Edipo a Colono (Sofocle - Romagnoli)/Quarto episodio

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Quarto episodio

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Sofocle - Edipo a Colono (401 a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1926)
Quarto episodio
Terzo stasimo Quarto stasimo
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Si avanza Polinice.
antigone
Lo straniero, a quanto sembra, è questi,
che a noi giunge soletto; e mentre avanza,
pianto versa dagli occhi, e non a stille.
edipo
Chi è costui?
antigone
 Colui che pensavamo
1335per congettura: Polinice è questi.
polinice
si rivolge alle sorelle.
Ahimè!, che devo fare? I miei malanni
piangerò prima, o giovinette, o quelli,
che scorgo adesso, del mio vecchio padre,
che qui con voi trovo gittato, e indossa
1340questa veste, la cui lordura antica

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squallida, è casigliana al corpo affranto,
e gli macera il fianco; e sopra il capo
orbo di luci, s’agita la chioma
che non conosce pettine; ed affini
1345a tai miserie, gli alimenti, certo,
del suo misero corpo; e troppo tardi,
tristo fra i tristi, io me n’accorgo. Il pessimo,
poi che a te non provvidi, io son degli uomini;
non dimandarlo ad altri: io lo confesso.
1350Eppur, di Giove presso al trono, siede
per ogni errore la clemenza: segga
anche vicina a te. Purgar si possono
i falli miei; ma non potranno crescere.
Edipo rimane muto, e distoglie il viso.
Taci? Perché?
1355Padre, un accento sol: da me non torcere
il viso tuo. Nulla rispondi? Muto
mi lascerai partire, e senza onore,
senza dirmi il perché dell’ira tua?
O di quest’uomo germi, o mie sorelle,
1360tentate voi, di schiudere del padre
le taciturne labbra inaccessibili,
ché senza onore me, d’un Nume supplice,
ei non rimandi, e senza una parola.
antigone
Tu stesso di’ per che ragione, o misero,
1365qui sei venuto; ché i discorsi lunghi,
sia che allegrino, offendano, o commuovano,
anche chi tace a favellare inducono.

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polinice
Te lo dirò: ché tu ben m’ammonisci.
E prima, il Nume invoco: a lui dinanzi
1370m’ero prostrato, e il re di questa terra
sorger mi fece e qui venire, lecito
mi fe’ parlare, udir, salvo partirmi.
Da voi tale certezza, ospiti, invoco,
per me, dal padre, dalle mie sorelle.
1375E perché venni, o padre, or ti dirò.
Bandito dalla patria, esule vado.
Ch’io, primo nato, reputai diritto
mio sedere sul tuo trono sovrano;
e quei che dopo me nasceva, Etèocle,
1380mi scacciò dalla patria; e non perché
con argomenti mi vincesse, o a prova
d’atti o di man; ma la città corruppe.
Causa prima ne fu, penso, la tua
maledizione; ed anche da profeti
1385cosí detto mi fu. Poi, dunque, ad Argo
dorica venni, Adrasto ebbi per suocero,
e congiurati a me qui feci quanti
primi son detti, e maggior fama godono
d’armi, nell’apio suol1, perché, raccolta
1390la settemplice schiera, insiem con essi
contro Tebe movessi, e qui cadessi
pel mio diritto, o i rei di quel sopruso
dalla terra scacciassi. Ora, a che giungo?
Giungo per me, per gli alleati miei,
1395che con sette ordinanze e sette lancie
di Tebe il piano tutto quanto or cingono.
Tali il possente Anfïarào, che sommo
è nella lancia, e negli augúri è sommo.
Viene secondo l’ètolo Tidèo,

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1400figlio d’Enèo. L’argivo Etèoclo terzo,
Ippomedonte quarto: l’inviò
Talào suo padre. Il quinto è Capanèo:
Tebe si vanta che al fuoco darà,
che la sterminerà. Sesto si lancia
1405Partenopèo d’Arcadia. Ebbe tal nome
perché lo generò dopo la lunga
prisca verginità sua madre: è fido
d’Atalanta rampollo. Ed io, che sono
tuo figlio e non tuo figlio — ché me certo
1410la Mala Sorte generò, ma pure
detto son tuo — le schiere d’Argo intrepide
contro Tebe conduco. Or, tutti noi,
per le tue figlie ti preghiamo, o padre,
per la tua vita t’invochiam, ché l’ira
1415tua grave plachi tu verso quest’uomo
che del fratello a vendicarsi muove
che dalla patria mi scacciò, m’escluse.
Poiché, se fede alcuna è negli oracoli,
chi te compagno avrà, vittoria avrà.
1420Per le fonti or ti prego, e per i Numi
di nostra gente, che m’ascolti, e ceda:
ché sono esule anch’io, mendico sono,
ed esule sei tu: blandendo altrui
trovammo entrambi un tetto: ugual destino
1425avemmo in sorte; e nella casa nostra,
misero me, quegli è padrone, entrambi
c’irride, e superbisce. Or, tutto ciò,
se tu secondi il mio disegno, in breve,
e con piccolo sforzo io sperderò,
1430e nella casa tua ti condurrò,
t’insedierò, me stesso insedierò,
a forza l’altro scaccerò. M’è lecito

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questo vanto, se a me tu sei concorde;
ma senza te, neppur salvarmi io posso.
corifeo
1435Riguardo avendo all’uom che l’inviò,
ciò che devi rispondi, e poi rimandalo.
edipo
ai coreuti.
Se qui mandato non lo avesse, amici,
Tesèo signor di questa terra, degno
d’udir le mie parole reputandolo,
1440la voce mia pur non udiva. Adesso
egli avrà questo onore, e partirà
quando parole udite avrà da me
che la sua vita non faranno lieta.
A Polinice.
Ché quando tu lo scettro avevi e il trono
1445che adesso il tuo fratello in Tebe usurpa,
scacciasti il padre tuo, tristo fra i tristi,
mi dannasti all’esilio, e a questi cenci
che miri e lagrimi or, che in un travaglio
di mali pari al mio tu pur sei giunto.
1450Né piangere io li vo’, bensí patirli
sin ch’io tragga la vita, ricordandomi,
assassino, di te: ché a quest’angoscia
tu m’hai ridotto, tu sospinto m’hai,
e vagabondo, tua mercè, dagli altri
1455la vita mia giorno per giorno mèndico.
E se queste mie figlie, ch’or mi nutrono,
io generate non avessi, vivo

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piú non sarei, per tuo riguardo: queste
nutrici mie, non già donne, ma uomini,
1460quanto al patir con me. Ma voi, d’un altro
siete figli, non miei. Per questo, il Dèmone
tiene gli occhi su te - non tanto, ancora,
come fra poco, se le vostre schiere
assaliranno la città di Tebe.
1465Ma non sarà che tu la rocca abbatta,
anzi, prima cadrai brutto di sangue,
e tuo fratello anch’esso. Un tempo già
queste Imprecazïoni io contro voi
chiamai, come or le chiamo, ché combattano
1470con me, sí che apprendiate a rispettare
chi vi die’ vita, e non crediate piccola
colpa, d’un padre cieco esser tai figli.
Bene altrimenti opraron queste. E dunque,
il tuo supplice seggio, il trono tuo
1475occuperanno le Imprecazïoni2,
se pur Giustizia accanto a Giove siede,
grazie alle antiche leggi. Alla malora
vattene, e senza padre: io su te sputo,
tristissimo fra i tristi: abbiti queste
1480maledizioni ch’io ti scaglio, che
né tu la terra di tua gente prendere
possa con l’armi, né tornare ad Argo,
ma di fraterna man morire, e uccidere
chi ti scacciò. Cosí t’impreco. E invoco
1485dal Tartaro il paterno, orrido Buio,
ch’altra stanza ti dia: queste Demonie3
invoco, invoco Marte, che gittò
fra voi l’odio tremendo. — Ora che udisti,
vattene; ed ai Cadmèi tutti l’annuncio
1490reca, ed a tutti i tuoi fidi alleati,
che ai figli Edipo tai doni comparte.

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corifeo
Compiacer non mi posso, o Polinice,
del tuo viaggio. Ora, al più presto, parti.
polinice
Ahimè, tristo viaggio, ahimè, sciagura,
1495ahimè, compagni d’arme! A quale, dunque,
termine di viaggio Argo lasciai,
tale che a niuno riferirlo posso
degli alleati miei, né ricondurli,
ma tacito affrontar questa mia sorte.
1500O di quest’uomo consanguinee figlie,
almeno voi, che di tal padre udiste
le imprecazioni dure, ah, ve ne supplico
pei Numi!, almeno voi, se mai si compia
quanto il padre imprecava, e voi ritorno
1505alla casa facciate, oh!, non lasciatemi
privo d’onore, datemi sepolcro,
celebrate l’esequie; e quella lode
che da quest’uomo per le vostre cure
avete, un’altra non minor, per quelle
1510che presterete a me, vi frutterà.
antigone
Un mio consiglio, o Polinice, ascolta.
polinice
E quale? Parla, o mia diletta Antigone.

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antigone
Ad Argo, quanto prima puoi, l’esercito
volgi: non funestar te stesso e Tebe.
polinice
1515Possibile non è. Quand’or fuggissi,
come potrei di nuovo ricondurvelo?
antigone
A che nuove ire, o fratei mio? Se tu
la patria struggi, qual vantaggio avrai?
polinice
Turpe è fuggire, e ch’io, d’anni maggiore,
1520cosí dal fratei mio rimanga irriso.
antigone
Vedi? Del padre i vaticini affretti,
che ad entrambi imprecò morte reciproca.
polinice
E la brama; però non posso cedere.
antigone
Me tapina! E chi dunque, udendo quanto
1525costui predisse, avrà cuor di seguirti?

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polinice
Non ridirò simili inezie: il meglio,
non il peggio, annunciar deve il buon duce.
antigone
Cosí, fratello mio, dunque hai deciso?
polinice
Né trattenermi, tu. Tornare io debbo,
1530sebben per via tristezza e malo augurio
compagni avrò, mercè di questo padre
e dell’Erinni sue. Conceda Giove
a voi fortuna, se gli estremi uffici
mi renderete: ché a me vivo renderne
1535piú non potrete. Orsú, ch’io vado. E addio:
ché me tra i vivi non vedrete piú.
antigone
O derelitta me!
polinice
 No, non mi piangere.
antigone
Chi potrebbe non piangere, vedendoti
correr, fratello, a manifesta morte?

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polinice
1540Se d’uopo è, morirò.
antigone
 No dammi ascolto.
polinice
Non in ciò ch’io non debbo.
antigone
 Oh me tapina.
se di te sarò priva!
polinice
 È in mano al dèmone,
se da un lato o da un altro abbiano a volgere
gli eventi; ma per voi supplico i Numi
1545che mai d’affanni non abbiate incontri.
Non meritate affanni: ognuno il sa.
Polinice parte.

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coro
Strofe
Nuove fatali sciagure orribili,
novellamente, per causa accadono del cieco vecchio,
se dal Destino pur non provengono:
1550perché decreto non so che vano resti dei Superi.
Vigila, vigila su loro il tempo, che gli uni stermina,
oggi, e domani suscita gli altri con forze nuove.
Si ode un alto scoppio di tuono.
Romba l’ètere, o Giove!
edipo
O figlie, o figlie, se qui presso è alcuno,
1555potrebbe a noi chiamar l’ottimo Tèseo?
antigone
Per qual disegno tu lo chiami, o padre?
edipo
Questa di Giove alata romba, all’Ade
presto mi condurrà. Su’ su’, mandate!

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coro
Antistrofe
Ascolta! Fiero, fiero precipita
1560questo indicibile fragor, dal cielo scagliato. Al vertice
delle mie chiome terror s’insinua.
Nuovo tuono.
Sgomenta ho l’anima, ché in cielo ancora brucia
 la folgore!
Il fine quale sarà? M’invade terrore: ch’irrita
e senza nostra sciagura, l’ètere non mai sommuove.
1565O immenso Etere, o Giove!
edipo
O figlie, è giunto per quest’uomo il termine
della vita, fatale, inevitabile.
antigone
Come lo sai? Donde argomenti, o padre?
edipo
Certo lo so. Via, quanto prima, vada
1570qualcuno, e il re di questa terra adduca.
Nuovo scoppio di tuono.
coro
Strofe
Ahi, ahi! La romba ci avvolge ancora che tutto
 pènetra!

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Benigno, o Nume, benigno mostrati,
se foschi eventi rechi alla patria!
Propizio io t’abbia, né, perché vidi l’uomo esecrabile
1575m’abbia di mali mercede! Giove sire, ti supplico!
edipo
Dunque, vicino è il re? Mi troverà
vivo, o figliuole, e sano ancor di mente?
antigone
Quale segreto a lui devi affidare?
edipo
Vo’ dar dei benefici a lui la piena
1580grazia, che quando lo pregai promisi.
coro
rivolgendosi ad invocare Teseo.
Antistrofe
O figlio, o figlio, qui, della valle se pure al margine
offri a Posidone Nume del pelago
su l’ara un bove, presso noi lànciati.
Pel ben ch’egli ebbe, la città brama, te brama l’ospite
1585gratificare, gli amici. Lànciati, signore, affréttati.

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Giunge Teseo.
teseo
Perché mai suona questo grido unanime,
che vostro è certo, e certo anche dell’ospite?
Forse dal cielo irruppe qualche fulmine,
qualche scroscio di grandine? Se suscita
1590tanta bufera il Dio, tutto è possibile.
edipo
A chi ti brama appari, o re: la prospera
sorte di questa via ti diede un Nume.
teseo
Che nuovo evento c’è, figlio di Laio?
edipo
Trabocca il viver mio; né vo, morendo,
1595frodar di mia promessa Atene e te.

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teseo
Per eguale indizio alla tua fine credi?
edipo
Gli stessi Numi, araldi che non mentono
di nulla, in ciò ch’è scritto, a me l’annunciano.
teseo
E come dici, o vecchio, che ciò svelano?
edipo
1600I continui tuoni, e i fitti dardi
che dall’invitta mano folgoreggiano.
teseo
Ti credo: vaticini, assai t’ho visto
far, né mendaci. Di’ che far conviene.
edipo
Ti svelerò, figlio d’Egèo, tal bene,
1605che per questa città mai non invecchi.
Súbito il luogo io mostrerò, né guida
vo’ che mi tocchi, ove io debbo morire.
Ma tu, non dire a niuno mai degli uomini
dove si trova, in che contrada è ascoso:
1610ché schermo a te sarà contro i nemici
piú d’assai scudi e di lance alleate.
Ciò che, poi, mentovare anche è sacrilego,
quando li sarai giunto, udrai tu solo:

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ché a niun di questi cittadini io dirlo
1615potrei, non alle figlie, e tanto l’amo.
E sempre tu serba il segreto, e svelalo,
quando giunga il tuo fine, al primogenito,
e questi al successor, sempre. Cosí
questa città, senza timor degli uomini
1620seminati da Cadmo abiterai:
ché il piú delle città, quando anche saggio
il reggitor ne sia, rompono spesso
a tracotanza. Ma gli Dei, pur tardo,
bene veggon però, chi le divine
1625leggi disprezza, ed a follia s’appiglia.
Tu questo non farai, figlio d’Egeo.
Ma io precetti insegno a chi li sa.
Ma del Nume il segnale ora m’incalza:
si vada al luogo, non s’indugi piú.
1630Qui seguitemi, o figlie: io vostra nuova
guida sarò, come voi foste al padre.
Venite. Non toccatemi. Lasciate
ch’io da me trovi la mia tomba sacra,
dov’è destin che me la terra asconda.
1635Qui, movete per qui: ché qui mi guidano
il nume Ermète e la Regina inferna.
O luce, che per me piú non brillavi,
eppure, mia potei sinora dirti,
or per l’ultima volta il corpo mio
1640ti sfiora; ch’io di mia vita l’estremo
repo, a nasconder sotto l'Ade. E tu,
degli ospiti il piú caro, e questa terra
e i tuoi ministri, siate ognor felici;
ed il pensiero, poi ch’io sarò spento,
1645nella vostra ventura a me volgete.
Parte con Teseo.

  1. [p. 338 modifica]Pag. 208, v. 1388. - L’apio suol è il Peloponneso.
  2. [p. 338 modifica]Pag. 211, v. 1467. - Le Imprecazioni o Arai sono spesso identificate con le Erinni.
  3. [p. 338 modifica]Pag. 211, v. 1485. - Queste Demonie sono le Eumenidi.