Vai al contenuto

Decameron/Giornata seconda/Novella decima

Da Wikisource.
../Novella nona

../Conclusione IncludiIntestazione 10 febbraio 2024 100% Novelle

Giornata seconda - Novella nona Giornata seconda - Conclusione
[p. 170 modifica]

[X]

Paganino da Monaco ruba la moglie a messer Riccardo di Chinzica, il quale, sappiendo dove ella è, va e diventa amico di Paganino; raddomandagliele, ed egli, dove ella voglia, gliele concede; ella non vuol con lui tornare, e morto messer Riccardo, moglie di Paganin diviene.


Ciascun dell’onesta brigata sommamente commendò per bella la novella dalla loro reina contata, e massimamente Dioneo, al qual solo per la presente giornata restava il novellare; il quale, dopo molte commendazioni di quella fatte, disse:

Belle donne, una parte della novella della reina m’ha fatto mutar consiglio di dirne una che all’animo m’era, a doverne un’altra dire: e questa è la bestialitá di Bernabò, come che bene ne gli avvenisse, e di tutti gli altri che quello si dánno a credere che esso di creder mostrava: cioè che essi, andando per lo mondo e con questa e con quella ora una volta ed ora un’altra sollazzandosi, s’imaginan che le donne a casa rimase si tengan le mani a cintola, quasi noi non conosciamo, che tra esse nasciamo e cresciamo e stiamo, di che elle sien vaghe. La qual dicendo, ad una ora vi mostrerò chente sia la sciocchezza di questi cotali, e quanto ancora sia maggior quella di coloro li quali, sé piú che la natura possenti estimando, si credon quello, con dimostrazioni favolose, potere che essi non possono, e sforzansi d’altrui recare a quello che essi sono, non patendolo la natura di chi è tirato.

Fu adunque in Pisa un giudice, piú che di corporal forza dotato d’ingegno, il cui nome fu messer Riccardo di Chinzica, [p. 171 modifica]il quale, forse credendosi con quelle medesime opere sodisfare alla moglie che egli faceva agli studi, essendo molto ricco, con non piccola sollecitudine cercò d’avere e bella e giovane donna per moglie, dove e l’uno e l’altro, se cosí avesse saputo consigliar sé come altrui faceva, doveva fuggire. E quello gli venne fatto, per ciò che messer Lotto Gualandi per moglie gli diede una sua figliuola il cui nome era Bartolomea, una delle piú belle e delle piú vaghe giovani di Pisa, come che poche ve n’abbiano che lucertole verminare non paiano. La quale il giudice menata con grandissima festa a casa sua, e fatte le nozze belle e magnifiche, pur per la prima notte incappò una volta per consumare il matrimonio a toccarla, e di poco fallò che egli quella una non fece tavola; il quale poi la mattina, sí come colui che era magro e secco e di poco spirito, convenne che con vernaccia e con confetti ristorativi e con altri argomenti nel mondo si ritornasse. Or questo messer lo giudice, fatto migliore estimatore delle sue forze che stato non era avanti, incominciò ad insegnare a costei un calendaro buono da fanciulli che stanno a leggere, e forse giá stato fatto a Ravenna: per ciò che, secondo che egli le mostrava, niun dí era che non solamente una festa, ma molte non ne fossero; a reverenza delle quali per diverse cagioni mostrava, l’uomo e la donna doversi astenere da cosí fatti congiugnimenti, sopra questi aggiugnendo digiuni e quattro tempora e vigilie d’apostoli e di mille altri santi e venerdí e sabati, e la domenica del Signore, e la quaresima tutta, e certi punti della luna ed altre eccezion molte, avvisandosi forse che cosí feria far si convenisse con le donne nel letto, come egli faceva talvolta piatendo alle civili. E questa maniera, non senza grave malinconia della donna, a cui forse una volta ne toccava il mese, ed appena, lungamente tenne, sempre guardandola bene, non forse alcuno altro le ’nsegnasse conoscere li dí da lavorare, come egli l’aveva insegnate le feste. Avvenne che, essendo il caldo grande, a messer Riccardo venne disidèro d’andarsi a diportare ad un suo luogo molto bello vicino a Montenero, e quivi, per prendere aere, dimorarsi alcun giorno. E con seco menò la sua [p. 172 modifica]bella donna, e quivi standosi, per darle alcuna consolazione, fece un giorno pescare, e sopra due barchette, egli in su una co’ pescatori ed ella in su un’altra con altre donne, andarono a vedere: e tirandogli il diletto, parecchie miglia quasi senz’accorgersene n’andarono infra mare. E mentre che essi piú attenti stavano a riguardare, subito una galeotta di Paganin da Mare, allora molto famoso corsale, sopravvenne, e vedute le barche, si dirizzò a loro; le quali non poteron sí tosto fuggire, che Paganin non giugnesse quella ove eran le donne, nella quale veggendo la bella donna, senza altro volerne, quella, veggente messer Riccardo che giá era in terra, sopra la sua galeotta posta, andò via. La qual cosa veggendo messer lo giudice, il quale era sí geloso, che temeva dell’aere stesso, se esso fu dolente non è da domandare. Egli senza prò, ed in Pisa ed altrove, si dolfe della malvagitá de’ corsari, senza sapere chi la moglie tolta gli avesse o dove portatala. A Paganino, veggendola cosí bella, parve star bene: e non avendo moglie, si pensò di sempre tenersi costei, e lei che forte piagnea cominciò dolcemente a confortarla. E venuta la notte, essendo a lui il calendaro caduto da cintola ed ogni festa o feria uscita di mente, la cominciò a confortar co’ fatti, parendogli che poco fossero il dí giovate le parole: e per si fatta maniera la racconsolò, che, prima che a Monaco giugnessero, ed il giudice e le sue leggi le furono uscite di mente, e cominciò a viver piú lietamente del mondo con Paganino; il quale, a Monaco menatala, oltre alle consolazioni che di dí e di notte le dava, onoratamente come sua moglie la tenea. Poi a certo tempo, pervenuto agli orecchi di messer Riccardo dove la sua donna fosse, con ardentissimo disidèro, avvisandosi niuno interamente saper far ciò che a ciò bisognava, esso stesso dispose d’andar per lei, disposto a spendere per lo riscatto di lei ogni quantitá di denari; e messosi in mare, se n’andò a Monaco, e quivi la vide ed ella lui, la quale poi la sera a Paganino il disse e lui della sua intenzione informò. La seguente mattina messer Riccardo, veggendo Paganino, con lui s’accontò e fece in poca d’ora una gran dimestichezza ed amistá, [p. 173 modifica]infignendosi Paganino di conoscerlo ed aspettando a che riuscir volesse. Per che, quando tempo parve a messer Riccardo, come meglio seppe ed il piú piacevolmente la cagione per la quale venuto era gli discoperse, pregandolo che quello che gli piacesse prendesse e la donna gli rendesse. Al quale Paganino con lieto viso rispose: — Messer, voi siate il ben venuto; e rispondendo in brieve, vi dico cosí: egli è vero che io ho una giovane in casa, la quale non so se vostra moglie o d’altrui si sia, per ciò che voi io non conosco, né lei altressí se non in tanto quanto ella è meco alcun tempo dimorata. Se voi siete suo marito, come voi dite, io, per ciò che piacevol gentile uom mi parete, vi menerò da lei, e son certo che ella vi conoscerá bene; se essa dice che cosí sia come voi dite, e vogliasene con voi venire, per amor della vostra piacevolezza, quello che voi medesimo vorrete per riscatto di lei mi darete: ove cosí non fosse, voi fareste villania a volerlami tôrre, per ciò che io son giovane uomo e posso cosí come uno altro tenere una femina, e spezialmente lei che è la piú piacevole che io vidi mai. — Disse allora messer Riccardo: — Per certo ella è mia moglie, e se tu mi meni dove ella sia, tu il vedrai tosto: ella mi si gitterá incontanente al collo; e per ciò non domando che altramenti sia se non come tu medesimo hai divisato. — Adunque, — disse Paganino — andiamo. — Andatisene adunque nella casa di Paganino e stando in una sua sala, Paganino la fece chiamare, ed ella, vestita ed acconcia, uscí d’una camera e quivi venne dove messer Riccardo con Paganino era, né altramenti fece motto a messer Riccardo che fatto s’avrebbe ad uno altro forestiere che con Paganino in casa sua venuto fosse. Il che veggendo il giudice, che aspettava di dovere essere con grandissima festa ricevuto da lei, si maravigliò forte, e seco stesso cominciò a dire: — Forse che la malinconia ed il lungo dolore che io ho avuto poscia che io la perdei m’ha sí trasfigurato, che ella non mi riconosce. — Per che egli disse: — Donna, caro mi costa il menarti a pescare, per ciò che simil dolore non si sentí mai a quello che io ho poscia portato che io ti perdei, e tu non par che mi riconoschi, sí [p. 174 modifica]salvaticamente motto mi fai. Non vedi tu che io sono il tuo messer Riccardo, venuto qui per pagare ciò che volesse questo gentile uomo in casa cui noi siamo, per riaverti e per menartene: ed egli, la sua mercé, per ciò che io voglio mi ti rende? — La donna, rivolta a lui, un cotal pocolin sorridendo, disse: — Messere, dite voi a me? Guardate che voi non m’abbiate colta in iscambio, ché, quanto è a me, io non mi ricordo che io vi vedessi giá mai. — Disse messer Riccardo: — Guarda ciò che tu di’: guatami bene; se tu ti vorrai ben ricordare, tu vedrai bene che io sono il tuo Riccardo di Chinzica. — La donna disse: — Messere, voi mi perdonerete; forse non è egli cosí onesta cosa a me, come voi v’imaginate, il molto guardarvi, ma io v’ho nondimeno tanto guardato, che io conosco che io mai piú non vi vidi. — Imaginossi messer Riccardo che ella questo facesse per tema di Paganino, di non volere in sua presenza confessar di conoscerlo; per che, dopo alquanto, chiese di grazia a Paganino che in camera solo con essolei le potesse parlare. Paganin disse che gli piacea, sí veramente che egli non la dovesse contra suo piacere basciare, ed alla donna comandò che con lui in camera andasse ed udisse ciò che egli volesse dire, e come le piacesse gli rispondesse. Andatisene adunque in camera la donna e messer Riccardo soli, come a sedere si furori posti, incominciò messer Riccardo a dire: — Deh! cuore del corpo mio, anima mia dolce, speranza mia, or non riconosci tu Riccardo tuo che t’ama piú che se medesimo? Come può questo essere? Sono io cosí trasfigurato? Deh! occhio mio bello, guatami pure un poco. — La donna incominciò a ridere, e senza lasciarlo dir piú, disse: — Ben sapite che io non sono sí smemorata, che io non conosca che voi siete messer Riccardo di Chinzica mio marito: ma voi, mentre che io fui con voi, mostraste assai male di conoscer me, per ciò che, se voi eravate savio o siete come volete esser tenuto, dovevate bene avere tanto conoscimento, che voi dovevate vedere che io era giovane e fresca e gagliarda, e per conseguente conoscere quello che alle giovani donne, oltre al loro vestire ed al mangiare, benché elle per vergogna nol dicano, si richiede; il che [p. 175 modifica]come voi il facevate, voi il vi sapete. E se egli v’era piú a grado lo studio delle leggi che la moglie, voi non dovevate pigliarla: benché a me non parve mai che voi giudice foste, anzi mi parevate un banditor di sagre e di feste, sí ben le sapevate, e le digiune e le vigilie. E dicovi che, se voi aveste tante feste fatte fare a’ lavoratori che le vostre possession lavorano, quante facevate fare a colui che il mio piccol campicello aveva a lavorare, voi non avreste mai ricolto granel di grano. Sonmi abbattuta a costui che ha voluto Iddio, sí come pietoso ragguardatore della mia giovanezza, col quale io mi sto in questa camera, nella quale non si sa che cosa festa sia; dico di quelle feste che voi, piú divoto a Dio che a’ servigi delle donne, cotante celebravate; né mai dentro a quello uscio entrò né sabato né venerdí né vigilia né quattro tempora né quaresima, che è cosí lunga, anzi di dí e di notte ci si lavora e battecisi la lana: e poi che questa notte sonò matutino, so bene come il fatto andò da una volta insú. E però con lui intendo di starmi e di lavorare mentre sarò giovane, e le feste e le perdonanze ed i digiuni serbarmi a far quando sarò vecchia: e voi con la buona ventura si ve n’andate il piú tosto che voi potete, e senza me fate feste quante vi piace. — Messer Riccardo, udendo queste parole, sosteneva dolore incomportabile, e disse, poi che lei tacer vide: — Deh! anima mia dolce, che parole son quelle che tu di’? Or non hai tu riguardo all’onore de’ parenti tuoi ed al tuo? Vuoi tu innanzi star qui per bagascia di costui, ed in peccato mortale, che a Pisa mia moglie? Costui, quando tu gli sarai rincresciuta, con gran vitupèro di te medesima ti caccerá via; io t’avrò sempre cara e sempre, ancora che io non volessi, sarai donna della casa mia. Déi tu per questo appetito disordinato e disonesto lasciar l’onor tuo e me, che t’amo piú che la vita mia? Deh! speranza mia cara, non dir piú cosí; voglitene venir con meco: io da quinci innanzi, poscia che io conosco il tuo disidèro, mi sforzerò; e però, ben mio dolce, muta consiglio e vientene meco, ché mai ben non sentii poscia che tu tolta mi fosti. — A cui la donna rispose: — Del mio onore non intendo io che persona, ora che [p. 176 modifica]non si può, sia piú di me tenera: fosserne stati i parenti miei quando mi diedero a voi! Li quali se non furono allora del mio, io non intendo d’essere al presente del loro; e se io ora sto in peccato mortaio, io starò quando che sia in imbeccato pestello: non ne siate piú tenero di me. E dicovi cosí, che qui mi pare esser moglie di Paganino, ed a Pisa mi pareva esser vostra bagascia, pensando che per punti di luna e per isquadri di geometria si convenieno tra voi e me congiugnere i pianeti, dove qui Paganino tutta la notte mi tiene in braccio e strignemi e mordemi, e come egli mi conci, Dio vel dica per me. Anche dite voi che vi sforzerete: e di che? Di farla in tre pace, e rizzare a mazzata? Io so che voi siete divenuto un pro’ cavaliere poscia che io non vi vidi! Andate, e sforzatevi di vivere: ché mi pare anzi che no che voi ci stiate a pigione, sí tisicuzzo e tristanzuol mi parete. Ed ancor vi dico piú: che, quando costui mi lascerá, che non mi pare a ciò disposto, dove io voglia stare, io non intendo per ciò di mai tornare a voi, di cui, tutto premendovi, non si farebbe uno scodellino di salsa, per ciò che con mio grandissimo danno ed interesse vi stetti una volta; per che in altra parte cercherei mia civanza. Di che da capo vi dico che qui non ha festa né vigilia, laonde io intendo di starmi: e per ciò, come piú tosto potete, v’andate con Dio, se non che io griderò che voi mi vogliate sforzare. — Messer Riccardo, veggendosi a mal partito e pure allor conoscendo la sua follia d’aver moglie giovane tolta essendo spossato, dolente e tristo s’uscí della camera e disse parole assai a Paganino le quali non montavano un frullo; ed ultimamente, senza alcuna cosa aver fatta, lasciata la donna, a Pisa si ritornò, ed in tanta mattezza per dolor cadde, che andando per Pisa, a chiunque il salutava o d’alcuna cosa il domandava, niuna altra cosa rispondeva se non: — Il mal foro non vuol festa! — E dopo non molto tempo si morí; il che Paganin sentendo, e conoscendo l’amore che la donna gli portava, per sua legittima moglie la sposò, e senza mai guardar festa o vigilia o far quaresima, quanto le gambe ne gli poteron portare lavorarono e [p. 177 modifica]buon tempo si diedono. Per la qual cosa, donne mie care, mi pare che ser Bernabò, disputando con Ambruogiuolo, cavalcasse la capra inverso il chino.