A mia figlia
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Carina di Nole | ► |
I
A MIA FIGLIA
Ben sette volte, all’alito
dei dolci venti, il crine
delle eridanie vergini
di violette alpine
5io vidi rifiorir;
né a me, fanciulla mia.
questa letizia pia
di pórtene sol una
sovra la chioma bruna
10le immansuete collere
dei fati acconsentir.
Perciò, se qualche pargolo
mi guarda o m’accarezza,
un turbamento m’agita
15di tenera tristezza,
e me lo premo al cor,
e un’inusata stilla
dall’arida pupilla
sul fanciullino attonito
20sento grondarmi ancor.
O Ersilia mia, ti cantano
nel cor diciasett’anni ;
sulla tua nivea cóltrice
i graziosi inganni
25si vengono a posar;
l’alba ti sparge in viso
il suo piú dolce riso;
e tu innocente, a sera,
levi la tua preghiera,
30come d’incensi un nuvolo
ai benedetti aitar.
Chi ti somiglia? Il torbido
mar della vita ignori ;
lieta col mondo incognito,
35lieta col Dio che adori;
il paradiso è in te.
Cara, noi sai ; ma il forte
invidia la tua sorte :
noi sai, ma nella porpora,
40cara, la invidia il re.
Vivi, amor mio, cogl’idoli
del tuo pensier. Simile,
nelle tue gioie, al zeffiro
che del beato aprile
45preda gli olezzi al crin,
e allegro li confonde
coll’aurea*luce e Tonde,
sin che alla notte ombrosa,
stanco di voi, riposa
50nell’odorato calice
di qualche gelsomin.
Poco ti calga intendere
di quest’arcana terra;
ma, quasi in tabernacolo,
55fanciulla mia, ti serra
negli umili pensier.
Misero chi qua scende
e troppe cose intende !
Piú casta e men terribile
60saggezza è il non saper.
Dentro un agón che strepita
d’infatigabil lite,
a conquistar si slanciano
le nostre ardenti vite
65fastidio e vanitá.
Sonar la giostra s’ode
d’una fuggiasca lode;
quindi silenzio ed ombra
vinti e vincenti ingombra ;
70ma cauti lo spettacolo
gli spettator non fa.
Anch’io, cedendo ai fascini
della miseria nostra,
picn di speranze olimpiche
75scesi in quell’ardua giostra;
ma, della lite al suon,
arsi in gentil dispetto,
e, pur con piaghe al petto,
tornato in solitudine,
80stanco ma salvo or son.
Cosi, talvolta, a sperdere
sogni e malie funeste,
pingo il tuo bel fantasima,
come si pinge e veste
85un cherubino in ciel.
Ride negli occhi lieti
la grazia dei pianeti ;
l’arco de’ labri spira
soffio d’eolia lira;
90danzi nell’aura, e piovono
ligustri sul tuo vel.
E se, in mirar, s’oscurano
le ciglia mie. tu piano
sulla commossa pálpebra
95cali la rosea mano
quell’ombra a dissipar,
o su’ tuoi labri cari
prendi i miei baci amari,
e, reclinata all’òmero,
100ti sento lacrimar.
Cosi fu sempre. Ogn’umile
cor che mi stette accanto,
colpa d’infausti oracoli,
imparò presto il pianto.
105Piangi tu pur cosi.
Piangi. Chi amar mi deve
ha il riso incerto e breve.
Piangi ; che questo è il giorno
che alle mie case intorno
110girò la Morte, e l’anima
della tua madre usci.
Dal di che in santi spasimi,
cara, da lei venisti,
ella, con vezzi d’angelo,
115ma desolati e tristi,
la cuna tua vegliò.
Pur colle guance sfatte,
ti die’, soffrendo, il latte;
ma dal vederla estinguersi
120Dio gli occhi tuoi salvò.
Péra dall’anno il memore
mese dei fior! Tu stavi
colle manine a tessere
scherzi d’amor soavi
125sul picciolo origlier,
e, allegra e poverina,
dalla infanti! cortina
ahi ! non vedesti in lenta
requie dormir la spenta,
130né a’ piè del letto assurgere
la croce ed i doppieri
Tutto ora sai. Tra i fèretri
di due defunti figli,
come una rosa esanime
135tra due caduti gigli,
oggi tu sai che è lá
sotto una zolla oscura,
che la gentil Natura,
siccome noi, di lacrime
140perpetue aspergerá.
Tra que’ funèbri salici
va’, t’inginocchia e prega.
Quel, che la Morte sépara,
Iddio nel ciel rilega,
145e in terra il sovvenir.
Prega per te, per lei ;
prega pe’giorni miei;
prega che, ad altri unita
od in solinga vita,
150mai non ti sia rimprovero
uno de’ miei sospir.
Chi fa sonar di lucidi
cocchi e corsier le arene;
chi piace ai re, chi prodiga
155nelle superbe cene
nappi d’argento e d’òr.
Il padre tuo, fanciulla,
non ha raccolto nulla;
ma gli riman, fra gli aridi
160sterpi, un celeste fior.
Ira di tempo o d’uomini
sperda il mio picciol nome;
e cosi manchi al povero
allòr delle mie chiome
165d’un tuo sorriso il ben:
se tu mi resti sola,
poco il destin m’invola!
Forse è piú giusto voto
cader sereno e ignoto
170che contristato e splendido
del vasto Nulla in sen.
Tu, ne’ pensosi vesperi,
quando piú l’alma impara,
leggi i miei carmi. E al profugo
175senza vederti, o cara,
se fia destin perir,
prega che almeno io possa,
cenere in poca fossa,
sull’antenoreo margine
180insiem co’ miei dormir.