Sui confini della scienza della natura/Note

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Sui confini della scienza della natura I sette enigmi del mondo

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NOTE

(1) Il sig. Engler, in un discorso ufficiale tenuto sulla «Pietra filosofale (Karlsruhe 1889) nella scuola Tecnica Superiore di Karlsruhe in occasione del cambiamento di Preside, ha inserite alcune osservazioni sulle «Considerazioni sulla chimica come scienza» di Kant, le quali, annodandosi a quello che io ho detto nel testo, conducono sostanzialmente a ciò, che il sig. Engler non riconosce alcuna differenza fra le teorie chimiche fino ad ora seguite, e gli ormai superati rami della fisica matematica.

Appoggiandosi a Goethe, Kirchhoff e al sig. von Helmholtz, egli prende una posizione dalla quale senza dubbio gli sarebbe difficile tracciare in qualche punto un confine fra i più alti calcoli di perturbazione e la più innocente diagnosi d’un insetto. La misura di cognizione che l’una e l’altra presuppongono gli sembra di valore perfettamente uguale, perchè Kirchhoff ha chiamato la meccanica analitica una descrizione dei movimenti che avvengono nella natura. Ma il sig. Engler esagera la portata di questa, come qui si vede, non insignificante osservazione; ed io mi permetto di rinviarlo per questo ad una mia precedente interpretazione, contro la quale nemmeno Kirchhoff ha sollevato alcuna obiezione (Goethe und kein Ende, Reden usw Erste Folge S. 332). Sarebbe deplorevole se, per un equivoco simile a quello del sig. Engler, la chimica potesse cadere nell’incertezza della meta [p. 52 modifica]la chiama, sia pur dalla più grande distanza, vale a dire la «conoscenza astronomica» di ciò che succede nelle sue reazioni.

(2) Saggio filosofico sulle Probabilità. Seconda Edizione. Parigi 1814. p. 2 e segg. Il notevole brano dice: «Tutti gli avvenimenti, anche quelli che per la loro piccolezza sembrano non allacciarsi alle grandi leggi della natura, ne sono una conseguenza necessaria quanto le rivoluzioni del sole. Ignorando i legami che li riuniscono all’intero sistema dell’universo, son stati fatti dipendere da cause finali, o dal caso, secondo che avvenivano e si seguivano con regolarità, avvero senza ordine apparente; ma queste cause immaginarie sono state sempre più respinte indietro coi limiti delle nostre cognizioni, e spariscono completamente davanti alla sana filosofia che vede in esse soltanto l’ignoranza in cui siamo delle vere cause.

Gli avvenimenti presenti hanno coi precedenti un legame fondato sull’evidente principio che una cosa non può cominciar ad essere senza una causa che la produca. Questo assioma conosciuto col nome di principio della ragione sufficiente, si estende anche alle azioni più indifferenti. La più libera volontà non può, senza un motivo determinante, farle nascere; poichè, se tutte le circostanze di due posizioni fossero uguali e in una essa agisse e nell’altra si astenesse dall’agire, la sua scelta sarebbe un effetto senza causa... L’opinione contraria è un’illusione dello spirito che, perdendo di vista le fuggevoli ragioni della scelta della volontà nelle cose indifferenti, si persuade che essa s’è decisa da sè e senza motivi. [p. 53 modifica]

Noi dobbiamo dunque considerare lo stato presente dell’universo come l’effetto dello stato precedente e come causa dello stato futuro. Una intelligenza che a un dato momento conoscesse tutte le forze da cui è animata la natura, e la rispettiva posizione degli esseri che la compongono, quando fosse abbastanza vasta da saper sottomettere questi dati all’analisi, abbraccerebbe nella stessa formola i movimenti dei più grandi corpi celesti e del più piccolo atomo; nulla sarebbe incerto per essa, e l’avvenire come il passato non sarebbero ai suoi occhi altro che presente. Lo spirito umano offre, nella perfezione che ha saputo dare all’astronomia, una debole traccia di tale intelligenza. Le sue scoperte nella meccanica e nella geometria, unite a quella della gravitazione universale, l’hanno messo in condizione di comprendere nelle stesse espressioni analitiche gli stati passati e futuri del sistema del mondo. Applicando lo stesso modo ad altri oggetti di sua conoscenza è riuscito a ricondurre a leggi generali i fenomeni osservati, e a prevedere quelli che date circostanze devono produrre. Tutti i suoi sforzi nella ricerca della verità tendono ad avvicinarlo continuamente all’intelligenza che noi abbiamo immaginata, ma dalla quale resterà sempre lontano. Questa tendenza propria della specie umana è quella che la rende superiore agli animali, e i suoi progressi in questo genere distinguono le nazioni e i secoli, e fondano la loro vera gloria».

(3) Sulla questione riguardo alla fine del mondo v. W. Thomson nel Giornale filosofico ecc. 4ª serie, vol. IV, 1852, p. 304 I. Helmholtz, Sull’azione scambievole delle forze della natura ecc. [p. 54 modifica]Königsberg 1854 p. 22 e segg. anche in Conferenze e discorsi. Braunschweig 1884 vol. 1 pag. 41 e segg. Clausius negli Annali di Poggendorff ecc. 1864. Vol. CXXI p. 1; — 1865 Vol. CXXV p. 398 (Anche in: Saggi sulla teoria meccanica del calore. Seconda parte Braunschweig 1867 p. 41); lo stesso, Sopra il secondo principio fondamentale della teoria meccanica del calore. Conferenza tenuta nella seduta plenaria della 41ª convocazione dei naturalisti e medici tedeschi a Francoforte s. M. ecc. Braunschweig 1867 p. 15. Nelle tre prime edizioni dice così: «Se essa lasciasse (l’Intelligenza di Laplace) crescere t illimitatamente nel suo senso positivo, saprebbe se il teorema di Carnot stabilisce la fine del mondo per raffreddamento soltanto dopo un tempo infinito o già dopo un tempo finito».

La risposta a questa domanda dipende però dal fatto se la somma della massa di atomi che compongono il mondo è finita o infinita. Questo dovrebbe sapere l’Intelligenza di Laplace, già prima di creare la formula del mondo, e non ne avrebbe allora bisogno per sapere se quella fine gli sovrasterebbe dopo un tempo infinito o limitato. Del resto se la somma della massa degli atomi, o per lo meno la loro azione comune su ciascun atomo deve essere finita, l’integrazione delle equazioni differenziali non deve con un numero infinito di atomi condurre a risultati infiniti, per conseguenza la loro concezione anche in idea deve essere impossibile. Perciò Leibniz con meravigliosa profondità, fa dipendere tosto la possibilità della formula del mondo dal fatto che il numero degli atomi sia finito. Tale concezione sta dunque al [p. 55 modifica]fondo del testo. Non ignoro le considerazioni contro la finità della materia in uno spazio infinito, e le complicazioni qui sorte riguardo allo spazio per le ricerche matematiche di Riemann ed altri; ma questo non è il luogo per addentrarci in ciò.

(4) Enciclopedia. Discorso preliminare. Parigi 1751. In-folio Vol. I pag. 9. «L’Universo per chi sapesse abbracciarlo da un unico punto di vista non sarebbe, se è permesso dirlo, che un fatto unico ed una grande verità». In una critica degna d’esser letta, del «Discorso preliminare» Augusto Boeckh dice: «Io considero come sommità e coronamento di tutta la dissertazione la tesi alla quale egli (D’Alembert) arriva con metodo severo» «l’universo sarebbe per chi sapesse abbracciarlo d’un solo sguardo, nient’altro che un unico fatto e una grande verità. Quanto è piccolo da ciò il passo alla Monas monadum di Leibniz, o, per usare l’espressione posteriore, all’Assoluto! Ed io non so se la riserva aggiunta «se è permesso dirlo» non sia nata dal pensiero che egli con quest’idea superava temerariamente i confini delle opinioni dominanti, od urtava anche contro la credenza positiva, che egli del resto risparmia con grande riguardo, ben più del suo discepolo Friedrich (Relazioni mensili dell’Accademia di Berlino 1858 p. 82-83). Non doveva, a un cervello matematico come quello di D’Alembert, apparir più degna di fiducia la previsione del pensiero di Laplace di quella del pensiero di Hegel?

(5) Risposta alle Riflessioni contenute nella seconda Edizione del Dizionario critico di Bayle ecc. God. G. Leibnitii Opera philosophica etc. Ed. J. [p. 56 modifica]E. Erdmann. Berolini 1840. Vol. IV. p. 183-184. «Non c’è dubbio che un uomo potrebbe fare una macchina, capace di girare per qualche tempo in una città, e di voltare precisamente all’angolo di date vie. Uno spirito incomparabilmente più perfetto, sebbene limitato, potrebbe anche prevedere ed evitare un numero incomparabilmente maggiore di ostacoli; e ciò è così vero che se questo mondo, secondo l’ipotesi di alcuni, non fosse che un composto di un numero limilato di atomi moventisi secondo le leggi della meccanica, è ben sicuro che uno spirito finito potrebbe esser abbastanza elevato per comprendere e prevedere dimostrativamente tutto ciò che deve succedere in un tempo fissato; in modo che questo spirito potrebbe non solamente fabbricare una nave capace d’andarsene da sola ad un dato porto, dandole prima il moto, la direzione e la spinta adatta allo scopo; ma potrebbe anche fabbricare un corpo capace d’imitare un uomo».

(6) Nelle prime edizioni si leggeva: «affatto senza riguardo in su e in giù». La considerazione introdotta ora sulla direzione dell’attività fisiologica dei nervi è resa necessaria dalla corrente assiale da me scoperta nei nervi elettrici della torpedine, e cercata da Maurizio Mendelssohn in molti nervi con azione centripeta e centrifuga la quale scorre inversamente alla direzione della corrente d’azione fisiologica. (Relazione delle sedute dell’Accademia di Berlino 1884, p. 231 - 1885 p. 747 - Archivio di fisiologia 1885, p. 135-381 - 1887 p. 106).

(7) Di questa bella maniera di interpretare la verità fondamentale della dottrina dei sensi, sono [p. 57 modifica]debitore a Donders. Essa non cambia niente a ciò che è detto nel testo, che la dottrina delle energie specifiche dei nervi nella forma ivi supposta presso alcuni sensi, specialmente il senso del tatto, urta ancora contro qualche difficoltà. (Cfr. Alfredo Goldscheider, La dottrina delle energie specifiche negli organi dei sensi. Dissertazione inaugurale ecc. Berlino 1881). Una parte di queste difficoltà è stata del resto ultimamente superata dal sig. Magnus Blix a Lund, e dal sig. Goldscheider stesso. Cfr. l’ultimo saggio nell’Archivio di fisiologia. 1885. Vol. supp. p. 1 e segg.

(8) Sulla funzione della corteccia cerebrale. Miscellanee ecc. 2 Ed. Berlino 1890.

(9) Dovrebbe propriamente chiamarsi l’Intelligenza di Leibniz, ma intanto era già stata introdotta da me la definizione «Intelligenza di Laplace» quando trovai in Leibniz lo stesso pensiero, e non mi parve opportuno cambiare.

(10) Friederich Müller Schizzo della scienza del linguaggio. V. I, 2. Vienna 1887. p. 26 - V. II 1. 1882 p. 23, 31, 37, 43, 58, 70, 85, 407.

(11) Cfr. von Helmholtz, Discorso commemorativo di Gustavo Magnus. Discussioni della R. Accademia delle Scienze a Berlino. Dall’anno 1871. Berlino 1872 4º p. 11 e segg. - anche in: Conferenze e Discorsi ecc. Vol. II. p. 46 e segg.

(12) Cfr. Isenkrahe, L’enigma della forza d’attrazione. Critica delle soluzioni fin qui date al problema della gravitazione ecc. Braunschweig 1879; Contributi critici al problema della gravitazione. Klein Gaea 1880. Vol. XVI, p. 472, 544, 600, 647, 745; Teoria di Euler sulla causa della gravitazione. [p. 58 modifica]Periodico di matematica e di fisica di Schlömilch e Cantor. Parte storica e letteraria. 1881 V. XXVI. I. p. 1. - Il 3 febb. 1888 mio fratello, prof. Paolo Du Bois-Reymond, tenne una conferenza all’Associazione fisica di Berlino, nella quale dimostrò che la forza operante a distanza non si può in alcun modo costruire meccanicamente e che perciò è inesplicabile. La conferenza fu stampata nella Rivista di scienza naturale pubblicata dal sig. Sklarek anno III N. 14. Il 28 nov. 1888 il sig. Isenkrahe tenne poi all’Associazione filosofica di Bonn una conferenza diretta contro l’opinione di mio fratello, la quale però fu pubblicata soltanto nel 1890 da Teubner a Lipsia, col titolo: «Sull’azione a distanza e sul terzo Ignorabimus presentato da Paolo Du Bois-Reymond». Purtroppo mio fratello, che morì nell’aprile del 1889, non vide questa pubblicazione, alla quale difficilmente avrebbe mancato di rispondere. Nell’opera postuma di Paul Du Bois-Reymond: Sui fondamenti della conoscenza nelle scienze esatte (Tübingen 1890 da Laupp) pubblicata, da sue note rimaste, dal suo collega alla Scuola tecnica Superiore sig. prof. Guido Hauck, è ripetuto il saggio della Rivista soltanto in forma abbreviata. Nemmeno le ricerche di Hertz sono ancora su questo argomento da prendere in considerazione; dovrebbero però avere in seguito una parte importante in ogni discussione sulle azioni a distanza.

(13) Si comprende che non poteva esser mia intenzione dare, nei limiti di questa conferenza una critica completa delle teorie sulla materia e la forza. Volevo soltanto accennare che qui si nascondono insolubili contraddizioni. Più ampia esposizione di tale [p. 59 modifica]argomento secondo i nuovi tempi si trova in G. Th. Fechner «Sulla teoria atomica fisica e filosofica» Leipzig 1855, e in F. Harms, Introduzione filosofica all’Enciclopedia della fisica, nel 1º vol. dell’Enciclopedia universale della fisica di G. Karsten. Leipzig, 1869, p. 307 e segg.

(14) Cfr. sotto p. 82.

(15) L’azione reciproca delle forze della natura ecc. Königsberg 1854. P. 44; Conferenze e Discorsi. V. I, p. 75.

(16) Sir William Thomson nelle Relazioni della quarantesima prima riunione dell’Associazione Inglese per il Progresso della Scienza, tenuta ad Edimburgo nell’agosto del 1871. Indirizzo del Presidente p. CIII; von Helmholtz nella prefazione alla seconda parte del primo volume della traduzione tedesca del Manuale di fisica teorica di W. Thomson e P. G. Tait. P. XI e segg. (1873); Conferenze e discorsi ecc., V. II p. 346 e segg.

(17) Cfr. Smaasen, negli Annali di fisica e chimica di Poggendorff, 1846, Vol. LXIX p. 161.

(18) Joh. Müller, Manuale di fisiologia dell’uomo ecc. V. I, 4 ed. Coblenz, 1844, p. 28.

(19) V. von Helmholtz l. c.

(20) Cfr. J. Roth nei Saggi della R. Accademia delle Scienze in Berlino. Dall’anno 1871. Berlino 1872. Reparto fisica, 4º, p. 169.

(21) Cfr. sopra la generazione spontanea sotto p. 76 e segg.

(22) Opere di Descartes pubblicate da Victor Cousin. Parigi 1824 v. I. Discorso sul Metodo, p. 158-159; Sesta meditazione p. 344; Obiezioni e [p. 60 modifica]risposte, p. 414 e segg.; Ibidem v. III. I principi della filosofia p. 102.

(23) Ibidem. I principî ecc. p. 151. Cfr. il mio Discorso su Voltaire come naturalista nelle Relazioni mensili dell’Accademia ecc. 1868, p. 43-44; anche nel Discorso ecc. Prima serie, p. 9-11-27.

(24) Ibidem. V. IV. Le Passioni dell’Anima, p. 66, 67, 72, 73; L’Uomo, p. 402 e segg.

(25) Dizionario delle Scienze filosofiche di una Società di professori di Filosofia, Parigi 1844, V. I, p. 523.

(26) Malebranche Sulla ricerca della Verità. Opere complete, dei sigg. De Genoude e De Lourdoueix. Parigi 1873, 4º, V. 1, p. 220 e segg. Della Premozione fisica. Ibidem F. II, p. 392 e segg.

(27) H. Ritter, Storia della Filosofia. Hamburg 1852, V. XI, p. 101 e segg. Harms l. c. p. 235, 236. Schwegler, Storia della filosofia in abbozzo. 7ª ed. Stuttgart 1870, p. 144.

(28) Seconda dilucidazione del sistema della Comunicazione delle Sostanze. 1696. G. G. Leibnitii Opera philosophica ecc. p. 133. Terza dilucidazione, 1696, Ibid. p. 134. Lettera a Basnage ecc. Ibid. p. 152. Il paragone degli orologi si trova anche nel «γνῶϑι σεαυτόν» sive Ethica ecc. di Arn. Geulincx, ed. Philaretus, Amstelod, 1709, 12º, p. 124 nota 19. Da quando Ritter vi richiamò l’attenzione (l. c. p. 140) si suole attribuirlo a Geulincx. Ma poichè quel libro pubblicato quarant’anni dopo la morte di Geulincx e tredici anni dopo la Seconda delucidazione, non è letteralmente opera di Geulincx, e di più contiene parecchi materiali estranei, così probabilmente anche il paragone degli orologi, [p. 61 modifica]dopo che Leibniz lo ebbe trovato e ripetutamente usato, vi fu introdotto in seguito come immagine universalmente nota. Per attribuirlo con sicurezza a Geulincx, bisognerebbe constatarlo in una delle edizioni dell’Etica pubblicate prima del 1696. In Berlino non fu possibile procurarsene. Questa nota spinse un profondo e ingegnoso conoscitore della storia della scienza, il sig. D.r G. Berthold di Ronsdorf a nuove esaurienti ricerche sull’origine del paragone degli orologi. Ne risultò che in sè e senza rapporti coi legami dell’anima col corpo, l’immagine dei due orologi che presentano lo stesso movimento proviene da Descartes, che però fu veracemente usata per primo da Geulincx per la spiegazione dei rapporti fra anima e corpo. Il sig. D.r Berthold lo constatò già in una delle edizioni dell’Etica che egli possiede, dell’anno 1683. Relazioni mensili ecc. 1874, p. 561, 567. Qui (p. 567, nota 2) si completa anche l’elenco dei passi nei quali Leibniz usa il paragone dell’orologio. (Note alla 4a edizione). Più ampie discussioni su questo argomento si trovano nel Programma del Decanato della Facoltà filosofica di Tübingen del D.r Edmondo Pfleiderer; Leibniz e Geulincx, riferendosi specialmente al loro comune paragone degli orologi. Tübingen 1884, 4° Cfr. anche il ragguaglio dello stesso autore: Leibniz e Geulincx nei fascicoli mensili filosofici, 1884, p. 423, 424; come pure nella monografia del sig. Zeller; Sulla prima edizione dell’Etica di Geulincx, e sui rapporti di Leibniz con l’Occasionalismo di Geulincx, nelle Relazioni delle sedute dell’Accademia, 1884, V. II, p. 673.

(29) Leibniz non accenna da quale fonte egli [p. 62 modifica]attingesse l’osservazione di Huygens. Sono debitore al D.r Berthold della seguente notizia: «Presso Feder. Sophie elettrice di Hannover, in abbozzo, Hannover 1810, p. 239, si trova una lettera dell’eletrrice a Leibniz del 21 luglio 1699, nella quale ella domanda come fosse la faccenda della reciproca influenza dei due orologi, della quale Leibniz le aveva parlato, e ch’ella aveva di nuovo dimenticato. Leibniz rispose (26 luglio 1699 d. c. p. 240) che questa era un’osservazione di Huygens su due pendoli («Me l’ha raccontata lui stesso, e l’ha anche pubblicata nella sua opera sui pendoli»), e ne dà una completa descrizione, senza però accennare al paragone con l’anima e il corpo. La prima comunicazione di Huygens si trova nel «Journal des Sçavans» 16 e 23 marzo 1665, egli accenna al fatto nei suo (Chr. Hugenii ecc.) Horologium oscillatorium ecc. Parisii 1673. Fol. p. 18, 19. La sua osservazione non fu soltanto usata, come si dice nelle tre prime edizioni, al principio di questo secolo da Abraham Louis Breguet, per rendere uniforme il movimento di ciascuno dei due orologi (Trattato di fisica sperimentale di Biot, ridotto in tedesco da Fechner. Leipzig, 1829, V. II, p. 129) ma fu anche, verso la metà del secolo scorso, accidentalmente rinnovata e portata più oltre dall’orologiaio Ellicot a Londra. (Un resoconto dell’osservazione fatta della reciproca influenza di due orologi a pendolo. Discussioni filosofiche, 1739, p. 126, 128). Cfr. Laplace, Sull’azione reciproca dei pendoli ecc. negli Annali di fisica e chimica, 1816, v. III, p. 162, con una aggiunta di Arago (in tedesco negli Annali della fisica di Gilbert, 1817, LVII, p. 229). [p. 63 modifica]

(30) Cfr. sotto p. 94.

(31) Nel passo citato sopra p. 17-18 (Cfr. nota 2 a pag. 52-53) Laplace non ha avuto intenzione di descrivere esattamente i limiti della conoscenza astronomica. Si manifesta infatti espressione inesatta quand’egli dice che l’intelligenza umana resterà sempre infinitamente lontana dall’Intelligenza da lui (Laplace) immaginata (cfr. sopra p. 23-53).

(32) Cfr. il mio discorso: Sull’esercizio, nelle due edizioni del discorso. V. II, p. 121.

(33) Col suo «Penso, dunque sono» Descartes intende in origine per pensiero, un atto di pensiero nel suo stretto significato (Discorso sul metodo delle opere di Descartes pubblicale da V. Cousin ecc. V. I, p. 158). Tuttavia spiegò più tardi che egli intendeva con ciò anche semplici sensazioni. «Con la parola pensare intendo tutto quello che si fa in noi in modo che ne abbiamo noi stessi l’immediata percezione, per cui non soltanto capire, volere, immaginare, ma anche sentire, significano qui la stessa cosa che pensare». (Principi di filosofia, ibidem, V. II, p. 67. Cfr. anche Meditazioni, ibidem. V. I, p. 253).

(34) Cfr. sotto p. 85 le osservazioni analoghe di Locke nella forma loro data da Leibniz. La dimostrazione qui da me sviluppata che noi non potremo mai comprendere i processi spirituali dalle loro condizioni materiali, l’ho esposta da anni nelle mie letture pubbliche «Sopra alcune conseguenze degli ultimi studi naturali» e comunicata anche conversando. In un Discorso tenuto all’Associazione Inglese dei naturalisti, a Norwich nel 1868, il mio amico prof. Tyndall si era anch’egli già espresso in [p. 64 modifica]senso analogo (Scopi e limiti del materialismo scientifico, in: Frammenti di scienza ecc. Londra 1871, p. 121; Sesta edizione, V. II, p. 87). Tuttavia io non trovo nel nesso logico del suo concetto l’idea dell’Intelligenza di Laplace come confine della conoscenza umana, e poi che egli prende in considerazione la possibilità di un ulteriore perfezionamento della nostra razza, corrispondente perfino a quello dall’Iguanodon e dai suoi contemporanei fino all’umanità contemporanea, così resta fermo all’«Ignoramus» invece di seguirmi fino all’«Ignorabimus». (Cfr. sotto p. 88-89).

(35) Cfr. il mio discorso sui pensieri di Leibniz sulla nuova scienza della natura, nelle relazioni mensili dell’Accademia ecc. 1870. p. 849. - anche nei Discorsi ecc. 2ª ed. V. I, p. 370. (Cfr. poi solto p. 88).

(36) Ricerche sull’elettricità animale. V. I. Berlino 1848. Discorso preliminare p. 35-36; - Discorsi ecc. 2ª ed. V. I, p. 9. (Cfr. sotto pag. 89 e segg.).

(37) Io spero di avere, con qualche cambiamento nel testo, eliminata l’oscurità che Fr. Alb. Lange nella sua eccellente recensione dei «Confini» ha osservata nelle tre prime edizioni qui presenti. (Storia del materialismo e critica del suo significato nel tempo presente. 2ª ed. 2º libro. Iserlohn 1875, p. 158 e seg.).

(38) Nel discorso su La Mettrie (Relazioni mensili ecc. 1875, p. 101-102. - Discorsi ecc. 2ª ed. V. I, p. 527-528; io dimostrai che egli riguardo alle manifestazioni spirituali si pose veramente dapprima al punto di vista dei naturalisti induttivi. [p. 65 modifica]

(39) Charles Darwin L’origine dell’uomo ecc. Londra 1871. V. I, p. 145.

(40) Cfr. il mio Discorso sui pensieri di Leibniz ecc. 1870, p. 851-852; - Discorsi ecc. 2ª ed. V. I, p. 388-389; - Sull’esercizio, Discorso tenuto nell’anniversario della fondazione della scuola superiore di medicina militare, il 2 agosto 1881, p. 37; - Discorsi ecc. 2ª ed. V. II, p. 127.

(41) Negli «Elementi di psicofisica» parte I Leipzig 1860, p. 5. Fechner tratta del paragone degli orologi e dice: «Leibniz ha dimenticato una supposizione, e proprio la più semplice. Gli orologi possono andar sempre con perfetta armonia, e mai mettersi in disaccordo, perchè non sono nient’affatto due orologi diversi». Nelle tre prime edizioni questa dimenticanza di Leibniz fu accennata nel testo. Ma il sig. Dr. Berthold mi fece osservare che la nota di Fechner fa torto a Leibniz in quanto questi non dimenticò questa quarta possibilità anzi la respinse più volte esplicitamente; perciò non vi accennò più tardi come una delle soluzioni da prendere in considerazione. G. G. Leibnitii Opera philosophica ec. p. 126. N. 11, p. 131.

(42) Lettere fisiologiche per persone colte di ogni condizione. Giessen 1847, p. 206; Fede cieca e scienza. 3ª ed. Giessen 1885, p. 32.

(43) Cabanis. Rapporti del fisico e del morale dell’uomo. 2ª ed. Parigi 1805 V. I, pag. 152 e segg.; Cfr. Jürgen Bona Meyer. Questioni attuali di filosofia ecc. Bonn 1874, p. 196. Lanle, Storia del materialismo ecc. 2° libro 1875. p. 134. Nola 44. p. 288 N. 3. Il Dr. Berthold si è, dopo d’allora, avvicinato all’origine del paragone della secrezione e l’ha [p. 66 modifica]rintracciata in modo curioso fino in una accidentale osservazione di Federico II su questo argomento in una lettera a Voltaire. Relazioni mensili ecc. 1877 p. 765.

(44) «Ignoramus» era la formola dei giurati della Vecchia Inghilterra nel caso d’indecisione se una accusa era fondata o no. Cfr. il Discorso commemorativo di Johannes Müller nelle discussioni dell’Accademia ecc. 1857. Berlino 1860. 4º. p. 86; Discorsi ecc. Seconda serie p. 215; Büchmann, Parole alate ecc. Continuate da Walter Robert-Tornow. 16ª ed. 1889. p. 437-438.