Cristoforo Colombo (de Lorgues)/Libro II/Capitolo VIII

Da Wikisource.
Capitolo VIII

../Capitolo VII ../Capitolo IX IncludiIntestazione 1 gennaio 2019 75% Da definire

Libro II - Capitolo VII Libro II - Capitolo IX
[p. 405 modifica]

CAPITOLO OTTAVO.

Scoperte delle miniere d’oro sulle rive dell’Oceano. — Partenza di Colombo per la Castiglia coi malati, il cacico Caonabo e trentadue prigionieri indiani. — Le correnti e i venti contrari lo travagliano lungamente. — Approda alla Guadalupa per pigliarvi de’ viveri. — Aflfezione romanzesca di una principessa antropofaga pel caraiba Caonabo. — Indifferenza e indomito orgoglio del cacico. — Muore a bordo. — La fame si fa sentire. — Gli equipaggi guardano con occhio ostile gl’Indiani, e vogliono gettarli in mare per economizzare le razioni. — L’ammiraglio veglia sopra di loro e predice il giorno in cui si scoprirà terra. — Arrivo a Cadice.


§ I.


L’ammiraglio comandò incontanente di ristaurare la Santa Clara, e di costruire un’altra caravella, con nome di Santa Croce; comprendeva l’urgenza di giungere in Castiglia nel tempo stesso che vi arrivava il suo nuovo accusatore. Durante la costruzione della nuova nave, per la quale s’impiegavano le tavole delle caravelle distrutte, ricevette, qual ristoro di tante sciagure una notizia che doveva giovare meglio alla sua difesa dell’esposizione della sua amministrazione, diretta da una prudenza superiore e il cui unico torto era stato una troppo grande bontà.

Alcuni mesi prima di quel terribile uragano, il giovane Michele Diaz d’Aragona, addetto al servizio di don Bartolomeo Colombo, giovane di buon cuore e di bell’aspetto, ma troppo violento, aveva appiccato lite con uno de’ suoi compatriotti: alla presenza di alcuni Spagnoli, si batterono col coltello secondo il costume de’ Catalani. L’avversario di Michele Diaz cadde intriso nel proprio sangue, e Michele, sapendo l’inflessibilità di don Bartolomeo, non osò, quantunque suo domestico, d’implorarne il perdono; quindi prese la fuga accompagnato dai testimoni del duello. Giunsero alle rive dell’Ozanna, sul territorio di una giovane cacica, la cui bellezza sorprese Michele Diaz, e che si accese [p. 406 modifica]incontanente di amore per lui: in breve si fece cristiana per isposarlo; fu nominata Catalina.

Temendo che lo sposo non si trovasse troppo isolato da’ suoi, e l’abbandonasse, gli rivelò l’esistenza di miniere d’oro a sette leghe di là, e lo stimolò ad attirare cola i suoi compatriotti: Diaz vide incontanente in tale comunicazione il mezzo di ottenere grazia: accompagnato d’alcuni sudditi di sua moglie, risolvette di presentarsi a don Bartolomeo; si nascose ne’ dintorni di Isabella, fece chiamare uno de’ suoi amici, seppe che il ferito, non solamente non era morto, ma guariva; il perchè non temette più di mostrarsi. Don Bartolomeo lo accolse, gli perdono e lo riconciliò col suo avversario. Questa notizia era un aiuto provvidenziale per Colombo.

Spedì immantinente verso quel lontano distretto don Bartolomeo, scortato da uno stuolo di fanti, e accompagnato dal metallurgista Pablo Belvis con alcuni operai di miniere. Passarono per la Concezione, ove presero guide del paese, traversarono i dominii del cacico Bondo, e giunsero al fiume d’Hayana, sulla cui riva trovarono copia di minerali d’oro: ne videro altresì ne’ suoi affluenti e ne raccolsero pezzi considerevoli.

Don Bartolomeo portò di là minerali d’oro di gran valore: l’ammiraglio li ricevette con una viva gratitudine, ringraziando Dio, che faceva paghi i suoi desiderii mandando in in quella ch’era sul partire, il miglior mezzo per confondere i suoi nemici, incoraggiare i Re cattolici a continuare le scoperte, e permettere a lui di coronare le sue fatiche col conquisto od il riscatto del Santo Sepolcro, oggetto supremo d’ogni sua ambizione in questo mondo. Secondo le sue costanti abitudini di pietà, si chiuse nel suo oratorio a pregare. La parte del terreno d’Hayana, ov’erano state scoperte le miniere, fu chiamata San Cristoforo, dal nome della fortezza che l’ammiraglio comandò di costruirvi.

Prima di partire, volle regolare durante la sua assenza il reggimento interno della colonia. In virtù de’ suoi poteri e privilegi, elesse suo luogotenente generale il fratello Bartolomeo, con titolo di Adelantado, titolo che gli fu poi sempre conservato: nominò magistrato superiore della colonia Francesco Roldano, dianzi addetto al suo servizio personale, uomo poco [p. 407 modifica]istruito, ma di uno spirito leale, pieno di acume, e inclinato alla giurisprudenza. L’ammiraglio lo aveva sollevato precedentemente alla carica di giudice in prima istanza, nel qual ufficio aveva meritato la soddisfazione generale.

Già Cristoforo Colombo si er’affrettato di provvedere ai primi bisogni spirituali della colonia, così tristamente trasandati dal padre Boil: provvide che durante il suo allontanamento la Religione Cattolica sarebbe annunziata alla popolazione dell’isola: fidò l’onore di quell’apostolato ad un Francescano, il padre Juan Bergognon, al quale aggiunse il pio frate Roman Pane, che possedeva il dono delle lingue: indi, mandò quest’ultimo nelle terre del cacico Guarionex, e lo incaricò di stendere una memoria sulle credenze primitive degl’indigeni, la loro genesi, la loro cosmografia. Nonostante il suo zelo per la gloria del Salvatore e la salute delle anime, fra Roman Pane, che si chiamava umilmente il povero eremita, ebbe paura di trovarsi solo, e abbandonato fra popoli irritati e fantastici: espose il suo spavento all’ammiraglio, pregandolo permettergli di prender seco alcuni compagni per sostenerlo e consolarlo. Colombo lo autorizzò colla maggior arrendevolezza del mondo a condurre seco chi meglio piacevagli; ed ebbe cura al tempo stesso di collocare un drappello di fanti alla portata della residenza de’ Missionari, affine di prevenire ogni attentato degl’indigeni contro le loro persone.

Quantunque la leggerezza del loro carattere e la confusione delle loro credenze preservassero gl’indigeni da un feroce fanatismo, pure i loro sacerdoti, chiamati Bohutis, i quali fungevan officio anche di medici, e di stregoni o indovini, avevano interesse che un nuovo culto non venisse a distruggere il loro mestiere, ch’era lucroso, e avrebbero potuto armare il braccio de’ loro creduli clienti. La religione degli isolani consisteva principalmente in una fede rozza al potere di certi idoli da loro chiamati Zemes i quali ora di legno, ora di pietra, molto diversi nelle loro forme e nelle loro attribuzioni, non erano che l’equivalente dei fetici dei negri e dei manitou delle Pelli Rosse. I preti Bohutis non costituivano una corporazione a parte; non avevano nè dotazione, nè privilegi ereditari; non [p. 408 modifica]dominavano i cacichi; e dal canto loro i cacichi non cercavano punto di smuovere il loro credito. Per far cadere questa religione sprovveduta di dommi, di simboli, e che non reggevasi per alcun fondamento di tradizione, sarebbe bastata la dolcezza e la carità del Vangelo: ma, per mala ventura, le violenze e i vizi degli Spagnuoli alteravano presso que’ popoli la giusta nozione del cattolicismo; e, confondendo la religione coll’uomo, rendevano il Cristianesimo mallevadore dei delitti dei loro oppressori.


§ II.


Al cadere del febbraio, le due caravelle furono in istato di reggere al mare, onde si procedette all’imbarco. I malati, i malcontenti, gl’idalghi disingannati, in tutto dugento venticinque, e trentadue indiani, fra’ quali il fiero Caonabo con un suo fratello, un figlio e una nipote, furono scompartiti sulle due caravelle. Aguado salì la nave nuova, e Colombo la povera, ma fedele Santa Clara.

Il 10 marzo 1496 le due navi abbandonarono il porto, e si avanzarono all’est per tentare una nuova strada. Non si era fatta ancora l’esperienza de’ venti in quelle parti: non si sapeva che bisognava governare direttamente al nord, per trovare i soffi regolari che favoreggiano il ritorno in Europa. Colombo dovette combattere la forza de’ venti e sostenere grandi fatiche per incessanti manovre: passò dodici giorni lottando, prima di perder di vista il capo orientale d’Hispaniola. Finalmente, nonostante i venti e le correnti contrarie, il sei di aprile giunse in alto mare. I viveri e le forze dell’equipaggio erano scemati in que’ ventisei giorni perciò l’ammiraglio si decise di approdare alle terre de’.Caraibi per vettovagliarvisi.

Ando verso mezzodì, e il 10, un mese dopo la sua partenza, gettò l’ancora davanti la Guadaluppa. Mandò due scialuppe armate a procacciarsi viveri: ma in un istante la spiaggia fu stivata di Amazzoni coronate di piume, armate di archi, e che facevano le mostre di opporsi allo sbarco. La forza de’ flutti obbligò a tener le scialuppe a qualche distanza: due Indiani si [p. 409 modifica]gettarono a nuoto e dissero a quelle donne che i sovraggiunti non volevano far loro alcun male; non chiedevano altro che viveri, ed in pagamento darebbero gioielli. Quelle Amazzoni li rimandarono ai mariti, che si trovavano in altra parte dell’isola verso il nord.

Le scialuppe si drizzarono a quella volta, e videro sulla riva una turba di guerrieri di aspetto feroce, minacciosi nei gesti e che dardeggiarono una grandine di frecce fuor di tiro. Vedendo che le scialuppe continuavano nondimeno ad accostarsi, si nascosero nelle boscaglie intorno, donde uscirono improvvisamente mettendo orribili grida, nel punto che gli Spagnuoli scendevano a terra. Una scarica di archibugi li fece rientrare nella foresta; e fuggirono abbandonando le loro capanne ove si trovarono vettovaglie, miele, cera, magnifici papagalli ed un braccio d’uomo che arrostiva al fuoco.

L’ammiraglio mandò uno stuolo di quaranta soldati a riconoscere diversi punti dell’isola: tornarono il giorno dopo conducendo tre fanciulli e dieci donne, fra le quali primeggiava la sposa di un cacico.

Questa bella gagliarda, nonostante la sua pinguedine, aveva stancato nel corso tutti quelli che la inseguivano; solo, un giovane delle Canarie, a’ servigi dell’ammiraglio, e corridore famoso, era riuscito a tenerle presso. Quando vide che il rimanente degli Spagnoli si trovava distante, la robusta matrona si volse improvvisamente sopra di lui, lo atterrò colla violenza dell’urto, opprimendolo poscia col suo peso, cercava soffocarlo e gli cacciava nel collo l’ugne acute; era morto, se i suoi compagni non fossero corsi in suo aiuto: presero la Caraiba accanita sulla sua preda, e durarono gran fatica a togliergliela di mano. Tutte coteste donne erano nude e pingui: per comparire più grosse si stringevano le gambe con fasce di cotone; portavano i capelli lucidi e profumati di un sugo di erbe odorifere, sparsi sulle spalle.

Gli Spagnoli passarono nove giorni a percorrere l’isola ed a raccogliere cassave: si provvidero di legna e di acqua; poi nel punto di porre alla vela, l’ammiraglio rimise a terra le donne e i fanciulli, dopo che gli ebbe regalati di quelle bagatelle di cui [p. 410 modifica]gl’Indiani erano ghiotti: ma la moglie del cacico dichiarò di voler rimanere a bordo con sua figlia, per curiosità di vedere il paese de’ potenti stranieri.

Questo motivo non era che un pretesto. La bellicosa matrona aveva veduto «il Signore della casa d’oro,» il gran Caonabo, in catene, sulla caravella ov’essa trovavasi. Siccome discendevano ambedue dal medesimo ceppo, avevano i medesimi lineamenti, parlavano la medesima lingua, ed erano dotati de’ medesimi istinti e gusti antropofagi, destasi incontanente nel suo cuore pietà dell’infelice, quella formidabil dama non potè risolversi a lasciar solo e prigioniero il gran Caonabo, lo sposo della celebre Anacoana, non avente seco nè schiavo, nè donna che potesse servirlo: simpatia la conquideva; immolando doveri e avvenire al suo entusiasmo, dimenticò i figli, lo sposo, la sua tribù, il suo paese per consacrarsi a sollevar le pene dell’eroe, i cui alti fatti elettrizzavano la sua imaginazione.


§ III.


Il 20 aprile Colombo rimise alla vela. Ricominciò la lotta coi venti; indi tornò la bonaccia; il 20 maggio egli era ancora in mezzo all’Oceano, e niuno sapeva in qual latitudine; quindi mestizia e scoramento occupavano gli spiriti. Già l’acqua mancava, e i viveri erano notevolmante diminuiti, in guisa che bisognò porre tutti alla razione esigua di sei once di pane per giorno. I piloti contrastavano fra loro rispetto la strada: si consideravano smarriti nell’incomensurabile Oceano: allora l’ammiraglio gli assicurò che erano distanti circa cento leghe dal meridiano delle Azzorre: annunzio che si trovò esatto.

Colombo si occupava sopra tutto dei malati: la sua compassione gli faceva trovar consolazioni impensate per que’ meschini il maggior numero de’ quali era già sofferente prima d’imbarcarsi. Mentre sulla caravella d’Aguado, gli operai e i soldati ammalati erano trascurati dal commissario reale, quelli che stavan a bordo della Santa Clara ricevevano servizi, esortazioni ed esempi che sostenevano il loro morale. Certamente il venerabile padre Juan Perez de Marchena, secondando l’ammiraglio, [p. 411 modifica]gli assisteva, e offeriva loro gl’incoraggiamenti spirituali, de’ quali è sentito doppiamente il pregio nella sciagura.

Intanto le fatiche e le pene della navigazione non facevano che aumentare; l’attaccamento della cacica antropofaga non pote distrarre il suo eroe, assorto dal sentimento della propria infelicità. L’ammiraglio gli aveva promesso di ricondurlo alla Maguana dopo di avergli mostrati i Sovrani e le grandezze della Castiglia; ma l’umiliazione della sua soggezione aveva acceso un fuoco segreto nelle sue vene. Nascondendo in un ostinato silenzio il suo dolore, e sotto l’impassibilità. del volto l’amarezza de’ suoi affanni, faticato, logoro da quella prigionia su tavole sbattute sempre dalle onde, egli pareva straniero a tutto quello che accadeva intorno a lui. Le attrattive della sua compatriota non lo sedussero. A poco a poco le sue forze vennero meno; sola la sua alterezza non iscemava; e, alla perfino, ostinatamente immobile, morì avviluppato nella sua taciturna superbia.

Cosi il romanzo di questa principessa antropofaga fu terminato prima che finisse la sua navigazione. Rimanendo liberamente fra gli stranieri, ella rinunziava alla sua famiglia, alla sua patria, alla sua libertà, alla sua vita; perocch’essa aveva tradito il suo .sposo, e per conseguenza meritata la morte: ella si sacrificava all’onore di essere schiava di uno schiavo già coronato, di aiutarlo a portare le sue catene: non si può disconoscere la grandezza di tal sacrifizio: quale ne fu la ricompensa? la morte nell’esilio. Emana un non so qual profumo di selvaggia epopea dal racconto di questo amore da cannibali, destosi a prima vista, e rivelatosi in mezzo alla lotta dell’uomo contro le maggiori forze della natura, durante le angosce del terrore, e le minacce della fame, sugli abissi dell’Oceano.

Il fratello di Caonabo, rifinito, non gli sopravvisse che pochi giorni.

La disastrosa navigazione proseguiva: ma i patimenti si aggravavano sempre più: quindi si cominciavano a udir lamentanze e parole di malcontento. Gli Spagnuoli gettavano sguardi ora dolorosi, ed ora sdegnosi sui trenta Indiani che restavano sulle navi. La fame, padroneggiando ogni sentimento, risvegliava la crudeltà, e consigliava il delitto. Gli Spagnuoli si [p. 412 modifica]raccoglievano in conciliaboli, e tutti proponevano a voce bassa di uccidere e mangiare gl’Indiani, o di gettarli in mare, per liberarsi di quelle bocche inutili; con che le razioni acquisterebbero un accrescimento giornaliero di centottanta once di pane: quest’ultimo partito pareva che prevalesse.

Il 7 giugno venne fatta pubblicamente la proposta di questa crudele necessità: ma quando fu conosciuto dall’ammiraglio l’atroce consiglio, la dolcezza compassionevole che aveva sin allora mostrata, si tramutò nella gagliardia più coraggiosa: egli si fece innanzi pieno di maestà, e signoreggiò il tumulto della disperazione: aiutandolo Iddio, fe’ tacere la fame, e significò fermamente a que’ traviati che aveva scoperto le Indie per darle a Gesù Cristo; che quegli Indiani, riscattati al prezzo del medesimo sangue, erano loro fratelli; che li menava in Castiglia, per far di loro altrettanti figli della Chiesa, altrettanti amici della nazione spagnuola, e che non permetterebbe l’abbominevole misfatto: ricordò loro che la pazienza ne’ patimenti era la virtù de’ Cristiani, il segno della loro superiorità; e aggiunse, che, ad ogni modo, la paura che consigliava quella spaventevole codardia procedeva dall’errore e dall’ignoranza, perocchè in tre giorni sarebbero nelle acque del Capo San Vincenzo. ’

A queste parole i piloti risposero con vive parole di contraddizione, che, secondo il loro calcolo, essi n’erano ancora molto lontani. e si credevano vicini alle Azzorre. L’ammiraglio impose loro silenzio, continuò la medesima via; poi alla sera del terzo giorno comandò di piegar le vele, che la dimane vedrebbono terra.

Ma quelle genti affamate lo supplicarono di lasciarle giungere il più presto possibile, dicendo che amavano meglio di correre il rischio di rompere sulla prima costa, anzichè morire sicuramente di fame in alto-mare. Intorno a ciò si accese controversia fra’ piloti: gli uni stimavano di essere vicini alle coste dell’Inghilterra; gli altri a quelle dalla Galizia; Colombo tenne fermo, e fece eseguire i suoi ordini; l’indomani mattina riconobbero il capo San Vincenzo, che l’ammiraglio aveva loro annunziato: allora, conquisi di ammirazione per la sua scienza, [p. 413 modifica]lo dichiararono decisamente l’uomo più sporto di navigazione che mai fosse stato.

Tornando sul passato e ricordando, come sin dalla prima scoperta, le diverse predizioni di Colombo erano sempre state giustificate dai fatti, la maggior parte de’ marinai e de’ piloti, s’indusser a pensare che l’ammiraglio chiamava in suo aiuto i segreti dell’arte magica; o che almeno in tutte le grandi circostanze egli era dotato di una ispirazione quasi divina.