Dell'incendio del Monte di Somma - Versione critica/Dell'incendio del Monte di Somma compita relatione

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Dell'incendio del Monte di Somma compita relatione

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Al molto illustre Lucio Cas'Alta


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Dell'incendio del Monte di Somma

compita relatione,


E di quanto è succeduto insino ad hoggi.


SS
E mai ne’ tempi andati cagionorono maraviglia, e stupore, timore, e tremore gli portentosi prodigi delle sulfuree essalationi, et igniti vomiti, che con continui moti scuotendo la Terra, con sassole, e ceneritie pioggie tonando, e balenando, uscendo fuori dal Monte detto di Somma, dal nobil Castello di tal nome, nella sua falda collocato, che Monte sommo, dice il Biondo, si dovrebbe chiamare, per esser al prospetto di Napoli come Monte alto da gl’Antichi Vesevo, ò Vesuvio nomato, ò pure da gl’infocati campi flegrei dell’anticha Dicearchia, hoggi Pozzuolo della felice campagna di Terra di Lavoro Provincia del delitiosissimo Regno di Napoli, più d’una volta à Popoli habitatori recarono danni notabili, morte, e total disolatione di molte ricche, e popolate Città; non è dubbio nessuno, che hoggi molti luochi dell’istessa regione flagelli maggiori habbino provato pochi giorni sono, à quali tutti vedendosi evidentemente sottoposta, e sogetta Napoli, la famosa, è stata con gran spavento aspettando d’hor’in hora, di momento in momento, l’ultimo esterminio della sua anticha, e non mai perduta grandezza. Ma non hà piaciuto à Dio N. S. castigarla in tal modo, posciache per intercessione della sua santissima Madre Maria prima, et anticha nostra Advocata, e Padrona, e d’altri Santi tutelari, ci ha usato misericordia fuor d’ogni nostro merito, come si dirà, trattenendo per tanti prieghi la dovuta meritata severissima divina giustitia; verso quali per l’obligo, che li tenemo di tante gratie, segnalati fuori, e gran beneficij, resterà sempre viva, e verde la memoria, con reconoscimento in segno del molto, che gli dovemo, tanto in noi, quanto ne’ posteri, che prenderanno esempio dalle passate, e presenti calamità, acciò da veri Cattolici vivano, come si crede, rassegnatamente, e serbi Napoli, Giardin del Mondo, come fà, mai sempre intatto, quel candore della christiana Fede, che più d’una volta dall’Apostolica bocca di Piero apprese, con invidia (sia detto con la debita modestia) delle più Cattoliche Città del mondo, non che d’Italia, ò d’Europa.

E per posser narrare distinta, e brevemente quel che pochi giorni sono, è succeduto, prima le miserie cagionate da simili incendij in altri tempi ramentaremo, acciò impari chi nol sà, come viviamo alla giornata sottoposti à simili, e maggiori castighi del Cielo. La prima volta dunque, [p. 4 modifica]della quale sin hora si è possuto haver cognitione ch’ardesse il Monte di Somma, si sà per traditione di Beroso Caldeo, nel 5. libro dell’antichità, ove si ha che in tre luochi molti giorni l’Italia brugiò nell’anno penultimo del Rè Arli settimo Rè dell’Assiri, cioè nell’Istri, Cumei, e Vesuvij; perilche furono detti questi luoghi dice Leand. Alberti, Gianigeni Palensana, ò sia regione conflagrata et abbruggiata. Lascio di ragionare de’ terremoti sentiti nel Regno di Napoli, in diversi tempi, con li danni di consideratione patiti per causa di quelli, de’ quali infinito è lo numero. Ma d’uno solamente molto notabile, e segnalato farò mentione, necessaria al nostro proposito, che circa gl’anni del mondo 5179. à cinque del mese di Febraro, cent’anni prima del nascimento del nostro Salvatore, si fe sentire in Napoli, e per tutta la Provincia di Terra di Lavoro, narrato da Seneca nel libro delle questioni naturali, col quale furono dannificati in buona maniera i luochi, che poi cent’anni doppò furono dal fuoco, che uscì da sudetto Monte, come dirò consumati. Dice dunque in sostanza, ch’essendo Consoli di Campagna Regolo, e Virginio, il terremoto di più del danno fatto à Ville, e luochi della Provincia, conquassò particolarmente tutte le Terre di quel seno di mare, che comincia dalla Città Herculana, e seguita per Pompeia, e Stabia, e la Colonia di Nocera, che col terrore, e spavento ammazzò molti huomini, et animali, molti de’ quali restarono senza giuditio, e benche Napoli sentisse il danno de privati edifici, e statue marmoree buttate à terra, nulladimeno, à par de gl’altri fù legitimamente travagliata. Mà passiamo avanti. Il sudetto Monte di Somma dunque bifolcato per causa degl’incendij, in mezzo del quale si vede una gran voragine, distante da Napoli otto miglia, assai noto per la fertilità d’arbusti, e vite, che generano ottimi vini, detti grechi, e lacrime, molti grati al gusto, et in molta copia, in lode del quale molti poeti scrissero, et in particolare Mart. nel libro 4. de gl’Epigr. in quel che comincia, Hic est pampineis viridis Vesuvius umbris. Con quel siegue, stà accerchiato da molte Terre grosse, e picciole, come diremo, delle quali la maggior parte gode l’amenità del mare, che rende l’aria salubre in ciascheduna di esse, che molto conferisce à gl’ammalati, dalla parte dunque più incontro all’Oriente, vi è la Terra di Bosco, così detta per star più dentro il forte del monte. In oltre accostandosi a Napoli per la marina, volte à mezzo giorno vi furono l’anticha Città Pompeia, et Herculana, ò Heraclea, amendue edificate da Hercole, illustri città di Campagna, come scrive Seneca, Solino, e Colommella, l’una de’ quali dalla pompa de’ Bovi portati da Spagna tolti a Gerione (come dice il Sanfelice) l’altra dal suo nome furno così dette, hoggi l’una Torre dell’Annunziata, da una anticha Chiesa dedicata alla santissima Madre di Dio, l’altra Torre del Greco si chiama, in latino Turris octavi, per star otto miglia da Napoli distante; delitie un tempo del Rè Alfonso II. d’Aragona, che d’ivi con gran contento si godeva la vista di Napoli, Castello à Mare, Surrento, Isola di Capri, Promontorio di Miseno, et altri luochi maritimi, edificate amendue sopra le rovine di quelle ne’ luochi detti da [p. 5 modifica]moderni sassi, e pietre arse. Queste negl’anni di N S. 81. come scrive l’Eminentissimo Baronio, furono distrutte, e bruggiate, essendo raunati amendue i popoli di esse nel Theatro, come dicono i scrittori di que’ tempi, e forsi l’istessa disgratia avvenne all’anticha Stabia, che non molto discosto nella falda del monte Gauro, da Paesani detto d’oro, stava collocata, hoggi Castello à mare di Stabia nomata, benche altri dica, che Lucio Silla Legato nella guerra sociale la rovinasse. Ma sia come si vuole. Seguì dunque il caso così, nel I. di Novembre regnando Tito Vespasiano Imperatore figliuolo, e successore di Vespasiano Augusto, il sudetto monte cominciò ad essalare dalla sua cima globi di fuoco, e ceneri sulfuree con sassi ardentissimi di smisurata grandezza, da’ quali si cagionò rovina, e distruttione di genti, con notabil danno delle vicine contrade, che spensierate ne’ loro soliti diletti riposavano; qual incendio di giorno in giorno via più crescendo di più de’ terremoti, che si sentirno fino à Napoli, con cenericie pioggie, che infestarono il Paese, cagionò spavento universale con la morte de molti, e di Plinio frà gl’altri, fratello della madre di Caio Plinio II. scrittore, che di ciò fa mentione in un epistola à Tacito. Questi dimorando nella Città di Miseno (già diſtrutta da’ Saraceni) preſſo Pozzuolo, col comando dell’Imperial armata maritima, nella notte precedente al giorno sudetto, mentre studiava, gli fu riferito da sua ſorella esser apparso una grandissima nebbia à guisa d’vn alto Pino sopra Vesuvio; il che da lui udito, maravigliandosi del caso insolito, togliendo alcuni libri per far notamenti, imbarcato sù le galere, che haveva nel porto, non sapendo ch’el Monte bruggiasse, curioso andò per investigar la cagione del portentoso prodigio, e benche gli altri grandemente spaventati fuggissero dall’incendio, egli senza timore volontieri vi andò, et approssimato alla Città Pompeia, s’accorse dell’incendio, et osservando con gran diligenza quanto scorger si poteva, patendo egli grandemente d’asma, ò strettura di petto, che gl’impediva la respiratione, sopra preso da gran caligine, e dall’inusitata puzza sulfurea, non potendo più respirare, caddè morto, onde di lui disse il Petrarca.

A scriver molto, à viver poco accorto.

Tra gl’altri luochi di più de’ sudetti, che furono dal fuoco rovinati, fu in Napoli il Palaggio delli studij dell’arti liberali, che stava al seggio di Nido, ove hora è la Chiesa di Santo Andrea, riedificato poi, come si cava dall’Epitaffio Greco, Latino, che nella strada dell’Annuntiata si legge in un muro; fu tanto dunque la quantità delle ceneri, che dal vento (come riferiſce il Zonara, ne fu portata quantità nell’Egitto, et in Soria, et in particolare in Roma, per loche seguì gran peste (aviso à Signori, che han cura con molto amore, e vigilanza della nostra ſalute) che fu l’Imperatore necessitato mandar Colonie in campagna, e far con propri denari rifare molti edifici, creando nuouo magistrato d’huomini consolari, che si chiamano Curatori della restitutione di Campagna per reedificare, et acconciare i luochi guasti, e rovinati, e dispensare i beni di coloro, che oppressi dall’incendio non havevano lasciato heredi in [p. 6 modifica]riparatione, e ristoro delle Terre dannificate, rallegrando i popoli afflitti con honesti giuochi, e molte altre cose degne d’un suo pari. E tanto basti del secondo incendio.

La terza volta che eruttò conforme la prima fù nel 471. come riferisce il Regio, e benche non si sappia il giorno per incuria de’ scrittori, nulla dimeno si sà bene, come scrive il Raimo, che per miracolo del Glorioso S. Gennaro, ottennero Napolitani la gratia nella quinta Domenica di Quaresima, in tempo, che con solenni processioni visitavano la Chiesa de Santi Protettori, et in particolare quella di S. Gennaro fuor le mura della Città, dal che nacque consuetudine di visitare ogn’anno nel segnalato giorno con processione la Chieſa del Santo Protettore come anco l’altre de’ Santi Tutelari, dice dunque cosi, che crescendo l’incendio, el vomito di giorno, in giorno, mandò li suoi vapori, e condensati sulfurei globi, trasportati da venti nell’Africa, e Costantinopoli, con gran terrore de Popoli; e Napoli, (dice egli) come più prossima, ne sentè più d’ogn’altro luocho, perchè di più delle ceneri, e fiamme ardentissime, che dal Monte uscivano, erano si spessi i terremoti, e le dense nebbie, che non solo conquassavano gli edefici, mà ciaschun Cittadino, ripieno di spavento era talmente fuor di se, che d’hor, in hora aspettava la morte, con la rovina della propria Patria, è de’ suoi; et à questo proposito dice l’Eminentissimo Baronio con ottima autorità, che l’incendio pareva dovesse bruggiare, non solo le prossime Città del Paese poste all’intorno, mà quasi tutta l’Europa, ma che per virtù di S. Gennaro fù raffrenato. Quel che ferono all’hora Napolitani essendosi visto hoggi, non vo dire due volte: dirò bensi brevemente di questo gran santo, che non solo in tutti i martirologi de Latini si celebra la festa del Glorioso martire (dice l’istesso) mà anco i Greci non solo à 19. di Settemb. mà anco nel primo di maggio, come ne’ loro menologij, e con ragione in Pozzuolo nel luogo dove questo Santo nostro Patritio, e Protettore fù decapitato i fedeli vi edificarono una picciola Chiesa in sua memoria, facendovi scolpire in bianco marmo la testa, con la vera effigie, qual rimasta in abbandono, nell’anno 1538. la Città di Napoli vi edificò la nuova con spesa di dodeci mila ducati, donandola à Frati Cappucini, la quale con molta devotione fù frequentata et ivi si conserva il simolacro di marmo; ne doppo questa buon opra ſi sentirono per un pezzo terremoti, che con rovina notabile de’ luochi convicini si solevano sentire; Ma ohimè, che forse è intepedita la devotione. E tanto basti del terzo incendio.

La quarta volta, che vomitò fiamme questo Monte, fù nell’anno di nostra salute 685. come scrive il Platina, conforme haveva fatto l’altre volte per il passato, e conforme al solito, tutti i luoghi convicini abbruggiò; del che anco fà mentione il Sigonio. A tempo di Benedetto Nono Pontefice, e dell’Imperatore Corrado uscirono dall’istesso Monte assai fiamme di fuoco, e fù appunto nell’anno di nostra salute 1306. parevano le fiamme un fiume, che uscisse dalla cima, et al d’intorno molte fontane di fuoco, che si seccarono poi, come l’istesso Fra Leandro dice, haver letto nelle [p. 7 modifica]Croniche di Bologna, e tanto brevemente basti per la quinta volta. Intorno la qual cosa io direi che da quel tempo si è havuta notitia, e conoscenza nel mondo di tal Monte sempre, ma in diversi secoli, età, et anni hà evaporato il fuoco più, e meno, conforme si è scritto, e se nell’anno 1625. e ne’ trè altri, che seguivano fusse stato detto (come fu la verità, che nella cima, ò roncavo di esso apparivano nebbie, e fumo, quali la sera al tardi vie più crescevano, sarebbero stati i dicitori di tali novelle tenuti per matti, ò per ubriachi, ma soverchio habbiamo badato.

Apporto gran timore à Napolitani, e danno notabilissimo à Pozzolani l’eruttatione fatta in Pozzuolo nel 1538. a 29 di Settembre, posciache essendo stato per due anni continui avanti tutto il Paeſe travagliato, e danneggiato da gagliardissimi terremoti, alla fin fine essalando fuori il fuoco per l’apertura d’una grandissima bocca in una notte uscì tanto fuoco, pietre, cenere e pamici, che havendo in un subito fatto ergere un monte, all’incontro del monte Barbaro, le cui falde dalla parte di mezzo giorno verso il mare, e da Tramontana insino al Lago Averno si estendono, e dall’Oriente col piede del monte Barbaro si congionge, che perciò da Paesani fu montagna nuova, ò di cenere chiamata, che in un subito coprì tutti gli edificij, che gli erano di sotto, e con l’istesse ceneri coprì tutto il contorno, consumando con la puzza animali terrestri, e volatili, rovinando la vendemia, tornando il mare à dietro più di ducento passi, con morte d’infinita copia di pesci, con produrre fonti d’acqua dolce, con tanto spavento de gli habitatori, che semivivi, et ignudi fuggirono in Napoli, dove piovè gran quantità di cenere, che cagionò la morte di molti, et anco di quei, che troppo frettolosi vollero gustare de’ morti animali, ò trasportarsi per vedere meglio nel luogo della voragine, come dottamente il Portio, e Marc’Antonio delli Falconi diligentissimi scrittori lasciarono scritto; il qual flagello dalla mano di Dio fu molto meno, rispetto à quel, che habbiamo visto, patito, e mal volentieri sentito à giorni nostri, come dirò con schetta, e pura verità, riserbando in altro luogo il discorrere delle cause naturali, filosofiche, et astrologiche; per hora dirò solamente, che è castigo de’ nostri peccati, conformandomi con l’Angelico Dottore, e che viene dalla potente mano del Signor nostro Iddio, qual chiamo in testimonio della verità, che lo strano caso fù assai più di quel che con semplice scrittura si anderà publicando.


L
A notte dunque precedente al Martedì 16. del mese di Decembre di questo segnalato anno 1631. dal parto della Vergine, spessi terremoti, che si sentirono per molte miglia à torno, cominciarono in diverse hore di quella à svegliare gli adormentati Napolitani, che impauriti dell’inopinato caso (benche pochi anni sono ne havessero sentiti maggiori, e prima, e doppò la desolatione delle Città di Puglia, che perciò si diedero alle devotioni, et orationi; ma questo fù un niente a paragon di quel, che la mattina apparve, posciache nel farsi giorno che fù molto sereno, una densa, e grossa nubbe di atro colore sopra la cima del tante

[p. 8 modifica]volte mentionato Vesuvio nella parte del mare apparve, che tanto a noi, quanto a Popoli vicini, et habitatori addintorno cagionò grandissimo spavento, questa crescendo di momento in momento, s’alzò, et augumentò tanto, che passò di gran lunga la region delle nubbi, e si fè veder di smisurata grossezza, ch’eccedeva stravagantemente il Monte stesso, e nel medemo tempo continuando i terremoti, si cominciarono a sentir tuoni, appresso à quali fiamme, ò com’altri le chiamò, lingue, ò saette di fuoco dentro l’istesse nubbi si facevano sentire, e vedere tanto spessi gli uni, e gli altri, gli altri, e gli uni, che da dovero con la morte avanti gli occhi ciascheduno cominciò a pensare à casi suoi; e chi al scampo, e chi atterriti, e confusi, non sapeva che resolutione, ò temperamento pigliare. Stava nella Torre del Greco impedito dalle solite indispositioni l’Eminentissimo Signor Cardinale D. Francesco Buoncompagni nostro dignissimo Pastore Arcivescovo, che come saggio conoscendo il periglio, ma via più zeloso della sua amata gregge, senza aspettar le sue comodità per terra, da picciola barchetta si fe codurre in Napoli, per dar quelli ordini, che la necessità richiedeva per salute delle anime nostre onde havendo mandato à raguagliare l’Eccellentiss. S. D. Emanuel Zunica, e Fonseca, Vicerè, che informato nell’istesso tempo del strano caso, attendeva con la solita vigilanza ad apprestar gli aiuti per servigio del publico, e dato parte à tutti capi delle Religioni, Monasteri delle Monache, e Clero secolare, e Regolare, per la prima in un batter d’occhio ſè esporre per tutte le Chiese il Santiss. Sacramento dell’Eucharestia, corpi, e reliquie de Santi, e nell’Arcivescovato, di più la testa, e sangue del gloriosissimo S. Gennaro, che fu ritrovato liquefatto, segno di grave, et imminente periglio. I Tribunali frà tanto furono dismessi, per tutto il sequente Venerdì; gli Officiali de’ quali all’orationi nella cathedral Chiesa si conferirono. Cresceva la puzza, il fuoco, il fumo, gli terremoti, i tuoni, ma cresceva di momento in momento nella Città, il pianto, le voci, il grido, il gemito, e sospiri verso S. D. M. onde apprestandosi la vigesima hora del giorno, uscì la Processione generale con maggior prontezza (siami lecito dir così) di quella, che suole nel giorno festivo al Santissimo Sacramento con tutti i Confaloni, e Religiosi, popolo minuto, e nobile, Cavallieri, e Signori, e Vicerè Eccellentissimo, benche indisposto, proponendo il servigio di Dio, e del publico à qualunque commodità; con la Città in forma di Città, Officiali supremi, di tutti i Tribunali, e Baronaggio, nella qual attione niuna cosa mancò, ò si posse desiderare. Accompagnavano tutti piangendo, inuocando ad alta voce la celeste ruggiada della divina misericordia, la testa, e sangue del primo Protettore (doppò la Vergine Santiss. Maria) Gennaro Santo, nella qual occasione si fe pompa di coltre d’ogni sorte in breve tempo per le fenestre; dalle quali, et dalle piazze di passo in passo si gridava svisceratamente misericordia, che con le percosse ne’ petti, nuovi tuoni si facevano sentire; si giunse frà tanto nella Chieſa di N. Signora del Carmine, dove ſtava scoverto il Santiss. Crocifisso miracoloso, e noto per tutto, quel che succede [p. 9 modifica]in questo Sacrato Tempio non può lingua in parte esplicare, basta dire, che non sò come non fu dalle lagrime sommerso, ò da sospiri bruggiato; e con l’istessa pompa, doppò esser state esposte all’incontro le fiamme le sacre reliquie, furono nel Duomo riportate: et è vero, ch’in quell’atto che dirimpetto al Monte fu esposto il sacratissimo sangue, s’aperse la denza, caliginosa nubbe mostrandosi fiaccha à poter à tanta forza resistere, dileguandosi verso mezzo giorno in minutissime evaporationi, benche poco doppò si tornassero à condensare, perche come piamente si deve credere. Misit in nos iram indignationis, et iram, et tribulationem immissiones per Angelos malos. Durava in nostro beneficio in questo tempo la prorogatione del Giubileo con larga mano concessoci da S. Santità, però l’Eminentissimo ordinò, che li capi delle Religioni à Sacerdoti meritevolj conferissero l’autorità di posser confessare, et assolvere li casi anco riserbati à lui, che con augumentar il numero de confessori, per commodità de’ penitenti nelle confessioni, crescesse la sodisfattione de tutti, mentre che ogniuno cercava pacificarsi con Dio, che perciò nelle pubbliche piazze, e botteghe, et in particolare in quelle, che stanno nel mezzo del mercato infinito numero de caritativi Confessori in un subito apparve, usando della clemenza di Dio, (come anco ne’ seguenti giorni.) Ne sterono frà tanto con le mani à cintola, come si suol dire, i Predicatori di diverse Religioni che per ogni strada detestando il peccato con petti Apostolici raccoglievano frutti spirituali. Di tal inopinato caso fu subito per staffetta ragguagliata S. Santità, e del periglio, acciò con l’orationi, e rimedij divini non mancasse, come ottimo, et universal Pastore del Christianesimo aiutar un membro tanto principale, e Cattolico: giunge la notte, crescono i terremoti, l’esclamationi si sentono maggiori, i vampi, e tuoni via più strepitano, tutti fuor di casa uscendo nelle Chiese si nascondono, disposti in quelle morire, altri nelle campagne si ritirano; le publiche piazze, e larghe strade da carrozze piene di Signori si veggono frequentate, et ogn’uno mesto, e sconsolato col compagno, con parenti, et amici si rammarica, le Processioni, come anco ne’ sequenti giorni si viddero) dell’Ottine, Parrocchie, Congregationi, Confraternità, Oratori, e Monasteri tutti augumentano, gli sacchi, cilici, discipline, et altre humili dimostrationi da tutti s’adoprano, le Chiese tutte sono frequentate, che dalla prim’hora aperte continuamente insin’ad hora dimorano. Frà questo mentre appunto alle sei hore, e mezza di notte un vapore di negra nubbe sparse per tutto gran quantità di cenere, doppò la quale una lenta pioggia mista dell istessa cascò à terra; all’undeci, e mezza succedè l’altra pioggia di cenere, minor della prima, la terza un’hora doppò, minor della seconda, a’ quali seguiva immediatamente ceneritia pioggia limosa, e sdrucciolante. Apparve il giorno alla fine del Mercordì, che con lunga, e travagliosa notte sospesi ci haveva tenuti con nebbia ricoperta di fumo, e caligine puzzolente mischiato, che nuovo timore universalmente apportò, con pioggia d’acqua, e cenere mista, con terremoti incessanti, che parean augumentarsi, e con vapori, e tuoni, che dall’istesso monte uscivano con molta uehemenza. Ma non mancarono [p. 10 modifica]allor debito i Religiosi in particolare, et huomini secolari, e donne, che non stracchi delle passate vigilie, ma fatti più ardenti, et infervorati cavando fuori con le Processioni l’imagini antiche di Christo Crocifisso, della sua santissima Madre, e d’altri Santi infinite Reliquie, col santissimo legno della Croce, si disciplinavano à sangue, e facevano altri atti di profonda penitenza, de’ quali s’io uolessi dire, vi bisognerebbe molto tempo. All’hora solita conforme al giorno precedente uscì con l’istessa pompa, e comitiva la testa, e sangue pretiotiosissimo di S. Gennaro, che portati al Tempio alla Santissima Annunciata dedicato, furono conforme la prima volta esposti incontro al fuoco, tuoni, e nebbie, e nel luogo solito poi riportati, e si conobbe frà tanto un raggio della divina misericordia, poscia che la notte, che seguì precedente al Giovedì, di quando in quando leggiermente si sentì scuotere la terra, non conforme al solito, che da cinquanta volte ad hora più, e meno si erano sentiti i suoi moti ne’ precedenti giorni. Il seguente Giovedì, benche mostrasse esser più luminoso; nulladimeno torbido, et avanti del tramontar del Sole viè più offuscato apparve, non cessando la mattina di quando in quando la ceneritia pioggia conforme la notte intervallatamente havea fatto. Fù portato in processione l’istessa mattina la miracolosa, et antichissima Imagine del Santissimo Crocifisso di legno rilevato, della Chiesa di Santa Maria à Piazza, con popolo innumerabile d’huomini, e donne con piedi ignudi, e disciplinati riverentemente al Tempio della Madre santissima Maria di Costantinopoli, e d’indi per fuori le mura della Città, insino al piano della Madalena sul Ponte, per il quale sbocca il Sebeto, ivi incontrandosi con la Processione della Congregatione del Carmine, furono amendue giudicate due esserciti, che non con odio, ma con amore si volessero abbracciare; dirò una cosa sola del molto, che seguì in quel luogo, che le lagrime, e’ sospiri di tutti tante, e tali bagnarono, e rasciugarono (come piamente si diè tenere) gli piedi della Divina Misericordia. La Processione solita con le Reliquie di San Gennaro ad hore 21. all’istessa Chiesa di Costantinopoli andò, sempre con intervento dell’Eminentissimo, e di S. E. Baronaggio, Nobiltà, e Popolo. Dicesi publicamente, che dalla parte di dentro del Tempio dell’Arcivescovato sopra la porta maggiore in una finestra S. Gennaro in habito Pontificio, come vero Patritio, e Pastore havesse fatto la benedittione al popolo in tempo usciva in Processione; il che in brieve con esattissima diligenza si acclarerà. Poco prima del ritorno delle per sempre venerande Reliquie nell’Arcivescovato istesso fù portata sotto un bianco pallio di zendado il ritratto d’una miracolosa Imagine della Vergine santissima, la cui apparitione, e gratie promesse ne’ presenti infortuni saranno più aggiatamente publicate, a’ quali per non dar angusto loco si passa avanti. Uscì nell’istesso giorno ancora l’Imagine di rilievo in legno del santissimo Crocifisso della Chiesa di S. Eligio, e da diversi altri luoghi, e Chiese gli ritratti di Nostra Signora, opra di S. Luca. Il sangue di S. Nicolò Tolentino con l’Imagine di S. Maria la Bruna, con tutti li [p. 11 modifica]simulacri di Nostra Signora del Rosario, con Padri della Religione de’ Predicatori, che imitando il lor Capo, e Maestro Domenico santo, Campione della Chiesa di Dio, assai nelli occorrenti bisogni, e turbolenze si sono notte, e giorno affatigati, che con le predicationi, et essortationi publiche, e private, ad onta, e danno dell’antico nemico, grandissimo frutto hanno cavato, e di più di cento cinquanta meretrici convertite, gran numero de’ peccatori indurati, et ostinati, hanno ridotto nel sicuro membro di Santa Chiesa; onde si spera, che le dimostrationi di penitenze fatte per timor del caſtigo, habbino da seguire per amor del premio verso Iddio, perche se volessimo essaminare, come dalle ceneri fiamme, e caligine la nostra Città (mi pesa scriverlo) stava per esser sommersa, mentre evidentemente sopra il capo ogni cosa in atto di cascare habbiamo visto, bisognarebbe estendermi molto, basti sol dire, che non è chi non riconoschi haver ricevuto la vita in dono. Cominciarono di nuovo la notte seguente nuove turme, et esserciti di Religiosi, e secolari scalzi, e disciplinanti, coverti di sacco, conforme a’ precedenti giorni con lumi infiniti à visitar la Chiesa maggiore, et altrè alla Madre di Dio dedicate, et a’ Santi Protettori, la quale tutta fù spesa in orationi, onde si tien per fermo, che perciò gli moti molto leggiermente si fussero fatti sentire. Ma prima, che si narri il danno cagionato dal fuoco, dirò come appresso la Torre del Greco vi sono molte delitiose Ville prossime alla riviera del mare, come Resina, e Portici antiche, Pietra bianca, Leuco petra del vocabolo Greco anticamente, Barra, e San Giovanni à Teduccio. Sopra la costa del monte poi S. Sebastiano, San Giorgio corrottamente S. Ivorio, S. Croce, e nel piano Ponticello, et altri Casali, dall’altra parte poi del monte la più discosta, la Terra d’Ottaiano, Somma, Trocchia, Massa di Somma, Pollena, et altri casali di Somma, e nel piano di Santo Nastasio, e più diſcosto quasi per l’istessa drittura, Marigliano con suoi Casali, e Pumigliano; de’ quali tutti essendo necessario dir’alcuna cosa, non farò più volte mentione del sito d’essi, e questo in quanto al circuito del Monte. Ne gli altri Monti poi, ch’accerchiano il monte di Somma, e con prospettiva guardano Napoli, benche impediti dall’altezza, ò lontananza (avertendo, che non attendo per ordine la Cosmografia di essi) come più prossimi, sono Stabia, Gragnano, Nocera, Sarno, Lauri, Palma, e Nola nel piano, più discosto, Avella, Caserta, Arienzo, Madaluni, Airola, Arpaia, et altri luochi, nelle montagne, e valle di Benevento, per non estermi più oltre, con lasciar da parte tutti i Casali di Napoli, che stanno dalla parte Settentrionale, quali tutti han patito danni, et incommodi grandissimi di ceneri, e pietre piovute, con l’eruttatione done più, e dove meno, che perciò sono cascati molti edifici, dal peso delle ceneri smossi. Il Venerdì seguì, che benche fusse vario, et incostante, fù nulladimeno più allegro de’ precedenti giorni, nel qual tempo non s’interlasciarono punto le solite preghiere, e publiche dimostrationi dall’una parte, e dall’altra de’ capi del comando à dar buoni ordini per rimediare a’ danni delle terre disfatte dal fuoco, e [p. 12 modifica]ceneri, poscia che in tutti i precedenti giorni patirono molti incommodi, ma vie più il Mercordì, nel quale circa le dicisette, ò deciotto hore uscirono dalla cima del Monte torrenti di fuoco, bituminoso, aluminoso e sulfureo, con altri minerali misto, e d’acque sulfuree, e calde, che scendendo per le coste del Monte, con gran vehemenza, strepito, et empito, suelsero, ruvinarono, e bruggiarono ciò, che se gli paraua innanzi, onde la Terra di Bosco, Torre dell’Annunciata, Torre del Greco, San Giorgio, Resina, Portici, e S. Sebastiano, restarono disfatti, rimanendo in piedi alcune case, che ò non furono poste a terra, con morte di molte centenaia di persone, e gran quantità di animali, de’ quali sin ad hoggi non si è possuto havere il numero distinto; e con tutto che la voragine fusse dal fuoco ampliata, havendo distrutto circa tre miglia della cima dell’altezza del monte, tutta volta essalò in cinque altre parti nella riva del mare, che cedendo il luogo, lasciò nel suo letto gli pesci bruggiati, e morti, e nell istesso tempo nel porto di Napoli, e nel luogo della Dohana della farina, ritirandosi il mare istesso, e ritornando poi, lasciò di quando in quando quasi in secco le galere, e minori vascelli, e barche, con lasciar atterriti, e spaventati i marinari, ch’osservavano il moto da sotterranea violenza violentato.

De simile rovine ha provato la Terra di Ottaiano nell’istesso tempo, e Somma, et in parte Massa di Somma, e Pollena, con altri luochi, quali dalla corrente del fuoco con acqua sulfurea mista sono stati sradicati dal suolo, e sarebbe avvenuto l’istesso à S. Nastasio, ma per haver ampie strade, per il quale il torrente volò, non sentè danno, eccetto che ne’ territorij, come anco la Terra di Marigliano, le cui campagne sono allagate con quasi la total perdita de semente. E non vi manca, che non si può indurre à credere, che sia col fuoco uscito l’acqua, perche di più dell’essalatione calda, et humida, che si è vista con la densa, et atra caligine in atto di uscire ne’ primi, e seguenti giorni dal Monte, si sà bene, che conforme riferiscono i Paesani del luoco, dice il Sommonte, nella concavità, che si scorge in mezzo della montagna (intendi dell’anticha) dove in tempi sereni sono per certo spatio discesi, han veduto acqua abondantissima con velocità correre in quella profondità, dal che possono havere origine le sorgentie d’acque, che intorno le ville sudette si vede, e particolarmente l’acqua, che viene in Napoli, che scaturisce sei miglia lungi nelle radici del Monte, nel luogo detto Cancellaro, nella massaria detta le Fontanelle dalla parte Australe, lungi dal mare circa cinque miglia, ove da un antro à goccie, à goccie pullula gran quantità d’acqua, che per coverti meati crescendo, sorge due miglia discosto in un luogo comunemente la Bolla, ò dal bollire, ò dalla voce labiolo, come dice il Pontano, è così detta, et in un certo modo parche con certi bolli scatorisca l’acqua in grand’abondanza, che dividendosi in due parti, per un certo partimento, l’una per condotti di fabrica viene in Napoli per uso della Città, l’altra effondendosi per le campagne irrigando, e voltando [p. 13 modifica]molini, prima forma il Sebeto. Altri dice che l’acqua piovana, che dalle rupi discende, accolta nel concavo del monte in molto tempo, che può probabilmente essere, sia stata cacciata fuori dalla violenza del fuoco, col quale chiara cosa è, che vi sia stata mista con molti minerali cineritij bituminosi, come si è detto, ma di cio creda ogn’uno quel che li pare, dirò a questo proposito, che in Arpaia l’istesso Mercordi dalla Montagna, che sovrastà alla Terra spiccandosi sassi di smisurata grossezza, con precipitosa fuga, cascarono al basso, e prendendo la strada di fuori non ruvinarono il luogo, ilche sarebbe seguito, se per altra strada fussero sdrucciolativi anco piovè cenere in gran quantità, e pietre aride, come pomici grosse, e picciole in gran numero, com’in altri luochi del continuo dell’une, e dell’altre; et è da considerare, che se Napoli, per star discosto ha havuto tanto disturbo, centuplicatamente i luoghi del contorno hanno patito danni, che sin’hora non stà bene stimarli, senza matura riflessione. E tornando doue lasciamo à 21. hora l’istessa giornata del Venerdì uscì (cosa insolita, e nuova) dal Monastero di S. Maria la Nova una processione, che d’ordine dell’Eminentissimo fù la più bella di quante sin hora (sia detto senz’offender l’altre) all’età mia hò visto, posciache per esser la prima fatta in honor del B. Giacomo della Marca, non vi mancarono Religiosi, e Secolari, mà quelli si bene, che da indispositione, ô legitimi impedimenti impediti, non vi posserono conforme al desiderio intervenire, con tanta devotione, che solo il mirargli provocavano al pianto ogni duro petto, alla quale intervenne il Sig. Vicerè à piedi (benche non godesse buona salute.) Fu portato dunque sotto un ricco palio dalla Nobiltà il corpo di quel Beato nella sua cascla di cristallo scoverta con edificatione de’ Popoli, e passando per dentro la Chiesa del Carmine fu condotto sin al Sebeto, incontrando per strade innumerabili processioni con diverse reliquie, et imagini. Cessò il vapore all’apparire, mostrando obedire, che ritornando poi ad uscire par che dir volesse. Esco per mai più far danno, pigliando la strada del mare, alla riva del quale fatte che furono da Religiosi del suo habito le cerimonie, e dette le orationi, per la Porta Nolana entrando, al suo luogo con l’istessa pompa fu condotto. In questo giorno si potè scorgere più evidentemente la natia prudenza d’amendue i nostri Pastori Spirituale, e Temporale, posciache l’uno ordinando gl’espedienti alla salute dell’anime, l’almo gli rimedij alla salute de corpi, si mostrarono degni, e veri Padri della Patria. Spalancarono le borse, e con grossa somma de denari soccorsero i Popoli, che continuamente fuggendo l’ira, e minaccie del fuoco sono concorsi in Napoli, chi con la perdita di robbe, e stabili, chi di molti Parenti d’ogni grado, chi nudo con alcuni stracci in spalla, con morti nelle braccia, e di fame poco men che morti, che soccorsi anco in buona maniera dal publico, e da privati caritatevoli Cittadini, doppò varij ricetti dategli da timorosi di Dio, in tempo, che da lor stessi sel procacciavano nelle Chiese, han ricevuto per stanza fissa la Chiesa di S. Gennaro fuor le mura, dove abbondante, e lautamenete sono soccorsi di giorno [p. 14 modifica]in giorno, in particolare dal Monte della Misericordia retto da Cavalieri. E tornando al Signor Vicerè Eccellentissimo ha fra questo mentre dispacciato Officiali supremi, e trà gli altri il Signor Regente, e Marchese de Campi D. Giovanni Enriquez, e Signor Consigliero Salgado à dar buoni ordini, e raccogliere la dispersa gente della rivera ritirata in alcune Chiese, dove buona parte n’è morta dandogli passaggio con due galere, de’ quali, se più ve ne fussero bisognate non ne haverebbero mancato. Il Signor Commissario della Campagna di notte, e di giorno con molta vigilanza si è affaticato, e col braccio, et interuento del Dottor Antonio de Angelis Eletto del fidelissimo Popolo degno di maggior dignità, posciache in questa occasione come sempre ha mostrato la sua integrità, e destrezza affaticandosi continouamente per la salute uniuersale, che perciò vi fu mandato buon numero de’ guastatori con tutte sorti d’instrumenti, acciò i morti bruggiati fussero sotterrati, come seguì nelle Chiese impiedi rimaste, con l’assistenza de’ Confrati di S. Restituta con molta carità, e di mano in mano si vanno prendendo altri espedienti, acciò il danno venghi rimediato nel miglior modo possibile; Benche seguisse il Sabato, non però cessò il vomito della voragine, e torrenti, mà quel fragore, che dal Giovedì si tacque, non più ci offese l’orecchie, ne si dismesero punto le preghiere, conforme à precedenti giorni. Ad hore 21. con tutto che pioveſſe conforme la mattina acqua con poca cenere mista, uscirono nulladimeno in processione portate da Capuccini, e Preti gli corpi Santi del Tesoro della Santissima Annuntiata, con corpuscoli de SS. Innocenti, Teste di S. Orſola, e Barbara, deto di San Gio. Battista, e legno di Croce, e spine di Christo nostro Redentore, frà gli Veſcovi, e Martiri. La notte precedente alla Domenica ci travagliarono molto i terremoti, mà senza danno per gratia di Dio, à quali seguì la Domenica, nella quale venti Libecci, e Silocchi non poco ci fastidirono. Il Lunedì con le solite scosse della notte apparve, e verso le 21. hore grandissima copia di cenere, si vidde da venti di Ponente portar per la Capitinata, et Apruzzo, per esser il tempo sereno, ch’in forma di densa nubbe uscendo, e volando per l’aria erano in lontane parti trasportate. Nel qual tempo uscì la quarta volta la Processione dell’Arcivescovato con l’istessa pompa dell’altre, portando con molta riverenza la Testa, e sangue di S. Gennaro nell’antica Chiesa fuori le mura della Città, ove si conserva il deto di detto Santo, che gli fu tronco insieme col busto all’hor, che per amor di Dio, la mortale barattò per la celeste vita, e dall’istesso alla Napolitana Donna, che pietosa, e zelosa raccolse il sangue, rivelato, e donato; dal Signor Cardinale Eminentissimo con molta riverenza, e deuotione bacciato. La maggior parte della notte precedente al Mercordì 23. del mese, fù spesa in vigilia per causa de’ terremoti, quali l’istesso Martedì legiermente si ferono sentire col buon tempo, che seguì, che si turbò poi con acqua, e vento all’hor, che una nobilissima processione de’ PP. Theatini con la loro modestia, e politia, con la quale tutti restarono edificati, con l’assistenza del Signor Vicerè Eccellentissimo [p. 15 modifica]Collateral Consiglio, et infinita nobiltà Spagnuola; et Italiana; accompagnava la statua della Madre di Dio, che dalla Chiesa di Suor Ursola nella loro degl’Angioli di Pizzofalcone era stata privatamente trasferita, insieme con l’altre di due Sommi Pontefici ad hore 22. à smorzati cerei per causa del vento supplendo real salva del Castel Nuovo, Galere, e Navi del Muolo, nel qual luogo esposto alla voragine era incaminata, Seguì la notte, nella quale leggieri terremoti ci mantenerono desti, che nel Mercordì han fatto tregua, benche per hora non mostri il Monte deporre l’infiammato orgoglio. Si raccontano molti miracoli, che sono succeduti in diverse Chiese de’ luochi rovinati, fatti dall’imagini de’ Santi, con visioni, e rivelationi diverse in Napoli, e fuori, che di momento in momento si vanno appurando, e si publicaranno quando sarà tempo. Questo è lo stato delle cose presenti di Napoli, e della Provincia di Terra di Lavoro, insin ad hoggi, nella qual si vede.


Crudelis ubiquè

Luctus, ubiquè pavor, et plurima momentis imago.




Imprimatur.   Felix Tamburellus Vic. Gen.


Felix de Ianuario dep. vidit.