchette leggiere formate ciascuna di un tronco d’albero scavato, fattisi dintorno ai legni lanciarono tale quantità di freccie da rendere necessario l’uso delle bombarde e delle balestre portoghesi, che, uccidendo gran numero di assalitori, obbligarono i superstiti a precipitosa ritirata. Il Cadamosto e gli altri capitani volevano proseguire, ma le ciurme cominciando a tumultuare, fu necessario ritornare in Europa.

Le stesse cose si ritrovano in una lettera scritta da Antoniotto Usodimare nello stesso anno 1455. È la stessa lettera riferita più sopra (pag. 53), nella quale è alcuna notizia intorno alla sfortunata spedizione dei fratelli Vivaldi, e al Prete Gianni, il cui territorio principiava, secondo il navigatore genovese, a 300 leghe dalla costa occidentale d’Africa.

La relazione del Cadamosto contiene alcune indicazioni sul cielo australe, le quali però non mi paiono tali da farlo ritenere come uno degli iniziatori dei progressi dell’astronomia nau[p. 201 modifica]tica in quelle regioni meridionali3. Esse si riducono di fatti all’osservazione della stella polare, la quale «pareva sortire dal mare l’altezza d’una lancia» ed a quella di sei stelle basse sopra il mare, lucide e grandi e da lui giudicate essere il Carro dell’Ostro. Ed è anzi probabile che appunto dalla osservazione del Cadamosto abbia avuto origine la credenza, comune ancora nella prima metà del secolo XVI, che, come vi ha un Carro nel cielo boreale, dovesse anche esisterne uno eguale nella parte opposta. Dai disegni delle costellazioni che si trovano nella Raccolta del Ramusio4, si potrebbe dedurre che il Cadamosto intendesse della Croce del Sud osservata al tempo del suo tramonto; ma in altri scritti, a luogo di una croce sono disegnate sette stelle le quali, astrazione fatta dalla polare, si presentano disposte in modo analogo a quelle della Piccola Orsa nell’emisfero boreale. E che il viaggiatore veneziano non alludesse alla Croce del Sud, è anche provato da che egli fa parola di sei, e non di cinque stelleHumboldt, Kritische Untersuchungen, III, pag. 174 e 175, nota 4..

Un secondo viaggio fece pure il Cadamosto nell’anno 1456, in compagnia dell’Usodimare e con una terza caravella dell’Infante D. Enrico. La piccola squadra parte dal porto di Lagos ai primi di luglio5, giunge in pochi giorni alle Canarie, riconosce il capo Bianco, ma un forte vento di libeccio la obbliga a tornar indietro, spingendola verso due isole, cui sono imposti i nomi respettivi di Boa Vista e Santiago. «Alla prima isola dove che dismontammo, dice il Cadamosto, mettemmo nome isola di Buona Vista per essere la prima vista di terra in quelle parti, e a quest’altra isola, che maggiore ci parve di [p. 202 modifica]tutte quattro6, mettemmo nome isola di S. Jacobo, perchè il giorno di S. Filippo e Jacobo venimmo ad essa a metter àncora». Per vero la festa dei santi Filippo e Giacomo cade al primo di maggio, e questa data è inconciliabile col giorno della partenza (ai primi di luglio). Ma notiamo che il Temporal, il quale dice che la partenza da Lagos avvenne ai primi di luglio, afferma che la squadra giunse alla seconda delle dette isole il giorno di S. Giacomo. Ora ai 25 di luglio cade per l’appunto la commemorazione di S. Giacomo Maggiore o altrimenti di Compostella7.

Lasciata l’isola Santiago, le tre caravelle si volgono alla costa occidentale del Senegal, giungono alla Gambia che esse risalgono per 60 miglia, quindi, continuando a navigare nella direzione del sud, alla bocca di un fiume quasi uguale, in larghezza, alla Gambia, il quale pare essere stato il Rio Casamanse; al Capo Rosso distante da questo fiume venti miglia; al Rio Grande, largo alla bocca venti miglia almeno; e, in fine, ad alcune isole (gruppo delle Bissagos), ove ebbe termine l’esplorazione della costa.


Note

  1. V., più sopra, il paragrafo 57.
  2. Carlo Ritter, Geschichte der Erdkunde und der Entdeckungen, pag. 232.
  3. Amat di S. Filippo, in Bollettino della Società geografica italiana, 1880, pag. 131; Marinelli, op. cit., pag. 34.
  4. Ramusio, I, pag. 107.
  5. Questa data trovasi nella Descrizione dell’Africa del Temporal, pubblicata a Lione nei 1556. In Ramusio la data della partenza è al principio di maggio; in Mathurin de Redouer al principio di marzo.
  6. Secondo la relazione del Cadamosto, due altre isole erano state vedute prima di approdare a quella che venne poi detta Boa Vista, ma il navigatore, come egli stesso dice, non si era curato di andarvi, si per non perder tempo e seguire il suo viaggio, come perchè giudicava che fossero disabitate e selvatiche.
  7. Sopra questo punto controverso, veggasi quanto ne dice il Codine nel Bollettino della Società geografica di Parigi, 1873, voi. Il, pag. 83 e seguenti.