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Annali (Tacito)/XI

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Libro 11

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Publio Cornelio Tacito - Annali (II secolo)
Traduzione dal latino di Bernardo Davanzati (1822)
Libro 11
X XII
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LIBRO UNDECIMO

SOMMARIO

I. Portentosi principj dell'anno. Claudio Censore. — II. Arroganza e castigo di Polibio liberto. — III. Ovazione decretata da Aulo Plauzio vincitor de’ Britanni. Virtù, e premj di Vespasiano. — IV. Rimesso il crimenlese. — V. Messalina, per la società di Vitellio audace, mette a sacco i cittadini. Atterrato Pompeo Magno, insidia Poppea e Valerio Asiatico. — VI. Valerio Asiatico da Vitellio, Poppea da Messalina rovinata. — VIII. Un sogno rovina certi equestri. — IX. Contro i perfidi avvocati chiedesi la legge Cincia: tassato il loro onorario. — XII. Parti in discordia; Bardane ucciso: regna Gotarze. — XV. Feste secolari. — XVI. Pazza libidine di Messalina e Silio. — XVII. Ignaro di tai nozze Claudio entra censore; tre nuove lettere aggiugne. — XIX. Decreto di senato per regola agli Aruspici. — XXI. I Cheruschi chiedono re a Roma. — XXII. Corbulone abbassa i Cauci: da non restar qui, ucciso Gannasco, se Claudio, suo valor temendo, non impediva i nuovi passi contro i Germani. — XXV. Oscurità e progressi di Curzio Rufo. — XXVI. Gn. Novio colto armato contro il principe. Origine e vicende della questura. — XXVII. Trattasi di [p. 392 modifica]supplire al senato. I Galli fatti già Romani, il dritto acquistano degli onori in Roma, lor causa perorando il principe. — XXIX. Lustro fatto. — XXX. Pubbliche nozze di Messalina e Silio. Claudio vacilla; ma da’ liberti impinto, la moglie e’ ministri di libidine punisce. — XLII. Decretati a Narciso i fregi questorj.
Anno di Roma dccc. di Cristo 47.

Consoli. T. Claudio Cesare IV e L. Vitellio III.

An. di Roma dccci. Di Cristo 48.

Consoli. Aulo Vitellio e L. Vipsanio Publicola.

I. Portentosi principj segnalarono l’anno secolare, in cui Claudio Cesare la quarta volta ma sol surrogato, nuovo esempio in principe, L. Vitellio la seconda furon consoli. Il dì I gennaio, la notte dell’eclissi, tra Gozi e Santerini nell’Egeo spuntò un’isola, fu una fola la fenice portata in Roma da mostrarsi nel Comizio, che se ben marcia fandogna, fu dalla plebe avidamente mirata, e fattone rogito. Il principe altrove intento, col consolato il grado prese di censore dopo Paolo, e Planco non curato, a puntellar la repubblica, che crollava da vecchiaia e da’ vizi predominanti. Rimaser cassi de’ senatori per lusso rovinati e in ispregio. La scamparono i cavalieri per lor numero e ricchezze. Il resto della censura fu come fu, per le tante leggi.

II. Altro sfregio a quella testa vota, che anfana a secco, e con leggi sovra leggi tempesta il mondo, or che in peggior fogna sua casa affoga, era la sempre maggior arroganza de’ liberti. Cesse la lunga [p. 393 modifica]pazienza, più timor che rispetto all’indegnità. Al proferir in teatro un pantomimo quel del poeta, „Che rabbia un guidone in detta!„ affisaron tutti Polibio; che rispose di trionfo collo stesso poeta: „Anco de’ caprai sono stati re.„ A tanta tracotanza non fe’ mossa Claudio. Ma i comuni voti empiè Messalina; per virtù no, ma per non serbar fede a’ complici stessi, Polibio tolse di mira e uccise, di reo commerzio seco invischiato; uom di merito per letteratura e bell’ingegno, se l’ingenue arti con ontosa fortuna non disonorava.

III. Ma per non disgustar coll’assidue sozzure di Messalina chi legge, narriam di più lieto de’ Britanni. Il ben pubblico a lenti, ma certi passi curato avea Aulo Plauzio sopra mentovato. Indarno fero i Barbari delle sortite per odio a straniero giogo, e fidati alla pratica de’ luoghi; fe’ petto sempre del duce l’accortezza e l’invitta virtù di Vespasiano. Da’ lor sinistri abbattuti, baloccavan essi, e Plauzio coll’arti della pace dilatava il dominio. In tale stato mandossi Ostorio Scapula propretore a compier la felice opera. A Plauzio fu decretato il minor trionfo. Entrando in Roma uscì incontro il principe; e fugli a lato al salire e tornar del Campidoglio; oltra forse l’imperatoria maestà, ma non oltra al merito di Plauzio. A Vespasiano per due fortissime nazioni dome, e resa dell’isola Wight, dièronsi le trionfali.

IV. Ripullulò intanto l’antica peste in Roma del crimenlese, per far bottino, aonestandolo colla salvezza del principe. Molti furo accusati; l’ignobili difese lor bassezza, sulla massima di Claudio: „Non è a far vendetta d’una pulce come d’un leone;„ e qui restò la clemenza; nobili e potenti alla mazza; [p. 394 modifica]che soli bastavano a preda. Si mancava agli oppressi il conforto degli ultimi governi; e gli stessi che moriano, dolersi non sapean di crudeltà in Claudio; e ‘l compiagneano di debole e tutto moglie.

V. Tante stragi, per lei sola piagnendosi, che per abito a libidini, per consorteria di Vitellio, di sue enormità braccio, contro beni e vita altrui scagliavasi impunemente; e bastava per culpa il suo odio. Sì la rovina fe’ di Pompeo Magno, da lei imperversato per sua nobiltà e affinità alla casa sovrana. Tese poscia aguato a Poppea e a Valerio Asiatico; a quella per la gran beltà; per le gran dovizie a questo, e suoi amori con Poppea1, credendo che Valerio Asiatico, stato due volte consolo, già si giacesse con Poppea: e anche adocchiando il giardino che comperato già da Lucullo, egli con superba magnificenza abbelliva, fece lui e lei da Suilio accusare: e Claudio, quasi per Carità avvertire, da Sosibio, aio di Britannico: Che questi tanto ricchi e potenti non fanno pe’ principi: e che Asiatico, principale nella morte di Caio, ardì confessarla in parlamento al popol romano: „E se ne vanta, e vassene per Ruma chiaro: e per le province corre fama ch’ei vada a sollevar gli eserciti di Germania; che come nato in Vienna, e potente por multi e gran parentadi, gli saria facile.„ Claudio, senza altro intendere, spedisce Crispino capitano della guardia, con gente in furia, quasi ad opprimere una guerra: trovalo a Baia, legalo, menalo a Roma:

VI. Non in senato, ma in camera, presente [p. 395 modifica], Suilio gli rinfacciò, aver con danari e lussurie corrotto i soldati ad ogni bruttura, adulterato Poppea, servito col corpo suo per femmina. A questo ruppe il silenzio, e disse: „Ti faran fede i tuoi figliuoli, Suilio, che io son maschio.„ Entrato a difendersi, mosse molto a Claudio l’animo e a Messalina le lagrime. Esce, per asciugarle, di camera e comanda a Vitellio, che non lo lasci scappare, e sollecitando la rovina di Poppea, manda a spàventarla di carcere, e indurla a uccidersi, tanto senza saputa di Cesare, che pochi giorni poi, mangiando seco Scipion suo marito, il dimandò: perchè fusse venuto senza la moglie; rispose, esser morta.

VII. Consigliandosi dell’assolvere Asiatico, Vitellio piagnendo, ricordato quanto tempo erano stati amici e divoti di Antonia madre, e quanto Asiatico fatto avea per la repubblica, e in questa guerra di Britannia, e altre cose, che pareano dette per muover compassione, conchiuse potersi al misero far grazia di morte a sua scelta, e Claudio glie la fe’ con eguali parole pietose. Confortandolo alcuni a morte, per digiuno meno aspra. Asiatico disse: „Io vi ringrazio;„ e dopo sue usate cure, lavatosi, mangiato allegramente, dicendo, che gli sarebbe stato più onore esser morto per sagacità di Tiberio o per furore di Caio, che ora per frode d’una femmina, e per la bocca di Vitellio impudica, si segò le vene. E prima veduto il rogo suo, comandò rifarsi altrove, acciò il vapore non abbronzasse le piante: di sì fermo cuore fu sino all’ultimo!

VIII. Ragunato poi il senato, Suilio seguitò d’accusare due illustri cavalieri romani, detti ambo [p. 396 modifica]Pietra, per aver prestato la lor casa agli abbracciari di Poppea con Mnestere: e a uno di loro fu apposto aver sognato Claudio coronato di spighe voltato allo indietro, e indovinatone carestia. Altri dicono di pampani sbiancati, e pronosticato che il principe morrebbe allo scorcio di quello autunno. Certo è che ambi morirono per un sogno. Crispino ne ebbe trentasettemilacinquecento fiorini d’oro e le insegne di pretore. A Sosibio, soggiunse Vitellio, diasene venticinquemila da che ei dà sì buon precetti a Britannico e consigli a Claudio. Richiesto anche Scipione di sua sentenza, disse, „Sentendo io de’ peccati di Poppea come tutti, fate conto che io abbia pronunziato come tutti„ Con sì gentil temperamento fu marito amorevole e grave senatore.

IX. Suilio continuò di fare accuse crudeli, e molti seguitarono il suo ardimento; perciocchè, mettendo il principe le mani nelle leggi e ne’ magistrati, aperse la via alle rapine: nè vi ebbe mercanzia di più spaccio che i tradimenti degli avvocati. Onde Samio cavalier romano de’ primi, avendo a Suilio dato diecimila fiorini, vedutosi messo in mezzo, s’infilzò in casa di lui in su la spada. Per lo qual caso cominciando C. Silio eletto consolo (della cui potenza e morte dirò a suo tempo), si levan su i Padri, e chieggono si osservi la legge Cincia: Che niuno per difender cause pigli presente, nè paga.

X. Sclamando que’ che n’aspettavan vergogna, Silio contro a Suilio dicea vivamente: Gli antichi dicitori aver veduto, il vero premio dell’eloquenza essere la fama eterna; il fare la reina dell’arti sordida bottegaia esserle troppa macchia, nè potere essere lealtade in chi serve chi più ne dà; difendendosi senza [p. 397 modifica]mercede, scemerebbono le liti; nutrirsi ora le nimicizie, l’accuse, i rancori, le ingiurie, affinchè, come le molte malattie la borsa empion a’ medici, così la peste del piatire agli avvocati. Ricordassonsi, che C. Asinio e Messala, tra i moderni Arunzio ed Esernino, salirono in grande altura per facondia e per vita candida. Piacque questo dire a tutti, e ordinavasi di condennargli nella legge del mal tolto. Quando Suilio e Cossuziano e gli altri vider trattarsi, non della loro colpa, ch’era chiara, ma della pena, accerchiano Cesare e preganlo che perdoni il passato. Ei chinò il capo, ed essi cominciarono:

XI. „Qual esser di loro sì superbo che si prometta fama eterna? ogni cosa ingoierebbono i potenti se non fussero gli avvocati, che non s’adottarono senza spesa, e per attendere agli altrui fatti lasciano i propri. Chi vive della guerra, chi dell’agricoltura: niuno vorrebbe far nulla che non credesse approdare. Asinio e Messala, arricchiti delle guerre tra’ Antonio e Augusto, e gli Esernini e gli Arrunzj di grosse ereditadi, potettero esser magnanimi; ma P. Clodio e C. Curione posero pregi alle loro dicerie: ognun sa quanto ingordi. Sè esser poveri senatori, dalla repubblica non volere altro che esser lasciati fare nella città quegli avanzi che la pace può dare. L’artefice lavora per andar un dì in civile; chi leva ì premj leva l’industria, come meno pregiata„. Parve al principe questo parlare a proposito, e tassò le mercedi sino a fiorini dugencinquanta; il soprappiù s’intendesse mal tolto.

XII. In questo tempo Mitridate, che fu re dell’Armenia, e presentato a Cesare, come dissi, tornò per consiglio di Claudio al regno, confidato nel [p. 398 modifica]Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/405 [p. 399 modifica]Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/406 [p. 400 modifica]Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/407 [p. 401 modifica]Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/408 [p. 402 modifica]Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/409 [p. 403 modifica]Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/410 [p. 404 modifica]Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/411 [p. 405 modifica]Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/412 [p. 406 modifica]Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/413 [p. 407 modifica]Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/414 [p. 408 modifica]Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/415 [p. 409 modifica]Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/416 [p. 410 modifica]Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/417 [p. 411 modifica]Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/418 [p. 412 modifica]Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/419 [p. 413 modifica]Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/420 [p. 414 modifica]Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/421 [p. 415 modifica]Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/422

  1. (*) Qui rientra Tacito.