Teoria della relatività/La relatività particolare/Integrazione dei concetti sin qui esposti e ricapitolazione

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Integrazione dei concetti sin qui esposti e ricapitolazione

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Integrazione dei concetti sin qui esposti e ricapitolazione
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VI


INTEGRAZIONE DEI CONCETTI

SIN QUI ESPOSTI E RICAPITOLAZIONE


Abbiamo ora fatta conoscenza con le relatività del tempo e dello spazio secondo Einstein; è venuto il momento di dimostrare che non si può, in nessun caso, separarle col pensiero. Sin qui questa separazione è stata ora supposta a priori, ora tacitamente accettata dal lettore; anche la nostra esposizione presentava delle manchevolezze che a poco a poco andiamo correggendo, o quanto meno mettiamo a mano a mano in luce.

Ritorniamo a tutta prima all’importante esempio del treno in corsa (pag. 33); ricordiamo il fatto capitale di tutta la teoria della relatività, quello che presentava insormontabili difficoltà alle nostre concezioni: se al momento del suo passaggio davanti ad un osservatore, dall’ultimo vagone del treno di 300.000 chilometri, viene lanciato un segnale che sia emesso dal predellino del treno o dal suolo, un viaggiatore da una [p. 70 modifica]parte, l’osservatore a terra dall’altra troveranno ambedue che in un secondo la luce percorre 300.000 chilometri, benché durante questo secondo il treno si sia spostato. Che si giudichi il fatto credibile o meno, noi lo consideriamo come dimostrato dall’esperienza, e quando l’esperienza ha fatto le sue dichiarazioni la questione è risolta per lo scienziato, o almeno per il teorico, poiché l’esperimentatore può sempre ricominciare le sue prove. Noi a tutta prima abbiamo cercato una spiegazione con Lorentz dicendo che il treno si era contratto. Se ciò fosse la sola ragione, vorrebbe dire semplicemente che la locomotiva è rimasta immobile e che i vagoni si sono serrati verso l’avanti; con questa ipotesi solamente si potrebbe ammettere la coincidenza delle estremità dei 300.000 chilometri del viaggiatore e dell’osservatore fisso. Si è presto convinti della impossibilità di adottare questo modo di vedere senza andare ad urtare contro intrinseche contraddizioni. Poiché se noi supponiamo il segnale emesso in senso contrario alla corsa, dalla locomotiva per esempio, e se a tutta prima facciamo astrazione dalla contrazione, l’osservatore in quiete deve accorgersi che al termine di un secondo la luce non ha solamente raggiunto l’ultimo vagone, ma l’ha oltrepassato perché durante questo tempo il vagone si è spostato in avanti. E dato che il viaggiatore vede arrivare la luce giusto alla coda del treno nello stesso lasso di tempo, se vogliamo risolvere la questione con un metodo analogo a quello seguito sin qui, dobbiamo ammettere un allungamento del treno tale che l’ultimo vagone [p. 71 modifica]sia rimasto immobile, mentre la locomotiva ha avanzato. La contraddizione è evidente: al momento della partenza non si sa ancora se il segnale è emesso nella direzione del movimento o nella direzione contraria: nulla del resto c’impedisce d’immaginare due segnali simultanei inviati ciascuno in un senso. Se il nostro treno fosse dotato della parola si dichiarerebbe forse pronto a farci di gran cuore il piacere di cambiare di lunghezza quanto noi volessimo, ma sarebbe troppo chiedergli di allungarsi e raccorciarsi nel medesimo tempo!

Il problema non è solubile con i procedimenti puramente geometrici: non può esserlo che per mezzo delle considerazioni di tempo. Riprendiamo il nostro segnale partito dall’indietro. Supponiamo una contrazione ben piú debole,1 in modo che la locomotiva possa essersi spostata in avanti; essa è ora piú di 300.000 chilometri dal punto di partenza: la contraddizione sembra si sia aumentata perché, nonostante tutto, il viaggiatore constata che la luce è arrivata sino a lui. Ma ammettiamo che il suo orologio, che andava d’accordo con quello dell’osservatore fisso al principio del secondo, sia andato piú lentamente durante questo lasso di tempo: esso ritarda quindi e l’osservatore fisso potrebbe dire al suo collega: amico mio, tu misuri e misuri nuovamente senza accorgerti che il secondo in questione è passato già da tempo! Il tuo orologio non cammina piú. Io [p. 72 modifica]voglio ammettere che la luce sia arrivata alla tua locomotiva, ma non tentar nemmeno di farmi credere che vi sia giunta in un secondo.

I fatti sono analoghi nel nostro esempio delle onde luminose concentriche della pagina 48. Ciascun osservatore osserva che ogni punto dello spazio è, a suo turno, raggiunto dalla luce; gli è sufficiente aspettare abbastanza lungamente perché ogni punto dell’universo ne riceva la sua parte. Se egli afferma che la luce si propaga secondo una sfera, egli naturalmente vuol dire che i punti della superficie di una sfera sono simultaneamente raggiunti da essa. Ma il concetto di simultaneità non ha nulla di assoluto, come lo dimostra l’ultimo capitolo, esso varia con l’osservatore: ciò che è simultaneo per l’uno può non esserlo per l’altro. Se uno dei nostri osservatori per convincere i suoi colleghi tentasse, per esempio, di fermare la propagazione della luce ad un istante determinato per fare le sue misure con tutta tranquillità e subito dopo gridasse: “Voi vedete bene che la luce ha descritto una sfera della quale io sono il centro!” probabilmente gli si risponderebbe sorridendo: “Mio caro, io non nego che la luce sia giunta ai punti che tu hai segnato, ma non certo simultaneamente! Secondo me essa era in questa regione della sfera che tu hai biffata, prima di essere in quest’altra. E in quanto a ciò che è del tuo metro, dopo come prima, io conservo la mia opinione sul suo conto.”

Se noi abbiamo considerato a parte le modificazioni dello spazio e del tempo è solamente per facilitarne l’intelligenza. In effetti esse non sono [p. 73 modifica]indipendenti ma al contrario, strettamente collegate. Supponiamo, per meglio dimostrarlo, la sola relatività dello spazio; guardiamo il nostro orologio; immaginiamolo abbastanza lontano perché sia necessario aggiungere al tempo letto, il tempo impiegato dalla luce per venire dal quadrante al nostro occhio; questa correzione dipenderà naturalmente dalla distanza dell’orologio e sarà differente per due osservatori che stimeranno diversamente questa distanza. Vediamo dunque che “la relatività delle grandezze spaziali ha per conseguenza la relatività della misura del tempo.” Supponiamo invece il tempo solo relativo; ricordiamoci come, a pag. 40, noi abbiamo misurato il treno in corsa segnando nello stesso istante con dei segni di gesso le posizioni delle sue due estremità sulla via; se non si hanno le stesse idee sulla simultaneità, i segni di gesso cadranno, in conseguenza del movimento del treno, in punti differenti e perciò si troveranno lunghezze differenti. Quindi “la relatività delle grandezze dei tempi ha necessariamente come conseguenza quella delle misure dello spazio.” Questa reciproca dipendenza delle variazioni tra le misure del tempo e dello spazio è senza contestazione uno dei piú grossi ostacoli alla comprensione della teoria della relatività.

Il primo problema di questa teoria è quello della determinazione generale delle relazioni che legano le misure di spazio e di tempo in due sistemi in movimento relativo rettilineo ed uniforme, relazioni che vengono chiamate “equazioni di [p. 74 modifica]trasformazione.” È Lorentz che le ha trovate, ma Einstein è giunto, con la teoria, a dedurle da due ipotesi:

1. L’invariabilità della velocità della luce qualunque sia l’osservatore: noi ammetteremo che è sufficientemente dimostrata dall’esperienza.

2. La relatività di tutti i movimenti rettilinei ed uniformi. Tutti i sistemi in movimento relativo rettilineo ed uniforme godono esattamente delle stesse proprietà. È impossibile distinguere uno che sia “in quiete.” Tutte le leggi naturali sono assolutamente identiche qualunque sia il sistema nel quale esse vengono studiate. In particolare il passaggio da un sistema ad un altro deve farsi come il passaggio inverso, cioè per mezzo delle stesse equazioni di trasformazione.

Le difficoltà di calcolo, puramente matematiche, non sono cosí grandi come potrebbe sembrare a prima vista, almeno sino a che ci si limita ai primi principî della teoria che abbiamo qui accennata. Tali difficoltà nascono sempre dalla lotta senza tregua che risorge tra l’immaginazione che vuole una rappresentazione che le parli, e la teoria che, basata su fatti non rappresentabili e su calcoli piú astratti ancora, dimostra l’impossibilità di questa rappresentazione.

Per finire, a noi è necessario rispondere ad una questione che ritorna sempre in queste discussioni e che il lettore si sarà di già posta. Un sistema può muoversi con la velocità della luce o una velocità superiore? La risposta non è difficile. Supponiamo che il nostro treno corra piú velocemente della luce: un segnale luminoso, [p. 75 modifica]emesso dal vagone di coda, dovrebbe per un viaggiatore propagarsi sul treno, mentre che per l’osservatore in quiete esso si troverebbe all’indietro e di tanto maggiormente quanto maggiore il tratto che il treno avesse percorso. Non vi è alcun mezzo per levare questa contraddizione; non resta che una soluzione: queste velocità sono impossibili; non possono esserci dei corpi che si muovano piú velocemente o anche tanto velocemente come la luce. Ecco alcuni dati numerici: le velocità dei corpi celesti sono da 10 a 30 chilometri al secondo; eccezionalmente qualche centinaio di chilometri, appena il 1/100 di quella della luce; i corpuscoli dei raggi catodici, sopratutto, i raggi β del radium sono piú rapidi; questi ultimi giungono al 99% della velocità della luce. Questa si comporta in qualche maniera come lo zero assoluto in calore; non si può raggiungerlo, per quanto lo si possa avvicinare molto. Se un giorno si trovasse una velocità superiore, essa causerebbe evidentemente una rivoluzione di tutta la nostra fisica teorica. Tuttavia bisogna notare che tali velocità non sono direttamente osservabili, ma sono dedotte da una teoria; ci si risolverebbe dunque senza dubbio a modificare un punto qualsiasi di tale teoria per quanto ciò fosse possibile, per accettare i nuovi fatti.

Si deduce facilmente da questa considerazione un’altra conseguenza. L’impossibilità di raggiungere la velocità della luce non può rivelarsi per cosí dire subitamente; si vede senza fatica che è impossibile che un corpo raggiunga una [p. 76 modifica]velocità uguale al 99% di quella della luce cosí facilmente come lo permette la vecchia meccanica, per non trovare impossibilità altro che ad acquistare l’ultimo centesimo. Una resistenza crescente deve dunque farsi sentire dopo il principio. Ora, la resistenza che un corpo oppone all’aumento della sua velocità è la sua “massa;” in conseguenza noi vediamo che “la massa di un corpo, considerata sino ad ora come una costante assoluta, aumenta con la sua velocità.” Ciò non si può notare per i movimenti ordinari, eccessivamente lenti in confronto alla luce, ma, per i movimenti rapidi degli elettroni, che i raggi catodici e i raggi β del radium ci mostrano, questa conseguenza si verifica molto bene.

Note

  1. In base alle considerazioni della pagina 34 la contrazione del diametro terrestre oltrepasserebbe un chilometro mentre che secondo la teoria esatta essa non è che di cm. 6,5.