Cristoforo Colombo (de Lorgues)/Libro III/Capitolo VI

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Capitolo VI

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CAPITOLO SESTO

Nimicizia segreta del re Ferdinando contra l’Ammiraglio. — Preoccupazioni della Corte contra la sua amministrazione. — Arrivo a Siviglia dei malcontenti tornati da Hispaniola. — Gli uffici li suscitano a presentare le loro lamentanze al re. — Essi vanno a Granata a inquietare colle loro grida la Corte. — Le influenze della Corte determinano la Regina a nominare un commissario per giudicare e punire gli autori delle turbolenze che hanno afflitto la Spagnuola. — Nomina del commendatore Bobadilla. — — Poteri straordinari ond’è investito. — Secondo arrivo di malcontenti che tornano dall’isola, o ne sono stati scacciati. — Essi vendono come schiavi degli Indiani che avevano di nascosto imbarcati sulle caravelle. — La Regina annulla questa vendita, e comanda di rimandar liberi quegl’Indiani ai loro paesi. — Viaggio d’Isabella a Siviglia. — Ella accorda la spedizione dei poteri dati al commendatore Bobadilla, e affida gl’Indiani alle cure de’ Religiosi di San Francesco.

§ I.


Affine di apprezzare esattamente la cagione del fatto che siamo per descrivere, bisogna che ci trasportiamo al tempo in cui Cristoforo Colombo era partito pel suo terzo viaggio.

L’insulto fattogli da Jimeno di Bribiesca fu premiato colla promozione del ribaldo all’ufficio di pagatore generale della marina. Giovanni di Fonseca guiderdonava come un servigio reso alla corona ogni odio dichiarato contro la famiglia de’ Colombo. Il mal volere del re Ferdinando contro di essa non era più un mistero. Il monarca invidiava la celebrità del grand’Uomo; e ingelosiva dell’alta opinione, e del rispetto affettuoso che aveva per lui concepito la Regina. La costante fiducia d’Isabella irritava l’egoistica suscettibilità di suo marito. Fin dall’anno 1496, egli era dispiacente del titolo di Vice-re stato dato ad uno straniero, la qual cosa parevagli scemasse la maestà della sua propria corona. Nelle sue lettere non lo chiamava mai con altro appellativo che con quello di Ammiraglio delle Indie. l titoli di Vice-re e di governatore perpetuo erano maliziosamente passati sotto silenzio. [p. 66 modifica]

La nuova scoperta della terraferma, e le profonde osservazioni di Colombo su quelle regioni ignorate, la spedizione delle perle, de’ veli dipinti, e de’ gioielli d’oro procedenti da quelle contrade misteriose, avevano soddisfatta la Regina. Tuttavia non iscrisse punto ella medesima, ma incaricò della risposta il vescovo ordinatore della marina, il quale, nell’accusare a Colombo la ricevuta delle Sue lettere e relazioni, lo biasimò di non avere più presto informato i re della avvenuta ribellione, alla quale, diceva, essi avrebbero prontamente rimediato. Quanto a Ferdinando, non trovava che i risultati di quelle spedizioni avessero sin allora ristorato le anticipazioni del tesoro; e non vedeva nella persona dell’Ammiraglio che una occasione di sterile dispendio; onde prestava compiacente orecchio a’ suoi accusatori.

l malcontenti tornati dall’Hispaniola, o scacciati di là, diffondevano a Siviglia le calunnie che i partigiani di Roldano avevano messe fuori a’ danni del Colombo. Non si può negare che costoro non fossero mossi e suscitati da un interesse medesimo, e non sembrassero eseguire segrete istruzioni. A Siviglia dovevano riscuotere la loro paga arretrata; perocchè solamente a Siviglia potevano effettuarsi validamente i pagamenti per le spese coloniali. Ma pei loro rifiuti o per le loro insinuazioni, gli uffici della marina determinarono una cinquantina di questi infingardi ad andarsene a Granata per chiedervi al Re Cattolico il pagamento dei loro crediti. Quest’impudenti osarono stanziare nel cortile stesso dell’Alhambra, e aspettarvi l’uscita del Monarca per inquietarlo colle loro interpellazioni e col grido pagate! pagate!1 che facevano risuonare dietro la sua carrozza. Anzi un giorno ardirono comprare due gran panieri di uva, formanti la carica di un mulo e porsi a mangiarla sotto le finestre di Ferdinando, gridando, che, la mercè dell’ingratitudine del Re e dell’Ammiraglio, era quello l’unico alimento permesso alla loro miseria. Quando, per caso, comparivano i [p. 67 modifica]figli di Colombo, cui l’ufficio di paggi della Regina obbligava a traversare i cortili del palazzo, quest’impudenti infingardi mettevano tali grida che salivano al cielo, e inseguivano i due paggi schiamazzando «ecco i figli dell’Ammiraglio delle mosche, di colui che ha trovato le terre di vanità e di menzogna, per la sciagura e la sepoltura dei gentiluomini di Castiglia!2»

La strana pazienza del Re, a questi richiami insolenti, la libertà lasciata a costoro di starsene nel cortile del palazzo per ispiare l’uscita del Sovrano, e rinnovare quegli insulti, dice abbastanza chiaro che l’astuto Monarca, dissimulato fin ne’ più intimi rapporti della vita, aveva qualche interesse a tollerare tali oltraggi: consentiva che gridassero forte, onde nessuno potesse ignorar la cosa: le loro grida penetrarono sin negli appartamenti della Regina.

Accuse fatte in simil guisa dovevano essere intese: e la Regina voll’essere informata della verità.

Quelle genti si lamentavano della miseria a cui gli aveva ridotti l’Ammiraglio dopo di averli oppressi con fatiche durissime e mali trattamenti: attribuivano a lui così la doro malattia, come la povertà loro: lo accusavano di voler far morire tutti i veri idalghi, affinchè, non avendo più sotto i suoi ordini che gente vile e rozza, gli fosse facile di farla ribellare ai Re, e lui dichiarare sovrano indipendente3; che a tale scopo si er’accordato con certi cacichi: che impediva di lavorare alle miniere per timore che si conoscessero troppo presto le ricchezze che riserbava per sè solo: per questo aveva sulle prime sperato di nascondere ov’erano le perle, e non si era deciso a parlarne se non dopo che la sua scoperta erasi divulgata. La sua avidità, dicevano, era eguagliata solo dalla sua superbia. Egli si faceva [p. 68 modifica]un piacere di umiliare i Castigliani, sopratutto i gentiluomini. Durante la carestia se chiedevano il permesso di andare in cerca di viveri, l’Ammiraglio lo concedeva; indi negava di aver data una tale facoltà, e per questo, senza remissione li faceva appiccare. Del paro lo accusavano di avere impedito ai Religiosi di battezzare Indiani, perchè amava meglio farli schiavi che cristiani.

Queste accuse erano sì gravi e sì fattamente opposte al carattere dell’Ammiraglio, che cadevano per la loro medesima esagerazione. D’altronde, nessuna di tali odiose imputazioni era fatta per iscritto, e firmata da uomini conosciuti: la Regina non prestò loro grande attenzione.

Ma se l’Ammiraglio aveva spedito una relazione particolarizzata sulla ribellione di Roldano, colui aveva mandato alla sua volta alcune memorie ai suoi amici di Siviglia. Tutti gli atti dell’amministrazione dell’Adelantado e di suo fratello l’Ammiraglio, erano in quelle carte abilmente falsati. In qualunque modo, anche lasciando star l’odio e l’esagerazione, era chiarita la gravita della situazione: l’Ammiraglio la confessava, dimandando che gli fosse spedito un giudice, e un capo-ragioniere. Le apparenze lo accusavano tanto maggiormente, perchè il principale autore della sollevazione era un uomo di sua scelta, un suo obbligato, il quale, contuttociò, non aveva potuto sopportare, come gran-giudice, gli atti di violenza e di tirannia commessi in sua presenza. Gli spiriti erano disposti a credere facilmente a siffata accusa, perocchè, si diceva, prima della sua partenza da San Lucar, che l’Ammiraglio, nel porto, quasi sotto gli occhi dei Re, aveva dato segno della sua violenza e della sua brutalità. D’altra parte, l’elezione di quel Roldano, che ora suscitava tali imbarazzi, accusava l’imperizia amministrativa di Colombo; e la sua opinione sulla schiavitù degl’Indiani, non ostante le risoluzioni così formali della Regina, attestava la sua ostinazione. Era dunque necessario, per rimediare a tale stato di cose, eleggere un commissario istruttore, un magistrato illuminato, che andasse, secondo la dimanda dello stesso Ammiraglio, ad amministrare la giustizia nell’isola, e cominciasse per fare il processo ai ribelli: durante questo [p. 69 modifica]processo, si scoprirebbero senza dubbio le cagioni del male: si provvederehbe poscia ai mezzi di rimediarvi.

La Regina approvò questo partito.

Un giudice illuminato sarebbe stan un benefizio per la colonia. Ma, per mala ventura, invece d’un giureconsulto, dimandato dall’Ammiraglio, fu eletto, qual magistrato, un uomo di spada, il commendatore Francesco di Bobadilla, che godeva della stima di Fonseca, ed era in gran credito a corte. Certamente della costui incompetenza andò conscia la Regina, perché, invece di nominarlo giudice superiore dell’isola, con decreto del 21 marzo 1499 non lo munì che di una commissione speciale di assumere informazioni intorno le sollevazioni avvenute alla Spagnuola, di procedere contro coloro che si erano ribellati, di farli imprigionare4, di sequestrare i loro beni e di giudicarli, presenti o contumaci, nel civile e nel criminale, col più gran rigore delle leggi.

Fin qui tutto andava per lo meglio.

Ma importava a quelli che volevano distruggere l’autorità di Colombo di far convertire questo mandato speciale in titolo definitivo, mercè cui spodestare finalmente l’Ammiraglio. Dopo due mesi d’intrighi astutamente mascherati, giunsero a fare ammettere la ipotesi, che, se, per mala ventura, il risultato delle informazioni del commissario regio fosse per fornire la prova dell’incapacità amministrativa dell’Ammiraglio, e giustificare o scusare la ribellione di Roldano, importerebbe di provvedere senza ritardo a riparare mali così inveterati: dimodochè nella nomina di Bobadilla al governo delle Indie sembrò antiveduto il caso della surrogazione dell’Ammiraglio: e così, il 21 seguente maggio, un’ordinanza reale conferì al commendatore Bobadilla5 il governo delle Indie.

Tuttavia, nel timore che l’Ammiraglio, giovandosi de’suoi privilegi e trattati colla corona di Castiglia, che gli assicuravano il governo perpetuo delle regioni da lui scoperte, volesse [p. 70 modifica]mantenervisi coll’aiuto delle forze di cui disponeva, fu dato ordine a lui ed ai suoi fratelli per decreto reale del medesimo giorno, di dover consegnare al commendatore Bobadilla le fortezze, i castelli, le navi, le armi, l’artiglieria, le munizioni, i cavalli, i greggi6, non che ogni altro oggetto appartenente alle loro Altezze.

Però, quantunque la Regina fosse stata insidiosamente tirata a supporre possibile il caso della surrogazione di Colombo, e perciò a firmar gli atti che n’erano la conseguenza necessaria, pure non si ottenne senza nuovi sforzi questa lettera di credenza per la quale Bobadilla poteva operare a suo piacere, e porsi immantinente in possesso del governo delle Indie. Cinque giorni di esitazione e di lotta interiore trascorsero prima che i raggiri di don Juan Fonseca, segretamente secondato dall’ appoggio di un’altra influenza, estorquessero ad Isabella la firma di quest’ordine7 che lasciava il Vice-re delle Indie in balia di Bobadilla.

Tuttavia, nonostante il consenso dato alle pretensioni amministrative suggerite apparentemente dalla prudenza, Isabella differì tal cosa più di un anno prima di permettere che si attuasse ciò contro di cui protestavano le voci del suo cuore. L’amicizia della Regina pel grand’Uomo non fu meno ferma di quello che fosse costante l’odio de’ suoi nemici: ella sperava sempre di ricevere qualche notizia favorevole che fosse per ristabilire il credito dell’Ammiraglio.

Tutti gli scrittori hanno a torto affermato che il motivo che fece scadere Colombo dall’affezione della Regina fu l’arrivo delle caravelle che riconducevano dall’Hispaniola i malcontenti e i colpevoli, accompagnati da un carico di schiavi. Questo è uno dei tanti errori dei biografi, procedente dal modo leggero e superficiale con cui fu sempre scritta la storia dello scopritore del Nuovo Mondo.

I partiti presi contra Colombo avevano la data del 21 marzo, [p. 71 modifica]21 e 26 maggio 1499; laddove l’arrivo delle due caravelle cariche di schiavi non avvenne che alla fine dell’anno, nel dicembre 1499.

Non fu, dunque, la spedizione di quel carico umano, che potè dar motivo alle disposizioni combinate contro l’Ammiraglio sei mesi prima. D’altronde, il fatto di una spedizione di schiavi in Castiglia non costituiva una violazione degli ordini dei Monarchi. Perocchè, s’era vietato di fare schiavi gl’Indiani disposti a convertirsi, e gl’indigeni pacifici, era lecito ridurre in ischiavitù e trasportare in Castiglia quelli di loro che avevano partecipato all’uccisione di Spagnuoli, del paro che i prigionieri côlti colle armi alla mano. Già il 18 ottobre 1498 l’Ammiraglio aveva spedito un certo numero di prigionieri senza che gliene fosse fatto aggravio. Nella sua adozione materna, la Regina certamente era contraria ad ogni partito di rigore verso gl’Indiani; li proteggeva, nè voleva udir parlare di schiavitù, così opposta all’eguaglianza cristiana. Ma essa non avversava la necessità della schiavitù qual mezzo di timore, e di azion repressiva. Mentre gli uffici della marina si mostravano indegnati contro Colombo per aver permesso a Spagnuoli di condur seco schiavi legali, col libero loro consenso, il protetto del vescovo ordinatore, Alonzo di Ojeda8 tranquillamente, sotto gli occhi di que’ teneri filantropi, effettuava la vendita degli infelici Indiani di Porto Ricco da lui rapiti, senza provocazione da parte loro, qual vero ladro di uomini. Mentre si faceva sì gran pompa di bugiarda virtù, la Regina firmava a Siviglia, il 5 giugno l500, col notaro navigatore Rodrigo di Bastidas, un contratto nel quale si riserbava la quarta parte degli schiavi9 ch’egli fosse per fare. Precedentemente la Regina aveva ordinato di [p. 72 modifica]fornire al capitano di mare Juan di Lescano, cinquanta Indiani scelti fra gli uomini dai venti ai quarant’anni, per menar i remi sulle galere10: e tre anni dopo, Isabella, adottando francamente l’idea di Colombo, con decreto del 30 ottobre 1503, autorizzò i suoi sudditi nelle Indie a fare schiavi tutti i cannibali di cui si potessero impadronire: potevano venderli e comprarli senza incorrere pena, perchè, diceva essa, essendo trasportati nelle nostre contrade, e i cristiani avendoli al loro servizio, saranno più facilmente convertiti e attirati alla nostra santa fede cattolica11. Dunque la causa della disgrazia di Colombo non deve cercarsi in questa spedizione di schiavi, spedizione, d’altronde, della qual egli non era autore, e contro della quale aveva anzi protestato.

La rovina di Colombo fu causata dal viaggio della Regina a Siviglia.

Se eccettuiamo l’onorevole Francesco Pinelo, tesoriere, che dal proprio isolamento veniva condannato al silenzio, a Siviglia tutti i magistrati superiori della marina e delle colonie, e con essi tutta quanta la burocrazia, non avevano che una voce contro l’Ammiraglio delle Indie. A Siviglia, l’accusa contro Colombo era cosi generale e unanime, e l’opinion pubblica pronunziata così fortemente, che questa concordanza di biasimo soffocò la difesa che avrebbero potuto presentare il bravo Michele Ballester e Garcia di Barrantes. I.a Regina medesima finì col cedere al numero.

L’abbandono della Regina fu il trionfo di Juan di Fonseca. Colombo si trovò condannato senza essere stato udito, e giudicato sulle deposizioni de’ suoi nemici.

Si giunse a provare alla Regina che l’Ammiraglio delle Indie, facendosi gioco della libertà degli Indiani, aveva donato ad ogni Castigliano uno o più indiani liberi, e innocenti d’ogni delitto, acciò ne cavasser danaro, vendendoli sui mercati dell’Andalusia. Isabella, ributtata all’idea di un simile oltraggio [p. 73 modifica]all’umanità, dicesi che sclamasse: «con qual diritto l’Ammiraglio delle Indie dispone così de’ miei sudditi? Chi gli ha permesso di fare liberalità di questa specie?» E incontanente fece pubblicare a Siviglia, a Granata e in altre città. «che, sotto pena di morte,» tutti quelli che avevano ricevuto schiavi dall’Ammiraglio dovessero renderli per essere rimandati alle Indie. Ella incaricò la guardia del corpo Pedro de Torres12 e alcuni altri ufficiali di ricevere questi disgraziati e di consegnarli poi al commendatore Bobadilla per imbarcarli. ll maggiordomo dell’arcivescovo di Toledo ne ricevette ventuno in deposito. Alcuni vollero dimorare con quelli che avevano seguito; fra gli altri una giovane, stabilita nella casa di Diego Escobar, dichiarò di voler rimanere in Castiglia e non ritornare più alle Indie13.

L’indegnazione d’Isabella è naturale, al pensiero di una simile violazione de’ più sacri diritti: ma come potè ella ammettere che l’Ammiraglio se ne fosse reso colpevole, ella che aveva letto in quell’anima eroica? ll suo errore non può spiegarsi che per l’infernale astuzia de’ nemici di Colombo; certamente spinsero l’audacia sino a fabbricare prove materiali del delitto che gli attribuivano.

Colombo aveva dato a ciascuno Spagnuolo che ripatriava, uno schiavo per servirlo; scegliendoli cioè fra gli schiavi legali, quelli, che, in virtù del diritto allora esistente, a pena della loro partecipazione alle uccisioni dei cristiani od alle ribellioni, si trovavano ridotti in ischiavitù; ed aveva conceduto ai Castigliani di condurre in loro vece le indiane che si erano con essi congiunte di legami, fosser anco meramente naturali: ma lungi dal far dono d’indigeni liberi e non percossi dalla legge a Spagnuoli, l’Ammiraglio aveva stipulato nel trattato, da lui ratificato il 21 novembre 1498, che questi «non imbarcherebbero schiavi di viva forza:» era sì alieno dal disporre d’Indiani liberi per venderli, che scriveva ai Re, alla partenza delle navi che trasportavano que’ medesimi schiavi, pregandoli di togliere a siffatti sudditi [p. 74 modifica]viziosi e ribelli l’oro e gli Indiani che recavano seco, atteso che gli accordi ch’era stato costretto firmare erano di niun valore, poich’essi pei primi vi avevano derogato; e perciò le loro Altezze non si trovavano legate dal suo trattato. Se i coloni ripatriati conducevano schiavi liberi, ciò avveniva in violazione degli ordini dell’Ammiraglio: nondimeno venne pubblicato che la vendita degli schiavi avveniva in conformità colle sue istruzioni.

La Regina intorno la quale si agitavano sì feroci nimicizie, ipocritamente mascherate alla sua chiaroveggenza, consentì finalmente alla surrogazione che da oltre un anno giaceva sospesa.

Da quel punto non fu cosa domandata dall’Ammiraglio che gli venisse conceduta. Si rifiutò di mandargli il suo primogenito don Diego, ch’ei voleva preparare al governo che doveva un giorno esercitare secondo le convenzioni del 17 aprile 1492, firmate al campo di Santa Fè; già lo si considerava come spodestato: infatti si annullavano le convenzioni con cui la corona di Castiglia si era obbligata verso di lui.

In violazione dei privilegi dell’Ammiraglio, i Re concedevano licenza a Rodrigo di Bastidas di fare scoperte nelle Indie occidentali: quindici giorni dopo, un’altra simile licenza è conceduta al commendatore Alonzo Velez di Mendoza; e nel suo testo leggesi, che i diritti di Cristobal Guerra e di Alonzo di Ojeda erano pareggiati quelli di Cristoforo Colombo14. Una raccomandazione espressa venne fatta il 30 maggio a Bobadilla, di esigere dall’Ammiraglio il pagamento delle quote di paga che riconoscesse dover essere a suo carico. I Monarchi gli confidarono brevetti segnati in bianco, affinchè potesse riempierli a suo talento. Al commendatore Bobadilla, già nominato governatore nelle intenzioni degli uffici di Siviglia, e per segreto consenso del Re, furono dati accompagnatori venticinque stipendiati dal tesoro. Egli aveva seco qual notaro regio Gomez de Rivera. Gl’Indiani furono commessi alla cura de’ padri francescani, Juan de [p. 75 modifica]Frasiera, Juan Frances, Juan el Bermeio, accompagnati dal padre Alfonso de Viso benedettino, e da due altri religiosi. Il commendatore Bobadilla si pose sulla caravella la Gorda: un’altra caravella più piccola portava gl’Indiani e le munizioni. Verso il cadere del giugno le due navi salparono per la Spagnuola.


  1. Se il Re Cattolico usciva fuori tutti lo circondavano e toglievanlo in mozzo, gridando “paga, paga.” — Fernando Colombo, Vita dell’Ammiraglio, cap. lxxxv.
  2. Gridavano fino al cielo, e ci perseguitavano dicendo “ecco i figliacoli dell’Ammiraglio de’ mosciolini, di colui che ha trovate terre di vanità e d‘inganno per sepoltura e miseria de’ gentiluomini castigliani. — Fernando Colombo, Vita dell’Ammiraglio, cap. lxxxv.
  3. “Comincierono adunque questi nobili á publicare per tutta la corte, come Colombo e suo fratello trovandosi richissimi, si volevano dell’isole impatronire e farsi signori di tutti i paesi ritrovati.” — Girolamo Benzoni, la Historia del Mondo Nuovo, lib. I, p. 23, verso.
  4. Comision al comendador Francisco de Bobadilla. — Coleccion diplomatica. — Documentos, n° cxxvii.
  5. Coleccion diplomatica. — Documentos, n° cxxvtiii.
  6. “Y casas y navios y armas y pertrechos y mantenimientos y caballos y ganados, etc...” — Coleccion diplomática. — Doc., n° cxxix.
  7. Carta de creencia. — De Madrid á 26 de mayo de 1499. — Coleccion diplomática, n° cxxx.
  8. La condotta di Ojeda, impunemente predatore e rubatore d’uomini, era tanto contraria all’umanità, che l’elemosiniere della sua squadriglia, non potendo reggere alla vista del suo ladroneccio, se ne fuggì e si rimase nascosto nei boschi della Hispaniola sin dopo la partenza delle sue caravelle. — Herrera, Storia generale delle Indie occidentali. Decade I, lib. IV, cap. iv.
  9. Asiento con Rodrigo de Bastidas. — Regist. del archiv. de Ind. en Sevilla.
  10. Ordinanza 15 gennaio 1496. — Suplemento primero á la coleccion diplomatica, n° xxxiii.
  11. Pruvision para poder cautivur á los Canibales rebeldes. — Apendice á la coleccion diplomática, n° xvii.
  12. Ordinanza 20 giugno 1500. — Coleccion diplomática, Documentos, n° cxxxiv.
  13. Nota al documento n° 134 della collezione diplomatica.
  14. Capítulacion hecha en el nombre de les señores Reyes Catolicos. — Coleccion diplomática, n° cxxxv.