Canti (1831)/Canto notturno di un pastore vagante dell'Asia

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XXI. Canto notturno di un pastore vagante dell’Asia

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XXI. Canto notturno di un pastore vagante dell’Asia
Le ricordanze La quiete dopo la tempesta

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Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,1
Silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
Contemplando i deserti; indi ti posi.
5Ancor non sei tu paga
Di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
Di mirar queste valli?
Somiglia a la tua vita
10La vita del pastore.
Sorge in sul primo albore
Move la greggia oltre pel campo, e vede
Greggi, fontane ed erbe;
Poi stanco si riposa in su la sera:
15Altro pur non ispera.
Dimmi, o luna: a che vale
Al pastor la sua vita,

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La vostra vita a voi? dimmi: ove tende
Questo vagar mio breve,
20Il tuo corso immortale?

     Vecchierel bianco, infermo,
Mezzo vestito e scalzo,
Con gravissimo fascio in su le spalle,
Per montagna e per valle,
25Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
Al vento, a la tempesta, e quando avvampa
L’ora, e quando poi gela,
Corre via, corre, anela,
Varca torrenti e stagni,
30Cade, risorge, e più e più s’affretta,
Senza posa o ristoro,
Lacero, sanguinoso; infin ch’arriva
Colà dove la via
E dove il tanto affaticar fu volto:
35Abisso orrido, immenso,
Ov’ei precipitando, il tutto obblia.
Vergine luna, tale
È la vita mortale.

     Nasce l’uomo a fatica,
40Ed è rischio di morte il nascimento.

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Prova pena e tormento
Per prima cosa; e in sul principio stesso
La madre e il genitore
Il prende a consolar de l’esser nato.
45Poi che crescendo viene
L’uno e l’altro il sostiene, e via pur sempre
Con atti e con parole
Studiasi fargli core
E consolarlo de l’umano stato:
50Altro officio più grato
Non si fa da parenti a la lor prole.
Ma perchè dare al sole,
Perchè reggere in vita
Chi poi di quella consolar convenga?
55Se la vita è sventura,
Perchè da noi si dura?
Intatta luna, tale
È lo stato mortale.
Ma tu mortal non sei,
60E forse del mio dir poco ti cale.

     Pur tu, solinga, eterna peregrina,
Che sì pensosa sei, tu forse intendi,
Questo viver terreno,
Il patir nostro, il sospirar, che sia;

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65Che sia questo morir, questo supremo
Scolorar del sembiante,
E perir da la terra, e venir meno
Ad ogni usata, amante compagnia.
E tu certo comprendi
70Il perchè de le cose, e vedi il frutto
Del mattin, de la sera,
Del tacito, infinito andar del tempo.
Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore
Rida la primavera,
75A chi giovi l’ardore, e che procacci
Il verno co’ suoi ghiacci.
Mille cose sai tu, mille discopri,
Che son celate al semplice pastore.
Spesso quand’io ti miro
80Star così muta in sul deserto piano,
Che, in suo giro lontano, al ciel confina;
Ovver con la mia greggia
Seguirmi viaggiando a mano a mano;
E quando miro in ciel arder le stelle;
85Questi pensieri in mente
Vo rivolgendo, assai gran tempo, e dico:
A che tante facelle?
Che fa l’aria infinita, e quel profondo
Infinito seren? che vuol dir questa

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90Solitudine immensa? ed io che sono?
Così meco ragiono: e de la stanza
Smisurata e superba,
E de l’innumerabile famiglia;
Poi di tanto adoprar, di tanti moti
95D’ogni celeste, ogni terrena cosa,
Girando senza posa,
Per tornar sempre là donde son mosse;
Uso alcuno, alcun frutto
Indovinar non so. Ma tu per certo,
100Giovinetta immortal, conosci il tutto.
Questo io conosco e sento,
Che de gli eterni giri,
Che de l’esser mio frale,
Qualche bene o contento
105Avrà fors’altri; a me la vita è male.

     O greggia mia che posi, oh te beata,
Che la miseria tua, credo, non sai!
Quanta invidia ti porto!
Non sol perchè d’affanno
110Quasi libera vai,
Ch’ogni stento, ogni danno,
Ogni estremo timor subito scordi;
Ma più perchè giammai tedio non provi.

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Quando tu siedi a l’ombra, sovra l’erbe,
115Tu se’ queta e contenta;
E gran parte de l’anno
Senza noia consumi in quello stato.
Ed io pur seggo sovra l’erbe, a l’ombra,
E un fastidio m’ingombra
120La mente, ed uno spron quasi mi punge
Sì che, sedendo, più che mai son lunge
Da trovar pace o loco.
E per nulla non bramo,
E non ho fino a qui cagion di pianto.
125Quel che tu goda o quanto,
Non so già dir; ma fortunata sei.
Ed io godo ancor poco,
O greggia mia, nè di ciò sol mi lagno.
Se tu parlar sapessi, io chiederei:
130Dimmi: perchè giacendo
A bell’agio, ozioso,
S’appaga ogni animale;
Me, s’io giaccio in riposo, il tedio assale?

     Forse s’avess’io l’ale
135Da volar su le nubi,
E noverar le stelle ad una ad una,
O come il tuono errar di giogo in giogo,

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Più felice sarei, dolce mia greggia,
Più felice sarei, candida luna.
140O forse erra dal vero,
Mirando a l’altrui sorte, il mio pensiero:
Forse in qual forma, in quale
Stato che sia, dentro covile o cuna,
È funesto a chi nasce il dì natale.

Note

  1. [p. 159 modifica]Plusìeurs d’entre eux (parla di una delle nazioni erranti dell’Asia) passent la nuit assis sur une pierre à regarder la lune, et à improviser des paroles assez tristes sur des airs qui ne le sont pas moins. Il barone di Meyendorff, Vojage d’Orenbourg a Boukhara, fait en 1820; appresso il Giornale dei dotti, 1826, septembre, p. 518.