Biologia marina/Capitolo I

Da Wikisource.
Capitolo I

../Prefazione ../Capitolo II IncludiIntestazione 22 maggio 2015 25% Da definire

Prefazione Capitolo II

[p. 1 modifica]



CAPITOLO I.


Vita acquatica in generale e vita marina



Sommario: Differenze tra vita acquatica e vita terrestre quali si rivelano nella locomozione e nella respirazione. — Vita marina e vita d’acqua dolce; separazione fisiologica tra l’una e l’altra. — Importanza ed antichità della vita marina di fronte agli altri modi di esistenza.


Tutti sanno come la terra emersa accolga organismi ben differenti da quelli che abitano le acque, ma soltanto al naturalista capace di abbracciare con uno sguardo l’insieme delle forme organiche si chiederebbe d’interpretare questa differenza, o, più modestamente, di esprimere in brevi termini dove e come si manifesti.

Una considerazione che mi sembra istruttiva, quantunque non figuri in alcun testo di biologia, può mettere in luce le diverse esigenze dei due dominî, il terrestre e l’acquatico: nel regno animale (al vegetale non pensiamo pel momento) il contrasto fra vita acquatica e vita terrestre apparisce con evidenza particolare a chi studi uno degli attributi più importanti del regno animale, la locomozione. Immaginiamo di ordinare gli animali in una serie, a seconda della maggiore o minore facoltà che hanno di muoversi in ogni [p. 2 modifica]senso; gli estremi allora si toccano in quantochè le tipiche differenze appariscono in principio ed in fine della serie. Voglio dire che le qualità più spiccate di organismo acquatico si rivelano da una parte tra le specie più sedentarie, incapaci di spostarsi, almeno nella condizione adulta; dall’altra fra quelle che si spostano rapidamente ed in ogni direzione dello spazio che le circonda.

Per vari motivi una Spugna, un Corallo, un Briozoo male si concepirebbero fuor d’acqua, anzitutto perchè un animale abbarbicato al fondo, come la pianta alla sua zolla, sarebbe incapace di provvedere al nutrimento sulla terra emersa. L’acqua è veicolo e vivaio di sostanze nutritive ben migliore dell’aria; spoglie di organismi galleggianti cadono in copia sul fondo dagli strati superiori; inoltre l’acqua è ottimo solvente di sostanze organiche e costituisce in certi casi una soluzione nutritiva, infine tenui correnti proprie dell’ambiente o prodotte dall’attività medesima dell’animale (minuscole ciglia che vibrano, battendo ritmicamente il liquido) bastano soventi volte a portare il cibo necessario, senza contare che i minuti organismi delle acque sono tanto abbondanti da incappare spesso fra i tentacoli di qualche sedentario nemico.

Per contro l’atmosfera che circonda l’animale terrestre non suole accogliere sufficiente quantità di organismi o di resti organici né per caduta dagli strati più alti né per correnti spontanee o provocate. L’Epeira, il Ragno dei giardini, si precipita a paralizzare col morso velenoso ed a suggere l’insetto rimasto prigioniero nelle sue reti. Supponete invece il Ragno [p. 3 modifica]stazionario nel centro della tela e padrone soltanto della preda che il caso faccia impigliare proprio in quel punto; in poco tempo esso morirebbe d’inedia. L’animale terrestre deve cambiar posto per fuggire condizioni atmosferiche dannose: pioggia, vento, eccessi di caldo e di freddo. Soprattutto fugge l’estrema siccità, che privando i tessuti del minimo d’acqua necessario alle funzioni vitali, uccide l’organismo o se talvolta vien tollerata lo è soltanto in condizioni di vita latente (una sorta di letargo, ved. cap. VIII). Tale pericolo non minaccia l’organismo acquatico, il quale si trova molto spesso in ambiente così costante ed uniforme da poter condurre, senza danno, una vita completamente sedentaria. In armonia con quanto precede sta la circostanza che le Spugne, i Coralli, i Briozoi ed altri animali fissi non hanno sulla terra emersa alcun rappresentante.

Passando dagli animali fissi ai meglio dotati in fatto di mobilità, il contrasto assume una forma diversa. E qui si rivela il debole di certe definizioni passate nell’uso comune; ci siamo espressi con precisione scientifica quando abbiamo contrapposto la vita «terrestre» alla vita «acquatica»?

Se con questi due termini vogliamo indicare il fondamento biologico della definizione, l’esattezza non è raggiunta. L’attributo di terrestre; la presenza di un substrato solido sul quale poggia l’organismo in quiete od in moto è di secondaria importanza; il Crostaceo vagante sul fondo marino non profitta forse di un substrato solido come la Scolopendra che corre sui vecchi muri? Per l’una e per l’altro il fattore fondamentale è il fluido che da ogni parte li circonda; [p. 4 modifica]l’acqua nel primo caso; l’atmosfera, e non il terreno, nel secondo; qualche biologo purista, in base a tale considerazione, non ha mancato di avvertire che gli animali terrestri si dovrebbero piuttosto chiamare «aericoli».

Ora la diversa influenza biologica dei due fluidi si rivela sopratutto negli organismi capaci di sollevarsi per lungo tratto dal suolo. Mercè il loro peso specifico uguale a quello dell’acqua, o di poco diverso, molti animali acquatici si mantengono in equilibrio o all’equilibrio provvedono senza grande dispendio di energia. Qualche bollicina di gas nel plasma di un Protozoo, qualche colpo di pala dei piedi natatori di un Gamberetto possono raggiungere lo scopo; certi Anellidi marini strisciano sull’arena finchè i movimenti serpeggianti del loro corpo seguono un ritmo lento, mentre s’innalzano a nuoto quando le contorsioni diventano più vivaci.

Anche dove entrano in scena speciali apparati idrostatici, come la vescica natatoria dei Pesci, questi organi richiedono moderato sviluppo di muscoli ed un dispendio di energia muscolare relativamente piccolo e di breve durata.

Non così l’animale che s’innalza dalla terra emersa. Esso deve sollevare un peso pari a centinaia di volte quello dell’aria spostata; infatti un decimetro cubo d’aria a 0° e 760° mm. di pressione pesa gr. 1,293, mentre un decimetro cubo del corpo di un volatore può pesare parecchie centinaia di volte questa cifra.

Di qui lo sforzo ingente per conseguire l’equilibrio, sia che due ali flessibili, fungenti da propulsore, vibrino rapidamente dietro a due ali rigide e coriacee [p. 5 modifica]funzionanti da organi di librazione, come avviene nei Coleotteri volatori, sia che due o quattro grandi ali adempiano contemporaneamente all’ufficio di propulsori ed a quello di organi di librazione, come si verifica negli Uccelli e nelle Farfalle. La massa elastica dell’aria, compressa dal battito dell’ala, esercita per reazione una spinta in alto che, quando supera la forza di gravità, vale a sostenere il corpo del volatore.

In armonia colle caratteristiche fisiche dei due ambienti stanno quindi le forme generalmente svelte ed affusolate, con organi motori relativamente poco estesi, nei nuotatori molto attivi; a sagoma robusta e ad organi di propulsione relativamente enormi nei potenti volatori. Un Delfino fra i Cetacei; uno Scombero un’Acciuga (fig. 1) fra i Pesci, possono servire come esempio del primo tipo; una Libellula un grosso Rapace (fig. 2) come esempi del secondo; questi servono di modello al velivolo; quelli al sommergibile.

Non converrebbe tuttavia spingere troppo innanzi questo ragionamento, sopratutto quando si tratta di gruppi zoologici fra loro lontani. Se nella fauna terrestre nulla troviamo che somigli ad un Echinoderma, [p. 6 modifica]contentiamoci di verificare che il tipo Echinoderma non si è propagato sulla terra emersa. Se e per quale ragione la peculiare architettura di questi esseri non

Fig. 2.
Un volatore: Aquila. Originale.

sia compatibile di adattarsi alla vita aericola è quistione alla quale non sapremmo rispondere.
[p. 7 modifica]Ma un altro punto importante va toccato; l’aria, come mezzo respiratorio impone adattamenti diversi a seconda che è disciolta nell’acqua, oppure costituisce da sé sola tutta la massa fluida che avvolge l’organismo. Molti animali acquatici di semplice organizzazione o di piccola statui’a non possiedono speciali organi per l’assorbimento dell’ossigeno e l’emissione dell’anidride carbonica; la respirazione si compie allora attraverso alla pelle. Nella maggior parte dei casi invece la funzione è localizzata in speciali regioni della pelle foggiate a pennacchi, a lamelle, ad arborescenze sporgenti dal corpo; spesso tanto sporgenti da contribuire al pirofilo caratteristico della specie, come avviene, per esempio in certi Anellidi e in certe larve di Amfibi, oppure vengono protette in cavità poco profonde e di facile accesso, come si verifica nei Crostacei più elevati e nei Pesci.

Invece gli organi respiratorî degli animali terrestri si sviluppano e si diramano nell’interno del corpo sotto forma di tubuli, come le trachee degli Insetti, o di sacchi suddivisi in logge, come i polmoni dei Vertebrati. Un tale sviluppo interno è il solo compatibile col pericolo del prosciugamento, al quale le delicate membrane respiratorie non potrebbero sopravvivere. Quasi sempre i Pesci, tratti fuori dal loro naturale elemento, periscono anche prima che le branchie siano asciutte e non è difficile scoprirne la cagione. Le lamelle di cui la branchia si compone (la struttura lamellare aumenta a piii doppi la superficie respiratoria) stanno divaricate nell’acqua, permettendo alle correnti liquide libera circolazione; nell’aria si attaccano l’una all’altra formando una massa compatta, [p. 8 modifica]per il che tanto si riduce la superficie assorbente da determinare, in pochi istanti la morte per asfissia.

Il contrasto fisico fra aria ed acqua si riflette anche sopra altri aspetti biologici e in tesi generale si può dire che se l’acqua è il grande vivaio del mondo, la vita terrestre è una minoranza scelta, in cui le funzioni si compiono generalmente con intensità più grande, in cui le attitudini psichiche tendono a dispiegarsi in forme più complesse e più alte.



L’aria e l’acqua sono adunque domini separati da particolari esigenze fisiologiche e abitati da viventi diversamente conformati. Ma anche nel novero degli organismi acquatici le condizioni si rivelano tutt’altro che uniformi.

Confrontiamo gli animali che si raccolgono in un bassofondo marino con quelli che popolano uno stagno d’acqua dolce a poche diecine di metri di distanza.

Non soltanto le specie saranno diverse, ma, secondo ogni probabilità, gli ordini e le classi; in parte anche i tipi.

Tali differenze nella fauna e nella flora si connettono ad una incompatibilità fisiologica; molti sanno che i Pesci di mare periscono generalmente dopo un tempo più o meno lungo se gettati in acqua dolce. 11 sale è veleno per gli animali d’acqua dolce — dicevano gli antichi fisiologi, attribuendo così a quella morte il significato di una intossicazione. Ciò tuttavia non rendeva conto del fenomeno opposto per cui gli animali [p. 9 modifica]d’acqua dolce muoiono se trasferiti in acqua marina. Ricercando, col Bert, la causa essenziale della morte nel fenomeno fisico dell’osmosi, la interpretazione si accorda coi dati forniti dall’esperienza.

La fisica insegna che, due soluzioni di concentrazione diversa, separate da una membrana permeabile all’acqua, ma non alla sostanza disciolta, tendono a mescolarsi, e si produce allora una corrente dalla soluzione pili concentrata alla meno concentrata, finchè la concentrazione è divenuta uniforme. Ora nel corpo degli Invertebrati marini la concentrazione dei liquidi interni del corpo è uguale a quella del mare che li circonda e, come in questo, è dovuta a sali minerali; vi sono commiste, è vero, altre sostanze, ma l’influenza loro si può trascurare. Nei mari poco salati, come il Baltico, contengono poco sale anche i liquidi organici dell’Invertebrato. Una tale concordanza delle due concentrazioni si verifica anche negli Squali e nei Pesci cartilaginei in genere, senonchè a mantenere la necessaria concentrazione non compariscono qui soltanto i sali minerali, ma anche prodotti d’altra natura, come l’urea; esempio istruttivo di uno stesso equilibrio fisiologico raggiunto con mezzi chimici differenti. In taluni Invertebrati d’acqua dolce è stata riconosciuta una concentrazione dei liquidi interni alquanto più elevata di quella dell’ambiente; si tratta però di cifre di gran lunga inferiori a quelle indicate per l’acqua marina.

Una spiccata indipendenza dalla concentrazione dell’acqua cominciano a manifestare i Pesci ossei, inquantochè il sangue di questi Vertebrati è più concentrato dell’ambiente nelle specie d’acqua dolce; mentre lo è meno nelle marine.

[p. 10 modifica]Pel fatto dell’osmosi, se noi d’un tratto trasferiamo un organismo dall’ambiente suo naturale ad altro di concentrazione diversa, i liquidi interni tenderanno a porsi in equilibrio cogli esterni attraverso alle membrane di separazione, che sono, in questo caso, le pareti delle cellule onde si compongono i tessuti e gli organi, e le sostanze non cellulari che formano le difese esterne del corpo (cuticole, dermascheletri calcarei, ecc.)

Non riuscirebbe facile precisare fino a qual punto le membrane vive siano da paragonarsi alle membrane morte usate nell’esperimento di fisica per quanto concerne le condizioni di permeabilità, tanto più quando si consideri che varie cause possono modificare le condizioni di equilibrio tra fluidi estemi e fluidi interni, l’azione regolatrice degli organi escretori, la tensione superficiale dei liquidi, ecc.

Ad ogni modo il fenomeno principale che si verifica è lo stesso; l’animale marino, collocato in acqua dolce, assorbe acqua e si rigonfia; l’animale d’acqua dolce, immerso in acqua marina, perde acqua e si deprime; le rane, tolte dagli stagni in cui vivono e poste in un recipiente di acqua di mare, perdono in breve volgere di tempo circa un quarto del loro peso. È frequente il caso in cui le correnti osmotiche e le conseguenti variazioni di volume alterino tanto gravemente i tessuti da produrre la morte. A tali alterazioni sono di regola molto sensibili le appendici che presiedono alla respirazione; le branchie, perchè i danni prodotti dallo squilibrio osmotico le rendono inadatte agli scambi respiratori; si può in taluni casi affermare che uno sbalzo di concentrazione faccia perire l’animale [p. 11 modifica]asfissiato. Anzi conviene notare che i Crostacei superiori e i Pesci hanno i tegumenti impermeabili (o almeno permeabili con somma lentezza) e le correnti osmotiche si producono soltanto attraverso all’apparato branchiale.

La vita d’acqua salsa e la vita d’acqua dolce hanno dunque in comune forme ed attitudini in armonia con particolari esigenze fisiche dell’ambiente acquatico, ma fra l’una e l’altra c’è una barriera, dipendente dalla copia delle sostanze disciolte. Si tratta di una differenza quantitativa, perchè sali disciolti, sebbene in dose assai tenue, non mancano nelle acque dolci e gli organismi d’acqua dolce periscono se mantenuti a lungo in acqua distillata. Invece la barriera che separa la vita terrestre dalla vita acquatica può dirsi, per certi riguardi, legata ad ‘una differenza qualitativa.

Tuttavia i limiti tra fauna marina e fauna d’acqua dolce non sono meno netti di quelli che si notano tra fauna terrestre e fauna acquatica in genere. È vero che si conoscono animali capaci di passare periodicamente da un ambiente all’altro come fanno quei Salmoni che risalgono i fiumi nordici all’epoca della riproduzione o l’Anguilla che scende nel profondo dell’Oceano per accoppiarsi e figliare. Ma d’altronde anche la fauna terrestre presenta fatti analoghi rispetto alla fauna delle acque, sebbene l’alternanza si compia, in questo caso con ritmo diverso; tutto il periodo giovanile di certi animali si svolge nell’acqua dolce (assai più di rado nell’acqua marina) mentre l’adulto è terrestre; le Zanzare e le Efemere tra gli Insetti, le Rane e i Rospi tra gli Anfibi sono ‘esempi volgari. [p. 12 modifica]

È vero che alla foce dei fiumi si ha spesso una sorta di zona neutra fra l’acqua dolce e l’acqua salsa, ove _le due faune e le due flore subiscono una parziale mescolanza. Ma una zona limite altrettanto popolata si osserva anche tra mare e terra, ove un certo numero di specie anfibie partecipano della vita d’acqua salsa e della vita terrestre.

Non si tralasci poi una riflessione d’ordine fammistico e fisiologico. Sono legione i viventi d’acqua dolce che rivelano in chiaro modo la loro origine marina, come si verifica in taluni Pesci dei nostri laghi. Ma d’altra parte molti gruppi d’acqua dolce dimostrano parentela assai più stretta colla fauna terrestre che non colla fauna marina; tant’è vero che mantengono, con qualche secondaria modificazione, il modo di respirare proprio alle forme aericole; incapaci di usufruttare l’aria disciolta in seno al liquido, debbono di tanto in tanto salire a galla per farne provvista.

Tali sono, ad esempio le Limnee, quei Molluschi a conchiglia cornea, avvolta a spira conica e rigonfia, che tante volte abbiamo veduto nei nostri stagni: tal’è la grande schiera dei Coleotteri acquaioli, che nella forma e nei costumi non dimostrano essenziali differenze rispetto alle specie terragnole.

Ognuno dei punti toccati di corsa in questo paragrafo potrebbe dare argomento ad interessanti di: scussioni circa il collegamento biologico dei diversi dominî abitati.

Tali discussioni esorbiterebbero dal compito che ci siamo prefissi. Ricorderò soltanto che le forme e le strutture organiche possono fino ad un certo punto farci capire come un organismo prosperi in un deter[p. 13 modifica]minato ambiente, mentre la prima ragione delle differenze iniziali che hanno prodotto negli organismi le diverse attitudini è problema che sfugge ai nostri metodi d’indagine.

Intanto dai cenni esposti poco fa trarremo un apprezzamento generale: è giusto dal punto di vista fisiologico, contrapporre la vita delle terre a quella delle acque e considerare poi mare ed acqua dolce in via subordinata, ma il biologo non commette errore trattando la vita marina, quella d’acqua dolce e quella terrestre sullo stesso piede, come tre modi capitali di esistenza nell’Universo vivente.

Haeckel ed Ortmann li hanno chiamati rispettivamente alobio, limnobio, gè ob io; e se l’abuso degli ellenismi non vi annoia, fate vostre tali espressioni.



Che alla vita marina spetti il primo posto nel bilancio della Natura animata, in parte risulta da sicuri documenti, in parte si ammette in base ad ipotesi molto probabili.

Se Bernabò Visconti avesse domandato al mugnaio di Franco Sacchetti: Quanti animali sono nel mare ì il mugnaio invece di cavarsela con una spiritosa invenzione, avrebbe potuto rispondere: «ve ne sono più che in terra» e dire cosa conforme al vero. Intanto gli organismi marini dispongono di uno spazio incomparabilmente pili esteso dei terrestri. Ricordate il paragone della geografìa tra le terre emerse ed i mari; questi ricoprono il nostro globo ier 71 % della sua superfìcie; quelle i 29 %. [p. 14 modifica]

Ma le unità paragonabili pel nostro scopo — 0sserva il Joubin — non seno già due superficie, ma bensì una superficie ed un volume, poichè nel mare ferve la vita e negli strati superiori non mancano organismi vivi nelle zone intermedie e sul fondo; per contro si può. dire che i 29 % occupati dalle terre emerse rappresentino biologicamente una superficie, dalla quale fa d’uopo ancora detrarre le più alte vette montane e le estreme terre polari, dove nonv’ha quasi palpito di vita.

Però non conviene prendere troppo alla lettera questa asserzione. Il terriccio dei campi accoglie piecoli animali e vegetali che si estendono anche nel senso della profondità; inoltre, come fa notare il Racovitza, certi Insetti che gli entomologi ricercano con tanto ardore nelle grotte e che si considerano generalmente come cavernicoli non appartengono in realtà alla fauna delle caverne, ma abitano le buche, le fenditure, l’angusta rete di vie sotterranee nelle rocce del sottosuolo e capitano soltanto acco mente nelle caverne.

È vero però che la vita del terriccio (édafon, come l’ha chiamata il Francé) non si approfonda general. mente a più di un metro dalla superficie e i sistemi di fenditure popolate di organismi ipogei, sebbene si diramino a profondità considerevoli, sono limitati a certe regioni; si tratta dunque di associazioni biologiche, le quali infirmano soltanto in parte il paragone espresso dianzi. Per analogo motivo non la infirmano i volatori che si innalzano per breve tempo e in via temporaria nell’atmosfera, nè le cisti di Protozoi nè le uova di minuti organismi che il vento tratto tratto solleva e disperde. [p. 15 modifica]Affinchè le relazioni tra la vita marina e gli altri modi di esistenza riescano più evidenti, sarà utile di enumerare le principali suddivisioni del regno animale, i cosidetti grandi tipi del regno animale, tenendo conto del genere di vita proprio a ciascuno di essi. Avverto che qui, come in ogni classificazione biologica, le linee di separazione troppo nette male corrispondono a quanto si osserva in natura. Intanto gli animali che sfrattano altri animali vivendo come parassiti di organi interni, (così fanno le Tenie), non si possono logicamente ascrivere né al mare, né all’acqua dolce, né alla terra. Immersi in un bagno di liquido organico, essi non vengono direttamente influenzati né dall’aria atmosferica, nò dall’acqua dolce o salata; approvo quindi il Montgomery che li raduna in un gruppo biologico chiamato entobio (vita interna) e farò cenno della vita endoparassitica ogniqualvolta la trovi rappresentata nel tipo. Inoltre non crederei di cadere in errore considerando il terriccio umido come un ambiente biologico che si differenzia non solo dall’acquatico, ma anche dal terrestre. Anzi certi Protozoi e Vermi che siamo abituati a considerare come animali terrestri, stanno, dal punto di vista fisiologico, assai più vicini al mondo acquatico, per l’assolutq bisogno che hanno di un grado cospicuo di umidità. Alcune specie di Lombrichi terragnoli campano per molti giorni se li tenete in acqua; poueteli al sole su di una superficie liscia e li vedrete in pochi minuti inflaccidirsi e morire. Segnalerò dunque la vita umicola, quando è modo di vita normale e caratteristico per alcuni rappresentanti del tipo.

[p. 16 modifica]Pagina:Biologia marina.djvu/40 [p. 17 modifica]qualche Idra, all’Idroide Cordylophora lacustris, oltre a pochissime Meduse natanti nelle acque fluviali e lacustri d’Africa e d’Asia.

Questi dati basterebbero per accreditare l’ipotesi che il mare sia la culla dei viventi; i documenti forniti dai fossili, quantunque incompleti, danno ad essa valore di realtà. Sul problema della prima origine della vita, dinnanzi al quale appariscono ben fragili le più seducenti costruzioni ipotetiche, vai meglio sorvolare. Ma sta di fatto che in terreni antichissimi del nostro globo; in quelli ascritti dai geologi alla fine dell’era arcaica ed al principio della paleozoica i fossili finora conosciuti appartengono tutti ad Invertebrati marini, e soltanto più tardi compariscono resti lasciati dai viventi della terra emersa e delle acque dolci.

È interessante poi verificare come alcune specie viventi nei mari paleozoici abbiano attraversato senza modificarsi la serie immane dei periodi geologici e si ritrovino nei mari attuali; così i Pentacrini fra gli Echinodermi, le Lingule fra iBrachiopodi e come queste siano generalmente forme piuttosto semplici (meno specializzate) nell’ambito del gruppo zoologico al quale vengono ascritte.

Per contro alcuni gruppi di animali, come i Trilobiti fra i Crostacei e le Ammoniti fra i Cefalopodi, dopo aver sfoggiato una grande ricchezza di forme in tempi geologici più o meno remoti, hanno soggiaciuto a completa estinzione. [p. 18 modifica]

BIBLIOGRAFIA


Bottazzi F., Principii di fisiologia, vol. I. Milano, Soc. Editr. Libraria, 1906.

Dakin J., Aquatic animals and their environment. The constitution of the external medium and its effect upon the blood. «Internat. Revue d. ges Hydrobiologie und Hydrographie », Bd. 5, Hft. I, 1912.

Francé R. H., Studien ber edaphischen Organismen. «Centralblatt f. Bakteriologie», Bd. 32, 1915.

Joubin L., La vie dans les Océans. Paris, Flammarion, 1912.

Milne Edwards H., Lecons sur l’Anatomie et la Physiologie comparée. Paris, Masson, 1857-1881.

Montgomery T. H., The analysis of racial descent in animals. New York, Holt, 1906.

Ortmann A. E., Grundziige der marinen Tiergeographie. Jena, Fischer, 1896.

Puetter A., Vergleichende Physiologie. Jena, Fischer, 1896.

Racovitza E. G., BiospéWologica: I, Essai sur les problèmes biospéléologiques. «Arch. de Zoologie expérim. et génér.», Ser. 14, Tome 6, 1906.

Regnard P.. La vie dans les eaux. Paris, Masson, 1891.

Richard J., L’Océanographie. Paris, Masson, 1907.

Richet J., Dictionnaire de Physiologie, tome 2. Puris, 1896.