Viaggio sentimentale di Yorick (Laterza, 1920)/X-XI. La porta della rimessa

Da Wikisource.
X-XI. La porta della rimessa

../IX. Su la via ../XII. La tabacchiera IncludiIntestazione 2 maggio 2022 75% Da definire

Laurence Sterne - Viaggio sentimentale di Yorick (1768)
Traduzione dall'inglese di Ugo Foscolo (1813)
X-XI. La porta della rimessa
IX. Su la via XII. La tabacchiera
[p. 21 modifica]

X

LA PORTA DELLA RIMESSA

CALAIS

Allorché dissi al lettore che non mi giovava d’uscire della désobligeante perch’io vidi il frate alle strette con una signora smontata in quel punto all’albergo, io gli dissi il vero, ma non tutto il vero: perch’io mi sentiva piú che mai allettato dalla sembianza avvenente della signora; e intanto il sospetto mi martellava, dicendo: — Vedi che il frate le narra ogni cosa di te. In questa mia perplessità, mi sarebbe piaciuto che il frate fosse nella sua cella.

Ove il cuore precorra l’intelletto, libera sempre da mille travagli il giudizio; ed io mi persuasi subito che quella donna fosse una delle creature predilette dalla Natura: tuttavia non ci pensai piú, e attesi a scrivere il mio proemio.

Nel nostro incontro in mezzo alla via l’impressione tornò: e la vereconda franchezza, con che mi porse la mano, fu indizio per me del buon senso e dell’ottima educazione di quella dama; e nel guidarla io sentiva intorno alla sua persona tale voluttuosa arrendevolezza, che confortò di dolcissima calma tutti i miei spiriti.

— Dio mio! oh come un uomo condurrebbe sí fatta creatura intorno il globo con sé! — [p. 22 modifica]

Io non aveva ancor veduto il suo volto, e non mi premeva: l’effigie fu presto dipinta; ed assai prima che noi fossimo all’uscio della rimessa, la fantasia aveva bella e pennelleggiata tutta la testa, e si compiaceva dell’adottata sua diva, quanto se si fosse tuffata per essa nel Tevere1 Pur tu se’ una sedotta e seducente mariuola; e sebbene ci frodi sette volte al giorno con le pitture e con le immagini tue, tu hai sí dolci malie, e tu abbellisci le immagini tue delle fattezze di altrettanti angeli di luce, ch’ei saria gran peccato a inimicarsi con te.

Quando fummo alla porta della rimessa, la signora abbassò dalla fronte la mano, e mi lasciò vedere l’originale: un volto di forse ventisei anni, d’un trasparente bruno vaghissimo, schiettamente adornato senza cipria né rouge; e non era regolarmente bello; ma spirava un non so che. che nel mio stato d’allora m’attraeva che nulla piú, mi toccava il cuore; ed immaginai che vestisse i caratteri d’un sembiante vedovile, e che il cordoglio, avendo già superati i primi due parossismi, si trovasse allora in declinazione, e andasse adagio adagio rassegnandosi alla sua perdita; se non che mille disgrazie diverse poteano avere dipinto di tant’afflizione quel volto; ed io mi struggea di saperlo; e se le bon ton della conversazione me l’avesse consentito come a’ dí d’Esdra, l’avrei interrogata senz’altro: — E che mai ti tormenta? e perché se’ tu inquieta? e perché è si turbato l’animo tuo?2 — Insomma io mi sentiva della benevolenza per lei; e disegnai, s’io non poteva la mia servitú, d’offerirle, non foss’altro, com’io poteva, il mio obolo di cortesia. [p. 23 modifica]

Si fatte erano le mie tentazioni, e cosí l’anima mia le ascoltava, quand’io rimasi solo con la signora, e con la sua mano nella mia, e co’ visi rivolti all’uscio della rimessa; e più presso di quello che fosse essenzialmente necessario.

XI

LA PORTA DELLA RIMESSA

CALAIS

— Certo, donna gentile — diss’io sollevandole alquanto la mano, — e questo è pure uno de’ tanti capricci della fortuna: ecco come ha congiunte due mani di persone ignote fra loro, diverse di sesso e forse di diversi canti del globo; e congiunte in un attimo, e in sí cordiale attitudine, che né pur l’amicizia, se ci avesse pensato da un mese, avrebbe forse saputo far tanto.

— E’ si vede dalla vostra riflessione, monsieur, che la fortuna v’imbroglia non poco co’ suoi capricci. —

Ove la congiuntura ti giovi, oh quanto importunamente vai stuzzicando il perché e il come è avvenuta!

— Voi ringraziate la fortuna — continuò la signora, — e cosí andava fatto: il cuore sapeva ogni cosa, e n’era contento; ma chi mai, fuorché un filosofo inglese, n’avrebbe mandate novelle al giudizio, perché annullasse la sentenza del cuore?

E, parlando, liberò la sua mano con un’occhiata, che mi fu chiosa bastante a quel testo.

E pur deplorabile la pittura ch’io paleserò qui del mio fievole cuore! Confesso dunque ch’ei fu straziato da tanta pena, che piú degne occasioni non avrebbero potuto infliggergli mai. Io era mortificato d’avere perduta quella mano; e il modo, ond’io l’aveva perduta, non recava né olio né vino su la ferita: né mai, da che vivo, ho si miseramente provato la confusione d’una sguaiata inferiorità. [p. 24 modifica]

Ma in un vero cuor femminile il trionfo di queste sconfitte è brevissimo; ed ella, assai prima d’un mezzo minuto, aveva, come per finire il discorso, posata già la sua mano sulla balzana del mio abito: cosí che (ma io non so come; sappialo Dio!) racquistai la mia posizione. Ella non avea piú che dire.

E immediatamente ripresi a modellare una conversazione piú confacente all’ingegno ed all’animo della signora, da che m’accorsi ch’io n’aveva mal conosciuto il carattere; ma, mentr’ella rivolgevasi a me, vidi che gli spiriti, i quali avevano animato la sua risposta, s’erano a un tratto smarriti: i muscoli rallentavansi; ed io contemplava di nuovo quell’aspetto di sventura derelitta, che mi fece a bella prima tutto suo. Che passione a veder tanto brio mortificato dall’afflizione! il mio cuore gemeva per lei di pietà, Or voi, anime assiderate, vorreste provarvi di ridere: ma io avrei potuto abbracciarla, e senza arrossirne, e riconfortarla, anche in mezzo alla via, sul mio petto.

Le pulsazioni delle arterie delle mie dita, compresse sovra le sue, le dicevano com’io stessi dentro di me: ella chinava gli occhi e taceva; io taceva.

E in quella io temeva d’essermi tanto quanto provato di stringere un po’ piú la sua mano, perch’io mi sentiva nella palma una sottilissima sensazione, non come se la signora volesse ritrarre la mano, ma che ci pensasse; ed io irremissibilmente la riperdeva, se l’istinto, piú che la ragione, non m’avesse guidato all’ultimo ripiego, in tali frangenti, di tenerla lentissimamente e quasi lí lí per lasciarla da me. Cosí ella lasciò correre, finché monsieur Dessein tornò con la chiave; ed io in quel mezzo fantasticava: — Certo certo, se il povero francescano le avesse ridetto il suo caso meco, e’ bisogna pure ch’io mi liberi dal tristo concetto che le si sarà piantato nell’animo: ma e come? — Mi posi a cercar questo come.

Note

  1. A chi per propria discolpa taccia di licenziosa la fantasia del povero Yorick, parrà qui ch’ei mirasse la sua nuova diva senz’alcun velo, come Pallade e Diana furono già vedute dalle fantasie de’ poeti ne’ lavacri de’ fiumi. Ma i lettori casti crederanno, anzi, ch’egli piú veramente alluda alle fantasie innocenti degli antiquari, i quali assegnano un nome d’eroina o di diva a ciascheduna di quelle statue sommerse dall’iguorauza de’ barbari e dallo zelo de’cristiani nel Tevere, e dissotterrate a’ di nostri [F.].
  2. «Quid tibi est? et quare conturbatus est intellectus tuus, et sensus cordts tui? et quare conturbaris?». Esdr., iv, 10, 31. Ma qui e altrove s’è letteralmente tradotta la Bibbia inglese, di cui pare che l’autore siasi sempre valuto [F.].