Sull'incivilimento primitivo/Parte VII

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VII.


Fenici e Siri discendono dal ceppo arabico; ai tempi romani l’Arabia era ancor popolata da un popolo pastore, ma quella parte di esso che vivea sul Mediterraneo e con porti sicuri alla navigazione ed opportuni al commercio ben presto differirono dai lor connazionali, ed in tempi molto remoti arrivarono ad un grado considerevole di ricchezza e civiltà. Ove dunque ha principio tal civiltà? Al tempo di Sesostri doveano ancor essere o barbari o nell’infanzia, mentre quel conquistatore corse senza ostacolo il paese loro, ed i popoli liberamente costituiti non lasciarono mai di difendere i loro lari dall’estere invasioni. Manetone assegna a parecchi secoli dopo Sesostri la dominazione in Egitto dei re pastori, che erano per l’appunto barbari fenici, i quali desolarono quel paese circa al tempo dell’ebreo Giuseppe. Nella Bibbia ove tanto si parla del paese di Canaan, luogo ove poi sursero Tiro e Sidone, e degli Idumei; tribù che spandevano le greggi loro da Madian a Damasco, non troviamo traccia alcuna di popoli più civilizzati di quello che potessero essere poveri pastori. I Siri poi, oltre all’avere abitudini d’uomini rozzi e pastorali, erano anche avversi ai lavori delle più gentili e care arti, a causa delle loro particolari istituzioni; così credevano essi contaminato il marmo ove fosse [p. 23 modifica]stato tocco dallo scalpello; maledetto era da essi colui che formasse statue e sculture, mentre benedicevano chi ne distruggesse; con tali massime poteasi sperare da loro un lume di civiltà! La Genesi parla delle carovane del deserto e nulla dice di una nazione navigatrice tanto famosa quanto il dovea essere la Fenicia ove già fosse esistita in tempi anti-storici. Nei sacri libri non si comincia ad aver notizia di Tiro e Sidone che all’epoca di Davidde e Salomone, cioè sol circa mille anni avanti l’èra volgare; Giuseppe Flavio, che apparteneva a quei paesi ed era un accuratissimo istorico, accerta essere stata fondata Tiro circa duecento quarant’anni prima dell’edificazione del tempio di Salomone; ove dunque basare la pretesa civiltà antichissima di questi popoli? Qual mezzo avriano avuto per ispandere la loro civiltà? Il navigare? Or sembra indubitato che i Fenici di poco precedettero gli Egizi nell’aver proprio naviglio e forse lo ebbero da esterna sorgente, e le navi che dettero all’egiziano Necos, contemporaneo di Ciro, per compiere il giro dell’Africa, spiegano chiaramente nell’indole di quella navigazione quanto ancor dovessero essere ignoranti i marinari fenici.

Ci resta ora l’Egitto, ma realmente è questa contrada tanto antica quanto vorrebbero far credere i misteriosi suoi sacerdoti? Difficile è tale assunto, dovendosi vincere una tenace opinione scolastica basata sulle fole raccontate ai vanitosi Greci ed ai superstiziosi Romani dai furbi sacerdoti di quella contrada, e non potendosi opporre antiche memorie scritte, mentre gli annali sacerdotali e le storie ne sono smarrite. Però è da fare in pria una semplice [p. 24 modifica]osservazione: se fra tutte le nazioni è l’egiziana la più vetusta in civiltà, come sarà che singolarmente contrasta con tale assertiva il suolo dell’Egitto che è il più nuovo che sia sulle spiagge dei nostri mari? Questo paese, surto per sedimenti marittimi e fluviali, si può dire che segni allo scienziato le varie età ultime della terra, e forse con esatti calcoli pur si potrebbe rilevare quando fu popolato. Ora sembra indubitato che fosse successivamente invaso da un popolo confinante, l’Etiope il quale, essendone più prossimo, sempre sostenne non essere autottono il popolo egizio, ma gente trapiantatavisi dal loro paese nell’asciugarsi delle paludi. Però quello che studi la razza egiziana chiaramente vede esser essa divisa in due classi affatto dissimili per colore, per intelligenza e per costumi; la plebe appartiene alla razza nera od etiopica, mentre le caste imperanti e docenti sono di razza bianca, indigena nei paesi oltremarini. Chi furono quest’imperanti se non esteri invasori che bandendo la civiltà ivi s’imponevano a padroni? È possibile il supporre che non essi ma gli Etiopi; che sempre nella plebe egizia si riprodussero bestiali, rozzi e poco intelligenti, colà in pria arrecassero civile semenza? Buia resterebbe ora una tal questione ove i politeisti romani, conservandoci i superstiziosi misteri della religione egiziana, non ci avessero dato in Iside ed Osiride la base della provenienza tirrenica della civiltà del paese dei jeroglifici. I Greci conservavano memoria che Iside non fosse altri che l’atlantica Io figlia d’Inaco rifugiatasi in Egitto ove si sposò al re Osiride e tanto fu cara agli abitanti di quel paese che dopo morte fu deificata e [p. 25 modifica]appellata Iside, e le sue feste isiache (Ovid., Met., I). Per tal modo non si facevan differire le origini della civiltà greca ed egizia. Suida dice che Menes, il primo dei dinasti egiziani, avea pure il nome di Mestre e di Egitto e che egli fu che dette il suo nome al paese: soggiunge poi aver egli vissuto in un’epoca in cui un forestiero, nominato Mercurio figlio di Pico, giunse colà. Noi sappiamo quanta scienza questo Mercurio avesse, e come restasse adorato qual Dio in Egitto, ma donde egli venne? Sola memoria di un Pico esperto re l’abbiamo in Italia tramandataci da scrittori latini i quali lo fanno re dei Latini, padre di Fauno e avo del re Latino; e Ovidio dice: Picus in Ausoniis proles saturnia terris (Met., III). Egli pertanto sarebbe vivuto innanzi la guerra troiana poichè la figlia di Latino chiamata Lavinia fu sposata da Enea (Virg., Aen.) e Solino dice esser Mestre contemporaneo di Foroneo, cioè dell’epoca dei primi re d’Attica. La Genesi ci dà notizie poco soddisfacenti riguardo alla civiltà egiziana dell’epoca della schiavitù degli Ebrei e ci testifica che la razza imperante non volea o non potea riuscire alla civiltà dei primi soggetti suoi, i quali tanto temevano i fenomeni della natura, le tempeste, l’eclissi, la peste, la carestia e si comportavano totalmente come idioti selvaggi. La comparsa di Mosè figlio delle acque perchè trovato sul Nilo, la sua indubitata scienza infusagli nell’educazione fra le ancelle reali ed i sacerdoti, confermano la mia idea sull’abbrutimento della razza plebea, e l’istruzione di quella imperante, la quale religiosamente custodiva in profondo mistero i suoi trovati e la sua civiltà. La fuga del popolo [p. 26 modifica]ebreo e la distruzione della gente che l’inseguiva provano la nessuna conoscenza dei fenomeni del mar rosso, su cui pure avrebbero dovuto imperare, e la totale mancanza di naviglio che avevano gli Egizi in un’epoca che per noi è già istorica; e tali fatti sembra che tolgano qualunque velleità di considerare gli Egiziani tesmofori universali. Anzi avendo notizia che i primi civilizzatori di Egitto cioè Iside, Osiride ed Ermete trimegisto ossia Mercurio siano stranieri a quel paese, ed Iside sia figlia a Saturno, che sappiamo re d’Italia che per lui fu detta Saturnia e Mercurio figliuolo di Pico che pur egli fu valentissimo re della Tirrenia, dovremmo lungamente ricercare donde venne all’Egitto la bianca civiltà?

Queste sono le nozioni antistoriche che abbiamo sulle nazioni antiche da cui potrebbesi supporre essere uscito il primo popolo civilizzato, navigatore e tesmoforo per la bella Europa. Consideriamo come fuor di questione gli abitanti dei paesi dell’Asia centrale, India, Cina e Giappone, colle loro esterminate cronologie e colla loro annebbiatissima civiltà primitiva, mentre se pur da esse provenisse la nostra dovrebbero esistere tracce di loro passaggio nelle contrade che segnalammo, dovrebbero essi aver tradizioni di spedizioni lontane da essi fatte come ad essi il lasciava l’uranide Bacco nella sua conquista delle Indie; al contrario la religione loro sempre inibiva un lungo soggiorno in mare e però l’emigrazione in lontane contrade. Così sol ci resta ora a vedere donde Italia avesse la sua civiltà primitiva, e se da essa potessero essere emanati quei tesmofori primitivi divinizzati da tutti.