Dodici monologhi/Il veterano al congresso

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Il veterano al congresso

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Il signore che pranza in trattoria Fra un atto e l'altro


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IL VETERANO AL CONGRESSO.


[p. 75 modifica] Prego, una parola.... una parola sola. Vorrei che, invece di domani, si votasse oggi, perchè io stasera devo tornare a Venezia. Ho ricevuto adesso il dispaccio, che mia figlia sta per farmi nonno una seconda volta. Se è un altro maschietto gli metto nome Giordano Bruno, se invece è una bambina.... ma già è un maschio. Devo dunque andar via col diretto, e mentre mi fa piacere, mi dispiace, perchè, chissà se avrò mai più l’occasione di tornare a questa Roma, dove abbiamo passato una settimana di feste che non iscorderò mai più. Ogni passo incontravo vecchi amici che non vedevo da cent’anni.... Vecchi compagni d’arme.... Ecco qua! coso.... e cosino, qua, guarda come è ingrassato, fiol d’un can! E lì, baci, pianti, litri di vino....

Quando ieri siamo andati al Gianicolo, [p. 76 modifica]parola d’onore ho creduto d’impazzire. Guardino: ho preso tanti spintoni che da ogni parte ho dei lividi larghi così: ho perso la catenina dell’orologio (una bella catena d’oro.... falso, magnifica), mi hanno acciaccato i piedi, sfondate le coste, e poi soffocavo tra un carabiniere e un bandista che mi aveva piantato il bombardino proprio qui, sul filo della schiena, sotto un sole, che, San Marco benedeto, ci arrostiva il cervello, ma che importa? Quando è caduta la tela e ho visto lassù, vivo, vivo, parlante il nostro generale a cavallo, ho pianto, ho riso, ho urlato, mi son precipitato, non so gnianca mi dove, mi pareva d’essere matto, di stare in paradiso, di sbarcare a Marsala, di combattere a Milazzo.... Mi pareva di vederlo il generale, muoversi, galoppare davanti a noi e gridare, con quella tromba di voce: Bravi fioi! Avanti! sotto, alla baionetta, o vittoria o morte! e viva l’Italia!

Digo mi, che se non mi ha preso un colpo da restar sulla botta è stato un miracolo davvero.

E poi trovo quelli del mio battaglione del ’49 e andiamo verso porta San [p. 77 modifica]Pancrazio. Mi quando sentivo parlar di spiriti no ghe credevo. Ma là, parola d’onore, erano quei busti di marmo, e noialtri, invece si vedeva la persona viva. Luciano Manara, ah! lo vedevo lì, con tutte quelle penne che mi parevano una criniera di leone.... quando ci trascinava alla guerra a corpo a corpo. Ma che guerra! ci pareva di andare a una festa da ballo. Si cantava a squarciagola l’inno che ci metteva la febbre nel sangue. E c’era anche lui, l’autore dell’inno, Goffredo Mameli.... tutto biondo e tutto nervi. Lo vedo come fosse ora sopra un monticello con la sciabola sguainata, così, che ci gridava: Dio è con noi, addosso a questi vigliacchi.... sotto, fratelli! E in quel momento, maledeto can! lo vediamo traboccare e cadere sul fianco. Aiuto!... Mameli muore!... E lui: No, no, lasciatemi stare! Avanti! avanti, vendicatemi!

E noi, allora, rabbiosi, su, su a testa sotto fra la mitraglia, su cantando ancora, ma con la schiuma alla bocca, il sangue agli occhi.... Dài! su! tra il fumo, i rombi, le baionette.... picchia.... dài! chi muore, muore e avanti!... Eh! la [p. 78 modifica]posizione l’abbiamo presa, in mezzo a un macello, ma mentre si stava lassù ed i nemici scappavano, guardammo al basso.... Quattro dei nostri, su i fucili incrociati, portavano Mameli tutto lordo di sangue.

Quasi per salutarlo provammo a cantargli: Fratelli d’Italia.... ma ci rimase strozzata qui nella gola. Fu allora che io presi il comando della Compagnia. A venti anni, capite, ero capitano. Eh, ho fatto una bella carriera, ostregheta! Fate un po’ il conto: capitano nel ’49, venti anni dopo entro dalla breccia di porta Pia col grado di tenente dei bersaglieri. Più andavo avanti e più tornavo indrio! E sapete il perchè? Perchè, non fasso per vantarme, ho fatto tutte le campagne. Sono storie?.... È la sacrosanta verità. Entrai nell’esercito col grado di sottotenente, ma tutte le volte che Garibaldi chiamava.... buona notte, san Marco! Elo ciamava, e mi buttavo in aria berretto, filetti, carriera e via. Poi tornavo al reggimento, ma il colonnello me diseva: Lei l’è una testa bruciata; lei non andrà mai avanti ed avrà dei grandi dispiaceri.

[p. 79 modifica] Nel ’67 s’era di guarnigione a Firenze; appena seppi che Garibaldi era riuscito a fuggire da Caprera, mi presentai al colonnello e domandai, franco, un permesso per affari di famiglia: Chiel a m’la cônta nen giusta! Chiel a sta per fe quaich’autra balossada! Non dubiti, colonnello! vado a trovare mi mugier che la xe malata, povareta! Invece feci un fagotello della sciabola, del revolver, della camicia rossa benedetta, e via col primo treno a Passo Corese. Sì, no? Al confine c’era il caos. — Garibaldi? Viene? No! — I gruppi dei volontari sparsi qua e là parevano mandre abbandonate. Bisognava vederci, mortificati, avviliti. A un tratto, ecco una carrozza di carriera. È lui! è il Generale!... Pareva una striscia di polvere — che so, una corrente elettrica — e dove passava diventavan tutti diavoli; saltavano, urlavano, alzavano i fucili e giù di corsa, cantando la Gigogin, traversavano macchie, si precipitavano per torrenti, tutti a sciami verso la carrozza del generale: Un delirio! Tanto gli ho tempestao che son riuscito a farmi metter nel battaglione di avanguardia, e marcia, marcia, siam [p. 80 modifica]arrivati fin sotto a Roma, a Casal de Pazzi. Saremo stati neppure cinquecento, ma tutti fioi de can!

Il Generale ci fece accucciare lungo il ciglione d’una collina e ci disse:

— Intanto, ragazzi, mangiate qualche cosa.

Figureve! un bocconsin di carne cruda senza sale e un pan che pareva un sasso. Basta, con la staccionata si fece il fuoco e si arrostì la carne. Il Generale lassù, in alto, guardava Roma. Era di buon umore, teneva il cappello indrio. Quando lo portava sugli occhi era segno di burrasca.

Mi magnavo, ma stavo a sentirlo che diceva agli ufficiali dello Stato Maggiore:

— Sapete dove siamo? Sul Monte Sacro, quello di Menenio Agrippa. E qui si è accampato pure Coriolano.

— E noi, Generale, che faremo?

— Aspettiamo un segnale, il segnale che è scoppiata la rivoluzione, e allora marceremo su Roma.

Aspetta, aspetta, si rimase sicuro un par d’orette, ma invece del segnale, vedemmo avanzare da due parti zuavi [p. 81 modifica]pontifici e antiboini. Il Generale ci disse: — Fermi tutti! che nessuno spari! li voglio a cento passi! — Ma quelli a cento metri si fermarono sorpresi, come a dire: Oh! come la xe questa storia? Poi, bum! bum! le prime fucilate; ma siccome da parte nostra non si dava segno di vita, loro cominciarono ad aver paura e intanto puntavano su Garibaldi. Anzi un ufficiale antiboino si fece dare un fucile, mirò a lungo, fiol d’un can! e poi sparò. Il Generale sorrise di pietà, si fece avanti dieci, passi e gli gridò:

Vous êtes des conscrits; vous ne savez pas tirer! Ma fatevi sotto, se avete fegato.

Poi si mise a sedere sopra un sasso, cavò di tasca un pezzetto di carne arrostita, involtata in un giornale, e mentre quelli sparavano fece colazione.

Intanto nessun segnale da Roma.

Il Generale si rimise in tasca l’avanzo, che poi era la sua cena, si tirò il cappelluccio e disse guardando gli antiboini:

— Ma che vogliono quei rompiscatole?

— Generale, ci lasci rispondere qualche bottarella!

[p. 82 modifica]Ci lasciò fare a patto che tirassero tiratori scelti. Si sparò trenta colpi e.... arrivarono tutti franco di porto a domicilio. Allora, quelli raccolsero i feriti, e via!

Eh.... credete a me! se non erano i francesi, Mentana era un altro paio di maniche. Quando ne parlo, mi va il sangue alla testa! Mi ci trovai nel meglio, a Vigna Santucci. Una gragnuola di palle che levava il respiro. E noi, tra il fumo denso, spara a destra, a sinistra, davanti, de drio.... Garibaldi si fa avanti in prima fila; Nicotera gli afferra il morso del cavallo e gli grida: — Fatemi fucilare, ma non andate più avanti!... Allora lui si butta verso certi pagliai dove si vede un reggimento di zuavi; Menotti, Canzio, Missori, ci chiamano, ci gridano: — Alla baionetta!... — E noi su per una prateria come un uragano, una banda di selvaggi. I zuavi scappano con le baionette alle coste. Certi si buttano per terra gridando: — Ne nous tuez pas! — E va a farti ammazzare dal boia! Torniamo, sempre di corsa, a Vigna Santucci, quando vediamo.... corpo d’un can! dei battaglioni [p. 83 modifica]con i pantaloni rossi. — I francesi! — Alle prime scariche si resiste, ma i giovani si scoraggiano.... la retroguardia scappa verso una chiesuola. I vecchi garibaldini, gli ufficiali tentano inutilmente di frenare il panico. — Non c’è cristi! Garibaldi si pianta a cavallo in mezzo allo stradale; Menotti, col revolver, si fa avanti gridando: — Fermate le squadriglie! — E il Generale: — Ma venite a morire con me! avete paura di morire con me?

Uh!!! mi sento ancora i gricciori nella pelle come allora, quando, sfiniti, accecati, imbrattati di sangue, ci siamo stretti ancora coi denti chiusi, gli occhi spiritati, attorno al cavallo bianco e abbiamo fatto l’ultima carica! la carica della disperazione. Massai! da Dio! — Tutto perduto! tutto disfatto! e si faceva notte con un cielo di burrasca.... Guardai là in fondo, Roma, scura, scura e mi dissi: Addio! addio! non se vedemo mai più!...

Invece no!

Ecco che nel ’70 mi trovo quasi allo stesso punto, presso il Ponte Nomentano. Ma varda al destin! fiol d’un can! Proprio alla vigilia del 20 settembre, ero [p. 84 modifica]accampato a Vigna Tosti. — A mezza notte, una gran linea di fuoco brillava per tutte le alture, da Tivoli a Frascati. Non si sentiva un sospiro. Eppure eravamo trentamila, e tutti in piedi! Quella notte non ha dormito nessuno, ve lo digo mi. All’alba tutti gli occhi fissi su Roma... laggiù! Non si sentivano che le pedate dei cavalli. A un tratto le campane suonano le cinque e mezza, al secondo boto, brum! il primo colpo di cannone. Quella prima cannonata ci rimbombò qui dentro. Bisognava vedere gli emigrati romani! quelli vecchi si guardavano cogli occhi lustri, come tanti putei che aspettano la mamma. Noi si aspettava un comando solo: Avanti! Un minuto pareva un’ora, l’ora un secolo. Si saliva sulle alture coi cannocchiali. Ogni tanto a due passi scoppiava una granata papalina; e chi mai badava alle granate? Si guardava laggiù al tiro delle nostre batterie. A ogni pezzo di muro che saltava in aria, si batteva le mani come a una ballerina.

Il maggiore Castelli ci ordina di andare a Villa Torlonia, e io faccio un salto, così, come un matto. Sotto la [p. 85 modifica]villa fioccano le palle. Il capitano Bovi è ferito a un braccio. A me, una palla di rimbalzo in faccia come una staffilata. Un ufficiale mi grida: — Tenente, è ferito. — Ma che! xe sangue che me esse dal naso! E tutti gli occhi fissavano la torretta di Villa Patrizi. Là deve apparire il segnale dell’assalto. Eccolo, è la nostra, bandiera! — Su, figliuoli, alla breccia! Non guardo se mi seguono, se mi precedono; non sento più nè il maggiore, nè il capitano, nè un accidente! Su di corsa fra i rottami, fra le baionette. — Ci siamo! Avanti! Avanti! Savoia!

Un boia di uno zuavo mi tira una baionettata.!... Gli levo il fucile, l’agguanto per il collo e ci rotoliamo giù! Un altro mi salta addosso con la daga. Arriva il maggiore Pagliari e gli spacca la testa. Mi volto: — Grazie, maggiore! — Di nulla, — dice lui, e una palla lo piglia qui e lo butta giù....

Eh! diventiamo jene, tigri, leoni, e ci buttiamo sui nemici che scappano, urlando, noi di furore e loro di spavento.... Quando, fermi, chi è?... bandiera bianca! Ah! noi ci siamo e ci resteremo! Entrai [p. 86 modifica]in un cafferuccio a lavarmi la faccia che parevo un carbonaio, poi col battaglione discendemmo fino a piazza di Spagna. Dio di Dio! Tutte le finestre si spalancano con una selva di bandiere. I vecchi piangevano, le ragazze buttavan fiori, e una fiumana di gente su da via del Babuino ci piglia di peso; tutti ci abbracciano, ci sbaciucchiano, ci passano di mano in mano, ci strappano per memoria le penne, i bottoni. Una famiglia mi afferra, mi porta a un primo piano, mi fa mangiare non so che, bere non so quanto, e il papà vuol darmi la mano di una delle sue quattro figlie: — Cossa mai dise? Ghe n’ho una mi che a momenti la xe da maridar!

E allora poi viveva quella santa memoria della mia povera mugier! È vero che a Roma in quei giorni, in mezzo a quello sciame di belle donne entusiaste, non so, non ricordo bene, ma gh’ho paura de averghe fatta qualche piccola infedeltà. E capirete, mi venivano attorno a strapparmi le penne del cappello e si sa! strappa di qua, strappa di là.... qualche cosa gh’ho paura di aver strappato anca mi!

[p. 87 modifica] E poi era una bella storia: si andava al caffè, all’osteria, dal sigaraio, dappertutto. Tutto pagato! Mo la cosa xe un tantino diversa. Oggi g’ho magnato appena un boccone e ho pagato 4 lire e 40. Ma non fa niente! Vago via col magon perchè mi è parso di essere tornato a venticinque anni fa, meno le penne e le ragazze. Eh.... le ragazze ci sarebbero.... ma mi mancano le penne.

Pure, stamane, alla rivista di noi Veterani al Macao mi è parso di aver non più di vent’anni. Stavo lassù fin dalle sette, con un panino in corpo e una tazza di caffè-latte, con quel sole tremendo!... Ma sì! quand’ho inteso la marcia reale e insieme l’inno di Garibaldi, eh! mi si piegavano i ginocchi, ma dài a urlare, a ballare come un ragazzino. Tutto a un tratto si fa gran silenzio intorno a me, che non ci vedevo quasi più, tra il sole, la polvere e le lacrime. Quando mi sento afferrare la mano e una voce mi dice:

— Ah! ah! lei fra tante medaglie ci ha pure quella dei mille?

— Eh!... Maestà, sì ho fatto tutte le campagne con Garibaldi.

[p. 88 modifica] E lui, con quei baffoni, quegli occhi:

— Sa che cosa le voglio dire? Che io la invidio! Garibaldi era il genio che creava gli eroi!

E mi, figureve! non sapendo che dire: — Maestà, se permette, le vorrei baciar la mano!

— Ma che mano! venga qua! — e mi abbraccia e mi bacia proprio qua! Qua, mi ha baciato il re! Se potessi, ci porrei una lapide.

Basta, vado via e arrivederci al cinquantesimo anniversario!... E scusate se vi ho seccato! Non sono un oratore e non ho mai avuto la pretesa di strappar degli applausi. Anzi, se ci fosse qualche amico che per cortesia volesse battere le mani, non lo faccia perchè mi vergogno. O almeno lo faccia quando sono andato via.

Arrivederci!