Colombi e sparvieri/Parte III/III

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Parte III - Capitolo III

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III.


Nonostante il diversivo di Jorgj Mariana cominciava ad annoiarsi, lassù nei paesetto ventoso. I poteri del Commissario suo fratello scadevano in giugno; ma ella voleva partire prima. Il cattivo tempo le guastava il piacere di render felice il suo disgraziato protetto; la pioggia le sciupava i vestiti, i cappelli e soprattutto le scarpette. E soprattutto la preoccupazione per le sue scarpette aumentava il suo cattivo umore: ella doveva pulirsele da sè, poichè la serva di zia Giuseppa Fiore invece di crema e di biacca non si peritava a usare sevo e lucido; e pulendosi le scarpette ella, si sciupava le unghie a punta simili a spine di rosaio novello. Bisognava partire, scuotersi da quella specie di sogno fatto di chiaroscuri, di poesia e di tristezza, di pietà e di disgusto; era tempo di consultare i [p. 236 modifica]cataloghi dei Magazzini del Louvre e di ordinare le belle robe per l’estate.

Talvolta, seduta davanti al letto dello studente mentre egli la guardava come un poeta melanconico denutrito guarda la stella della sera, ella cadeva in una meditazione profonda: doveva o no ordinare anche le calze, in colore del vestito? Ma se la «Moda illustrata» diceva che si usavano violette? ebbene, poteva ordinarle violette e anche in colore del vestito.... Risoluto il problema ella si scuoteva ridendo e diceva a Jorgj:

— Sono frivola, vero? Talvolta non posso dormire, pensando a questo piccolezze, e provo rimorso perchè so che al mondo c’è tanta gente che soffre; poi alla mattina mi alzo allegra come un passero perchè deve arrivare il pacco da Parigi. Quando arriva, questo pacco, mi pare che arrivi un pezzetto stesso della gran città! Sa quanti veli ho? Indovini....

— Tutti i veli di un crepuscolo di ottobre e di una notte lunare di aprile....

— Sì, — ella riprendeva, seria, — per la spiaggia occorrono molti veli. Sì, quest’anno si va a Viareggio: mia cognata mi scrive che ha già fissato un appartamento nel Viale degli Oleandri, sa, una strada tutta ombreggiata da oleandri in fiore.... Conosce i versi di Gabriele D’Annunzio?

Ma il viso di lui si copriva di ombra; ella sentiva freddo al cuore, come nei primi giorni di autunno, e riprendeva quasi sottovoce:

— Guai se piove, però! Viareggio si copre di fango, allora, e la pineta, coi monti che fumano come vulcani, mi sembra la landa del mio caro paese natio: mi pare ci sieno anche i corvi....

Per confortarlo finiva col suggestionarsi; i bei posti ai quali di solito pensava con nostalgia, le [p. 237 modifica]sembravano melanconici o inospitali. Bisognava scappare presto; altrimenti avrebbe finito con l’ammalarsi anche lei nonostante le abluzioni e le disinfezioni che praticava ogni volta che tornava a casa dopo aver visitato Jorgj. Una cosa la tratteneva ancora; il fermo proposito di condurre suo fratello a far visita al malato; ma il Commissario era restio, aveva paura di fare un atto grave, quasi compromettente, contrario ai principii d’imparzialità assoluta che si era imposto nell’andar a governare un paese di puntigli come Oronou. I casi di Jorgj, riferiti e commentati quotidianamente da zia Giuseppa, dalla serva Lia, da Mariana e da tutte le conoscenze di questa, non lo commovevano più, o meglio non lo avevano mai commosso: egli ci scherzava su, e quando aveva tempo e voglia si divertiva anche a far stizzire le donne, zia Giuseppa in ispecial modo, mettendo in dubbio l’innocenza e la virtù del disgraziato studente. Riguardo alle visite di Mariana al malato, egli non vi si opponeva, anche perchè sapeva che sarebbe stato inutile, ma aveva quasi piacere che ella partisse, pur di sapere interrotta una relazione inutile a lei, noiosa per lui.

— Il disgraziato, poi, partita te, sarà più disgraziato di prima, — diceva a Mariana, nei brevi momenti che si vedevano intorno alla tavola di zia Giuseppa.

— Non sarà più disgraziato perchè almeno avrà un ricordo buono, fra tanti cattivi, e.... una speranza....

— Quale?

Ella sorrideva, guardando la florida bruna Lia che serviva a tavola silenziosa e tutta compresa da un sacro rispetto per l’alta dignità del Commissario. E Lia metteva sulla mensa, con una mano sola, un gran piatto con l’arrosto di montone per venti persone, pensando: «ella lo [p. 238 modifica]sposerà, se egli guarisce e diventa dottore; mentre il Commissario, preoccupato e nervoso, diceva senza aspettare la risposta della sorella:

— E neanche oggi insalata, Liè? Ma che paese è questo? Neanche in primavera avete erba?

— Erba ce n’è, missignoria, ma non fa per «vostè»; è di campagna.

— Che cos’è? Cicoria? Ma se ti ho detto mille volte che la voglio: puliscila subito e portala.

Uscita Lia, Mariana diceva:

— Quale speranza? Quella del mio ritorno!

— Tu? Ah, ah, tu tornerai qui quando ci ritornerò io, mia cara! Si viene in questi posti come si va in Terra Santa: una volta e basta.

— Io non ho detto che tornerò; ho detto che lui avrà la speranza del mio ritorno....

— Ed egli s’innamorerà di te.

— Non può più innamorarsene perchè se n’è già innamorato.

— E tu credi di far del bene?

— Molto bene. Si vive d’illusioni, caro mio. D’altronde se tu vieni a fargli visita tutto il paese si metterà ad adorarlo; egli riavrà la sua buona fama, e forse anche guarirà. Io voglio questo....

— Io non verrò! Ho abbastanza noie.

— Tu verrai, non solo, ma gli farai assegnare dal comune un sussidio mensile....

— Tu diventi matta, cara mia! Senti, è meglio che tu parta....

— Io non partirò se tu non verrai a fargli visita....

— Bè, Lia, quest’insalata?

Lia rientra, grassa eppure agile, col piatto della cicoria nerastra e la bottiglia dell’olio appoggiata al seno colmo; il suo viso fino e bruno è atteggiato a severa dignità. [p. 239 modifica]

— La padrona non voleva che missignoria mangiasse di questa erba.

— Dille che anche Gesù nel deserto si contentava di quello che aveva.

— Vieni oggi, Mariano? Su, vieni, così parto tranquilla! Parto domani, se vieni oggi.

— Ma neanche per sogno! Forse prima di partire.... un giorno o due; ma per adesso no, è inutile, non vengo, non voglio aver seccature.



Il giorno dopo la visita notturna di Columba al malato, Mariana e prete Defraja entrarono nella stamberga.

Ella si tolse il cappello, prese di mano al prete il tricorno e so lo misurò, guardandosi nello specchietto, di cui Jorgj, ancora abbattuto dalle vicende straordinarie della notte, seguiva coni gli occhi tristi il riverbero danzante sui muri.

Egli pensa va a Columba sembrandogli di veder ancora la figurina nera di lei piegata convulsa implorante perdono e amore. Ah, quale contrasto fra le due donne; una nera e piena di mistero come la notte, l’altra bianca e lieta come il giorno! Egli la guardava e sentiva cessare i suoi mali.

— Finalmente abbiamo bel tempo, — disse prete Defraja passandosi la bianca mano sui capelli dorati. — Ma adesso verrà subito il caldo, che, a quanto dicono, qui non scherza!

— Ma se in casa sua si sta come sulle Alpi! — disse allora Jorgj scuotendosi. — Su nella piazza c’è sempre fresco, e dalla panchina di angolo si vede il mare.... Ah, come mi piace quella panchina! Io ci stavo ore ed ore.... [p. 240 modifica]È bello, sì; ma è anche lontanuccio quel mare....

— Io amo il mare così da lontano, — disse Mariana rimettendo lo specchietto nella borsa e il tricorno nelle mani del prete. — Ah, il suo cappello non mi piace; eppoi porta disgrazia. Se lo tenga, non lo voglio!

— Ma io non glielo avevo dato, signorina!

— Se lo volevo, lei me lo dava!

— Ma neanche per sogno.

— Un altro mi diceva così, per un’altra cosa, — ella disse con forza, guardando il prete negli occhi, — e invece adesso s’è piegato e farà quello che vorrò io!

— Chi? Chi? — domandarono a una voce i due uomini, indovinando ch’ella accennava al fratello. Jorgj arrossì d’emozione.

Ah, se il Commissario si decideva a fargli visita, la sua rivincita era completa! Mariana però non volle dire altro. Trasse da un pacco che aveva portato con sè un grosso volume e da lontano fece leggere il titolo ai due uomini: il prete si nascose gli occhi con la mano ed ella si mise a ridere.

— Tanta paura le fa? Ha ragione! È un libro di vita e di morte, e tutte e due sono terribili! Ma il signor Giorgio lo leggerà con piacere perchè lui non ha paura nè dell’una nè dell’altra.

— Dia, dia, — supplicò il malato tendendo la mano mentre il prete scuoteva la testa e muoveva le labbra come mormorando uno scongiuro.

Mariana ficcò il libro sotto il cuscino di Jorgj: era «Forse che sì forse che no».

— Io ho visitato il palazzo ducale di Mantova cinque anni or sono. Sì, proprio cinque anni or sono; cosa crede, ch’io sia giovane? Son vecchia, prete Defrà: se no, non mi farei accompagnare da un uomo pericoloso come lei! Sì, [p. 241 modifica]ricordo la sala del Paradiso, dalle cui vetrate si vede il lago melanconico come uno stagno. Mi ricordo: era d’autunno; attraverso i canneti gialli salivano piccole nubi rosse che mi sembravano fenicotteri, i bei fenicotteri vermigli consacrati al sole.... Poi ricordo la sala da pranzo coi grandi fiumi rappresentati da vecchioni incoronati di giunchi.... e la galleria degli specchi, e il letto di Napoleone, simile al letto di tanti altri piccoli uomini sconosciuti; e la camera dell’Imperatrice con le pareti coperte da un velo finto; e le salette di Isabella col ritratto di lei sullo stipite dell’uscio.... Ma il palazzo del T m’ha fatto più impressione del palazzo ducale: è ancora più abbandonato, più triste, ma d’una tristezza solenne. Guarda su una peschiera vuota, su un giardino desolato, pieno di qualcosa di tetro, di più tetro dell’acqua morta di certi stagni; pieno di ricordi! In fondo c’è una grotta con stalattiti che non splendono più, con una fontana che non dà più acqua; e sulle pareti delle sale, nel palazzo, cavalli enormi e giganti che hanno la fisonomia bonaria dei mantovani moderni, viso rosso, occhi chiari, capelli e baffi rossicci, labbra grosse e fossetta sul mento, s’agitano in una lotta che dura da secoli ed è sempre tanto grandiosa quanto vana....

I due uomini ascoltavano, e sebbene ancora accigliato il prete finì col domandare:

— Signorina, perchè non scrive?

— Sì! Ho scritto una novellina, una volta, e me l’hanno subito pubblicata e subito criticata: sì, ho avuto questo successo; mi dissero subito che la mia novella era «deprimente», vale a dire peggio che immorale. Come era? Chi lo ricorda più?

— Perchè non continua a scrivere?

— La signorina è una brava pittrice, anche, [p. 242 modifica]

— disse il prete, — ma non vuole neppure dipingere.... Allora....

— A che, prete Defrà? — ella riprese di nuovo fissandolo. — Tutte le nostre battaglie sono come quelle dei giganti negli affreschii di cui parlavo: possono durare secoli e non finiscono se non quando il tempo le cancella. Meglio non far nulla; meglio restare immobili come il nostro Jorgj Nieddu: egli solo è il forte: noi andiamo, andiamo, giriamo come farfalline intorno al lume, cadiamo con le ali bruciate...

— Le sue parole sono deprimenti come la sua novella, — disse Jorgj fattosi scuro in viso. — Lo so, tanto, perchè parla così. Perchè vuol partire!

Allora ella cambiò ancora discorso.

— Sa chi ho veduto, poco fa?... Il dottore che andava a caccia. Si voltava e rivoltava e io, tutta lusingata, credevo fosse per me.... Ma poi vidi la sua Margherita che veniva su. Sentito: io ho osservato una cosa curiosissima. Il dottore è brutto, vero? È l’uomo più brutto del paese: ebbene, quando sta vicino a quella ragazza diventa bello: sembra giovane, ha gli occhi luminosi, il viso pieno di dolcezza.... Eppure in casa di zia Giuseppa si parla di un avvenimento straordinario. Il dottore cerca un marito per Margherita perchè, dicono, ha paura di sposarsela lui!

Ma i due uomini avevano appena cominciato a commentare il fatto, quando Mariana tornò a frugare nella sua borsa ricordandosi che aveva da dare qualche altra cosa a Jorgj.

— Mi prometta di non farla vedere a nessuno: neanche a prete Defraja. Volti la testa dall’altra parte; non voglio che veda, lei, prete Defraja!

Porse una busta al malato, ed egli ne trasse [p. 243 modifica]il ritratto di lei, su un cartoncino oblungo; i capelli sfumavano su uno sfondo tenebroso, ma avevano qua e là qualche riflesso bianco: una collana sarda di argento brunito, fatta di rosette, di simboli, col pesce, la colomba, la spada, l’uomo a cavallo, le circondava il collo nudo. Le labbra sorridevano benevole e infantili mentre lo sguardo era triste e quasi minaccioso.

Il prete si curvò a guardare.

— E proprio lei; il diavolo vestito da angioletto!

Quasi offeso Jorgj mise l’immagine diletta nel cavo delle sue mani giunte, come in una nicchia, e stette a guardarsela, tutta per sè, finchè prete Defraja non si decise ad andarsene. Rimasto solo con Mariana sollevò gli occhi e disse: — Grazie. Adesso, anche se lei partirà io sarò più tranquillo.... — indi aggiunse sottovoce: sa, stanotte è venuta Columba....

Credeva che Mariana si meravigliasse e s’ingelosisse; ella invece sedette accanto al letto tranquilla pregandolo di raccontarle tutto.

— Lo sapevo, — disse quando egli ebbe raccontato. — Doveva succeder così. E adesso che fare? Come mandar via l’altro sposo?

— Ma perchè mandarlo via? — disse Jorgj irritandosi. — Io non amo più Columba; credevo di odiarla, ma mi sono accorto che neppure la odio; solo mi desta pietà.

Ad onta di queste proteste, Mariana restava pensierosa. Ma ad un tratto si scosse e parve riprender la sua solita gajezza per annunziargli che suo fratello il Commissario, pregatone anche da prete Defraja, s’era finalmente deciso a fargli visita. Mentre Jorgj si rallegrava per questa notizia ella riprese a filosofare.

— Chissà! — disse appoggiando la guancia al [p. 244 modifica]pomo dell’ombrello. — Lei, signor Giorgio, è qui, vinto dalla sua passione per quella donna; e adesso.... adesso.... dice che non gliene importa più nulla! Perchè? Perchè lo nostre passioni cadono come vapori? E il peggio è che rinascono sempre, ritornano sempre, appunto come i vapori nell’aria! E così, lei mi dimenticherà, signor Giorgio! Guarirà, si alzerà, tornerà ad amare e ad odiare: e un bel giorno troverà fra le sue carte la mia fotografia sbiadita e dirà: è di quella signorina frivola che era venuta al mio paese....

— Non si prenda gioco di me! Io non sono nè il dottore nè il prete....

Ma ella parlava sul serio, vinta da un indicibile senso di tristezza.

— Le dico che è così! Vedrà!

— Ma le pare possibile? — egli disse allora, cercando sotto il guanciale l’astuccio con la penna che ella gli aveva regalato. — Io non guarirò.... lo sento; ma non importa.... Non mi dispero; e sa perchè? Perchè sono quasi felice di viver così, immobile, già sepolto, per poter pensare solo a lei, sempre a lei.... Io stavo tanto male, prima che venisse lei, perchè non amavo, non sentivo pietà di nessuno, neppure di me stesso. Era questa la vera paralisi che mi angosciava. L’orgoglio solo mi sosteneva, ma sentivo indebolirsi anche quello, e la morte aleggiava intorno a me. Ma lei venne, Mariana, lei che è la vita, ed ha cacciato via il lugubre fantasma. Come posso dimenticarmi di lei? Solo quando le diranno: Giorgio è morto, solo allora potrà ripetere le parole che disse poco fa....

Scrisse qualche parola sul margine della fotografia e riprese: — Se vuole, parta pure. Vada, si diverta, viva. Non ho paura a star solo, oramai, poichè ella [p. 245 modifica]mi ha promesso di ricordarsi di me. Vivrò aspettandola....

Sollevò la fotografia ed ella lesse sul margino bianco:

Nessuno ti amerà dell’amor mio,

e non seppe perchè, ella che era sana e fortunata, che poteva andarsene per il mondo lieta e lieve come l’allodola su pei cieli, ebbe invidia del suo povero amico malato.



Più tardi ritornò il prete. Diventato amico intimo di Jorgj egli andava ogni giorno a trovarlo.

— È impossibile parlare quando c’è quella ragazza, — disse stringendogli la mano. — Essa non lascia in pace nessuno e tu, d’altronde, quando c’è lei, non capisci nulla. Devo parlarti di una cosa molto grave.

Sulle prime Jorgj credette che egli volesse parlare della visita di Columba e dell’alterco di lei col nonno: ma prete Defraja si passava e ripassava la mano sui capelli, come ogni volta ch’era molto preoccupato, e accennava a voler dire qualcosa di più grave.

— Tu mi hai spesso parlato dei tuoi sospetti su Dionisi il mendicante. Si tratta di lui. Tu non l’hai più riveduto?

— No, perchè? Che c’è di nuovo?

Siccome il prete taceva continuando a lisciarsi i capelli, Jorgj s’inquietò.

— Io non sospetto; sono convinto! Perchè egli è sparito, dopo quel giorno? Egli veniva spesso da me, in questi ultimi tempi; il rimorso e la paura lo guidavano. Quando io gli raccontai [p. 246 modifica]d’aver sognato ch’era lui il ladro, egli cadde lì in ginocchio, convulso, minaccioso. Che avrebbe detto, che avrebbe fatto se in quel momento non fosse entrata Mariana? Avrebbe confessato o mi avrebbe ucciso? Questo non lo so; ma sono certo che egli è colpevole, e spesso ho paura di vedermelo ricomparire davanti....

— Ebbene, senti; e se egli fosse davvero colpevole, che faresti?

— Non lo so ancora. In tutti i casi non toccherebbe a me denunziarlo; toccherebbe al derubato.

— Senti, Jorgj, — disse il prete stringendogli forte la mano e curvando il viso contro il viso di lui, — è proprio Dionisi Oro il colpevole. Adesso vedremo il da farsi.

— Ah, — sospirò Jorgj; e parve liberarsi da un incubo.

Il suo primo pensiero fu per Mariana. Oramai egli poteva comparire davanti a lei puro e lavato da ogni macchia; degno di lei.

— Come ha saputo? Mi racconti, Defraja, mi racconti!

— Ieri mattina presto quando uscivo dalla messa mi si avvicinò ziu Innassiu Arras pregandomi di recarmi al suo ovile per confessare un pastore gravemente malato di polmonite. «Ho pronti qui i cavalli, se vuol venire», mi disse. Partimmo e lungo il viaggio (egli ha l’ovile poco distante dalla chiesetta del Buon Consiglio) mi parlò sempre di te. Mi diceva: «Jorgeddu è venuto a trovarmi in mezzo alle pietre e mi ha sempre difeso e s’è forse rovinato per difendermi; ma io non sono un ingrato; io farò per lui quello che nè Giuseppa Fiore nè la sorella del Commissario riusciranno a fare». Finalmente, dopo queste ed altre frasi incisive, e dopo lunghi silenzi più significativi ancora, mi disse: «Ebbene, devo dirle una cosa, prete Defraja; l’uomo che lei [p. 247 modifica]viene a confessare è il ladro dei denari di Remundu Corbu». Chi è? domandai. Sulle prime non volle rispondermi. Poi mi disse che si trattava di Dionisi Oro. «Jorgeddu mi aveva accennato ai suoi sospetti, — proseguì, — e quando seppi che Dionisi era sparito cominciai a dargli la caccia. Lo trovai nella chiesa di Sin Francesco, durante la festa, e lì cominciai a investirlo di domande e a minacciarlo. Egli negava, si fingeva sordo più di quello che è, ma aveva paura; poi un bel momento mi scappò di mano e sparì. Seppi che frequentava un ovile nei dintorni di San Francesco e andai a cercarlo fin là: vedendomi allibì e cercò di sfuggirmi ancora, ma io lo indussi a seguirmi fino al mio ovile; là lo legai come un cane e minacciai di andare a chiamare i carabinieri se non mi raccontava come erano andate le cose. Egli stette due giorni silenzioso e cupo; finalmente diede in ismanie; cominciò a lamentarsi e a gemere e a darsi pugni sulla testa, e mi disse che voleva il prete e che solo a lui avrebbe confessato ogni cosa. Ecco perchè son venuto a chiamarla». Arrivammo all’ovile con quel tempaccio orribile ch’era ieri. Dionisi stava buttato per terra, ancora legato, e non tentava neppure di liberarsi. Lo feci slegare e sollevare; sembrava istupidito ed io rimproverai a zio Arras di averlo ridotto così; ma il vecchio disse a voce alta: «È il peccato mortale che lo ha ridotto così, non io». Allora Dionisi cominciò a tremare e mi disse che voleva confessarsi. Dopo la confessione mi raccontò che ogni notte vede in sogno San Francesco, vestito da pastore, con una gran barba e due occhi terribili, che gli ordina di restituire il mal tolto. Per placare il santo egli ha nascosto la cassettina rubata a zio Remundu dietro il muro di cinta del cortile di San Francesco; ma i sogni non [p. 248 modifica]cessano. Cosa curiosa; spesso gli si riproduco l’identico sogno che tu gli hai raccontato, gli par d’essere al tuo posto, e prova un gran terrore parlando di te. «Che andavate a fare da lui? — gli chiesi. — Volevate confessargli ogni cosa?» Egli pensò alquanto, poi, forse suggestionato dalla mia domanda, rispose di sì. «Disgraziato, — gli dissi, — ma sapete tutto il male che avete causato? Voi adesso restituirete il mal tolto e andrete per qualche anno in prigione, ma i dispiaceri, il disonore, la malattia, i danni che avete causato a Jorgeddu come li sconterete?» Egli non rispose: che poteva dirmi, d’altronde? Rientrò il vecchio e anche davanti a lui Dionisi confessò di aver rubato i danari e diede indicazioni precise sul luogo ove li aveva nascosti.

Jorgj disse:

— Bisogna andare da zio Remundu e rimettersi a lui. Ma c’è una cosa ben più grave ancora.

Columba è venuta qui da me stanotte. Sapeva ella già di Dionisi?

— No, nessuno ancora lo sa! Ah, ella è venuta qui? Ah, raccontami!

E mentre Jorgj ripeteva il racconto che pareva quello di un sogno, il prete ascoltava turbato profondamente.

— La cosa è grave, sì, Jorgj! Se ella adesso viene a conoscere la storia di Dionisi è capace di fare uno scandalo e mandare a monte il suo matrimonio.

— Ed io non voglio! — disse Jorgj con forza.

— Tutto posso subire fuorchè l’amore di lei: io non l’amo più; la sua unica salvezza è il suo matrimonio col vedovo. Che se ne vada dunque; vivremo entrambi più tranquilli.

— Che fare allora?

— Tacere finchè ella non si sposa e se ne va. [p. 249 modifica]

Discussero ancora ma il prete non trovava giusta l’idea di Jorgj.

— Se la scoperta del vero colpevole ha da portare un gran dolore a Columba, meglio prima che dopo il matrimonio: parrebbe che noi vogliamo renderci strumenti del suo castigo, e questo noi non dobbiamo volere.

— Ebbene, allora io mi rimetto a lei, prete Defraja, — disse Jorgj stanco. — Ma che Columba non torni più qui. Io la conosco: essa oramai è spinta dalla gelosia e dal rimorso: si tormenterà, inutilmente, inutilmente! Perchè può risorgere un morto dalla sua tomba, non un amore che è stato spento dall’odio e.... seguito da un altro amore!...

Allora il prete se ne andò di nuovo fino alla piazza della chiesa, e cominciò a passeggiare su e giù inquieto e perplesso. Di tanto in tanto tossiva, fermandosi come richiamato da un ricordo improvviso. Anche le pagine sbiadite della sua vita racchiudevano un episodio romantico: una donna lo aveva amato, lo aveva tradito, poi era tornata a lui quando un amore più grande di tutte le passioni umane unite assieme, l’amore di Dio, lo aveva già liberato dal piccolo amore terreno. Ma se l’anima è forte il corpo è fragile; e per sfuggire alle persecuzioni della donna egli era partito rifugiandosi sulla montagna come un eremita.

Ma il disgraziato Jorgj non poteva fuggire: come aiutarlo?

Fra Jorgj e Columba l’anima del prete esitava; egli sentiva pietà d’entrambi, ma la bilancia pendeva dal lato di Jorgj. Finalmente, dopo lunghe esitazioni e discussioni con sè stesso, decise di favorire l’amico.