Dei delitti e delle pene (1780)/Capitolo IV

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Capitolo IV. Interpretazione delle leggi.

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Capitolo IV. Interpretazione delle leggi.
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§. I V.


Interpetrazione delle leggi.


Quarta conseguenza: nemmeno l’autorità d’interpetrare le leggi penali può risedere presso i giudici criminali, per la stessa ragione che non sono legislatori. I giudici non hanno ricevuto le leggi dagli antichi nostri padri come una tradizione domestica ed un testamento che non lasciasse ai posteri che la cura di ubbidire; ma le ricevono dalla vivente società, o dal [p. 14 modifica]sovrano rappresentatore di essa, come legittimo depositario dell’attuale risultato della volontà di tutti: le ricevono non come obbligazioni1 di un’antico giuramento, nullo, perchè legava volontà non esistenti, iniquo, perchè riduceva gli uomini dallo stato di società allo stato di mandra; ma come effetti di un tacito o espresso giuramento che le volontà riunite dei viventi sudditi hanno fatto al [p. 15 modifica]sovrano, come vincoli necessarj per frenare e reggere l’intestino fermento degl’interessi particolari. Questa è la fisica e reale autorità delle leggi. Chi sarà dunque il legittimo interpetre della legge? Il sovrano, cioè il depositario delle attuali volontà di tutti; e non il giudice, il di cui ufficio è solo l’esaminare se il tal uomo abbia fatto, o no, un’azione contraria alle leggi.

In ogni delitto si deve fare dal giudice un sillogismo perfetto: la maggiore dev’essere la legge generale; la minore, l’azione conforme, o no, alla legge; la conseguenza, la libertà, o la pena. Quando il giudice sia costretto, o voglia fare anche soli due sillogismi, si apre la porta all’incertezza.

Non vi è cosa più pericolosa di quell’assioma comune, che Bisogna consultare lo spirito della legge. Questo è un argine rotto al torrente delle opinioni. Questa verità, che sembra un paradosso alle menti volgari, più percosse da un piccol disordine [p. 16 modifica]presente, che dalle funeste ma rimote conseguenze che nascono da un falso principio radicato in una nazione, mi sembra dimostrata. Le nostre cognizioni e tutte le nostre idee hanno una reciproca connessione; quanto più sono complicate, tanto più numerose sono le strade che ad esse arrivano e partono. Ciascun uomo ha il suo punto di vista, ciascun uomo in differenti tempi ne ha un diverso. Lo spirito della legge sarebbe dunque il risultato di una buona o cattiva logica di un giudice, di una facile o mal sana digestione; dipenderebbe dalla violenza delle sue passioni, dalla debolezza di chi soffre, dalle relazioni del giudice coll’offeso, e da tutte quelle minute forze che cangiano le apparenze di ogni oggetto nell'animo fluttuante dell’uomo. Quindi vegliamo la sorte di un cittadino cambiarsi spesse volte nel passaggio che fa a diversi tribunali, e le vite de’ miserabili essere la vittima dei falsi raziocinj, o dell’attuale fermento [p. 17 modifica]degli umori di un giudice, che prende per legittima interpetrazione il vago risultato di tutta quella confusa serie di nozioni, che gli muove la mente. Quindi veggiamo gl’istessi delitti, dallo stesso tribunale puniti diversamente in diversi tempi, per aver consultato non la costante e fissa voce della legge, ma l’errante istabilità delle interpetrazioni.

Un disordine, che nasce dalla rigorosa osservanza della lettera di una legge penale, non è da mettersi in confronto coi disordini che nascono dalla interpetrazione. Un tale momentaneo inconveniente spinge a fare la facile e necessaria correzione alle parole della legge, che sono la cagione dell’incertezza, ma impedisce la fatale licenza di ragionare, da cui nascono le arbitrarie e venali controversie. Quando un codice fisso di leggi che si debbono osservare alla lettera, non lascia al giudice altra incombenza, che di esaminare le azioni de’ Cittadini, e giudicarle conformi o [p. 18 modifica]difformi alla legge scritta; quando la norma del giusto o dell’ingiusto, che deve diriger le azioni sì del cittadino ignorante, come del cittadino filosofo, non è un'affare di controversia, ma di fatto: allora i sudditi non sono soggetti alle piccole tirannie di molti, tanto più crudeli, quanto è minore la distanza fra chi soffre, e chi fa soffrire; più fatali, che quelle di un solo, perchè il dispotismo di molti non è correggibile che dal dispotismo di un solo, e la crudeltà di un dispotico è proporzionata non alla forza, ma agli ostacoli. Così acquistano i cittadini quella sicurezza di loro stessi, che è la giusta, perchè è lo scopo per cui gli uomini stanno in società, che è utile, perchè gli mette nel caso di esattamente calcolare gl’inconvenienti di un misfatto. Egli è vero altresì che acquisteranno uno spirito d’indipendenza, ma non già scuotitore delle leggi, e ricalcitrante a’supremi magistrati; bensì a quelli, che hanno osato chiamare col sacro [p. 19 modifica]nome di virtù la debolezza di cedere alle loro interessate e capricciose opinioni. Questi principi spiaceranno a coloro, che si sono fatti un diritto di trasmettere agl’inferiori i colpi della tirannia che hanno ricevuto dai superiori. Dovrei tutto temere se lo spirito di tirannia fosse componibile collo spirito di lettura.

  1. Se ogni membro particolare è legato alla società, questa è parimente legata con ogni membro particolare, per un contratto che di sua natura obbligale due parti. Questa obbligazione, che discende dal trono fino alla capanna, che lega egualmente e il più grande, e il più miserabile fra gli uomini, non altro significa se non che è interesse di tutti che i patti utili al maggior numero sieno osservati.
    La voce obbligazione è una di quelle molto più frequenti in morale, che in ogni altra scienza, e che sono un segno abbreviativo di un raziocinio, e non di una idea: cercatene una alla parola obbligazione, e non la troverete, fate un raziocinio, e intendete voi medesimo, e sarete inteso.