Breve trattato delle cause che possono far abbondare li regni d'oro e d'argento dove non sono miniere/Parte terza/Capitolo VII

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Capitolo VII

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CAPITOLO VII

Della difficoltá o possibiltá delli espedienti predetti.

Le cause, che non permettono che vengano denari in Regno, ancorché ogn’anno se ne estraa robba da circa milioni sei, sono l’entrate che tengono forastieri in Regno, che, come dice il detto De Santis, non vi è remasto piú né vita né robba per obligarvi, l’industrie che vi fanno con le robbe che vengono da fuora per il bisogno del Regno; le quali cose tutte ascendeno a molto piú che possa importare la robba che si estrae, ancorché fusse di somma maggiore, le quali non permetteno che vengano denari per le robbe predette. E tutte quasi pareno impossibili a levarsi, o difficilissime, o con ruina e danno del Regno tutto o d’infiniti particulari, che forsi, tentando questi remedi, saria un causare maggior male. E, per far meglio intender questo, se si vuol parlare di levare la causa dell’entrate che tengono forastieri, questo non si potria fare se non col ritornar loro li denari; e questo, oltre d’essere impossibile al Regno, quando fusse, non li saria espediente, ché saria privarlo afatto nel stato che si ritrova, e non farlo abbondare di denari. Se [p. 226 modifica]si dice che si deveno sospendere per alcun tempo, non dico li sei mesi detti dal detto De Santis, ché nulla giovaria, ma molto maggiore, né l’uno né l’altro permette la legge; e cosí si diria impossibile per legge. E se mi si dicesse che non si deve dire impossibile per legge, poiché l’utile publico si deve preferire al privato, e, importando salvare un regno, la legge non tiene conto della ruina de’ privati per la ragione predetta, e non solo permetterlo ma commandarlo: rispondo tutto esser vero; ma prima bisogna esser certo che di nissun altro modo si possa riparare alla ruina universale e danno publico che con la ruina e danno de’ particolari; secondo, che il detto danno e roina de’ particolari non causi e importi altro danno publico e universale, ché in nissuno de li doi modi dalla legge si permette il danno privato; e nel caso nostro non vi è né l’una né l’altra certezza, ma pericolo grande del secondo. E il simile si dice dell’altra parte della causa, cioè dell’industrie che fanno forastieri in Regno: ché, volendo levar questa causa, oltre del danno de’ privati, saria privare il Regno del commercio; e, per la robba che viene da fuora per il bisogno del Regno, pare impossibile semplicemente, ché, non pagandosi, non si avranno. Sí che voler remediare con levar la causa, che pare il remedio piú sicuro e certo, in alcuna parte è impossibile, in alcuna pericoloso e forse causa d’altro maggior danno: perciò difficilissimo si dirá il remedio, e tanto piú difficile quanto altro che levar la causa pare impossibile, e, se altro remedio apparente si ritrovasse, meno potria far l’effetto, mentre è verissima la proposizione che durante la causa dell’infermitá durerá sempre l’infermitá.

Circa la seconda causa della penuria delle monete, che è il defetto degli accidenti communi, quale per levare, bisognaria introdurli; e, se questo remedio non si ha da dire impossibile per essere accidenti communi, quali si è detto possere accadere a ogni regno, sará difficilissimo, sí per esser di sua natura difficile, bisognandovi non una cosa sola, ma molte e molte per introdursi che produca l’effetto. La difficoltá l’accresce la contraria inclinazione della gente del paese, come si è detto nella [p. 227 modifica]prima parte; e il tutto ha da dependere dall’ultimo accidente commune, che ha da movere, disponere e conservare gli altri accidenti, quale similmente si è detto difficilissimo essere da essercitarsi al proposito, oltre d’altre difficoltá minori e particolari. Per lo che, da questo e altro che si può considerare, si conclude gli espedienti predetti essere difficilissimi semplicimente intesi: si avrá dunque da vedere se vi è modo di facilitarli.