Vite dei filosofi/Libro Nono/Vita di Timone

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Libro Nono - Vita di Timone

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Diogene Laerzio - Vite dei filosofi (III secolo)
Traduzione dal greco di Luigi Lechi (1842)
Libro Nono - Vita di Timone
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CAPO XII.


Timone.


I. Il nostro Apollonide niceo, nel primo Dei commentari sui Silli, ch’e’ dedica a Tiberio Cesare, dice che Timone ebbe a padre un Timarco, e fu di razza fliasio; che abbandonato da giovine si applicò al ballo, che in seguito spregiandolo se ne andò a Megara presso Stilpone; che seco convisse, e tornato di nuovo a casa, si maritò che dopo, colla moglie, si recò in Elide da Pirrone, e che dimorò con lui finchè gli nacquero figli, il maggiore dei quali appellò Xanto, e istruì nella medicina, e lasciò successore della sua maniera di vivere. — Era, al dire di Sozione, nell’undecimo, assai celebrato per eloquenza; ciò non pertanto mancando di vitto, s’imbarcò per l’Ellesponto e la Propontide; e in Calcedonia si meritò gran lode esercitandovi l’arte del sofista. Di colà, avendo guadagnato, veleggiò alla volta d’Atene, e quivi anche dimorò sino alla morte, facendo per breve tempo alcuna gita a Tebe. — Fu conosciuto da re Antigono e da Tolomeo Filadelfo, com’egli attesta di sè, negli jambi.

II. Afferma Antigono, ch’egli era amico del bere e che occupavasi di cose aliene dalla filosofia; poichè e’ compose poemi, anche epici, e tragedie e satiri e drammi comici trenta e tragici sessanta e silli e ciuedi. E di esso [p. 318 modifica]vanno attorno anche libri prosastici, che si estendono sino a venti migliaia di righe, dei quali fa menzione Antigono caristio, che anch’esso scrisse la costui vita. Tre sono i libri di silli, in cui vitupera e burla, come Scettico, tutti i Dominatici sotto forma di parodia. Il primo di essi ha l’esposizione seguita senza interlocutori, il secondo ed il terzo a maniera di dialogo. Cioè pare che Seoofane colofonio interroghi su ciascuna cosa, ma che e’ sia il proprio risponditore; e che nel secondo parli dei più antichi, nel terzo dei posteriori. Ond’è che taluno anche Epilogo lo intitolò. Il primo contiene le stesse cose, fuorchè il poema non ha che un solo personaggio. Il suo principio è questo:

     Quanti siete sofisti faccendoni
     Or seguitemi.

III. Morì presso al nonagesim’anno, secondo che raccontano Antigono e Sozione, nell’undecimo libro.

Ed io appresi ch’egli era cieco d’un occhio, perchè appellava sè stesso Ciclope.

IV. Vi fu anche un altro Timone, il misantropo.

V. Il filosofo, come scrive Antigono, era amantissimo degli orti e della ritiratezza. È fama che Ieronimo il peripatetico dicesse parlando di lui, che, „Siccome presso gli Sciti e quelli che fuggono e quelli che inseguono tranno d’arco, così tra’ filosofi, alcuni fanno caccia di scolari, inseguendo, altri fuggendo, come Timone.“

VI. Era acuto nell’intendere e nel motteggiare, e [p. 319 modifica]portato allo scrivere, e capace di dettar favole e compor drammi per li poeti. Delle tragedie faceva parte ad Alessandro e ad Omero. Disturbato dalle fantesche e dai cani, non diceva nulla, per desiderio di vivere tranquillamente. — Raccontano che Arato lo interrogò in qual modo si potessero avere i poemi di Omero senza errori, e ch’ei rispose: Se ci abbattessimo negli Esemplari antichi, non per certo ne’ già corretti. — I suoi versi giacevano presso lui negletti, rosicchiati talvolta; a segno tale che il retore Zopiro leggendoli, ed e’ svolgendone le carte e dichiarando man mano ciò che seguiva, giunto alla metà, ne trovò così una parte lacera che avea sino a quel punto ignorata. Tant’era indifferente. Fu poi anche di tal costituzione di corpo da non concedersi nè manco di pranzare. — Narrasi che vedendo Arcesilao passare pel Cercopo abbia detto: Perchè tu qui ove noi liberi? — Ed era solito ripetere del continuo a coloro che giudicano dei sensi col testimonio della mente:

     Ed Attaga e Numenio sono uniti.


E anche era solito scherzare in questo modo. Ad uno che meravigliavasi di ogni cosa disse: Perchè non ti meravigli che noi, essendo tre, non abbiamo che quattro occhi? Egli e Dioscoride suo discepolo erano ciechi di un occhio, senza difetto quello al quale parlava. — Interrogato una volta da Arcesilao perchè fosse venuto da Tebe, rispose: Per ridere vedendovi allo scoperto. Ciò nulla meno pungendo Arcesilao ne’ Silli, lodollo nel [p. 320 modifica]libro che ha per titoio Il banchetto funebre di Arcesilao.

VII. Nessuno, al dire di Menodoto, fu successore di costui, ma la successione discontinuò fino a che Tolomeo il cirenaico non l’ebbe ristabilita. Secondo Ippoboto e Sozione furono suoi uditori Dioscoride di Cipro e Nicoloco di Rodi ed Eufranore seleucio e Prailo della Troade, il quale, secondo che narra Filarco, nelle Storie, fu d’animo sì paziente da sostenere d’essere come traditore ingiustamente punito, neppur degnando i cittadini di una parola. — Di Eufranore fu discepolo Eubulo alessandrino , di questo Tolomeo e di Tolomeo Sarpedone ed Eraclide. Discepolo di Eraclide fu poi Enesidemo cnosio, il quale compose otto libri Di ragioni pirroniche; di Enesidemo Zeusippo polite; di costui Zeusi il Guercio: di Zeusi Antioco laodiceo da Lico; di Antioco Menodoto da Nicomedia, medico empirico, e Teoda da Laodicea; di Menodoto Erodoto figlio d’Arieo da Tarso. Uditore di Erodoto fu Sesto l’Empirico, di cui sono i dieci libri Degli Scettici ed altri bellissimi; e uditore di Sesto Saturnino Citena, anch’esso empirico.