Della moneta (1788)/Capitolo XIV

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Capitolo XIV - Spese di zecca

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CAP. XIV.

Spese di Zecca.


A
Ssicurata al Principe per mezzo della privata tariffa di sua economía una quantità costante di monete pei tributi, e assicurati al popolo i necessarj lumi in materia di monete per mezzo della tariffa istruttiva, restano inutili tutte le comuni leggi monetarie, e non v’è migliore sistema, che d’abbandonare il corso delle monete alla pienissima libertà del commercio. Questa è la massima fondamentale, che se non ho errato ne’ miei ragionamenti, deve risultare da quanto ho esposto fin qui. Resta però un gran passo a farsi, ed è rimediare agl’inconvenienti narrati nel Capo 4. che provengono necessariamente dall’uso dei valori numerarj delle monete, attesa la perpetua loro tendenza all’accrescimento. Si è visto, che le leggi sono [p. 66 modifica]comunemente inefficaci a togliere questo disordine, e non fanno per lo più che recarne degli altri forse maggiori. Non v’è che un buon sistema di monete nazionali, che possa togliere gl’inconvenienti dei valori numerarj. Saranno dunque a questo oggetto rivolti tutti i Capi seguenti di mostrare qual sia il miglior metodo di fabbricare e regolare le monete nazionali. Intorno a che si presenta, avanti ogni cosa, una questione preliminare da esaminarsi, se convenga o no ad una data Nazione fabbricare monete.

Fu errore di molti, in cui sono caduto anch’ìo prima che avessi diligentemente esaminata questa materia, che la fabbricazione delle monete sia un ramo di rendita al Principe. Ogni fabbricatore, diceva io, guadagna sulla sua opera il prezzo della manifattura. Quanto più non deve guadagnare il Principe che è il fabbricatore e negoziante privilegiato della moneta? Ogni artefatto contiene un valore corrispondente al valor della materia, alla spesa della manifattura, e al profitto dell’artefice: dunque anche il valore della moneta deve risultare dalla somma del valor del metallo, della spesa della Zecca, e del profitto del Principe. Sarà sciolto questo seducente parallogismo qualor si rifletta, che il profitto dell’artefice, che vuol dire il suo [p. 67 modifica]alimento (più o meno abbondante secondo la qualità dell’arte) entra in parte nella spesa della fabbricazione, come in tutti i generi, così ancora nelle monete. Lo stipendio che si dà agli Operaj della Zecca, agl’Ispettori, ai Direttori, e perfino ai Ministri regolatori non vien’egli calcolato nella spesa della Zecca? Questo è pur quello che corrisponde al profitto dei fabbricatori di qualunque merce. Cosa dunque vi deve ancora avanzare nelle monete a profitto del Principe? Forse l’interesse del capitale impiegato nella compra delle materie e nelle spese della fabbricazione, come avrebbe profitto un capitalista che dasse ad interesse una somma ad un fabbricatore? Sia pure così. Ma allora non ha più fatto guadagno alcuno il Principe sulle monete; ha messo a frutto il suo capitale in questo negozio, come lo avrebbe potuto mettere in fondi, in imprestiti, in qualunque altra guisa; talchè se il Principe non avesse avuto quel capitale alle mani, ma lo avesse dovuto prendere ad usura, gli annui interessi avrebbero assorbito tutto il di lui guadagno. Dunque non è la Zecca un articolo di nuova rendita al Principe, ma tutto al più può essere uno dei modi d’impiegare con profitto un capitale ozioso. Non può nemmeno aver profitto il Principe per essere il fabbricatore e distributore [p. 68 modifica]privilegiato delle monete, come lo avrebbe chi fosse solo a vendere una manifattura o merce qualunque; perchè entra il Principe in concorrenza con tutti gli altri Principi nell’esibizione della moneta, onde non può mai avere alcun profitto, se non prendendolo con leggi proibitive sopra i suoi sudditi, il che non è altro che una nuova imposizione.

Ma si osserva di più, che non solo il Principe non può regolarmente far guadagno sulle monete, ma anzi spesse volte ci rimette, o in parte o in tutto, le spese della fabbricazione, e talvolta ancora parte del valor del metallo. Vi sono molti paesi ove gli orefici e tutti i fabbricatori di merci in oro o in argento, adoperano e fondono indifferentemente le monete e le paste metalliche: talvolta preferiscono le monete. Per quanto ciò sembri un paradosso, è però un fatto innegabile, e le leggi che vietano la fusione d’alcune monete ne sono una prova convincentissima. Supponiamo adunque che il Principe volendo fabbricare nuova moneta faccia il suo bilancio per conoscere se gli torni più fondere paste metalliche o monete, e che trovi la cosa eguale; non è egli evidente, che in tal caso ci dovrà rimettere tutta la spesa della fabbricazione? Se troverà più spediente fonder monete [p. 69 modifica](intendo monete che abbiano corso) che fonder paste non avrà egli a perdere, oltre le spese della fabbricazione, parte ancora del valore metallico? La spesa stessa della fabbricazione delle monete può essere più dispendiosa a un Principe che ad un altro, e per questo articolo ancora dovrà necessariamente discapitare quel Principe che avrà più spesa a fare che un altro. Sarà in questi casi il Principe nella condizione di quel fabbricatore che comprando la materia prima a maggior costo che gli altri suoi pari, o avendo più di loro a spendere in trasporti o in opere, non potrà perciò vendere la sua manifattura più degli altri, e ci rimetterà necessariamente del suo. Per la stessa ragione avrà profitto il Principe allora solo, che potrà fare un qualche risparmio in confronto degli altri Principi, o nella compra della materia prima, o nelle spese de’ trasporti e della monetazione.

Da queste considerazioni risulta, che la prima cura del Principe che vuol batter moneta dev’essere di calcolare le spese della Zecca, tanto riguardo alla compra del metallo, quanto riguardo alla fabbricazione delle monete. Questo è un calcolo assai facile, e non richiede che una semplicissima operazione. Impieghi il Principe per esempio mille Gigliati a comprar verghe d’oro, o se le ha dalle sue [p. 70 modifica]miniere ne prenda quella quantità che si venderebbe mille Gigliati. Di quest’oro faccia coniare quante monete può del medesimo peso e titolo del Gigliato, calcoli la spesa tutta della fabbricazione, e la aggiunga ai mille Gigliati spesi per la compra dell’oro, onde la spesa intiera che ha fatto, monti, per esempio, a mille e cinquanta Gigliati: osservi quante monete del medesimo peso e titolo del Gigliato gli sono riescite. Se saranno più di mille e cinquanta il Principe avrà guadagnato il di più, se saranno meno avrà altrettanto discapitato, quanto è minore il numero delle nuove monete; se il numero sarà eguale, non avrà avuto nè vantaggio nè discapito. Quel che ho detto dell’oro, si dica dell’argento e del rame.

Ma intorno al rame è assai probabile che non vi sia mai discapito a fabbricarne monete almeno in Europa. Le spese della fusione e del conio nelle monete di rame sono sì gravi, che sicuramente non può mai essere l’istessa cosa fonder paste e fonder monete. Per tal cagione il valore metallico si considera assai meno nelle monete di rame, che nelle nobili. L’abbondanza delle miniere di rame sparse per l’Europa dà il comodo a tutte le Nazioni d’avere a poco costo la materia di tali monete. Tutta adunque la diversità fra [p. 71 modifica]Nazione e Nazione può ridursi a qualche maggiore o minore spesa di trasporti, ed alla maggiore o minore abilità degli operarj di Zecca: diversità che si può con saggi regolamenti togliere o diminuire a segno che non produca più sensibile effetto alcuno. Ma quando ancora dovesse soccombere l’Erario ad una qualche picciola spesa per la fabbricazione delle monete di rame, questo danno verrebbe largamente compensato dal vantaggio di contenere i valori numerarj ad una perpetua, non dico proporzione, ma eguaglianza e identità coi reali, come spiegherò in appresso.

Riguardo alle monete d’oro e d’argento, ardirei quasi dire, che per regola generale dovrebbero far moneta solo quelle Nazioni, che hanno le miniere più vicine e più abbondanti. Dubito che i trasporti delle monete siano meno dispendiosi che i trasporti del metallo. Dubito che le leggi di que’ Paesi ove sono le miniere, influiscano molto ad innalzare il prezzo delle paste ne’ paesi lontani dalle miniere. Non ardisco avanzar niente di sicuro in questa materia, perchè non ho tutte le notizie di fatto che vi si richiedono, ma basta quanto ho detto, perchè ciascuna Nazione possa facilmente calcolare, se le conviene o no fabbricar monete d’oro o d’argento. [p. 72 modifica]

Resta quindi, non dirò sciolta, ma dissipata e resa vana la questione che sogliono fare gli Economisti: se le spese della monetazione si debbano caricare sulla moneta stessa, o sopra l’Erario del Principe. Cosa vuol dire caricare sopra la moneta la spesa della di lei fabbricazione? Un Principe spende cento Gigliati a comprar verghe d’oro, ne spende altri dieci a fabbricarne tante monete che siano d’egual peso e titolo ai Gigliati, e si trova non aver fatto che cento di tali monete nuove. Caricherà il Principe le spese della fabbricazione sopra le monete stesse prescrivendo che le cento monete nuove che ha fatto, si abbiano per eguali a centodieci Gigliati, sebbene in peso e titolo non equivalgano che a cento soli? Sarebbe abusare de’ miei lettori, se dopo l’analisi fatta antecedentemente dei valori delle monete volessi qui mostrare l’assurdità di questa operazione. Dunque in regola generale, se le monete nuove saranno equivalenti in peso e titolo (ed in reputazione ancora) a quelle che si sono spese per fabbricarle, allora le monete nuove porteranno sopra di se la spesa della monetazione; se le monete nuove avranno in commercio una minore estimazione di quelle che si sono spese per farle, la differenza cadrà necessariamente sopra l’Erario; se l’avranno maggiore, [p. 73 modifica]sarà pure a profitto dell’Erario quest’eccesso1.

Il risparmio nelle spese della monetazione essendo un oggetto tanto importante in questa materia, si rivolgeranno le cure del Governo a diminuire il più che sia possibile i trasporti (destinando le Zecche ai siti più vicini alle miniere) ed a procurarsi i più valenti artisti ed i più savj direttori. [p. 74 modifica]Ma oltre ciò pare che non meriti poca considerazione la ricerca, se convenga moltiplicare le Zecche nelle provincie del medesimo Stato. Pare a me, che una Zecca sola potrebbe somministrare le necessarie monete per un ampio Stato. Non so se vi sia Zecca alcuna che lavori tutto l’anno senza interruzione. Ciò nasce, dacchè una Provincia non può smaltire e consumare annualmente tanta copia di monete, quanta ne può in un anno di lavoro continuo fabbricare la di lei Zecca. Diminuendosi il numero delle Zecche potranno queste avere un lavoro continuo; e quando la consumazione dello Stato richiedesse più monete che non può fabbricare una Zecca sola in un anno, non v’è che a moltiplicare gli operaj della medesima Zecca per provvedere uno Stato di qualunque estensione. Ora non v’è chi non veda quanto cresce la spesa della monetazione a misura che si moltiplicano le Zecche. Ometto i calcoli di questo dispendio per non annojare il lettore, parendomi questa una verità della maggiore evidenza2. Non [p. 75 modifica]resterà dunque altro a considerare che il confronto delle spese dei trasporti colle spese delle Zecche moltiplicate, per conoscere se convenga in uno Stato averne una sola o più (almeno per le monete di rame) e quali siano i siti più opportuni per stabilirvi la Zecca.

Note

  1. Un’importantissima conseguenza deriva da questo discorso, cioè esser affatto vano ed insussistente il pensiero di valutare in tariffa le proprie monete secondo il valor del metallo e della fabbricazione insieme, e valutar le monete forestiere alla sola ragion del metallo che esse contengono. I gravissimi Autori, anche moderni, che han dato un tal consiglio, hanno considerato che non deve la Nazione pagar le spese di fabbricazione alle monete straniere, ma non hanno avvertito, che le pagheranno sempre, anche loro malgrado, ogni qual volta le monete in commercio abbiano una maggiore estimazione, che le paste in egual quantità di metallo. Sia per esempio valutato più in Firenze il Gigliato, che lo Zecchino Veneto (supposti eguali) per le spese della nazionale monetazione, mentre fuori della Toscana abbiano la medesima estimazione, sicurissima cosa è che gli Zecchini Veneziani non andranno mai in Toscana, nè i Gigliati saranno ricevuti fuori paese, se non a quanto sono stimati dove si devono spendere; e quando sia lecito in Firenze il corso abusivo si vedranno subito gli Zecchini Veneziani, ch’ivi si trovassero, andare al pari dei Gigliati; e non tolerandosi l’abusivo, partirebbero tutti. Per la medesima cagione vano è il consiglio d’assegnare a tutte le monete nobili anche nazionali il solo valore del metallo, e niente di più per le spese di Zecca. Questa valutazione non dipende mai dalle leggi, come è stato dimostrato abbastanza, ma dalla pubblica estimazione; cosicchè talvolta le monete saranno stimate più del metallo che contengono, talvolta meno, e da questa estimazione deve bensì prender norma il Principe per conoscere se gli convenga o nò batter moneta, ma non mai dipartirsi dalla medesima per assegnare alle monete arbitrarj valori.
  2. Il Klockio nel Trattato giuridico-politico De ærario pensa che la moltiplicità delle Zecche possa esser cagione di deterioramento alla moneta. Cita qui l’esempio del Popolo Romano, che non ebbe mai altra Zecca che in Roma nel Tempio di Giunone, e di Carlo Magno che le molte Zecche sparse nel circolo dell’Imperio ridusse ad una sola (vedi la nota alla pag. 180 dei Ragionamenti di Locke sopra la moneta, stampati in Firenze nel 1751). Io crederei, che i buoni regolamenti potessero togliere ogni pericolo di depravazione delle monete ancorchè fossero moltiplicate le Zecche. Ma gli esempj citati dei Romani, e dell’Imperator Carlo Magno provano evidentemente quanto ho affermato, che una Zecca sola può bastare per uno stato anche vastissimo.