Trento, sue vicinanze, industria, commercio e costumi de' Trentini/Industria, Commercio e Costumi de' Trentini

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Industria, Commercio e Costumi de’ Trentini

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Industria, Commercio e Costumi de' Trentini

Niuno può formare giudizj intorno alla condizione di un popolo senza fare confronto tra lo stato in cui era qualche tempo addietro, e quello nel quale trovasi quando si vuole o si dee giudicare. Io mi veggo in debito, avendo a parlare de’ Trentini, di fare paga la curiosità de’ leggitori, ponendo loro sott’occhio il vero, acciocchè possano fare per sè le loro conclusioni. I saggi si ridono de’ panegirici, e ne restano disgustati. Ei vogliono sapere tutto, o vi proclamano adulatore. Sono risoluto di adempiere il mio dovere, ma, confesso il vero, nol fo senza timore. Mandai fuori l’anno scorso una mia commediola dettata nel patrio dialetto, e per bocca di una vecchia donna e di altri interlocutori, esposi [p. 85 modifica]lo stato in cui trovavasi quarant’anni addietro la Naunia, ch’è la valle in cui nacqui, a fine di far conoscere a’ miei quello che di utile è stato fatto dappoi, e quello che resta a farsi pel comun bene. La maggiore e più sana parte de’ Nauni gustò la commedia, e la intese come va intesa; ma alcuni, che non seppero, o piuttosto non vollero conoscere a qual utile scopo mirasse quello scritto, dissero che ho screditati i nostri buoni vecchi, e che sono un poco di buono, uno scandaloso, e si abbassarono fino alla viltà di fare scrivere (così dicono, io non le ho lette) contro di me pasquinate. Il mio onore non può ricevere macchia dai pasquini! Perciò risi, e rido, perdonai, e perdono. Ma duolmi di aver dovuto restare persuaso che a questo mondo s’incontrano più pericoli da chi fa bene che da chi sa con audacia impedirlo e fare il male. Potrebbe per avventura essere anche in Trento qualcuno che prendesse a spregio e ad onta ciò che sono per dire de’ trapassati e dei viventi, benchè sia verità, e questo spiacerebbemi grandemente, perciocchè forse non avrei più forza abbastanza da poter ridere. Eccovi qual è, e d’onde nasce il mio timore. Se non che mi affida la umanità ed il buon senso de’ [p. 86 modifica]Trentini, i quali al certo conoscono che non tra noi solamente, ma in tutta Europa avveravasi quello che esporre io debbo intorno la maniera di vivere de’ nostri vecchi.

Per quasi intero il passato secolo godettero gli avi nostri di una tranquillissima pace. Il Vescovo Principe viveva delle rendite vescovili derivanti da fondi a ciò destinati, e i pochissimi ufficiali dello Stato e della Curia erano premiati colle tasse imposte dalla legge a chi aveva bisogno del loro ministero. Per ciò non si esigeva che una tenue steura in forza della Lega del 1511 stretta colla Contea del Tirolo, come contributo alla comune difesa, e qualche dazio insignificante. Poco spendevasi in fabbriche ed in abbellimenti, pochissimo in lusso, quasi niente in viaggi, se dir non vogliamo viaggi lo andare de’ giovinotti alle università di Padova, di Pavia, di Bologna, di Salisburgo o di Vienna, per ritornare dottori. Vivevasi in generale frugalmente, e i più, divise molto essendo le terre, potevano dire con quel buon vecchio nel Tasso:

Il mio vigneto e ’l campo mio dispensa
Cibi non compri alla mia parca mensa.

Per ciò si tirava innanzi in una beata [p. 87 modifica]indolenza, solo ponendo attenzione che fossero coltivate le viti, perchè, il detto de’ vecchi: Non possumus vivere nisi de vino, aveva fatto persuasi i possidenti che poco più si potesse fare. La mercatura languiva, ed era quasi in discredito. Quindi pochissimi erano i trafficanti, anche perchè gli abitatori delle valli erano contenti al poco, non avendo mezzi di provvedersi del molto. Il guadagno che si trae dalla filatura della seta lasciavasi quasi tutto agl’industriosi Roveretani. Il civico magistrato, dirollo io? pagava un’ annua somma a quel beccajo che si obbligava di somministrare tutto l’anno carni a chi col denaro in mano ne domandasse!

La gente agiata, per non sapere che fare, leggeva nel Ristretto de’ Foglietti universali, che mandava fuori lo stampatore vescovile, ciò che si credeva bene di far sapere al pubblico intorno alle guerre degli Americani cogl’Inglesi, e dei Turchi cogli Austriaci; faceva d’inverno allegre cene, e di carnevale chiassose mascherate; deliziavasi la estate al giuoco del pallone, e udiva l'opera al teatro Osele, piccolo e malcomodo; dava il suo nome a confraternite di devoti; interveniva alle processioni; e poi divertivasi facendo ai [p. 88 modifica]compagni di quelle beffe che si leggono in molte scipite novelle de’ nostri classici in punto di lingua.

I figliuoli de’ benestanti andavano a scuola; ma a scuola di maestri che mal conoscevano e parlavano la lingua italiana; perchè, non so per quale fatale combinazione, la più parte di loro erano Gesuiti bavaresi, e de’ meno abili, chè i buoni si tenevano là fuori. Interrogato uno di essi dal vescovo Sizzo qual ufizio gli fosse addossato? il pover uomo rispose: Son fenuto per tradire la filosofia! Per ciò l’insegnamento di que’ Padri, che per tutto altrove era l’ottimo, qui era tale che la gioventù imparava poco ed annojavasi molto. Quindi, non conoscendo nè pure per nome gli scrittori italiani che avrebbero potuto invogliarli a studiare, molti bravi giovani si a davano all’ozio.

Conseguenza di un tal genere di vita e di occupazioni de’ ricchi era, che gli artisti in città trovavansi in piccol numero e poco valenti, e che molti poveri non avendo travaglio, passavano il tempo dormigliosi nell’ozio per impoverire ancora più, e dovere poi, mendicando, assediare le porte del castello vescovile, dei conventi e delle case dei doviziosi.

[p. 89 modifica]Non facciamo parola della nettezza, nè delle provvidenze di polizia onde procurare la sanità negli abitanti; chè dovremmo dire cose le quali non sarebbero credute da nessuno, fuorchè da quelli che ne fecero a noi tali descrizioni da dover restarne maravigliati.

Le guerre fattesi negli ultimi anni del passato secolo, e ne’ primi del corrente, la venuta de’ Francesi, i cangiamenti del Governo di vescovile in austriaco, poi in bavarese, indi in italiano, e finalmente in austriaco ancora, mutarono faccia alla città e a tutto il paese, e ne trasformarono, per così dire, gli abitanti. Si dovette dare mano a coltivar meglio i terreni e a dissodarne di nuovi; si fecero arginazioni a’ fiumi ed ai torrenti per assicurare le campagne; si resero più brevi e più praticabili le strade; si asciugarono paludi; si cercò di accrescere con nuove piantagioni il prodotto del vino e della seta; i cittadini e gli abitatori de’ borghi si diedero al mercanteggiare, e molti di essi arricchirono con utile generale; crebbe il numero degli studenti, e non pochi ottennero posti militari, civili, politici, onorevoli e lucrosi. Con tutto questo si eccitò l’emulazione, animossi la gente al travaglio, l’oziosità divenne, come [p. 90 modifica]tra uomini cristiani avrebbe dovuto essere sempre, macchia di disonore che pochi vogliono portare, si vide e vedesi gran movimento, grande attività, in ogni condizion di persone, e fin nei nobili, che, per compensarsi de’ perduti vantaggi, se ne procurano saggiamente degli altri giustissimi, specialmente con lodevole gara nel dedicarsi di proposito alla coltura delle campagne, il che non può dirsi quanta utilità apporti al paese.

Vedemmo infatti nei nostri viaggi che la coltura de’ terreni non solo non è trascurata, ma progredisce in bene continuamente. Il commercio attivo che si fa di seta e di vino produce ai possidenti somme ragguardevoli di oro. I negozianti di Trento non solo hanno accresciuto il numero delle Filande, ma comprano seta filata nelle prossime valli, e ne fanno vendita con profitto a Vienna, a Bergamo, a Milano, a Lione, a Zurigo ed a Londra. I possessori di vigne, oltre il consumo grande che fassene in città per gli albergatori, e tavernieri, vendono caro il proprio vino ai nostri montanari, ed ai Tedeschi, che tutti trincano più che in passato.

Sono in città ancora poche fabbriche, perchè vi è ancora chi, amante del vecchiume, [p. 91 modifica]dà sempre addosso agl’intraprendenti, ma non ne siamo privi. Non intendiamo per fabbriche il lavorare pelli, il far candele, stoviglie, cordami, tele, cappelli, casserole, pajuoli, anelli, collane, tabacchiere, calici, croci di metallo anche prezioso, chè gente occupata in questi lavori ce n’è molta. Il sig. Chiapani ha una Fonderia di campane. Vidi e Bormioli hanno fabbriche di Vetri e Cristalli. I signori Testori e Colombari, e i bar. Bertolini fanno fabbricare e spediscono carta. Evvi pure una fabbrica di birra buona quanto la bavarese. Fanno lavorare seta ne’ loro Filatoj, oltre il signor de Ciani e il conte Bortolazzi, anche i signori Slop e baroni Salvadori, Fronza, Pedrotti, ec., e Mazzurana, vendono in paese e mandano per commissione all’estero, fabbricate dalla loro gente, i primi Paste di varie forme, e l’ultimo belle confetture. Il signor Cristellotti, mediante un’ingegnosa macchina di gran costo, sa fare Acquavite e Spiriti in grande quantità, e dare al liquore quel grado di forza che più si desidera. Molte persone tiene occupata la Raffineria dello zucchero, che vendesi nel paese e in Germania; e molte la preparazione della Fojarola, che i mercanti spediscono sotto il nome di Erba Sommaco. [p. 92 modifica]Altri lavorano l’autunno e l’inverno a fare salami ed altre qualità di carni insaccate, del qual genere d’industria si fa smercio grande in Germania e fino in Polonia. Per ciò si allevano in tutto il Trentino con utile notabile molti majali.

Se dobbiam credere a Pirro Pincio, scrittore di Annali trentini, ci fu tempo in cui li Nauni, abitatori della valle che dicesi Non, somministravano a Trento il grano occorrevole. Ciò avveniva perchè da una parte i Nauni erano allora in minor numero, e non coltivavano gelsi, nè viti a pergola, ma solo a filari, e vivevano frugalissimamente; dall’altra i cittadini, che pur erano in generale frugali, per la difficoltà delle strade, e per mancanza di concorrenti, non trovavano essere di vantaggio avere magazzini di grano comperato altrove. Negli anni di carestia era poi tutto in disperazione. Al presente gli abitanti delle valli, e i Nauni stessi, vengono in Trento a caricare molte migliaja di moggi di grano presso mercanti stabili in città, che ne fanno compera nel Regno Lombardo-Veneto, e che vi guadagnano somme notabili.

Il lino e il canape che si coltiva nelle valli non bastano a’ bisogni dei Valligiani, che [p. 93 modifica]vogliono indossare netta biancheria; per ciò evvi in Trento chi vende molta canevella comperata nel Bolognese, e lino scardassato che viene dal Bresciano e dalle valli tedesche.

Il lusso nel vestire che domina in tutto il Trentino, a differenza de’ tempi andati, fece sì che anche il numero de’ negozianti in questo genere si accrebbe in città notabilmente. E per simil modo, poichè la gente che lavora vuole mangiar meglio che non facevano in generale i nostri nonni, si aumentò pure maravigliosamente la classe de’ venditori di commestibili d’ogni maniera.

La regia Dogana, che frutta al Governo migliaja di talleri per li diritti che percepisce sulle merci provenienti in giù da Bolzano, e in su da Bassano e da Verona, offre a Trento i vantaggi che apportano dovunque cotali istituti.

L’affluenza degli studenti, che qui debbono soggiornare dieci mesi dell’anno co’ loro maestri, specialmente dopochè molti padri vennero dalle valli a domiciliarsi in città colle loro famiglie, mossi dal desiderio di sorvegliare i figliuoli, porta a Trento, e diffonde in tutte le classi, molto denaro.

Non resta però tutto ai cittadini il profitto [p. 94 modifica]ch’ei ritraggono dai detti rami d’industria e di commercio. Questo è chiaro per sè; ma pure al forestiere importa di conoscere quali sieno i loro bisogni e i varj rami di uscita, e noi dobbiamo anche di ciò farlo istruito. Somme notabili si portano via i tributi. Dalle trentine vallate e dalle tedesche riceve la città le carni, il burro, il formaggio, i legumi, il legname da viti e da fabbrica, il carbone e le legne da fuoco. L’Adige dà poco pesce, e per ciò il si dee comperare da chi ne pesca ne’ laghi e fiumicelli delle valli, nel lago di Garda e nell’Adriatico. Si debbe anche far compera di molto frumento, di riso, di olio, di secco pesce, di coloniali, di panni, di stoffe, di tele, e di molte superfluità rese necessarie dal lusso e dalla moda.

In punto di lusso è da notarsi che una circostanza locale permette ai doviziosi di largheggiare in mobiglie, in vestiti ed in divertimenti. La ristrettezza del luogo non offre comodità di far uso di carrozze. Il così detto Corso è per Trento la Via Regia, e pochi amano di esporre sè ed altri agl’insulti del fango e della polvere. Per ciò, limitandosi a fare moto ed inspirare aria libera, passeggiando in compagnia amica, nelle vicinanze della città, [p. 95 modifica]hanno i ricchi un risparmio che supplisce alle spese di altri comodi più desiderati. Prima delle ultime lunghe guerre vedevansi qui molti equipaggi; ma quando si sperimentò che i cavalli dovevano servire il militare, si sono dismessi, ed ora anche il ricco è persuaso che si può vivere bene anche avendo in casa un uomo e due bestie di meno. Ci sono però alcuni che, e per comodo e per decoro, hanno una e due coppie di cavalli, e carrozze di lusso.

Ed eccoci giunti al punto di dover dire della maniera di vivere e delle costumanze de’ Tridentini. Prima però è uopo che lo straniero conosca l’indole de’varj ordini di cittadini. Molte sono le famiglie distinte o per nobiltà o per opulenza, e di quelle che godono ambi questi vantaggi il numero non è scarso. La Nobiltà è in Trento e nel Trentino o trentina, o tirolese, od imperiale. Nobili trentini sono i patrizj di Trento, e quelli che nobilitati furono dai Vescovi Sovrani, e specialmente i loro feudatarj. Patrizie e consolari erano le famiglie che potevano avere parte al governo della città con esclusione delle altre. Son nobili tirolesi quelli che ottennero d’essere ascritti alla così detta [p. 96 modifica]matricola tirolese, che è quanto dire al ruolo de’ nobili della Contea del Tirolo, già quando il Trentino formava uno Stato da quella distinto, o quando strinse con essa alleanza. Imperiali sono detti que’ nobili che ebbero diplomi da qualche Imperatore di Germania. Tutte queste specie di nobiltà apportavano utili esenzioni e reali vantaggi, segnatamente l’ultima, la quale, scorso un dato periodo di tempo, abilitava alle dignità ecclesiastiche anche di là fuora in illo tempore ai soli nobili riservate. Quindi non è meraviglia se molti del Trentino la ambirono, e fecero insegnare a’ loro figliuoli la lingua tedesca, e cercarono di fare parentela con nobili famiglie tedesche. Un inconveniente è però nato, che dover nostro è di fare allo straniero conoscere; e questo è, che nello spedire i diplomi di nobiltà sonosi alterati i nomi delle famiglie, e fatti tedeschi quelli de’ luoghi donde si presero i predicati; per le quali metamorfosi è avvenuto che antichissimi casati si credettero assai recenti, e si tennero e tengono per tedeschi, benchè sieno d’origine italiana. Per esempio, i Gloes, gli Artz, i Khoreth, i Thunn, sono gli antichi nobili feudatarj trentini che sempre si scrissero [p. 97 modifica]Clesio, Arsio, Coredo, Tono. Gli ultimi rivolgimenti politici lasciarono, a chi l’aveva, la nobiltà, ma le tolsero qui, come in altri luoghi, quasi tutti i privilegi, fuori quello di essere onorata in coloro che sanno vivere nobilmente; e di questi ce ne sono adesso forse più che in altri tempi, ne’ quali a non pochi il nome solo bastava.

Il Clero a questi giorni è pressochè tutto di condizione non nobile; e perchè i soli mezzi onde ottenere qualche posto sono la scienza e la buona vita, per ciò esso è in generale bene costumato e colto, colto in guisa che i dottorelli, i quali osano sprezzarlo, impararono da esso, direi quasi, tutto il buono che ancora non hanno dimenticato. Se in città si veggono molti ecclesiastici, questo è perchè qui sono i professori e i candidati in teologia di tutta la vasta e popolosa diocesi, e perchè i maestri del Liceo, del Ginnasio, delle Scuole elementari, e i privati educatori sono in massima parte ecclesiastici. Preti che non abbiano ufizio di cura d’anime, od altro utile impiego, ce ne sono pochissimi.

Il terzo stato, composto come altrove di agiati cittadini, mercanti ad artisti, conta [p. 98 modifica]buon numero di onorate famiglie e doviziose. Scorgesi tra questi molta attività, e la gara che gli anima è passione di emuli e non di rivali. Vivono in concordia non solo col Clero, che amano e rispettano, ma ben anche coll’alta nobiltà che onorano, perchè questa, generalmente parlando, è, come già notammo, umana e cortese, e non ha la boria e le pretensioni che attirano a questo corpo l’odio e il disprezzo delle altre classi di cittadini, in qualche paese meno felice del nostro.

Abbiamo artisti, o, come altri dicono, Artigiani d’ogni maniera, e tra questi alcuni assai valenti. E se i giovani si persuaderanno che per sapere bene un’arte, o un mestiere, ci vuole tempo molto, e molta assiduità e diligenza nel lavoro, e che ognuno si vale più volentieri di un artista morigerato che ha qualche fiorino tra le mani, che di un discolo sul quale non si può fare conto, e che non può lavorare se non è pagato innanzi tempo, Trento, abbondando il paese di belli genj, potrà in breve gloriarsi de’ suoi artigiani. Ma bisognerebbe che i ricchi, a fine di dare incoraggiamento sì alle arti che alla mercatura, da cui trarrebbono utilità eglino primi, comperassero i materiali dai nostri mercadanti, [p. 99 modifica]e li dessero a lavorare ai nostri artisti. Ma non è si bello, nè si ben fatto, nè tanto lodato! Ora no, ma presto sì. Abbiamo eccellenti fabbri, chiavaj, legnajuoli, ec., ec., perchè la moda non è ancora introdotta di comperare i catenacci, i saliscendi, le seggiole e i tavolini dagli esteri.

Alle belle arti si dedicano pochi, perchè lo studio è lungo ed il paese non potrebbe dare occupazione e premio bastante ad uomini distinti. Qualche giovine, che vi è portato dal genio, cerca di fare fortuna in città più popolose e più ricche; parleremo di alcuni valenti in altro luogo.

Essendovi, come si disse, in Trento ed anche nella vicina Rovereto, artigiani eccellenti, l’interno delle case, non solo de’ signori, ma di tutti i non poveri, è provveduto di mobili eleganti da non invidiarne alcun’altra città. Anzi pare ad alcuni che in questo, come in più altri comodi, i meno agiati pecchino per troppo lusso; di che fa lagnanze l’egregio ab. Turatti ne’ suoi belli opuscoli: El mondo dal cul en su, e: El mondo en maschera; da lui dettati con felicità e scorrevolezza di verso in dialetto roveretano.

Amasi anche in Trento di mangiar bene, [p. 100 modifica]vi si alternano vivande preparate all’italiana, alla francese e alla tedesca; il che potrebbe far credere a qualche rigorista, essere i Tridentini poco meno che Sibariti. Ma la ghiottornia sta, secondo il parer nostro, nella eccessiva spesa e nell’intemperanza, e non nella cucina. Pochi fanno uso immoderato di vino e di liquori; il che avviene o perchè si vuole essere uomo sempre, o perchè il vino non è caro abbastanza, o perchè ognuno vi è assuefatto. Bevesi invece da poco in qua molta birra, e perchè piace, e perchè si sperimentò, essere questa bevanda meno pericolosa in ogni senso che il vino.

Passione dominante negli uomini, quasi non meno che nelle donne, si è quella di mostrarsi in pubblico bene vestiti, tutto al contrario di ciò che credette di avere osservato il Mercey, o cortoveggente, o distratto nell’inventare aneddoti e novelle da fare attenti gli scimuniti. Per le vie della città e al passeggio pubblico s’incontrano, in ispecie ne’ dì festivi, gruppi di gente d’ogni condizione elegantemente abbigliata; e fino i villani e le villanelle vengono alla città in abito pulito e di buon gusto. Se ciò sia lodevole in tutti io nol so; il sentenziare tocca ai mercanti. [p. 101 modifica] La gente in Trento e nelle sue vicinanze è robusta e ben fatta. Si veggono giovinotti e ragazze di tutta bellezza ed avvenenza. E quanto al tratto diamo lode al sig. Mercey, che questa volta ha detta una verità, affermando che dalla sveltezza, dal brio, dai penetranti sguardi, e dal pronto parlare di questa popolazione scorgesi tosto che veramente il Trentino è paese italiano. Anche Levvald notò nel portamento e nel tratto de’ nostri giovani questa caratteristica, e per miracolo non la biasimò.

Italiani sono anche i giuochi e divertimenti prediletti de’ Trentini. Si giuoca a tibusco, a tressetti, alla mora e alle bocce di legno nelle taverne; alla palla e al pallone su le piazze; si cantano per le vie arie di teatro; si fanno serenate in occasione di avventurosi avvenimenti; si recitano sonetti e canzoni ai pranzi, alle cene, alle feste di nozze; si frequentano, rarissime volte dalle donne, ma spesso, e forse anche troppo, dagli uomini, le botteghe da caffè. E in questo sono meritevoli di lode alcuni de’ nostri giovani, i quali, evitando i luoghi del parlare scorretto e della maldicenza, preferiscono di giuocare al bigliardo in case private, di fare accademie di [p. 102 modifica]suono e di canto, di recitare commedie, di frequentare il Casino di lettura, e di trovarsi in conversazione, non colla Signora, ma colle Signore colte e virtuose.

Una mascherata che fanno i contadini, cui si associano anche artigiani, diverte in carnovale que’ Trentini che sono amanti di tutto ciò ch’è nazionale ed antico, e questa mascherata è antichissima. Gli uni vestono abiti da villano e fannosi parrucche di canapa; gli altri hanno un vestito militare simile affatto a quello degli antichi lanzichenecchi. Questi chiamansi Ciusi e quelli Gobbi. Hanno ambi i partiti un capo che dicono Re. Tutti, e segnatamente i Ciusi, portano sul volto maschere con brutti ceffi. Un uomo vestito da donna, che appellano la Strossera, vuol fare in piazza Polenta per li suoi Gobbi. Questi le sono attorno in largo cerchio per difenderla dai Ciusi, i quali, colla mira di rapire il Pajuolo, tentano di entrare nel cerchio. A tal fine sfidano essi or l’uno ed ora l’altro de’ vigilanti Gobbi alla prova di forza collo sporgere le mani per fare catena colle braccia dell’avversario, il quale, accettando, sporge le sue, ed ambi le tengono bene strette intrecciando quanto più possono forte [p. 103 modifica]ognuno le proprie dita. Allora molti Ciusi ajutano il loro compagno, abbracciando uno lui, un secondo quest’uno, un terzo questo secondo, e così di seguito in lunga fila l’un l’altro in mezzo alla vita. I Gobbi, che si tengono uniti, acciocchè non sia rotto da nessuna parte il cerchio, con cinghie di pelle o con matasse di filo ben forti, soccorrono il sozio per contrabbilanciare o vincere la forza unita de’ Ciusi. Si tira di qua, si sforza di là, mani e braccia e torace dei due antagonisti sono tra due contrarie potenze, l’uno si ostina, l’altro non cede, si suda, si grida, si urla, e il primo che sentesi mancare nelle mani la forza è il perditore. Si rinnovano gli attacchi e le difese allo stesso modo, e il Pajuolo, o preso o salvato, è la fine del giuoco. Questo giuoco è pericoloso, ma non può dirsi una sciocchezza. Esso ricorda un’epoca gloriosa del valore Trentino. Li Ciusi sono soldati del ferocissimo Ezzelino da Romano che vogliono saccheggiare le case de’ Trentini, e i Gobbi sono villici de’ dintorni che pugnano pro aris et focis, cioè, che difendono la città e le proprie abitazioni. Dicemmo più sopra che i Tridentini costrinsero Ezzelino a cessare qui la sua tirannide e a prendere la fuga.

[p. 104 modifica]A teatro vanno volontieri quasi tutti gli abitanti di questa città; ed è segno del buon criterio e dell’incivilimento delle classi inferiori, che, quando abili artisti rappresentano buone commedie, il popolo vi concorre frequente, vi sta attentissimo, e sa il giorno susseguente fare sue riflessioni intorno al frutto morale che si dee cogliere dalla rappresentazione. Se alle produzioni spettacolose e poco istruttive ci è folla, questo interviene parte perchè si ama di veder gente e d’essere tra la gente, e parte perchè vuole divertimento anche la tenera gioventù, e chi come questa, per non avere mai adoperata l’anima sua, è mal disposto ad attendere ed intendere! Le persone di condizione superiore amano, e non so dirvi per qual principio, assai più l’opera, e disputano tra loro con molto calore, gli uni dannando e gli altri difendendo il dramma, la musica, l’orchestra e i cantanti; dei quali sanno le genealogie e le avventure a memoria quanto quelle de’ loro antenati. E talvolta succede che si monta in collera davvero, e sorgono inimicizie. Non si fanno però nè disfide nè scommesse, e le inimicizie durano fino al subentrare del nuovo spartito e non più.

[p. 105 modifica]Il forestiere leggendo questo domanderà: Come si sta di coltura? Io rispondo: Le scuole sono frequentatissime: se non ancora è riaperta, per ostacoli al tutto estrinseci alla cittadinanza, la pubblica biblioteca, hanno però librerie alcuni privati: i libraj vanno vendendo libretti di divozione, classici italiani, romanzi istorici, ed anche opere scientifiche; ci è un casino di lettura, dove si trovano giornali d’ogni maniera e in ogni idioma più conosciuto: molti de’ nostri giovani intendono e scrivono bene la nostra lingua. Ci è chi legge opere francesi; ci è chi suda per intendere le tedesche; e poi, perchè ognuno loda quella nazione della quale conosce meglio la lingua e gli scrittori, si disputa della preminenza dovuta a questa od a quella; e tutti hanno ragione perchè ciascuno parla di quello che sa e non di quello che ignora, e dando lode agli altri loda sè stesso.

Ma lasciando lo scherzo, che in materia si grave potria a buon diritto essere biasimato ancorchè non sia tutto scherzo, possiamo e dobbiam dire sul serio, che Trento e il Trentino conta a questi dì molti uomini dotti, i quali mostrarono di sapere molto innanzi, pubblicando scritti cari alla repubblica letteraria [p. 106 modifica], e che non pochi ci sono tra noi, i quali, appunto perchè non consumarono il tempo a scrivere per il pubblico, ne sanno forse più di quelli che si fecero conoscere come autori. Buon numero di nostri concittadini ebbero, sotto i Governi bavaro ed italiano, ed hanno pur ora sotto l’austriaco, onorifici e difficili ufizj, e sono ben pochi quelli di cui si possa affermare in verità ch’ei non sanno adempiere i loro doveri.

La lettura di qualche libro inglese, o francese, o tedesco, in cui, mal conoscendosi dall’autore la Cattolica Religione e la sana filosofia, sono proposte nuove dottrine, o riprodotti errori antichi, stravolse la mente di qualcuno che mai non fece studio regolare e continuato. I più, tenendosi fermi ai principi del Cristianesimo conformi appieno a quelli della ragione e tradizione universale, progredirono molto, perchè non dovettero mai dare addietro, in ogni genere di coltura; e distinguendo il diritto dal fatto, il dogma dall’opinione, l’essenziale dall’accidentale, l’eterno dal passaggero, l’opera e il volere di Dio dai sistemi e capricci degli uomini, seppero stare saldi, mentre in più luoghi si delirava, nel retto pensare e nel saggio operare. Per ciò [p. 107 modifica]la nostra gente, che ha buon senso, ammaestrata da questi valentuomini, mostra riservatezza prudente nell’esternare le proprie opinioni intorno a ciò che non tutti intendono allo stesso modo, studio operoso di trattar bene i proprj affari per renderne comoda e onorata la famiglia, studio animato forse in alcuni da un pocolino d’invidia, che diremo temenza di essere da meno di altri, moderazione in tutte le cose, accompagnata da timidezza di arrischiare, rispetto ed amore per la Religione e per coloro che ne praticano con intima persuasione, e non affettatamente, i doveri e i consigli. Questo, chi bene osserva e considera, è quello che forma il costume generale, o, come dicono, il carattere degli odierni abitanti di Trento e del Trentino.

Rimproverano gli uni agli altri i cittadini di essere sempre o renitenti o discordi quando trattasi di contribuire a qualche opera da farsi per utile od onore della patria. Ma questi medesimi rimproveri mostrano che si conosce il bene e si vorrebbe. Noi vedemmo in fatti che ogniqualvolta qualcheduno si accinse coraggioso ad un’opera e la trasse a compimento, chiamati a prendere parte all’utile, [p. 108 modifica]all’onore, al divertimento, i più furono presti a metter mano alla borsa e a versarne ragguardevoli somme. Ci è ancora il vetus fermentum, che noi diciamo vecchiume, quel volere e non volere; quel timore di spendere troppo e senza bisogno, di fare o spendere per altri, quella ripugnanza per ciò che è nuovo, derivante da paura di allontanarsi troppo dall’antico, l’abitudine all’indolenza, il sospetto di vedersi non curato, le massime della sociabilità e della fratellanza non ancora bene conosciute e depurate dagli antichi pregiudizj. Siamo però arrivati a tal punto che fa molto sperare. Già l’abbiam detto: si lascia fare, e si vuol criticare; ma poi si paga, per non restare escluso, come avaro ed insociale, dall’onore e dal divertimento.

Per ciò che spetta ai costumi propriamente detti, cioè alla moralità e religiosità della gente, evvi gran disputa se noi abbiamo deteriorato o se noi siamo divenuti migliori. Ci è chi sostiene che migliorammo notabilmente; ma taluni, i quali credonsi in dovere di essere laudatores temporis actis, dicono incessantemente che i nostri vecchi erano più morigerati, più buoni di noi, corrotti dal secolo guasto per li suoi rivolgimenti; e se ei sanno [p. 109 modifica]di latino vi ripetono le cento mila volte i versi di Orazio:

Damnosa quid non imminuit dies?
Ætas parentum pejor avis tulit
Nos nequiores, mox daturos

Progeniem vitiosorem.

Importa molto di sapere chi si abbia il torto e chi la ragione. Un breve dialogo tra un lodatore del passato e un lodatore del presente, che io udiva farsi testè, potrà forse piacere e dare qualche dilucidazione.

Lod. del pass. O tempora, o mores! Una volta fra noi si aveva fede, avevasi religione; sussistevano parecchie confraternite di devoti, fin quella de’ Battuti, che buone anime! per dar esempio di penitenza flagellavansi in pubblico. Adesso pochi credono, pochi praticano i doveri di pietà; la miscredenza e il disprezzo del culto sono giunti al colmo. Mutatus, mutatus est color optimus!

Lod. del pres. Se al presente ci sono dei miscredenti, o piuttosto dubitanti in punto di fede, e sprezzatori delle pratiche religiose, la colpa devesi in parte attribuire ai vostri buoni vecchi. Ei credevano che gli astrologi e i zingari conoscono l’avvenire, e i maghi [p. 110 modifica]e le streghe possono a loro piacere disporre della potenza del diavolo, colla stessa fermezza con cui davano assenso alle più chiare verità; prestavano fede a scipitissime leggende in cui si narrano impossibili avvenimenti non meno, e forse più, che alle istorie avveratissime. Si giunse a conoscere che tutto questo era irragionevole, e, volendo scuotere il giogo de’ pregiudizj, come pur si doveva, qualcuno, senza accorgimento, andò troppo innanzi, e mise in dubbio verità sacrosante e dimostrate. Si è veduto che molti di quelli i quali erano deditissimi a certe pratiche divote, consumavano parte della contribuzione dei confratelli in cene e tripudj! e menavano vita scandalosa, e con poco giudizio si conchiuse che le pratiche esterne di religione servono di manto all’ipocrisia, e a far credere che per essere buoni basta essere divoti. Ma la più parte della gente conosce adesso che male istruiti e mal divoti erano molti de’ nostri vecchi, e sa benissimo che gl’increduli sprezzatori andarono fuori di via, verificandosi di loro che:

Dum vitant stulti vitia in contraria currunt.

Del resto in punto di religiosità debbo [p. 111 modifica]dirvene una che farà arrossire voi e tutti i panegiristi del passato. Trenta o quaranta anni fa era poca in Trento la frequenza de’ Sacramenti, e ne’ giorni di domenica e di festa, chi visitava, dopo il mezzodì, le chiese della città, non trovava in tutte, oltre i sacerdoti, cinquecento persone! Questi sono fatti. Cacciate la paura dell’umido, del caldo e del freddo, e andate nelle chiese; vi troverete sempre gente che prega, che si confessa, che fa la Comunione; e ne’ giorni festivi le vedrete la mattina, e dopo il mezzodì, tutte piene di gente d’ogni condizione che ascolta la parola di Dio, che canta le sue lodi, che medita, che fa orazione. Anche questi sono fatti.

Lod. del pass. Bene, bene, ma intanto a questi luttuosissimi tempi ognuno presumendo di sapere molto, cura poco i sacerdoti, e manca del rispetto debito alle autorità, e questo è un grave disordine che in passato non ci era.

Lod. del pres. I vostri vecchi facevano scappellate e baciavano la mano a preti e frati, non sempre tutti degni di tal onore, e veneravano, per abitudine o per viltà, i Prepotenti. Come si stesse d’interna stima io non [p. 112 modifica]ve ’l domando. Dicovi solo che al presente si conoscono meglio i diritti e gli obblighi propri e d’altrui. I nobili, i preti, i frati sanno stare ne’ loro limiti e meritarsi la stima della gente. La gente onora il nobile che vive nobilmente, e cura poco e compassiona lo stupido, ozioso e superbo degenerante; rispetta gli ecclesiastici colti ed esemplari, ma per gli ignoranti, avari, boriosi non sa mostrare di aver riverenza, se non se quanta si conviene al carattere. Gli uomini in autorità costituiti si ubbidiscono e si amano se ei sono addottrinati, giusti ed umani; si hanno in dispregio, e colla legge alla mano si fa loro resistenza se ei sono privi di sapere, inurbani od ingiusti. Si sa da ognuno che il sovrano li paga coi nostri denari acciocchè facciano a noi quel bene ch’ei vuole che ne sia fatto.

Lod. del pass. Aspettate un poco, e vedrete dove con codeste massime arriveremo. La gioventù indisciplinata, che non sa fare tante distinzioni, diventa indocile ogni dì più, si fa prosontuosa, scuoterà ogni giogo...

Lod. del pres. A molti uomini attempati, i quali confessavano, forse per gloriarsene, che ai loro tempi si studiava poco, e facevasi molto all’amore, ho udito dire che i nostri [p. 113 modifica]giovani sono più amanti dell’imparare e più morigerati di quello che fossero essi e i loro compagni, de’ quali raccontavano le bravure! La nostra gioventù, se eccettuate qualche scapestrato, è in generale docile e laboriosa, si lascia guidare dai principj dell’onore e conosce e rispetta la santa Religione. S’ei sono astretti ad imparare strani sistemi, se qualcuno gli opprime colla moltiplicità degli oggetti, se vi è chi li tiene troppo lungamente occupati in pratiche di pietà non necessarie, la loro vivacità, il loro buon senso, i documenti degli uomini più discreti li preserveranno dalle conseguenze, ch’essere potrebbono funeste, di uno zelo bensì lodevole ma non bene impiegato. Vedesi in fatti che i. nostri adolescenti, resi più accorti e più saggi dall’avere preso per principj e per regola i dettati della ragione e tradizione universale, unica, vera ed immutabile filosofia, ridono di certe gravi puerilità e si attengono al sodo e all’essenziale in ogni cosa.

Lod. del pass. Voi fate bei quadri, ma non sono che quadri. Pare che non sappiate, essere adesso i costumi sì nel contado che nella città rilassati oltremodo, anzi corrottissimi. Si è mai veduto ne’ tempi andati un lusso così [p. 114 modifica]smodato in ogni cosa, un gozzovigliare così continuo come a questi dì? Si udirono mai tanti scandali di ragazze sedotte, e di giovanotti ammalati di quel morbo ch’è vergogna il nominare? Non è il paese infestato da truffatori e da ladri? Non si conducono di spesso alle carceri malfattori?

Lod. del pres. In nome di Dio! Dunque non dite più che gli uffiziali di giustizia non sono vigilanti e severi come conviene; non dite più che le presenti leggi sono fatte in favore dei birbanti, come, facendo offesa alla sapienza del Sovrano, solete andare dicendo. Piano... so già quello che volete dirmi. Vorreste che s’impiccassero tutti i bricconi come si faceva in passato. Dunque bricconi ce n’erano anche allora! O dite che in que’ tempi non si andava tanto per minuto, e condannavasi per dare esempio? Bell’elogio ai vostri vecchi. Per intimorire la gente si dannavano fors’anco innocenti! E la gente, per imparare ad esser buona, correva come a piacevole spettacolo al luogo dove si tagliava la testa ad un infelice! Adesso la va meglio per tutti. Si gastigano i veri colpevoli (e nessuno dice che ora siamo impeccabili) e si mettono in libertà quelli che si trovò essere innocenti, e quelli [p. 115 modifica]ancora ai quali non si è potuto provare il fallo di cui erano imputati. Questo si chiama fare giustizia. E benedetti sieno i principi che ordinano a questo modo. Chi vuol rigore, e crede sè infallibile, o infallibili i ministri del rigore, è uno stolto! Quando cresce l’attività, il commercio, la popolazione, come avvenne in pochi anni tra noi, cresce l’agiatezza, e sorgon nuovi bisogni. Il bisogno, vero o immaginario, stimola al male, al male solleticano le ricchezze. Tutti i disordini non si torranno dal mondo mai. I vostri vecchi poltroni stavansi contenti alla loro mediocrità, ma sono appunto per ciò più biasimevoli, perchè senza questi incentivi al peccare peccavano allegramente. Io le so io le storielle de’ tempi andati. Da una parte miseria, e necessità di avvilirsi in mille modi, sacrificando la coscienza e l’onore. Dall’altra buoni bocconi, buon vino e piacevoli discorsi, di quelli ch’è vergogna il nominare. Poi balli, amori e risse, e anche talvolta accoltellamenti, il che obbligava a contrarre amicizia col bargello, o ad ingannare qualche credulo sacerdote, a fine di comperar col denaro o colla finta compunzione l’impunità. Molto costavano ad alcuni le povere giovani, cui si [p. 116 modifica]toglievano i mezzi e la voglia di menare vita onestamente laboriosa. Questo contegno rendeva ladri i figliuoli in famiglia, ed obbligava parecchi padri, a contrarre debiti che non si potevano pagare, ed aggiungevasi agli altri peccati quello di essere ingiusti.

Lod. del pass. Ci fu del disordine, ma non qual è adesso. E poi, allora si aveva più amore fraterno, più sincerità nelle amicizie. Oggigiorno vi si protestano servi devoti, o vi chiamano amico, e mangiano alla vostra tavola, e adulano bembene voi, e vostra moglie, e vostra sorella, e le figlie vostre, e poi vanno difilati al caffè per dire male di voi e di tutta la vostra casa.

Lod. del pres. Credo ancor io che questo sia vizio di molti. Rara cosa è il trovare due che si amino sinceramente da veri amici. Sappiamo però che l’invidia tormentava potentemente non pochi ai quali si recitò il Non intres in judicium cum servo tuo; e che molti, requiescant, litigavano ostinatamente, e facevano scrivere e stampare ingiurie scandalose, e si odiavano di tutto cuore. Erano al tempo stesso divoti? vestivano abito di confratello?... Tanto peggio! Se essi commiseravano i poveri e li soccorrevano, bene per loro; si può sperare; [p. 117 modifica]Eleemosyna redimit peccatum. Ma noi gli abbandoniamo nell’indigenza? Voi non ignorate che non solo in Trento, ma in tutto il Trentino si aumentarono, da poco in qua, notabilmente i fondi e le providenze onde sollevare ed assistere in tutti i modi que’ miseri che sono tali per povertà. E preghiamo Dio che non sorgano più di quelle anime buone, che per rilassata amministrazione de’pii istituti lasciarono perire o consumarono i fondi e i capitali destinati a sovvenire i poveri e gl’infermi!

Lod. del pass. Oh, in somma, voi avete un po’ del fanatico; siete male informato, e pungete come una lancetta da flebotomo. Vi avverto che vi farete odiare. Io per me non voglio con voi piatire più oltre. Veggo che ragionando anche coi fatti alla mano non si guadagna nulla. Tenetela come volete; io dirò sempre: I nostri vecchi erano migliori di noi.

Lod. del pres. Ed io, senza lagnarmi dei titoli che mi date, e ringraziandovi de’ buoni avvertimenti, de’ quali, finchè starò per la giustizia e sosterrò la buona morale, non avrò alcun bisogno, vi lascerò pensare e dire a modo vostro. Ma, fino che le cose andranno [p. 118 modifica]di questo passo, non cesserò dal sostenere che, come in molte altre, cose, così anche nella moralità e religiosità noi abbiam migliorato. O se volete dirò: Noi non siamo per niente più cattivi de’ nostri buoni vecchi. E ciò per compiacervi e vivere in pace.