Epistole (Caterina da Siena)/Lettera 65

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Lettera 64 Lettera 66

[p. 148 modifica]ALL’ABBATE DI S. ANTIMO (*).

t ’ «i I. Desidera vederlo illuminato con perfetto lume, col quale conosciamo la volontà di Dio nelle creature, e da esse venirci ogni travaglio e persecuzione.

II. Cbe non si deve giudicare iu nessun conto, nè mormorare dei servi di Dio, ma communicare con essi; poiché ciascheduno ha bisogno dell’altro, attesa la diversità dei doni che è fra di loro. , III. Dell’ amor proprio che ci priva del lume e degli effetti di detto lume.

IV* L’avvisa della sua venuta quando sia per seguire, e l’esorta a non lasciarsi cadere in pene e cogitazioni di mente.

Al nome di Jesù Cristo crocifisso e di Maria dolce.

I. ilarissimo padre in Cristo dolce Jesù. Io Catarina serva e schiava de’servi di Jesù Cristo, scrivo a voi nel prezioso sangue suo, con desiderio di vedervi con vero e dolcissimo lume, il quale lume è necessario ali* anima, cioè d’aprire l’occhio dell’intelletto a vedere, e raguardare, e giudicare la somma ed eterna volontà di Dio in voi. Questo è quello dolce vedere, che fa l’uomo prudente e non ignorante, fallo cauto, e non leggiermente giudicare la volontà dogli uomini, come spesse volte fanno i servi di Dio con colore di virtù e con zelo d’amore: esso lume fa l’uomo virtuoso e non timoroso, e con debita riverenzia giudica la volontà di Dio in sè; cioè che quello che Dio per[p. 149 modifica]’49 inette, o persecuzione, o consolazione, o dagli uomini, o dal dimoino, tutto vede che è fatto per nostra santificazione, e godesi della smisurata canta di Dio, sperando nella providenzia sua, che provede in ogni nostra necessità: ogni cosa dà con misura, e se cresce la misura cresce la forza. Questo vede l’anima, e cognosce quando, alluminato ì occhio dell’intelletto suo, ha coguosciuta la volontà di Dio, e però n’è fatto amatore.

II. Dico che questo lume non giudica la volontà dei servi di Dio, nè di veruna altra creatura, ma giudica ed ha in reverenzia, che lo Spirito Santo gli gnidi; e però non piglia ardire di murmurazione, che essi siano giudicati dagli uomini, ma solo da Dio. Benché potremmo dire: è veruno servo di Dio che sia tanto alluminato, che un altro non possa vedere più di lui ?

ISo: anco è di necessità per manifestare la magnificenzia di Dio, e per usare l’ordine della carità, che 1’ uno servo di Dio con l’altro usino, e participino insieme il lume e le grazie, ed i doni che ricevono da Dio:

perchè si vegga che il lume e la magnificenzia della propria dolce verità si manifesti infinita, come ella è, e non finita, e perchè noi ci umiliamo a cognoscere il lume e la grazia di Dio ne1 servi di Dio, li quali egli pone come fonti; e chi tiene un’ acqua e chi ne tiene un altra, i quali sono posti in questa vita per dare vita ad essi medesimi, e per consolazione e refrigerio degli altri servi di Dio, che hanno sete di bere queste acque, cioè di molti doni e grazie che Dio pone ni’ servi suoi, e cosi sovviene alla nostra necessità. Sicché egli è vero che non è veruno che sia tanto alluminato, che spesse volte non abbi bisogno del lume d’altrui; ma colui che è alluminato di questa dolce volontà di Dio, dà lume con lume di fede, non giudicando con murmurazione e scandalo di colui clic egli vuole consigliare, ma per sì fatto modo che sta e rimane senza pena; unde se egli si attiene al consiglio suo, godene, e se egli non vi s’atliene, giù-

[p. 150 modifica]1 00 dica dolcemente che non è senza misterio, e senza necessità, e con providenzia e volontà di Dio; e però rimane in pace ed in quiete, e senza pena, perocché è vestito di questa volontà, e non si affanna di parole, participando con altrui i suoi pareri, anco s’ingegna d’ annegarli e- di mortificarli nel parere dolce di Dio, offerendoli ogni dubbio e timore che egli n’avesse; liberamente offera sè ed il dubbio che ha del prossimo suo dinanzi a Dio. Or con questa dolce prudenzia vanno e stanno coloro che sono alluminali di questo vero lume; unde in questa vita gustano vita eterna..

III. Il contrario è di coloro che sono ignoranti. Poniamo cbe servino a Dio, i quali pur s’hanno serbalo ancora de’ loro giudicai e de’ loro pareri colorati di virtù e di zelo d’amore; e per questo cadiamo spesse volte in grandi difetti, ed in molti scandali e inurraurazioni; e però c’è bisogno il lume vero e schietto.

Ma. non so che si possa bene avere, se non si perde la nuvola e la tenebre di noi, che il nostro parere non sia fermo, ma dia a terra. O lume glorioso: o anima annegata, perduta sei nel lume, perocché 11011 vedi te per te, ma vedi solamente il lume in te, ed in quello lume vedi e giudichi il prossimo tuo: così ved ed ami, ed hai in reverenzia il prossimo tuo nei lume, e non nel tuo parere, nè nel falso giudicio dato per zelo d’amore. Bene è d’aprire dunque e speculare con 1’ occhio dell’intelletto nostro, con la perduta ed annegata volontà, e così col lume dell’amore vero e reverenzia della volontà di Dio, e di quella de’suoi servi acquislaremo.il lume, e giugnaremo alla perfetta e vera purità, e non saremo scandalizzati ne’servi di Dio; perocché non ne saremo fatti giudici, ma saremo consolati in loro, e dello stare e dell’andare, e d’ogm loio operazione ‘ oderemo, avendo giudicalo e veduto la volontà di Dio in loro. Orsù dunque, carissimo padre e figliuolo, poniamei al petto della divina carità, e ine gustiamo questo dolce e soave latte, il quale ci farà venire alla perfezione de’santi, e seguitare le [p. 151 modifica]r* IDI vestigio e la regola dell’AgnelIo: perderemo il timore e mettarenci fra le spine e fra triboli, e non schifaremo labore, ma dorrenci dell’offesa de’murmuratori, e dello scandalo degli uomini, e poi tarengli con grande compassione dinanzi a Dio, e noi seguitarerao 1’operazioni sante, cominciate per onore di Dio, é salute dell’anime, e finiremo nella sua dolce volontà. Sopra questa materia io non dico più, se non che noi ci anneghiamo nel sangue di Cristo crocifisso, senza veruno timore vi dico, sapendo che se Dio è per uoi, neuno sarà che sia contra noi.

IV. La mia venuta non so quando ella potrà es* sere: non posso sapere quanto io mi starò. Spacciarommi il più tosto che si potrà, sempre compiendo in me nell andare e nello stare la dolce volontà di Dio e non quella degli uomini. Fovvi sapere a voi ed agli altri (B), che tante pene e cogitazioni vi lassate cadere nel cuore, che io non sto, nò mi vo affaticando con le molte infirmitadi a diletto, se non quando io son costretta da Dio per lo suo onore e per salute dell’ anime. Unde se del bene i cuori infermi ne vogliono pigliare male, io non ne posso fare altro: non debbo però io vóllermi indietro, e lassare stare 1’ aratro; perocché così parrebbe che noi arassimo a petizione degli uomini, unde verrebbe la zizzania ed affogarebbe il grano. Altro non vi dico. Permanete nella santa e dolce dilezione di Dio. Jesù dolce, Jesù amore.

i [p. 152 modifica]Annotazioni alla Lettera 6*5.

’. 4Mb * ì f,., _ (A) 1!-titolo, cbe era gin a questa lettera end altre otto cbe le veniano appresso, leggeasi- di questo tenore: Epistole mandate per la detta vergine a diversi monaci greci delTOrdine di s. Leonardo e delTOrdine di Valle Ombrosa. Tal era nel testo di Aldo, e in quello del Farri; laddove quello a penna cbe conservasi nel con vento di s. Domenico di Siena pone Grigi in luogo di Greci. Or non essendovi in quelle parli di Toscana monaci greci, ovvero per nascita, ovvero per professione d’ istituto, abbiamo preferita la menda io Grigi facendosi distinzione di questi religiosi dall’abito, onde le lettere altre sono a monaci neri, altre a bianchi,

questi a grigi, cioè a Gnglielmini e Vallombrosani, il vestito de’ quali era a que’ tempi di grigio che è colore tra bianco e nero, e tiene del ceneragnuolo.


Altra menda è del nome delTOrdine, dovendosi leggere di s. Guglielmo, in luogo di s. Leonardo, non essendo mai esistito nella Chiesa nn Ordine di questo titolo. Trovavasi per verità a quattro miglia da’ Siena verso ponente un convento detto di s. Leonardo, ma esso fino dal 1201 era stato concesso agli eremitani di s. Agostino, e nel 12Ti i incorporato con altro della stessa regola, la qual unione trovasi confermata da Innocenzo IV. E dunque da credere che gli editori precedenti prendessero abbaglio’, stimando che s. Leonardo fosse titolo di un qualche Ordine, e non di un semplice convento, siccome è. Poiché nel catalogo de’monisteri de’ religiosi di s. Guglielmo, che furon confermati nel concilio di Basilea, nel XV secolo trovasi accennato un inonistero d? s. Leonardo della provincia dj Toscana detto: De Aquaedettle sta Mancipalus: ma ove si fosse non è potuto giungere a mia notizia, quantunque v’abbia impiegata alcuna diligenza.

La Badia di s, Antimo, fondata da Carlo Alagno in onore dei santi martiri Sebastiano ed Antimo, fu detta comunemente di s. Antimo a cagione delle sacre spoglie di lui, che ivi si conservano, di Roma recatevi da quel religioso monarca. Se crediamo a Giovanni Villani, Carlo Magno fondò altrettante Badie quante ha lettere 1’alfibeto, dotandole tutte riccamente. Della scelta di questo luogo si è voluto rinvenire la ragione in un* apparizione eh’ ebbe quell’ imperatore d’ un angelo a rivelargli un’ erba di mirabile efficacia contro la peste ond’ era infestalo l’esercito di lui. (Aedi Commcntarj di Pio II, ove favella della montagna che si alza a poca distanza da questo monistcro ). Checché siasi di ciò vedeasi questa badia nel contado di Cbiucivdominio sanese, a quattro miglia da MonlaIcino e 22 da Siena. È inutile il ricordare come quel monarca le avesse sottoposte assai terre e castella, sicché essa stendea i suoi dotuin) non pur ucl Saucse, ma aucora uclTAretiuo, nel [p. 153 modifica]i 53 Fiorentino, nel Pisano, nel Pistojese e nello Stato della Chiesa, come può vedersi presso l’Ughelli. Appartenne dappr’oia a’ Benedettini, e l’abbate, che dipendea dal solo pontefice, esercitava giurisdizione pressoché vescovile, tenendo tribunale a ftlon falcino, e pigl’ind

parte alle leghe e guerre, e paci nella Toscana. Ma il di lei splendore e don.nu temporale venne scemando dopo il XIII secolo, e nel i3o2 fu data a’monaci della congregazione di s. Guglielmo chiari a que’di per regolare disciplina, e ricchi più di virtù che di beni temporali, a’quali spettata pure a’tempi della santa.


Il fondatore di questa regola fu s. Guglielmo, detto di Maleval, come prova a lungo il Bollando (V. Act. Sant. Febbr, die io, p.

486) nato in Francia e morto uel 1157 al luogo detto Stabi^ di Rodi in Toscana. QuestOrdine si diffuse rapidamente per 1* Ungheria, per la Germania, per la Francia

Fiandra, ed era di sì rigida osservanza, che Gregorio IX stimi doverla alquanto temperare.


Avanl la metà del decimoqninto secolo era diviso in 3 provincie di Toscana, cioè Francia e Germania, come mostra nel catalogo degli antichi monasteri a’qnali furouo raffermati a’privilegi nel concilio di Basilea. Mi nel 1462 quella Badia ridottasi a solì due monaci, fu disfatta da Pio li, che De assegnò le entrate al vescovato di 31ontalcino poc’anzi da lai fondato; onde poi quii prelati portano il titolo di Abbati di s. Antimo,

serbano diverse ginrisdiii mi sopra qae* luoghi.


L* abbate a cui ser ve 1j santa era Fra Giovanni di Gano da Orvieto, nomo di santissimi costumi, discepolo a lei devotissimo.

Di lui parla pure il beato Raimondo nella leggenda della santa.

(Z?) Fovvi sapere a voi ed agli altri. iMle memorazioni che faceansi intorno al girare della santa da un luogo ad un altro, ed al tuo lungo indugiare tu alcuno, altrore ai favellerà.