Vai al contenuto

Apriti Standard!/Capitolo quarto

Da Wikisource.
Standard aperti e formati di file

../Capitolo terzo ../Appendice IncludiIntestazione 6 aprile 2024 100% Da definire

Standard aperti e formati di file
Capitolo terzo Appendice

[p. 67 modifica]

Capitolo quarto
Standard aperti e formati di file


1. I formati di file come standard

Cerchiamo innanzitutto di circoscrivere al meglio il fenomeno partendo da una definizione enciclopedica; a tal fine ci può essere di grande aiuto quanto si trova scritto su Wikipedia e specificamente nella voce “Formato di file”:

«In informatica, un formato di file è la convenzione che viene usata per leggere, scrivere e interpretare i contenuti di un file. Poiché i file non sono altro che insiemi ordinati di byte, cioè semplici numeri, per poter associare al loro contenuto cose diverse si usano convenzioni che legano i bytes ad un significato.» 1

Dunque il formato di un file rappresenta la sua struttura informatica e definisce il modo con cui questo è memorizzato e mostrato all’utente. Come a dire che, se per il computer un file altro non è che un agglomerato di bit in formato binario, la differenza fra un formato e l’altro sta unicamente nella modalità con cui il software ordina ed interpreta questi bit, ovvero nella convenzione di volta in volta scelta per codificare e decodificare quelle informazioni. Dietro a queste operazioni di codifica e decodifica ci sono [p. 68 modifica]semplici procedimenti matematici: algoritmi che il computer applica per interpretare ed elaborare le informazioni contenute nel file, nonché per renderle leggibili e comprensibili all’occhio umano (human readable).

Fin da queste premesse si può rilevare un’analogia di fondo con la definizione di standard: cioè il richiamo dell’idea di “convenzione”.

1.1. Formati “nativi” ed effetti di rete

Se diamo per acquisito che un formato sia frutto di una mera convenzione, possiamo genericamente affermare che la scelta di un formato rispetto ad un altro dipende dal modello che si sceglie di applicare per far corrispondere i bit in versione binaria al file in versione human readable. Tuttavia non sempre la scelta dell’utente sul formato da utilizzare è una scelta pienamente libera e consapevole.

Tendenzialmente, ogni software applicativo, pur potendo utilizzare svariati formati nella gestione e nel salvataggio dei file, è impostato dalla sua casa produttrice per utilizzare prioritariamente un formato che possiamo chiamare “nativo-prioritario”. Si crea così uno stretto legame fra il formato del file e il software utilizzato per leggere il file: un legame spesso indissolubile. Alcuni sostengono che si possa parlare di situazioni in cui il formato è in sostanza identificabile con il relativo software di origine.

Sulla base di equivoci come questo e in virtù dei principi in fatto di economie di rete, non è difficile capire quanto la diffusione di un formato possa fungere da traino per la diffusione del software corrispondente: un’implicazione con ripercussioni enormi nell’economia contemporanea nella quale le aziende più potenti del pianeta sono proprio quelle che realizzano e vendono software (e non formati).

Come tra l’altro sostiene efficacemente Michele Sciabarrà, «uno dei problemi più gravi del software proprietario è la sua tendenza a creare documenti in un formato proprietario, difficilmente accessibile a terzi. I motivi sono commerciali: fidelizzare l’utente perché usi il prodotto e le sue versioni successive, fare in modo che colleghi e collaboratori usino lo stesso prodotto per semplificare lo scambio dei file».2

In definitiva, riuscire ad inoculare la convinzione che formato e software siano due rovesci della stessa medaglia (e quindi siano due realtà inscindibili) porta con sé una serie vastissima di esternalità di rete, da cui è poi difficile emanciparsi. [p. 69 modifica]

1.2. L’affermazione di standard in materia di formati

Questo discorso si ricollega necessariamente a quanto scritto da molti autori in merito all’affermazione di standard de facto in ambito informatico: quello dei formati è infatti uno degli esempi più classici di questo fenomeno.

Molte aziende del settore ICT, proprio attraverso la strategia di puntare sull’effetto traino formato-software sono riuscite a modellare il mercato a proprio vantaggio, inducendo gli utenti di servizi informatici a credere che il proprio formato nativo fosse quello più congeniale per la diffusione e lo scambio di file; hanno poi potuto avvantaggiarsi di una posizione di preminenza nel mercato del software con la vendita del relativo programma. In questo modo, alcuni formati proprietari sono riusciti a raggiungere un livello di diffusione tale per cui - a volte erroneamente - sono considerati come standard de facto, ai quali gli utenti o i nuovi soggetti attivi del mercato devono in qualche modo uniformarsi.

Simili distorsioni del sistema possono essere corrette proprio attraverso l’adozione di standard de jure (quindi di standard acquisiti attraverso un processo di standardizzazione e non di semplici standard de facto).

L’utilizzo di standard chiari e condivisi nella formattazione dei file permette - come si è detto - un beneficio per tutti gli utenti di servizi informatici, nonché per gli operatori del settore. Ancora maggiore risulta il beneficio se vengono adottati standard aperti nel senso più pieno del termine. 3

2. Formati proprietari vs formati aperti
2.1. Le specifiche del formato e il concetto di formato proprietario

Le specifiche di un formato costituiscono una serie di informazioni tecniche che descrivono esattamente come i dati devono essere codificati e che possono essere usate per stabilire se uno specifico programma tratti correttamente un determinato formato.

Dunque, la mancanza di tali informazioni non consente una vera trasparenza del formato, non permette cioè di sapere realmente come viene [p. 70 modifica]strutturato e codificato un file in quel formato; e di conseguenza non consente di sviluppare programmi che possano codificare e decodificare file in quel formato 4 con una certa affidabilità e precisione, se non attraverso un lavoro di reverse engineering che comunque non offre sempre garanzie di successo. Tuttavia, a causa dell’uso del segreto come strumento di tutela industriale, in molti casi queste specifiche volutamente non vengono rese disponibili dalle aziende che hanno sviluppato quel formato; e in altrettanti casi chi ha sviluppato il sistema di codifica del formato, non scrive un documento di specifica separato, ma definisce il formato solo implicitamente, attraverso il programma che lo gestisce.

Arriviamo così a comprendere il concetto di formato proprietario, del quale forniamo la definizione disponibile al sito del progetto Openformats (un progetto collaborativo di documentazione sui formati e gli standard aperti e sugli aspetti tecnici, politici ed economici legati al loro uso):

«Diremo che un formato è proprietario se il modo di rappresentazione dei suoi dati è opaco e la sua specifica non è pubblica. Si tratta in genere di un formato sviluppato da un’azienda di software per codificare i dati di una specifica applicazione che essa produce: solo i prodotti di questa azienda potranno leggere correttamente e completamente i dati contenuti in un file a formato proprietario. I formati proprietari possono inoltre essere protetti da un brevetto e possono imporre il versamento di royalty a chi ne fa uso.»5
2.2. Il concetto di formato aperto

In contrapposizione con l’idea di formato proprietario, nell’ultimo decennio è andata delineandosi quella di formato aperto. Iniziamo col riportare la definizione, tratta dalla medesima fonte:

«Diremo che un formato è aperto se il modo di rappresentazione dei suoi dati è trasparente e/o la sua specifica è di pubblico dominio. Si tratta generalmente (ma non esclusivamente) di standard fissati da autorità pubbliche e/o istituzioni internazionali il cui scopo è quello di fissare norme che assicurino l’interoperabilità tra software. Non mancano tuttavia casi di formati aperti promossi da aziende, che [p. 71 modifica]hanno deciso di rendere pubblica la specifica dei propri formati.»6

Emerge lampante il richiamo a due grandi tematiche che permeano tutta la teoria giuridico-economica relativa allo sviluppo tecnologico: quella dell’interoperabilità e quella direttamente connessa dell’utilizzo di standard condivisi a livello internazionale. Dunque l’uso e la diffusione di formati standard aperti diventa a tutti gli effetti uno degli obbiettivi principali di tutti i movimenti culturali attivi nell’ambito dell’informatica libera.

Evitando la tentazione di lasciarsi ingabbiare in posizioni meramente ideologiche, i teorici dell’informatica libera puntano i riflettori su un semplice calcolo di vantaggi e svantaggi nella scelta fra formati proprietari e formati aperti. Il progetto Openformats ha impostato un efficace confronto fra i due modelli, elaborando otto argomentazioni di fondo per mettere a fuoco la preferibilità dell’adozione dei formati aperti.

Da un lato sono state puntualizzate quattro ragioni per evitare di scambiare file in formati proprietari; la prima di natura pratica, la seconda e la terza di natura tecnico-informatica, la quarta di natura socio-economica:

  • correre il rischio che il destinatario non possa leggere il file;
  • correre il rischio di diffondere informazioni confidenziali;
  • contribuire alla diffusione di virus ed esporsi al rischio di contaminazione;
  • rinforzare i monopoli di fatto nel campo dell’informatica.

Successivamente sono state puntualizzate quattro ragioni che invece incentivano l’adozione di formati aperti come scelta prioritaria:

  • assicurare l’accessibilità e la perennità dei dati;
  • garantire una trasparenza perfetta al livello del contenuto dei dati scambiati;
  • limitare la diffusione dei virus;
  • promuovere la diversità e l’interoperabilità nel campo dell’informatica.

Anche l’indagine conoscitiva sull’open source compiuta dalla Commissione Meo nel 2003 (uno dei documenti più importanti in Italia su [p. 72 modifica]questa materia)7 ha voluto fornire una definizione di formato aperto (per altro intersecandola con la comune definizione di standard):

«Un formato è uno standard aperto quando soddisfa il requisito di pubblicità e di normazione (p.e. XML e HTML sono standard aperti perché le loro specifiche sono pubblicamente documentate, definite e mantenute da un ente di standardizzazione, il W3C).»

Di seguito lo stesso documento si preoccupa di precisare alcuni principi essenziali che si pongono come fondamento dell’adozione dei formati aperti nel settore pubblico:

«L’utilizzo dei formati aperti assicura alcuni importanti benefici:
Indipendenza. La documentazione pubblica e completa del formato consente l’indipendenza da uno specifico prodotto e fornitore; tutti possono sviluppare applicazioni che gestiscono un formato aperto.
Interoperabilità. Usando formati aperti (e a fortiori formati aperti standard) sistemi eterogenei sono in grado di condividere gli stessi dati.
Neutralità. I formati aperti non obbligano ad usare uno specifico prodotto, lasciando libero l’utente di scegliere sulla base del rapporto qualità/prezzo.
Inoltre, i formati testo aperti standard [...] comportano l’ulteriore beneficio della persistenza, caratteristica importante per la tutela del patrimonio informativo nel tempo a fronte del mutamento tecnologico. Infatti, il formato testo è il formato più indipendente dall’evoluzione tecnologica; pertanto le informazioni rappresentate con questo formato sono recuperabili anche molto tempo dopo la generazione, senza necessità di pesanti riconversioni.»8
[p. 73 modifica]Fig. 3. — Questo schema intende rappresentare il rapporto tra il concetto di standard e quello di formato. L’area più scura sta a rappresentare la caratteristica dell’apertura.
3. Alcuni formati documentali e le relative standardizzazioni

Focalizziamo la nostra attenzione innanzitutto sui formati documentali, che più interessano il mondo della pubblica amministrazione e per i quali come vedremo diffusamente - possiamo registrare alcuni utili casi di studio relativi a processi di standardizzazione.

3.1. ASCII

L’ASCII rappresenta il formato testuale più essenziale in assoluto; si basa infatti su un numerus clausus di caratteri (127 in tutto) ed è per questo leggibile da parte di tutti i tipi di calcolatori indipendentemente dalla piattaforma utilizzata. È stato proposto nel 1961 dall’ingegnere Bob Bemer di IBM, e il suo nome deriva dall’acronimo di “American Standard Code for Information Interchange” (ovvero Codice Standard Americano per lo Scambio di Informazioni).

L’ASCII nella sua versione originaria a 7 bit (chiamata anche ASCII ristretto, o US-ASCII) è stato riconosciuto come standard dall’ISO con il codice ISO 646:1972.9 Esiste tuttavia una seconda più recente versione, la quale, essendo ad 8 bit, consente una gamma più ampia di caratteri (256 in totale) e quindi può meglio adattarsi alle esigenze di lingue in cui gli alfabeti [p. 74 modifica]sono particolarmente vasti10: questa seconda versione è chiamata ASCII esteso e si è affermata dapprima come standard de facto (nel corso degli anni 80) e successivamente come standard ISO/IEC 8859.11

Infine esiste una terza versione enormemente più estesa (attualmente si parla di oltre un milione di caratteri possibili)12, chiamata Unicode e sviluppata nel 1991 «per poter codificare più caratteri in modo standard e permettere di utilizzare più set di caratteri estesi (es. greco e cirillico) in un unico documento [...]. I primi 256 code points ricalcano esattamente quelli dell’ISO 8859-1. La maggior parte dei codici sono usati per codificare lingue come il cinese, il giapponese ed il coreano.»13

In realtà l’ASCII non è un vero e proprio formato, ma più precisamente un sistema di codifica dei caratteri. Infatti la sua caratteristica è proprio quella di non contenere informazioni diverse dal puro testo, come sono invece quelle relative alla formattazione (cioè ad esempio: tipo di font utilizzata, margini della pagina, dimensione del carattere, interlinea, etc).14 I file contenenti puro testo sono identificati attraverso l’estensione “.txt”. [p. 75 modifica]Fig. 4. — I caratteri stampabili dell’ASCII ristretto.

3.2. Rich text format

Il Rich Text Format (con estensione “.rtf”) è un formato per documenti multi-piattaforma, sviluppato da Microsoft nel 1987. La maggior parte degli editor di testo e dei word processor disponibili per Microsoft Windows, Mac OS e GNU/Linux sono in grado di leggere e scrivere documenti RTF.

Un documento RTF è un file ASCII con stringhe di comandi speciali in grado di controllare le informazioni riguardanti la formattazione del testo: il tipo di carattere e il colore, i margini, i bordi del documento, etc.

Attualmente, il Rich Text Format non è stato sottoposto a processi di standardizzazione, ma viene spesso indicato come soluzione alternativa a formati completamente chiusi e proprietari come il “.doc”.

3.3. PostScript

Anche il PostScript (sviluppato da Adobe Systems e corrispondente all’estensione “.ps”) non è un formato in senso tecnico, bensì un linguaggio di descrizione di pagina interpretato, particolarmente adatto alla descrizione di pagine ed immagini e che genera file contenenti in sostanza solo testo. Il PostScript «permette di descrivere una pagina come il risultato di un’esecuzione di un programma, che contiene istruzioni su come e dove disegnare linee, punti, lettere dell’alfabeto e altri elementi grafici. In questo modo, ogni apparecchio capace di eseguire il programma (ossia, che abbia un interprete Postscript), sarà in grado di riprodurre tale immagine al meglio delle sue capacità.» 15 [p. 76 modifica]

3.4. PDF

Il Portable Document Format (estensione “.pdf”) è anch’esso un ritrovato tecnologico di Adobe, risalente al 1993; rappresenta l’evoluzione diretta del PostScript e costituisce più propriamente un formato di file.

La funzione principale di questo formato è - come dice il nome stesso - la portabilità dei file documentali e in generale dei file bidimensionali (quindi testi, ma anche grafici e immagini): i file PDF sono infatti visualizzabili in modo indipendente dall’hardware e dal software utilizzati per generarli o per aprirli. Questa sua caratteristica ha fatto sì che in breve tempo esso si diffondesse e diventasse a tutti gli effetti uno standard de facto. Dopo alcuni anni dalla sua diffusione, nel gennaio 2007, Adobe ha preso l’iniziativa di avviare un processo di standardizzazione del formato PDF; processo conclusosi nel dicembre dello stesso anno con l’approvazione dello standard ISO 32000.

Il PDF viene considerato da sempre uno standard divulgato e ben documentato dato che le sue specifiche sono state presto rese pubbliche da Adobe16; e un formato aperto poiché Adobe ne ha concesso liberamente l’implementazione senza imporre royalty (nonostante Adobe mantenga la titolarità di alcuni brevetti su di esso).17

3.5. Microsoft DOC

L’estensione “.doc” individua il formato nativo di Microsoft Word (il programma della suite Office dedicato all’elaborazione di documenti testuali) e in questo caso non corrisponde ad un acronimo ma alla semplice abbreviazione di document. In realtà tale estensione in origine indicava file contenenti testo non formattato, gestibili da diverse piattaforme e sistemi operativi; solo successivamente Microsoft iniziò ad associarla all’applicativo Word, per sfruttare l’effetto traino formato-software di cui si è parlato nei paragrafi precedenti.18 [p. 77 modifica]Attualmente infatti il formato documentale di MS Word è uno dei formati più criticati dalla teoria informatica19, ma nello stesso tempo molto diffuso, tanto da essere spesso trattato al pari di uno standard de facto; il che è abbastanza discutibile, poiché le caratteristiche piuttosto farraginose con cui il formato è strutturato spesso creano problemi nello scambio di file anche fra versioni diverse dello stesso programma (ad esempio da Word 97 a Word 2003). Secondo alcuni non vi è nulla di più lontano dal concetto di standard (come da noi descritto nei capitoli precedenti); e soprattutto non vi è nulla di più lontano dal concetto di formato aperto, dato che delle sue specifiche non è disponibile sufficiente documentazione e che altri applicativi diversi da MS Word possono gestire i file “.doc” non sempre agevolmente.20

4. Due formati documentali a confronto: ODF vs OOXML
4.1. Il software OpenOffice.org e il formato ODF

OpenOffice.org è una suite da ufficio nata come alternativa completa alla più anziana suite Office di Microsoft. Prodotto da Sun Microsystems, è un software a tutti gli effetti open source che adotta la licenza Lesser General Public License (LGPL) e al suo interno prevede sei applicativi:

  • Writer: word processor ed editor HTML;
  • Calc: foglio di calcolo;
  • Draw: gestore di grafica vettoriale;
  • Impress: programma per creare e mostrare presentazioni;
  • Math: editor di formule matematiche;
  • Base: gestore di database.

OpenOffice.org deriva da un altro precedente prodotto: StarOffice, una suite da ufficio sviluppata dall’azienda tedesca StarDivision. Nel 1999 questa azienda viene acquisita dalla più potente Sun (azienda della Silicon Valley, famosa per aver realizzato il linguaggio di programmazione Java), la quale con la precisa strategia di creare un prodotto alternativo al diffusissimo Microsoft Office, decide di puntare sulla promozione di StarOffice su scala mondiale. [p. 78 modifica]

L’anno successivo Sun compie la lungimirante scelta di rendere disponibili i sorgenti di StarOffice e di avviare così un progetto open source chiamato appunto “OpenOffice.org”. Grazie a questa scelta, Sun è riuscita a garantirsi un certo seguito da parte della comunità degli sviluppatori indipendenti e anche di altre aziende interessate a sviluppare plug-in e integrazioni del prodotto.

In stretta connessione con il progetto OpenOffice.org è nato l’Open Document Format (ODF), cioè lo standard a cui fanno capo tutti i tipi di file creati dall’applicativo. In realtà il nome completo del formato in esame è OASIS Open Document Format for Office Applications (cioè Formato OASIS Open Document per Applicazioni da Ufficio): questo formato, basato (non casualmente) su una versione di XML creata originariamente da OpenOffice.org, è stato infatti sviluppato e rilasciato dal consorzio OASIS il 1° maggio del 2005 nella sua prima versione (1.0), alla fine di un processo iniziato già nel dicembre 2002. Nel novembre del 2005 OASIS ha deciso di sottoporre le specifiche dello standard al Joint Technical Committee 1 (JTC1) di ISO e IEC; dopo un periodo di discussione e revisione di sei mesi, il 3 maggio 2006 l’ODF è stato approvato come standard internazionale con il codice ISO/IEC 26300:2006. Dopo un’ulteriore fase di raccolta e confronto dei commenti da parte dei soggetti interessati (altri sei mesi), lo standard è giunto alla pubblicazione definitiva il 30 novembre 2006.

Per quanto riguarda invece l’Italia, lo stesso standard è stato adottato dall’UNI il 25 gennaio 2007 con il codice identificativo “UNI CEI ISO/IEC 26300”. Davvero significativo il comunicato stampa diffuso da UNI il giorno successivo, di cui si riporta la parte iniziale:

«La norma tecnica UNI CEI ISO/IEC 26300, pubblicata in questi giorni come adozione nazionale della norma ISO/IEC 26300, rappresenta il capitolo finale di un lungo percorso che ha portato per la prima volta alla definizione, in ambito normativo, di uno standard universale per i documenti elettronici, svincolandoli dalla applicazione che li ha generati [...]. Ad oggi la gran parte dei documenti che siamo soliti gestire con il computer sono generati da software commerciali, ognuno dei quali possiede un proprio formato proprietario. Ciò comporta che, per poter leggere o modificare tali file, l’utente debba avere a disposizione lo stesso programma (ed in alcuni casi anche la stessa versione) utilizzato dall’estensore del documento oppure un programma che faccia da filtro per la visualizzazione.
Il formato OpenDocument, basato sul linguaggio XML, permette di superare questi vincoli. Esso è infatti ciò che viene definito uno “standard aperto”, libero pertanto da restrizioni tecniche e da diritti [p. 79 modifica]d’autore del produttore.»21

4.2. Il dibattito sulla standardizzazione del formato OOXML

Il più grande colosso mondiale dell’informatica, che detiene le principali quote di mercato anche e soprattutto nel settore degli applicativi da ufficio, ovvero Microsoft, dal canto suo si è attivata per scongiurare il rischio di vedere la sua suite Office surclassata da altri prodotti basati su formati XML aperti (come appunto è l’ODF). D’altronde da diverse parti (fra cui principalmente l’Unione Europea nel 2004 attraverso le indicazioni di IDABC22) erano pervenute richieste esplicite, rivolte a tutti gli operatori sul mercato, di seguire costantemente la via di formati e protocolli standard e il più possibile aperti ed interoperabili.

Due erano dunque le ipotesi che si ponevano ai vertici di Microsoft: sposare la causa del formato aperto già disponibile e già in via di standardizzazione da parte di OASIS, cioè l’ODF, facendo sì che Office potesse utilizzarlo pienamente e addirittura come formato nativo; oppure puntare sui propri formati storici, sviluppandone una versione aperta ed interoperabile. Forte di un netto vantaggio dato dalla posizione dominante sul mercato e dal livello di diffusione dei formati nativi di Office, l’azienda di Redmond non ha esitato nella scelta di questa seconda ipotesi, avviando - con l’appoggio e la concreta collaborazione di altre grandi aziende ad essa collegate - un processo di standardizzazione internazionale per il nuovo standard per formati di file: l’Office Open XML, anche noto nella sua abbreviazione OOXML.

Si tratta di un formato documentale anch’esso basato come per l’ODF sul linguaggio XML, con la differenza - non irrilevante - di non essere “figlio” di un progetto open source ma di una prassi aziendale proprietaria; ed infatti deriva da una precedente versione, con simili caratteristiche tecniche ma non aperta, utilizzata dagli applicativi Microsoft dal 2003 e chiamata Office XML.

L’anno successivo, alla luce dei nuovi sviluppi, Microsoft decide di sottoporre la versione evoluta dell’Office 2003 XML all’ECMA per una sua approvazione come standard de jure. Il comitato tecnico chiamato a valutare la questione era presieduto da Microsoft e formato da rappresentanti di altre grandi aziende che nutrivano non pochi interessi economici verso la sua approvazione: fra di esse nomi come Apple, Canon, Intel, NextPage, Novell, Pioneer, Toshiba. L’esito abbastanza prevedibile di questo processo di standardizzazione fu l’approvazione dello standard come ECMA-376 ufficializzata il 7 dicembre 2006.23

Il passo successivo da parte di ECMA restava quello della proposta di approvazione di questo nuovo standard come standard ISO, cosa che gli [p. 80 modifica]avrebbe dato dignità di standard internazionale a tutti gli effetti, al pari del concorrente ODF.

4.3. La mobilitazione anti-OOXML

Tale notizia ha scosso la comunità di coloro che negli stessi mesi avevano gioito per l’approvazione di ODF come standard internazionale, poiché l’approvazione di un nuovo e sovrapposto standard avrebbe creato alcuni problemi di natura tecnologica, ma anche e soprattutto di natura economica e strategica.

Le associazioni e le aziende interessate ad evitare questa sovrapposizione si sono organizzate nella ODF Alliance, un consorzio costituito nel marzo del 2006 da trentasei entità fondatrici, con lo scopo di fare attività di informazione e divulgazione sui vantaggi derivanti dall’uso del formato OpenDocument.24 Nel giro di pochi mesi i soci sono aumentati vistosamente per arrivare ad un numero che supera i duecento; fra loro i nomi di maggior spicco sono IBM, Oracle, Google, RedHat, Sun Microsystems.

Nel gennaio 2007 è stata avviata da parte dell’attivista Benjamin Henrion una vera e propria campagna di sensibilizzazione volta a creare consenso nella direzione di contrastare l’approvazione dell’OOXML come standard ISO: la campagna è stata laconicamente denominata No-OOXML ed è stata collegata ad un sito web (www.noooxml.org) dal quale è stata lanciata una petizione per chiedere all’ISO di non accettare il nuovo standard.

Le principali critiche addotte dai detrattori del nuovo standard sono efficacemente riassunte proprio nel preambolo della petizione proposta online dal sito del movimento No-OOXML e constano in otto punti essenziali:

«1. Esiste già lo standard ISO 26300 - Open Document Format (ODF): un doppio standard aggiungerebbe costi, incertezza e confusione per industrie, governi e cittadini;25
2. Non esistono implementazioni della specifica OOXML: Microsoft Office 2007 produce una versione particolare di OOXML, differente da quella descritta nella specifica OOXML;
3. Mancano delle informazioni nel documento di specifica, ad [p. 81 modifica]esempio su come utilizzare “autoSpaceLikeWord95” o “useWorc!97LineBreakRules”;
4. Più del 10% degli esempi menzionati all’interno della proposta di standard non sono conformi alle specifiche XML;
5. Non c’è alcuna garanzia che si possa scrivere software che implementi completamente o in parte la specifica OOXML senza essere perseguibili per infrazione di brevetto o senza dover pagare licenze di brevetto alla Microsoft;
6. Questa proposta di standard va in conflitto con altri standard ISO, come lo standard ISO 8601 (Rappresentazione di date e orari), lo standard ISO 693 (Codici per la rappresentazione di nomi e lingue) e lo standard ISO/IEC 10118-3 (Hash crittografici);
7. È presente un bug nel formato del foglio di calcolo che impedisce l’uso di date antecedenti il 1900: tale bug è presente nella specifica OOXML quanto in Microsoft Excel nelle versioni 2000, XP, 2003 e 2007;
8. Questa proposta di standard non è stata creata tenendo conto delle esigenze e delle esperienze di tutte le parti interessate, ovvero i produttori, i venditori, gli acquirenti, gli utenti ed i regolatori, ma soltanto ed esclusivamente della Microsoft.»

Come è possibile notare dalla lettura di questo documento, abbiamo a che fare con quattro critiche di natura tecnico-informatica (le numero 2, 3, 4 e 7) e altrettante critiche di natura giuridico-economica (le numero 1, 5, 6 e 8).

4.4. L’acquisizione del formato OOXML come standard ISO

In risposta a queste critiche e soprattutto ai dubbi relativi ai diritti di privativa industriale, Microsoft ha pensato di pubblicare una dichiarazione pubblica, con la quale rendere nota la sua politica in questa materia: la Open Specification Promise (OSP); in sostanza, un impegno unilaterale (pubblicato su un’apposita pagina del sito di Microsoft26) a non intraprendere azioni legali basate sulla proprietà intellettuale contro chi implementerà quello standard.

Da più parti è stato fatto rilevare quanto un documento di questo tipo sia una garanzia troppo labile, una mera dichiarazione d’intenti, per di più proveniente dalla realtà commerciale più potente del pianeta in ambito informatico; azienda che, spinta da interessi particolari, potrebbe sempre unilateralmente decidere di modificare il testo della OSP o comunque farne un’interpretazione discriminatoria.27 [p. 82 modifica]

Nonostante tutta la mobilitazione antagonista, ECMA decide di presentare al comitato tecnico di ISO/IEC la richiesta di apertura di un procedimento di standardizzazione “fast track”, una particolare modalità che consente una più veloce risoluzione del processo. Dunque nel gennaio 2007 ISO risponde positivamente alla richiesta di fast track e inizia formalmente il processo di standardizzazione del nuovo DIS 29500.28

Ad una prima votazione, conclusasi nel settembre successivo, il DIS 29500 non raggiunge il numero di voti necessari per l’approvazione; tuttavia il processo non si arresta, ma entra in un’altra fase detta “ballot resolution” volta a cercare di emendare il documento di standard e a verificare nuovamente i consensi. Superata questa fase e apportate numerose modifiche allo standard, esso è giunto all’approvazione finale il 29 marzo 2008. Attualmente, dopo un ulteriore (e inefficace) ricorso da parte di Brasile, India, Venezuela e Sud Africa (paesi afferenti alla commissione di valutazione, contrari al giudizio positivo espresso durante il final ballot resolution meeting di Ginevra), il formato OOXML può essere considerato a tutti gli effetti uno standard internazionale, corrispondente alla denominazione completa “ISO/IEC 29500:2008, Information technology - Document description and processing languages - Office Open XML file formats”.

4.5. Le ultime prospettive

Ad oggi dunque abbiamo due standard internazionali che in sostanza sono preposti allo stesso scopo e possiedono caratteristiche tecniche e funzionali molto simili. Tale sovrapposizione sembra in effetti allontanare l’auspicabile esito di una convergenza tecnologica in materia di gestione dei documenti informatici.

Se accreditiamo la teoria per cui la standardizzazione sia la principale strada per ottenere una convergenza tecnologica largamente condivisa e conformata a criteri di interoperabilità, dovremo probabilmente attendere un terzo ulteriore standard nel quale le due tecnologie possano confluire. Prospettiva di certo non così facile da attuare se gli equilibri e i meccanismi di mercato, come li abbiamo qui brevemente illustrati, non dovessero cambiare ed evolversi virtuosamente.

Tra l’altro la situazione pare complicarsi invece che semplificarsi: è infatti del marzo 2010 la notizia secondo cui Microsoft nei primi due anni [p. 83 modifica]dall’approvazione dello standard presso l’ISO non abbia mantenuto quanto promesso riguardo alla effettiva implementazione delle stesso, e secondo cui il nuovo pacchetto Office 2010 appunto non implementi realmente quello standard bensì una sua variante. Se così fosse, il rischio sarebbe che questa variante non pienamente fedele allo standard ISO si imponga come un ulteriore standard de facto (reso tale dalla grande diffusione del software di Microsoft), vanificando così gli sforzi effettuati per la standardizzazione e la convergenza tecnologica.29

5. I formati aperti per altri tipi di file

Il dibattito scientifico in materia di formati si è generalmente concentrato sull’ambito dei formati documentali poiché si tratta sicuramente del settore in cui la scelta di uno specifico formato ha maggiori ripercussioni sulla vita del singolo utente. Si pensi in generale all’uso delle applicazioni da ufficio in seno alle pubbliche amministrazioni e all’impatto che ciò può avere nei rapporti fra pubbliche amministrazioni e soprattutto fra cittadino e pubbliche amministrazioni. E in generale si consideri il fatto che all’interno di file di tipo documentale si trovano informazioni di varia natura (dati e scritti ad uso personale, ma anche vere e proprie opere letterarie, cartelle cliniche, atti giudiziari, banche dati ad uso pubblico) che assumono - a seconda della loro destinazione e del loro utilizzo - un elevato valore culturale, sociale, giuridico ed economico. D’altro canto è in questo ambito che ci si trova a dover fare i conti con questioni inerenti alla compatibilità e soprattutto all’interoperabilità dei vari formati con cui i nostri dati e contenuti sono stati “confezionati” e organizzati.

Ciò non toglie che le stesse problematiche valgano per altri tipi di file. Passeremo in rassegna i casi più importanti.

5.1. I formati aperti per immagini e grafica


  • JPEG

«JPEG è l’acronimo di Joint Photographic Experts Group, un comitato ISO/CCITT che ha definito il primo standard internazionale di compressione per immagini a tono continuo, sia a livelli di grigio che a colori. È un formato aperto e ad implementazione gratuita.

Attualmente JPEG è lo standard di compressione delle immagini fotografiche più utilizzato. Le estensioni più comuni per questo formato [p. 84 modifica]sono .jpeg, .jpg, .jfif, .JPG, .JPE, anche se il più comune in tutte le piattaforme .jpg.

JPEG specifica solamente come una immagine può essere trasformata in uno stream di byte, ma non come questo può essere incapsulato in supporti di memorizzazione. Un ulteriore standard chiamato JFIF (JPEG File Interchange Format), creato da Independent JPEG Group, specifica come produrre un file appropriato per la memorizzazione su computer di uno stream JPEG. Nell’uso comune, quando qualcuno parla di “file JPEG” generalmente intende un file JFIF o alcune volte un file Exif JPEG. Ci sono, comunque, altri formati di file basati su JPEG, come ad esempio JNG.»30


  • PNG

«Il Portable Network Graphics (abbreviato PNG) è un formato di file per memorizzare immagini. Il PNG è stato creato nel 1995 da un gruppo di autori indipendenti e approvato il 1° ottobre 1996 dal World Wide Web Consortium (W3C), terminando il suo iter nel gennaio 1997 come oggetto del Request for Comments (RFC) 2083. L’ideazione del PNG avvenne in seguito all’introduzione del pagamento di royalty dell’allora popolarissimo e usatissimo formato GIF.31 Infatti nel 1994 i detentori del brevetto decisero improvvisamente di chiedere un pagamento per ogni programma che utilizzasse il loro formato. La prima reazione della comunità informatica a tale improvviso cambiamento fu la sorpresa, a cui seguì la scelta di indirizzarsi verso lo sviluppo di un’alternativa. Essendo stato sviluppato molto tempo dopo, non ha molte delle limitazioni tecniche del formato GIF: può memorizzare immagini in colori reali (mentre il GIF era limitato a 256 colori), ha un canale dedicato per la trasparenza (canale alfa). Esiste inoltre un formato derivato, Multiple-image Network Graphics o MNG, che è simile al GIF animato. [...]

L’utilizzo del PNG è stato inizialmente limitato, a causa del fatto che pochi programmi erano capaci di scrivere o leggere tali immagini. Col tempo, tutti i maggiori programmi di grafica e di navigazione accettarono il formato PNG, che trovò così più largo utilizzo. Il brevetto originale sul formato GIF è ormai scaduto (nel giugno 2003 negli USA, durante il 2004 nel resto del mondo). Nonostante questo, nulla lascia sospettare che l’utilizzo del PNG diminuirà come conseguenza.»32 [p. 85 modifica]


  • SVG

«Scalable Vector Graphics abbreviato in SVG, indica una tecnologia in grado di visualizzare oggetti di grafica vettoriale e, pertanto, di gestire immagini scalabili dimensionalmente. Più specificamente si tratta di un linguaggio derivato dall’XML [...] che si pone l’obiettivo di descrivere figure bidimensionali statiche e animate.

SVG è diventato una raccomandazione (standard) del World Wide Web Consortium nel settembre 2001 dopo un iter piuttosto contrastato. Al W3C Macromedia e Microsoft avevano introdotto il linguaggio VML (Vector Markup Language), mentre Adobe e Sun Microsystems proponevano un formato concorrente chiamato PGML: per arrivare alla raccomandazione è stato necessario un certo lavoro di compromesso.»33

5.2. I formati aperti per file audio e video


  • OGG

«OGG è un contenitore multimediale libero per il trasporto di flussi di bit progettato per permettere sia lo streaming che l’archiviazione in maniera efficiente.

Il nome OGG si riferisce al formato di file, che include un numero di codec indipendenti per il video, l’audio ed il testo (ad esempio, per i sottotitoli). I file con l’estensione “.ogg” possono contenere uno qualsiasi dei formati supportati, e poiché il formato è liberamente implementabile, i vari codec ogg sono stati incorporati in molti riproduttori multimediali, sia proprietari, sia liberi.

Spesso il termine “ogg” è stato usato per indicare il formato di file audio Ogg Vorbis, cioè un file audio codificato in un file ogg con l’algoritmo Vorbis, poiché questo è stato il primo codec ad usare il contenitore ogg. Altri importanti codec sviluppati per il contenitore ogg sono Theora per la compressione video, e Speex, un algoritmo ottimizzato per la compressione del parlato. [...]

Le specifiche di Ogg sono di pubblico dominio. Le librerie di riferimento per la codifica e decodifica sono rilasciate sotto licenza BSD. Gli strumenti ufficiali per la gestione del container sono rilasciati sotto GNU General Public License (GPL). [...]

Sebbene Xiph.org avesse previsto originariamente l’estensione.ogg per il contenitore a prescindere dall’effettivo codec contenuto, l’organizzazione è [p. 86 modifica]ritornata sui suoi passi nel 2007, raccomandando di impiegare le seguenti estensioni per i file Ogg:

  • .ogg per Ogg contenente solo audio in formato Vorbis
  • .spx per Ogg contenente solo audio in formato Speex
  • .oga per Ogg contenente solo audio in FLAC o OggPCM
  • .ogv per Ogg contenente almeno un flusso video

A queste si aggiunge l’estensione .flac utilizzata per identificare un flusso FLAC privo del container Ogg. Il formato FLAC era infatti già esistente e funzionante indipendentemente dal contenitore Ogg, e solo in seguito donato a Xiph.org.»34

5.3. I formati aperti per archiviazione


  • ZIP

«Lo ZIP è un formato di compressione dei dati molto diffuso nei computer IBM-PC con sistemi operativi Microsoft e supportato di default nei computer Apple con sistema operativo Mac OS X. Supporta vari algoritmi di compressione, uno dei quali è basato su una variante dell’algoritmo LZW. Ogni file viene compresso separatamente, il che permette di estrarre rapidamente i singoli file (talvolta anche da file parzialmente danneggiati) a discapito della compressione complessiva. Un file Zip si riconosce grazie all’header ‘PK’ (codifica ascii). [...]

Essendo un formato senza perdita di informazioni (lossless), viene spesso utilizzato per inviare programmi o file che non possono essere modificati dal processo di compressione. Nato in ambiente DOS, ha trovato con il passare del tempo validi concorrenti in altri formati, come ARJ, RAR, ACE o 7z che offrono un rapporto di compressione maggiore (a volte a discapito della velocità); la sua grande diffusione gli permette tuttavia di essere considerato uno standard de facto per tali sistemi.»35


  • 7Z

Si tratta di un formato relativamente nuovo, implementato in origine dall’applicativo open source 7-Zip36 e basato sull’algoritmo di compressione LZMA. Consente di ottenere un rapporto di compressione molto alto, [p. 87 modifica]comparabile con quello di altri efficienti formati proprietari come ad esempio RAR.

5.4. Altri tipi di formati aperti


  • LaTeX

LaTeX non è propriamente un formato di file bensì «un linguaggio di markup usato per la preparazione di testi basato sul programma di composizione tipografica Tex. [...] Fornisce funzioni di desktop publishing programmabili e mezzi per l’automazione della maggior parte della composizione tipografica, inclusa la numerazione, i riferimenti incrociati, tabelle e figure, organizzazione delle pagine, bibliografie e molto altro.

LaTeX ha trovato un’ampia diffusione nel mondo accademico, grazie all’ottima gestione dell’impaginazione delle formule matematiche [...] ed alla gestione dei riferimenti bibliografici resa possibile dal progetto gemello BibTeX. [...]

Il file prodotto da LaTeX era, in passato, esclusivamente in formato DVI (DeVice Indipendent).37 Grazie al contributo degli sviluppatori della comunità open source ora LaTeX è in grado di produrre un file nel più comune e diffuso standard PDF (Portable Document Format) ed anche in HTML (le eventuali formule matematiche in esso presenti verranno incluse in formato grafico come se fossero immagini, se non in MathML). È anche possibile, partendo da un file prodotto da LaTeX, ottenere un qualsiasi altro formato, anche .doc di Microsoft Word oppure un .odt di OpenOffice.org o altro.»38


  • EPUB

«Epub (abbreviazione di electronic publication, pubblicazione elettronica) è uno standard aperto specifico per la pubblicazione di libri digitali (e-book) e basato su xml. A partire da settembre 2007 è lo standard ufficiale dell’International Digital Publishing Forum (IDPF) - un organismo internazionale no-profit al quale collaborano università, centri di ricerca e società che lavorano in ambito sia informatico che editoriale. [p. 88 modifica]

Lo standard ePub sostituisce, aggiornandolo, l’Open eBook (OeB), elaborato dall’Open E-book Forum. Il formato ePub, benché ancora giovane, si sta affermando come standard più apprezzato e diffuso nei moderni lettori di eBook e nel mondo dell’editoria digitale.

Lo standard, che ha file con estensione .epub, consente di ottimizzare il flusso di testo in base al dispositivo di visualizzazione ed è costituito a sua volta da altre tre specifiche:

  • l’Open Publication Structure (OPS) 2.0, descrive la formattazione dei contenuti;
  • l’Open Packaging Format (OPF) 2.0, descrive in xml la struttura del file .epub;
  • l’OEBPS Container Format (OCF) 1.0, un archivio compresso zip che raccoglie tutti i file.

In sostanza, l’ePub utilizza internamente codice XHTML o DTBook (una variante dello standard XML creata dal consorzio DAISY Digital Talking Book) per le pagine di testo, e il CSS per il layout e la formattazione.»39


  • OVF

«Open Virtualization Format (OVF) è uno standard aperto per la creazione e la distribuzione di applicazioni virtuali o più comunemente di software che possa essere eseguito su macchine virtuali.

Lo standard descrive un “formato aperto, sicuro, portabile, efficiente ed estensibile per la pacchettizzazione e distribuzione di software che possa essere fatto eseguire su macchine virtuali”. Lo standard OVF non è legato a nessun particolare hypervisor, né all’architettura del processore. L’unità di pacchettizzazione e distribuzione è il così chiamato OVF Package (Pacchetto OVF) che può contenere uno o più sistemi virtuali, ognuno dei quali può essere eseguito su di una macchina virtuale.

Una proposta per l’OVF, poi chiamato “Open Virtual Machine Format”, fu presentata al DMTF 40 nel Settembre del 2007 da Dell, HP, IBM, Microsoft, VMware e XenSource.

Il DMTF ha rilasciato nel Settembre 2008, come standard preliminare, la versione 1.0.0 delle specifiche dell’OVF. Questa è la versione più recente disponibile pubblicamente. Il procedimento ordinario del DMTF per il completamento degli standard include dei “working feedback” dalle [p. 89 modifica]implementazioni iniziali della versione preliminare dello standard fino alla sua versione finale.»41

Note

  1. http://it.wikipedia.org/wiki/Formato_di_file.
  2. Sciabarrà M., Il software Open Source e gli standard aperti, Mc Graw Hill, Milano, 2004 (p. 110).
  3. «A dispetto di molte delle prassi correnti, le quali tendono a confondere interoperabilità con adozione (concordata o, di fatto, imposta) di formati di dati sulla base della loro intelligibilità esclusiva in certi ambienti operativi, il fatto liberatorio è che buoni formati di scambio standard già esistono e possono essere efficacemente impiegati in una gamma sterminata di situazioni.» Comitato Tecnico di esperti per l’E-Society, Relazione finale della Task Force Interoperabilità e Open Source, Provincia Autonoma di Trento, 2005 (par. 2); documento disponibile on-line al sito www.giunta.provincia.tn.it/binary/pat_giunta_09/XIII_legislatura/ relazione_finale_task_force_interoperabilita_os.1134128198.pdf.
  4. Con il termine informatico CoDec si indica proprio un software (o una parte di un software) necessario per codificare e/o decodificare informazioni.
  5. www.openformats.org/it1
  6. www.openformats.org/it1
  7. Indagine conoscitiva sul software a codice sorgente aperto nella Pubblica Amministrazione, documento prodotto nel maggio 2003 dalla Commissione per il software a codice sorgente aperto nella Pubblica Amministrazione (anche detta “Commissione Meo” dal nome del suo presidente) costituitasi in seno al Ministero per l’Innovazione e le Tecnologie. Maggiori dettagli in appendice a questo libro.
  8. ibidem.
  9. Si veda a tal proposito la voce http://it.wikipedia.org/wiki/ASCII.
  10. Per maggiori informazioni su questa seconda versione dell’ASCII si veda la voce http://it.wikipedia.org/wiki/ASCII_esteso. La lista completa dei caratteri dell’ASCII esteso è disponibile qui: http://cloford.com/resources/charcodes/symbols.htm.
  11. Si veda a tal proposito la voce http://en.wikipedia.org/wiki/ISO_8859.
  12. Inizialmente prevedeva 65.536 caratteri (code points) ed è stato in seguito esteso a 1.114.112 (= 220 + 216) e finora ne sono stati assegnati circa 101.000.
  13. http://it.wikipedia.org/wiki/ASCII_esteso#Unicode.
  14. «Ovviamente lo scopo per cui sono nati i file di testo, e tutt’ora un utilizzo molto frequente, è la lettura/scrittura diretta da parte degli utenti. La mancanza di formattazione li rende poveri dal punto di vista estetico, ma in compenso grazie a questa semplicità non occorrono particolari programmi per leggerli, e spesso possono essere trasferiti direttamente da un sistema operativo all’altro. [...] Anche il codice sorgente dei programmi di solito è scritto in puro testo. Se un sorgente fosse scritto ad esempio in formato .doc (con Microsoft Word o OpenOffice.org), il file prodotto conterrebbe anche informazioni binarie di formato che metterebbero in crisi i compilatori.» http://it.wikipedia.Org/wiki/File_di_testo#Utilizzo.
  15. http://it.wikipedia.org/wiki/Portable_Document_Format#PostScript.
  16. Le specifiche del formato PDF sono disponibili liberamente alla pagina del sito ufficiale Adobe www.adobe.com/devnet/pdf/pdf_reference.html.
  17. «È un formato aperto, nel senso che chiunque può creare applicazioni che leggono e scrivono file PDF senza pagare i diritti (royalty) alla Adobe Systems. Adobe ha un numero elevato di brevetti relativamente al formato PDF ma le licenze associate non includono il pagamento di diritti per la creazione di programmi associati.» http://it.wikipedia.org/wiki/Portable_Document_Format.
  18. La storia dell’estensione “.doc” è piuttosto complessa: «Nel 1980 si iniziò ad utilizzare questa estensione per indicare i file nel formato proprietario del software WordPerfect. Vista l’ampia diffusione che ebbe WordPerfect l’estensione .doc originariamente usata per testo non formattato iniziò ad essere associata sempre più al testo dotato di formattazione. Questa associazione divenne ancora più forte nel 1990 quando Microsoft si appropriò dell’estensione .doc associandola ai file in formato proprietario prodotti da Microsoft Word. L’enorme diffusione di Microsoft Word fece sì che il significato originale dell’estensione .doc andasse perso ed oggi questa estensione indica quasi sempre i file di testo formattati da questo programma.» Cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/.doc#Storia.
  19. Le principali critiche a questo formato sono efficacemente riassunte alla pagina web www.openformats.org/it50, dove tra l’altro si legge: «Il formato di documento MS Word è un formato proprietario semi-trasparente sviluppato dalla Microsoft. Ciò significa che una parte delle informazioni che esso codifica sono accessibili mentre altre non lo sono.»
  20. A tal proposito si veda http://it.wikipedia.org/wiki/.doc#Aspetti_negativi.
  21. www.uni.com/uni/controller/it/comunicare/articoli/2007_1/odf_26300.htm.
  22. Si veda a tal proposito http://europa.eu.int/idabc/en/document/2592/5588.
  23. http://en.wikipedia.org/wiki/Standardization_of_Office_Open_XML.
  24. Sul sito ufficiale dell’ente si può leggere la sua mission: www.odfalliance.org/mission.php.
  25. A tal proposito si riporta quanto sostenuto da Carlo Piana nel suo articolo “Ne resterà solo uno!”: «il fatto stesso di cercare di imporre OOXML come Standard Internazionale alternativo rispetto a uno già esistente, esattamente per lo stesso campo di applicazione - come è ODF - vuol dire causare problemi di concorrenza. Non devono esistere due Standard Internazionali per lo stesso identico campo di applicazione, perché ciò è anti-economico per coloro che implementano lo standard, o restando non interoperabili con uno dei due, oppure dovendo supportare contemporaneamente due differenti standard incompatibili; in questo caso lo standard vincente non sarà verosimilmente quello più interoperabile, più libero e in generale migliore, ma quello sostenuto dall’applicazione dominante.» www.piana.eu/?q=it/due_standard_male.
  26. Si veda www.microsoft.com/interop/osp/default.mspx.
  27. «Pensare che ciò possa essere una garanzia sufficiente per garantire un’implementazione senza problemi da parte di terzi dell’OOXML è davvero ingenuo»,www.piana.eu/q=it/commenti_ecma.
  28. L’acronimo DIS sta per Draft International Standard, ad indicare che si tratta ancora di una bozza provvisoria dello standard.
  29. A tal proposito risulta molto dettagliata e precisa la ricostruzione compiuta da Alex Brown in cui si legge: «If Microsoft ship Office 2010 to handle only the Transitional variant of ISO/IEC 29500 they should expect to be roundly condemned for breaking faith with the International Standards community. This is not the format “approved by ISO/IEC”, it is the format that was rejected.» Brown A., Microsoft Fails the Standards Test, 31 marzo 2010; disponibile on-line al sito www.adjb.net/post/Microsoft-Fails-the-Standards-Test.aspx.
  30. Testo tratto da http://it.wikipedia.org/wiki/Jpeg. Il sito ufficiale del formato JPEG è invece www.jpeg.org.
  31. II formato GIF poneva grossi problemi a causa di alcuni brevetti ad esso applicati. Già negli anni novanta, infatti, sul sito del progetto GNU si segnalava che non erano state usate immagini in formato GIF a causa di questioni brevettuali (“no gifs due to patent problems”). Si legga a tal proposito l’articolo “Why There Are No GIF files on GNU Web Pages” disponibile al sito www.gnu.org/philosophy/gif.html
  32. Testo tratto da http://it.wikipedia.org/wiki/Portable_Network_Graphics. Il sito ufficiale del formato PNG è invece www.libpng.org.
  33. Testo tratto da http://it.wikipedia.org/wiki/Scalable_Vector_Graphics. La pagina ufficiale del formato SVG (all’interno del sito del W3C) è invece www.w3.org/Graphics/SVG/.
  34. Testo tratto da http://it.wikipedia.org/wiki/Ogg. Il sito ufficiale del formato OGG è invece www.xiph.org/ogg/.
  35. Testo tratto da http://it.wikipedia.org/wiki/ZIP_(formato_di_file).
  36. Si tratta di un applicativo per la gestione di archivi compressi nato per ambienti Windows e distribuito con licenza GNU GPL. Maggiori informazioni sul progetto al sito ufficiale www.7-zip.org, dove è possibile trovare anche maggiori ettagli sulle specifiche del formato (www.7-zip.org/7z.html).
  37. «DVI (“DeVice Independent” cioè “Indipendente dal dispositivo”) è il formato di output del linguaggio di impaginazione TEX, progettato da Donald Knuth nel 1979. Diversamente dai file TEX, i file DVI non sono fatti per essere leggibili dall’uomo; consistono di dati binari, contenenti una descrizione della pagina indipendente dal dispositivo di uscita. Il DVI è progettato per dare la migliore qualità visiva sia che sia visualizzato su un monitor sia che sia stampato con una costosa stampante laser a colori. [...] Utilizzando un driver opportuno un file DVI può essere stampato, convertito in formato grafico come il TIFF, JPEG, ecc oppure convertito in un altro formato di descrizione di pagine come il PDF o il PostScript.» http://it.wikipedia.org/wiki/DVI_(TeX)
  38. Testo tratto da http://it.wikipedia.org/wiki/Latex. Il sito ufficiale del progetto LaTeX è invece www.latex-project.org.
  39. Testo tratto da http://it.wikipedia.org/wiki/EPUB. Per un interessante confronto tecnico con gli altri formati per ebook (non aperti) si veda invece la voce http://en.wikipedia.org/wiki/Comparison_of_e-book_formats.
  40. «Founded in 1992, the Distributed Management Task Force, Inc. (DMTF) is the industry organization leading the development of management standards and integration technology for enterprise and Internet environments.» www.dmtf.org/about/faq/general_faq.
  41. Testo tratto da
    http://it.wikipedia.org/wiki/Open_Virtualization_Format.