Della ragione di stato (Settala)/Libro VI/Cap. IX.

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Cap. IX.

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Capitolo IX

Della ragion di stato de’ pochi potenti,
che difende non solo il dominio, ma ancora i dominanti:
e prima, della guardia armata.

Se conviene non solo ad un buon re, ma anco alla republica aristocratica tenere guardia armata non solo per difesa del suo stato e della forma di governo, ma ancora della persona del prencipe o dei dominanti per le cause a suo luogo addotte: perché i! tiranno e i pochi potenti molto piú non ne averanno bisogno? E se è vero, che la piú fedele e onorata guardia che possa aver un prencipe è l’amor de’ popoli, come Cesare e Arato solevano dire presso Plutarco nelle lor vite; e niente di meno abbiamo mostrato dover con ogni ragione tener guardia [p. 126 modifica] armata, (come, oltre le ragioni altre volte addotte, insegnò Isocrate nella settima epistola a Timoteo, dicendo, dovere i prencipi, ancor che governino con giustizia e clemenza, guardar la persona sua con tanta cura, come se tutti i loro sudditi avessero contra): che faranno i tiranni, e i pochi potenti, li quali dominano per forza a quelli che non vorrebbero e che odiano a morte chi gli signoreggia? Alcune cose pertinenti alla guardia del monarca e dell’aristocrazia, communi a tutti, potranno servire ancora per la guardia degli oligarchi, o pochi potenti, e del tiranno, che pure in questo luogo ho riportate, per non aver occasione di ridirle: ma qui mi sará solo necessario mettere le cose particolari in questo proposito differenti da quelle.

Prima non si deve servire per sua guardia di altra sorte de’ soldati, che di quelli che non amino piú gli altri che lui: e perciò Ciro, mentre fu in Babilonia, ad altri non confidò la guardia della persona sua se non a’ suoi eunuchi, come scrive Senofonte nel libro settimo della Pedia di Ciro.

Se bene non conviene al tiranno uscir di casa senza guardia de’ soldati armati, essendo posta nella persona sua solo la potenza di quel governo; nell’oligarchia però, che ha piú rettori, basta che sia assistente quando tutti unitamente sono congregati nel maggior consiglio: fuori del qual tempo converrá che queste guardie armate stiano a’ suoi quartieri, pronte a reprimere le sollevazioni e a soccorrere dove i dominanti comanderanno.

Non è espediente alla tirannide, o ai pochi potenti, tener per sua guardia grosso numero de’ soldati uniti in un corpo sotto un sol capo: perciocché quel tale potrebbe levargli per mezzo di cotal guardia lo stato e la vita. Tal pericolo corse Tiberio, avendo comportato che Seiano unisse in uno alloggiamento tutti i soldati pretoriani: come avvisò Tacito nel quarto degli Annali.

Come anco non conviene commettere la guardia della persona sua, o de’ pochi potenti, e dello stato e forma de la republica ad un sol capo; ma devono almeno due essere eletti, acciocché se uno volesse usar tradimento, non gli manchi un altro che lo custodisca. [p. 127 modifica]

E questi devono eleggersi uomini nobili, che abbino avuti altri carichi, che siano esperimentati nella guerra, e che in altri negozi si siano mostrati fedeli e leali. Questo fu parere di Mecenate consigliando Augusto a ritener l’imperio, appresso Dion niceno nel libro LII.

E sí come nel regno e nell’aristocrazia conviene, che i capi siano e cittadini e nobili, come giá abbiamo scritto: cosí per il contrario il tiranno e gli oligarchi devono eleggere forastieri nobili sí, ma conosciuti di valore e vera fedeltá.

E poiché si è giudicato non esser bene, che la guardia tutta stia unita in un luogo, né sotto un sol capo, ma sotto almeno due, conviene ancora aver piú guardie, e di diverse nazioni e generi di milizie: perciocché volendo una ribellarsi, se gli puossa con un’altra far resistenza; ed è bene che siano mal d’accordo fra loro: perché per emulazione faranno a gara per ben custodire il prencipe. Però quasi tutti i maggiori prencipi costumano di tener piú guardie, e quelle di differenti nazioni, e di diverse sorti di milizia. E nell’imperio ottomano per isperienza si vede, che li spahy, che sono soldati a cavallo, ancor che molti di loro siano stati avanti giannizzeri, tuttavia sono sempre discordi con essi giannizzeri; e cotal discordia assicura la vita e l’autoritá del re.

Questi soldati di guardia si devono pagare il doppio che si pagano gli altri, acciò abbino causa di esser tanto piú diligenti e fedeli custodi, né abbino causa di abbandonare tal servizio. Di Augusto scrive Dione istorico, nel libro LII e LV, che usò la guardia, e che il senato decretò che i soldati di essa avessero doppia paga.

Ma, o legittimi o tiranni o buoni o mali che siano i prencipi, non devono tenere per custodi delle persone loro e de’ suoi stati uomini banditi da altri stati: perciocché questi tali sono di condizione pessima e da non fidarsene. Tacito nel libro sesto degli Annali, di loro parlando in proposito di Artabano re dei Parti, dice: Nec iam aliud Artabano reliquum, quam si qui externorum corporis custodes aderant, suis quique sedibus extorres, qui neque boni intellectus neque mali cura, sed mercede aluntur, ministri sceleribus. [p. 128 modifica]

E molto meno se sono banditi da quello stato, che sia poco amico, o contro di cui si guerreggia: perciocché e l’amor della patria e de’ parenti e il poter patteggiare il loro ritorno gli può rendere infedeli; come provò Alessandro d’Epiro, il quale tenendo per guardia della persona sua duecento banditi lucani, mentre che guerreggiava nel loro paese, fu da essi, patteggiando il loro ritorno, ammazzandolo, tradito e ucciso: come scrive Livio nel libro ottavo della prima decade.