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Trattato di archeologia (Gentile)/Arte etrusca/II/Architettura

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Arte etrusca - II II - Plastica
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A. — Architettura degli Etruschi.


I. — Architettura civile e militare.


1. Le mura delle città. — Gli Etruschi nelle opere loro, che si credono più antiche, appaiono continuatori del gigantesco modo di costruire pelasgico, con lavoro più progredito, congiungendo cioè la regolarità della forma con la solidità.

Recingere di mura le città edificate, a differenza di popoli che abitavano in comunità aperte, fu proprio degli Etruschi, che dalle loro costruzioni sembrano aver preso il nome di Tirreni (Τυρσηνοί, Τυρρηνοί, da τύρσις, τύρρις, turris; come, p. es., i Burgundi, Burgunden, da Burg, fortezza).

Cinte murali, formate di grandi massi poligonali, sussistono nei luoghi dov’erano Saturnia od Aurinia, Cosa, Faleri; mura a piani orizzontali di grandi massi quadrati o rettangolari, posati a secco, si vedono a Populonia, Todi, Roselle, Cortona, Perugia, Veî, Fiesole. Tali mura alcuna volta portano scolpito qualche segno fallico; così si vede, p. es., in una ruina presso Terni.

2. Le porte della città. — Ciò che costituisce un carattere proprio dell’architettura etrusca, e che contribuì in sommo grado al suo sviluppo, fu l’uso dell’arco e della volta, che sembrano elementi italici, mentre hanno scarsissima applicazione presso i Greci. Grandi porte arcuate si hanno ancòra [p. 121 modifica]nelle più antiche mura etrusche. Due di tali porte ad arco pieno, formate a cunei concorrenti al centro, si vedono a Volterra nella cerchia delle sue mura antiche. Una di queste porte è ornata d’una gran testa, posta al sommo dell’arco, dov’è la chiave di volta; ed altre due simili teste stanno al sommo delle impostature, ossia degli stipiti (ved. Atl. cit., tav. XVIII). Forse quelle teste rappresentano numi tutelari delle città; è dubbio se debbansi tenere tanto antiche quanto le mura; ma notevole è che una porta di simil forma, ornata con tre teste, vedesi riprodotta sul bassorilievo d’un’urna volterrana, dov’è rappresentato l’assalto d’una città1. Altra porta arcata, simile a quella di Volterra, vedesi nella cinta murale di Falerii (Santa Maria di Falleri). Due porte etrusche a Perugia, la porta Marcia e quella detta Arco d’Augusto, sono formate con grande arco di cunei di travertino.

3. Le opere idrauliche. — Del genio etrusco, inteso al solido costruire per pubblica utilità, fanno fede le memorie e le vestigia delle molte e grandi opere idrauliche. Gli Etruschi, con fosse e canali, risanarono la regione del delta padano, fra il fiume e le lagune di Comacchio; risanarono le valli dell’Arno, della Chiana, dell’Ombrone. Nelle vaste e funeste pianure delle maremme toscane, in quella regione dilettevole molto e poco sana, sorgevano popolose città; il terreno era risanato con molti lavori di condotta delle acque, dei quali ancòra appaiono traccie. Ma, caduta la potenza etrusca e [p. 122 modifica]abbandonata la cura di quelle opere, dilagate e ristagnate le acque, i miasmi e le febbri fecero intorno il deserto. Rutilio Namaziano, nel V sec. di C., viaggiando quelle contrade, esclamava mestamente: Cernimus exemplis oppida posse mori. D’un acquedotto con volta, formata dal graduato sporgere di massi sovrapposti (modo di costruzione analogo a quello del tesoro di Atreo), rimangono avanzi presso Tuscolo. Il maggior monumento di opere idrauliche etrusche è la cloaca maxima di Roma, fatta cominciare da Tarquinio Prisco, compita sotto Tarquinio Superbo, per raccogliere e scaricare nel Tevere le acque stagnanti delle bassure di Roma. L’arcata di volta di questo canale è formata di tre ordini di cunei, uniti fra loro senza cemento, come ancòra la si vede al suo sbocco, presso il tempio detto di Vesta.


II. — Architettura privata.


4. La casa etrusca. — Con gli Etruschi, o almeno nel tempo della civiltà etrusca sorge in Italia l’architettura, con quel carattere di grandiosità suo proprio, che la mantiene originale anche frammezzo alle molteplici e continue influenze greche. L’architettura civile, con la primiera forma della casa italica, sembra accennare a derivazione etrusca, almeno nel pensiero degli antichi, i quali derivarono il nome di atrium dall’etrusca Atria, e nei successivi mutamenti di questa parte della casa designarono la forma più semplice col nome di atrium tuscanicum. L’atrio fu la parte fondamentale della casa antica; formava lo spazio di mezzo, e in parte a cielo scoperto, col focolare il cui fumo usciva dall’apertura nell’alto dell’atrio (impluvium). [p. 123 modifica]Della casa italica, in cui l’atrium è la parte essenziale, credesi riprodotta l’imagine in un’urna cineraria etrusca, trovata a Poggio Cajella, che sembra un’esplicazione delle urne-capanne già ricordate (cfr. pag. 75, e ved. Atl. tav. XIV).

Dell’architettura toscana, della forma degli edifizî, degli elementi e delle membrature architettoniche assai poco ci è noto, non rimanendo nessuna reliquia nè di tempio, nè di casa, nè d’altro edifizio, eretto sopra suolo. Quel poco che dell’architettura etrusca conosciamo deriva, oltrechè dalle scarse notizie di Vitruvio, dalle tombe, le cui interne camere, e spesso le facciate esterne presentano carattere architettonico etrusco.


III. — Architettura religiosa.


5. Il tempio etrusco. — Il tempio toscano è determinato dalla sua forma, dalle prescrizioni del rito augurale. Esso sorge sul terreno destinato e circoscritto per l’osservazione ed interpretazione di quei segni celesti, che nella credenza religiosa italica eran tenuti come manifestazioni della disposizione o volontà divina, rispetto agli avvenimenti umani. Questa osservazione ed interpretazione di segni forse in prima spettò al capo della famiglia, con potestà religiosa, poi passò a speciale ufficio dei sacerdoti. Per l’osservazione (il cui modo fu proprio delle stirpi italiche, sviluppato poi dagli Etruschi), eleggevasi un determinato luogo, circoscritto come luogo consacrato, in un quadrato (templum, τέμενος), rispondente ad un’ideale limitazione dello spazio celeste, per mezzo d’una linea tracciata da oriente ad occidente (decumanus), intersecata da un’altra a questa perpendicolare, da [p. 124 modifica]settentrione a mezzodì (cardo). Nel punto di mezzo, o d’intersezione postavasi l’augure a far l’osservazione, guardando a mezzodì, e considerando come favorevoli i segni che mostravansi a sinistra, infausti quelli di destra. Per la linea del decumanus lo spazio del templum restava diviso in due parti pressochè uguali, un’anteriore (pars antica), l’altra posteriore (pars postica), e prendeva forma quasi quadrata (con una proporzione di 6 di lunghezza per 5 di larghezza); la pars postica costituiva la cella, la pars antica il pronao, divisi per mezzo d’una parete, con una porta collocata nel luogo di intersezione delle ideali linee di limitazione (ved. Atl. cit., tav. XVI, n. 2).

6. La colonna nell’architettura templare etrusca. — Questo quanto all’area templare. L’architettura poi del tempio, assai poco nota, si presenta come derivazione dal greco, riproduzione dell’ordine dorico, ma con notevoli modificazioni. La colonna ne è elemento principale; posa sopra una base, ha proporzioni più slanciate della dorica (cioè 7 diamatri o 14 moduli); l’intercolunnio è assai ampio, rispondendo ad uno spazio di quattro diametri. Il capitello è simile al dorico con echino ed abaco. Sulle colonne posa l’architrave, non di pietra viva ma di legno, onde per la pochezza del suo peso si spiega il largo intercolunnio (v. Atl. cit., tav. XVI, n. 1). Le teste di travi sporgenti, poggiate sopra l’architrave, e al di sopra di queste la gronda (o cornicione), assai pronunziata, sostenevano un alto frontone con ornamenti di terracotta.

L’insieme dell’edificio templare largo e basso mancava dall’armonica severità dell’ordine dorico, e aveva invece un’apparenza greve e tozza. È probabile poi che, per l’ampiezza degli intercolonni, per l’architrave di legno, per la qualità del [p. 125 modifica]materiale, in gran parte di terracotte, gli edifizî non avessero sufficiente saldezza da resistere al tempo, onde in parte si spiega come manchi reliquia di monumento sopra suolo, da cui possiamo riconoscere le forme architettoniche etrusche (ved. Atl. cit., tav. XVII). Solo pochi resti di base, qualche frammento di capitelli si trovarono a Vulci. Colonne di carattere dorico si riconoscono in alcune tombe di Bomarzo; tombe con facciata a modo di tempio restano a Vulci e a Sovana; facciata di tomba con accenni a colonne, a trabeazione con ispartimenti di diglifi, con frontone ed acroteri vedesi a Norchia. E non mancano nelle edicole sepolcrali o nei sarcofaghi, forme di capitelli che ricordano l’ordine ionico ed il corinzio, con teste umane inserte tra il fogliame. Da alcuni avanzi di edifizî già ricordati parlando di Marzabotto, appare che le parti architettoniche s’abbellissero anche con la colorazione, e s’avesse quindi un’architettura policroma (cfr. pag. 149 e segg.).

Di edifizî etruschi quali curie, ippodromi, teatri, ecc., mancano le notizie letterarie, e poco significanti sono le scarsissime ruine; avanzi d’un anfiteatro si hanno a Sutri, e di un teatro a Fiesole e ad Adria, se pur queste non siano opere di tempo romano.

7. La religione dei defunti presso i popoli Etruschi. — Se perdute sono le storie del popolo etrusco, e distrutti gli edifizî che sopra il suolo essi avevano inalzato, le memorie sue si sono rifugiate, e in qualche parte salvate, nelle tombe. Fra le genti italiche assai religiose, religiosissima fu l’etrusca, che Livio disse dedita religionibus, e Arnobio genetrix et mater superstitionis. Nella religione etrusca la cura di onorare i trapassati di funerali, di tombe e d’amoroso culto [p. 126 modifica]ebbe parte principalissima. Gli Etruschi sembrano di continuo compresi dal pensiero del breve nostro vivere, ch’è un correre alla morte, e del destino che attende l’anima oltre la tomba. Alle tombe essi volgono il pensiero con fortissima persuasione di fede e con viva carità delle famiglie, quasi a perpetuare il ricordo della transitoria esistenza di quaggiù. Le anime dei morti credevansi diventar divinità, genî, Lari, veglianti sui luoghi che abitarono in vita; e le anime dei padri e degli avi coi nomi di Mani (Larve, Lemuri) aggiravansi talvolta come spiriti benefici, protettori dei figli e dei nipoti, talvolta come fantasimi terribili ai malvagi. Ad essi facevansi onori d’offerte e di sacrifizi; indi le feste e i riti funebri, e i molti monumenti che ancor sussistono ad ultimo ricordo della civiltà degli antichissimi abitatori d’Italia.

8. Le tombe etrusche e le loro varie forme. — La grandissima quantità di tombe etrusche, essendo scomparse quelle soprasuolo, sono sotterranee, scavate in vario modo, secondo richiede la natura del terreno, dove si allarga il piano; oppure sono superiori al piano dove fianchi di colline e di monte offrono opportuna occasione; talvolta scarpellate nel vivo masso, talaltra murate con grandi massi di pietre squadrate.

Le sotterranee sotto il piano sono camere, precedute solitamente da vestibolo, a cui si discende per via di scale. Talvolta le camere sotterranee sono sormontate da tumuli di terra, contenuti e cinti intorno da muri di grandi massi, ed erette sopra i tumuli erano torri rotonde, o quadrate, o costruzioni coniche, con forme di grande analogia con le tombe orientali di Lidia (ved. Atl. cit., tav. XIX, n. 2).

Le tombe scavate nel fianco del monte sono [p. 127 modifica]grotte sepolcrali con corridoi d’ingresso, che conducono al vestibolo ed alle camere mortuarie. Talvolta all’esterno hanno facciate di edifizî, analoghe pur queste a tombe scavate nel masso, che s’incontrano in Grecia, in Licia e in Frigia.

L’interno delle tombe, formate di una o di più camere, tende a rappresentare, o almeno a ricordare l’abitazione dei viventi, per un progressivo sviluppo di quel concetto che già si è veduto improntato nelle primitive urne-capanne. Sono camere, spesso sostenute da colonne o pilastri, con soppalco orizzontale, a volta, od a tetto, essendo nel soppalco scolpita nel vivo masso la travatura con cassettoni, ad imitazione di soffitto. Nelle pareti sono porte che mettono a camere contigue, ovvero anche porte finte, come anche vi sono finte finestre. Intorno alle pareti, scarpellati nel masso, sono sedili e letti funebri, con guanciali, e sopra distesi i cadaveri con loro vesti ed armi. Le pareti sono ornate di bassorilievi, o di grandi pitture murali, rappresentanti funerali e scene religiose, attinenti alle credenze intorno allo stato delle anime nella vita giornaliera, appesi alle pareti (ved. Atl. cit., tav. XX e XXIV). Presso i cadaveri stanno deposti in quantità vasi o di bronzo o fittili, etruschi e greci; armi ed ornamenti, propri e cari al defunto, ed utensili usati nel rito funebre o nella cena mortuaria.

Fra le tombe etrusche con monumento soprasuolo menzionasi solitamente il grande sepolcro, detto di Porsenna, che sorgeva presso Chiusi, e del quale abbiamo descrizione in Plinio2. Lo scrittore non vide quel monumento che già al tempo suo sembra non esistesse più, ma ne rife[p. 128 modifica]risce per tradizione (fabulae etruscae). Se ne diceva però tanto oltre il credibile, che Plinio si difende con l’autorità di Varrone, da cui prende la descrizione. Era un monumento di grandissima base quadrata; nell’interno aggiravasi un labirinto di corridoi e di camere; sopra la base si elevavano quattro piramidi, una per ciascun angolo, ed una quinta nel mezzo; e, al disopra di queste, altre quattro ancòra, e poi altre ancòra, con tale disposizione che assolutamente ha del fantastico; e fantastica è da molti giudicata quella descrizione, che sembra avere analogia col sepolcro d’Aliatte di Lidia3.

Pur troppo conclusioni cronologiche sul tipo architettonico più o meno sviluppato non si possono stabilire, non potendosi riconoscere, contemporaneamente, un continuo sviluppo nelle singole località, e mancando spesso gli oggetti di arredo determinabili e databili.

Tombe sotterranee scavate nel tufo con scale, corridoi e vestibolo, con una o più camere, si hanno presso Vulci4 (Pian di Voce, nel corso inferiore della Fiora), a Chiusi, a Volterra. Di tombe sormontate da tumuli, o scavate dentro un colle, che forma esso stesso un cumulo naturale, recinto intorno di massi a secco, insigni sono quella di Poggio Cajella e quella detta della Cocumella presso Vulci, tumulo incominciato ad esplorare fin dall’anno 1829, ma non interamente conosciuto. È quasi una collina, cinta intorno da muro di massi quadrati; sull’alto sorgevano torri quadrate e rotonde; in[p. 129 modifica]torno alla base e nell’interno del tumulo si trovarono bronzi, rappresentanti animali fantastici, sfingi, grifoni, chimere, forse ivi deposte in atto di vigilanza, di custodia del sepolcro.

Tombe scavate nel vivo masso abbondano presso Toscanella e a Cere, dov’è l’ipogeo detto della Volta piana, dalla foggia del soppalco orizzontale a cassettoni, simulante un soffitto con travature di legno; e dov’è pure la bella tomba Delle sedie, con un vestibolo e due camere laterali; il vestibolo conduce ad una gran camera principale, che per tre porte mette ad altre tre minori; intorno girano letti di pietra, e negli intervalli fra le porte sono scarpellate nel masso due sedie, da cui l’ipogeo prende nome. Fra le grandi camere sepolcrali con sostegno di pilastri nello stesso masso e con soppalco a travature, notevole è la Grotta dei Tarquinî, presso Cere, dove è inscritto il nome dei Tarquinii stessi: Tarchinas (ved. Atl. cit., tav. XXI).

Tombe scavate nel masso con facciate simulanti prospetti di edifizî sono specialmente a Castel d’Asso (fra Viterbo e Corneto), dove vedonsi porte ornate con modanature ad orecchioni, di carattere egizio; tali porte sono però solo apparenti, come allegoria della chiusa, impenetrabile porta della morte, che separa per sempre l’uomo dalla vita terrena. Facciate di templi vedonsi a Norchia, a Sovana, a Bomarzo. Molteplicità e varietà grandissima di tombe, dalla semplice fossa alle grandi camere dipinte, sono a Corneto-Tarquinia, i cui sepolcri sono stati i primi ad essere conosciuti, illustrati ed anche depredati (ved. Atl. cit., tav. XX, e specialmente tav. XX-XXIX ov’è disegnata la cosidetta Grotta campana). Tombe formate di grandi massi, con volte fatte non ad arco, ma con la sporgenza delle pietre (come i θόλοι) sono ad Orvieto. [p. 130 modifica]

Insigne è il grande sepolcro dei Volunni a Perugia, composto di otto camere contenenti sarcofaghi grandi e belli; è monumento dell’età romana. Tombe etrusche trovansi anche oltre Tevere, ad Ardea; in quest’ultimo luogo si vedono camere sotterranee, con letti e cuscini intagliati nel masso, con soffitti a travature, con sarcofaghi, e traccie di pitture murali; forse quelle stesse che Plinio vide, e disse essere anteriori a Roma5.


IV. — Costruzioni di forma singolare.


1. Nuraghi. — Sono questi monumenti, che per analogia con le costruzioni etrusche, e particolarmente con tombe, vengono da alcuni supposti opera del popolo etrusco. Sono torri a forma di cono troncato, costrutto con grossi sassi, maggiori alla base, decrescenti verso l’alto, informi, raramente lavorati, sovrapposti senza cemento. Alla base è la porta, assai bassa, ma che, alzandosi nell’interno, dà luogo ad un corridoio il quale introduce in una stanza terrena circolare, a volta, con un diametro medio di cinque metri. A questa è talvolta sovrapposta una seconda stanza, a cui si accede per via di scale praticate nello spessore del muro. Il monumento termina con una piattaforma, o terrazzo. La volta delle stanze interne è formata dallo sporgere dei massi con modo analogo a quello dei θησαυροί greci.

L’altezza dei nuraghi varia da 9 a 15 metri; alcuni, ora mezzo distrutti, giungevano sino a 20 m. [p. 131 modifica]Di queste torri alcune sono isolate, altre servono come centro a tre o quattro torri minori disposte all’intorno, e infine parecchi nuraghi si aggruppano insieme a poca distanza fra loro. In Sardegna se ne contano ben tremila.

Quanto alla loro destinazione, s’è disputato assai. Probabilmente furono tombe di capi tribù, le quali servirono poi ad uso sacro, come centro religioso della tribù che s’adunava a compiere i riti intorno alla tomba del suo eroe; e infine poi il centro religioso divenne anche centro di difesa e fortezza, con uno svolgimento di pensiero e di usi non diverso da quello delle acropoli greche. Non si deve dunque assegnare ai nuraghi una sola ed esclusiva destinazione, nè una sola età, ma bensì vedervi una successione di usi in un lunghissimo corso di tempo. A qual popolo spettano essi? Le affinità con le costruzioni etrusche non sono decisive: i caratteri di questi monumenti sono piuttosto pelasgici, quali si vedono nei θόλοι e nei θησαυροί; nemmeno la loro giacitura è favorevole a crederli opera di Etruschi stanziati nella Sardegna, poichè, scarseggiando dal lato che guarda l’Italia, abbondano sui lati opposti prospicienti l’Africa e la Spagna. Non potendo quindi determinare queste opere come certamente etrusche, si suppone siano eseguite da popolazioni libiche6.

Note

  1. Ved. Micali, Stor. dei pop. it., tav. CVIII. — Credo piuttosto che la prima origine di quest’uso sia provenuto dalla barbara costumanza di appendere le teste dei generali nemici fatti prigionieri ed uccisi, per spaventare il nemico stesso e in atto di tripudio per la vittoria ottenuta.
  2. Ved. Plinio, Natur histor, XXXVI, 19.
  3. Ved. Erodoto, Stor. greca, I, 93.
  4. Cfr. Stéphane Gsell, Fouilles dans la nécropole de Vulci. Parigi, Thoia, 1891.
  5. Ved. Plinio, Natur. historia, XXXV, 6; cfr. A. Vannucci, Storia dell’Italia antica, vol. I, e la bibliografia relativa; cfr. L. A. Milani, Il Museo togografico dell’Etruria. Firenze, 1885.
  6. Sui Nuraghi ved. E. Pais, La Sardegna prima del dominio romano in Atti Accadem. dei Lincei. VII. 1880-81. pag. 277. Cfr. Regazzoni, Manuale di Paletnologia, Milano, Hoepli, 1885, pag. 159-165. — Ne parlano anche Sfano, Paleoetnologia sarda, Cagliari, 1871; Alb. Lamarmora, Itineraire de l’Ile de Sardaigne, tom. II; Guido dalla Rosa, Abitazioni dell’epoca della pietra nell’Isola Pantellaria. Parma, 1871; Burton, Note sopra i Castellieri e rovine preistoriche nella penisola istriana, Capo d’Istria. 1877. Cfr. Bull. di Paletnol. ital, IX (1883), pag. 74, 77, ove sono citati altri lavori speciali sull’argomento.