Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. IV/Libro III/I

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Libro III - Cap. I

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Libro III Libro III - II
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CAPITOLO PRIMO.

Della Nobiltà, Imperio, Civiltà, Pulitezza,

e Cerimonie de’ Cinesi.


S
E la parola di nobiltà vorrà applicarsi allo Stato, e prendersi in generale, in quanto dinota una grandezza, e splendore, continuato per più secoli; egli è certo, che non vi è stato nel Mondo Imperio più illustre di quello della Cina; poichè egli cominciò duecento anni appresso il diluvio, et ha durato sino al di d’oggi, per lo spazio di circa quattromila cinquecento cinquantanove anni. Ma se intendiamo solamente di parlare della nobiltà degli uomini, bisogna confessare, che ve ne sia ben poca, per la ragion seguente. Tutti i gran Signori di Cina (che sono come altrettanti piccioli Duchi, Marchesi, e Conti) solamente durano in tale stato, mentre dura la famiglia Regnante, e periscono tutti con lei; perche la famiglia, che si eleva in luogo della cadente, gli fa tutti morire; come, colla sperienza, si è veduto a’ nostri

[p. 320 modifica]tempi. Per questo riguardo non v’è stata famiglia più nobile della Cheu, che durò ottocento settacinque anni, e finì sono già due mila ducento anni; niun’altra essendo poi giunta a 300. anni.

Ciò s’intende della nobiltà, che si acquista coll’armi; perche quella, che si ottiene per le cariche di lettere, non ha avuto giammai alcuna durazione considerabile. Imperocchè benche giunga un’uomo ad esser Xâm xu, ch’è la prima dignità de’ supremi Tribunali della Corte; o Côlaò, cioè primo Ministro, ch’è il più alto grado d’onore, e di ricchezza, dove la fortuna possa elevare un Cinese: contuttociò i figli, e nipoti saranno poverissimi, ed obbligati di fare il mestiere di mercante, di rigattiere, e di semplice letterato, come suo bisavolo. In fatti non vi è alcuna famiglia di genti di Toga, che si sia conservata così lungo tempo, con splendore, quanto le case regnanti.

Tutta volta quello, ch’è una disgrazia ordinaria delle persone di lettere, è un’effetto della crudeltà de’ loro nemici tra’ discendenti da uomini d’arme; le famiglie de’ quali, senza ciò avriano continuato ad esser grandi, e nobili, così lungo tempo, che l’Imperio medesimo. In [p. 321 modifica]fatti fiorisce ancora una famiglia, che non solamente ha conservato il suo splendore per più di ventidue secoli, ma di presente è ugualmente onorata da’ Grandi, e dal popolo; di maniera tale, che può dirsi con ragione, ch’ella è la più antica dell’Universo. Ella si è la famiglia del famoso Confusio, o Confucio, che nacque sotto la terza famiglia Imperiale, chiamata Cheu, cinquecento cinquantun’anno prima della Natività di Cristo; che fanno sino al presente anno 1699. due mila ducento cinquanta anni. Gli antichi Re diedero a’ discendenti di Confusio il titolo di Que cûm, ch’è come quello di Duca, o di Conte; ed essi si conservano, come sovrani, esenti da’ tributi, dentro la Provincia di Xân tûm, e nella Città di Kio feú, dove egli nacque; senza esser giammai stati inquietati, benche l’Imperio, e le case dominanti fussero state più volte abbattute. I Cinesi danno a questo Filosofo nomi, e titoli onorevolissimi, di Cum su, Cum fuçu, e Xim gin: i due primi significano Dottore, o Maestro; e’l terzo uomo Santo: onde quando si dice il Santo, per eccellenza s’intende Confusio; essendo stimato fra’ Cinesi uomo d’una prudenza [p. 322 modifica]straordinaria, ed eroica. Questa nazione fa tanta, e sì gran stima di questo Filosofo, che benche ella non lo tenga per uno de’ suoi Dij, (anzi prenda ad ingiuria, che sia riputato tale) l’onora nondimeno con assai più cerimonie, che gli stessi Idoli, o Pagodi: dandogli dopo morte titoli, ch’egli giammai non potè ottenere in vita; come Sû vâm, cioè Re senza comando, senza scettro, e senza corona; e pietra preziosa senza alcun lume: volendo con ciò significare, ch’egli avea tutte le qualità necessarie per esser Re, e Imperadore, ma che il Cielo gli fu contrario.

Potrebbonsi fare molti volumi delle cortesie, e cerimonie de’ Cinesi. Hanno essi un libro, che n’esplica più di tre mila; ed è ciò una gran maraviglia, di vedere, quanto appuntino le osservino. Nelle nozze, esequie, visite, e banchetti, il padrone della casa, benche fusse gran Signore, e di maggior dignità di qualunque de’ convitati; dà nonpertanto il primo luogo a’ più vecchi; questi lo cedono a quelli, che vengono da lontano, e tutti a gli stranieri. Quando un’Ambasciadore arriva, dal giorno dopo accettata la sua ambasceria, sino ch’esce dalla [p. 323 modifica]Cina, l’Imperadore lo provvede di tutto il bisognevole; eziandio di cavalli, di lettiche, e di barche. Nella Corte lo fa alloggiare nell’osteria Reale, dove ogni due giorni gli manda della sua cucina, un banchetto apprestato; perche egli si vanta sopra tutto di ricevere, e trattar bene gli stranieri.

Non vi è alcuna nazione, che uguagli la Cinese nella moltitudine, e diversità di titoli, e nomi onorevoli, che si danno ne’ lor complimenti. Hanno anche un gran numero di nomi, per distinguere i diversi gradi di parentela. Per ragion di esemplo, noi non abbiamo, che il nome di Avo, e di Ava, per dinotare così la paterna linea, come la materna; ma essi ne han quattro tutti differenti. Così noi non abbiamo, che il nome di Zio, per significare così i fratelli del Padre, come della madre, e i Cinesi hanno nomi per distinguerne tutti i generi. Superano anche tutte l’altre nazioni del Mondo nella cura di comparir bene; poiche non vi è povero, che non si vesta modestamente, e con pulitezza. I primi giorni poi dell’anno vanno tutti aggiustati, puliti, e con abiti nuovi; sicchè non v’ha un solo, per miserabile, che sia, che possa offender la vista. [p. 324 modifica]

Non è meno maravigliosa la modestia. I letterati sono sempre così composti, che credono, esser un peccato il far un minimo movimento, che non sia conforme alle regole del decoro, ed urbanità. Le donne osservano di tal sorte la verecondia, modestia, ed onestà, che pare, che queste virtù siano nate con loro. Elleno vivono in una perpetua ritiratezza; non si scuoprono giammai le mani: e se sono obbligate di dare alcuna cosa a’ loro fratelli, o a’ loro cognati; la prendono colla mano, coperta dalla lor manica (che perciò tengono ben lunga, ed ampia) e la pongono sopra la tavola, acciò quindi se la tolga il parente.

Tutti i Cinesi riducono la loro costumatezza, e conversazione civile a cinque capi: cioè a dire, il modo di trattare del Re col suddito; dei padre col figlio; del marito colla moglie; del fratello maggiore col minore; e d’un amico coll’altro. Queste regole contengono una buona parte della loro morale; e sono così prolisse, ch’è malagevole il determinare, se le cerimonie de’ Cinesi debbansi contare fra le virtù, o vizj; imperocchè da una parte, essi senza dubbio sono [p. 325 modifica]sommamente manierosi, e costumati; sicchè il lor paese merita il titolo, che gli danno, di Regno delle gentilezze: ma dall’altra bisogna dire, che le cerimonie sono come gli odori, de’ quali il moderato giova, e conforta, e’l troppo infastidisce, e nuoce. Essi costumano cerimonie tali, e tante, che ogni qualunque ordinaria azione ne vien profumata, più che un sacrificio ben solenne; ond’è, che il lor convenevole, per lo smoderato uso, diviene affatto sconvenevole.

Il semplice lor saluto, quando insieme s’avvengono, è sollevar le braccia innarcate, colle mani giunte, dal petto in verso la fronte; a chi più, e a chi meno, secondo la più, o meno riverenza, che convien fare; e ciò facendo, ripetono più volte la voce Zin. Se l’incontrato è persona di merito, si comincierà ben venti passi lontano questo sollevare, e ripor di braccia; dopo di che siegue un’altro maggior’atto di riverenza, che chiamano Zoje; ed’è, d’inchinar profondamente la persona, tenendosi su i piè pari: e nel medesimo tempo, abballar le mani giunte, come prima, entro le maniche, accostando, quanto più far si puote, la fronte al suolo. Nè ciò fanno uno in [p. 326 modifica]faccia dell’altro, ma amendue per fianco, e rivolti verso Settentrione, se stanno in istrada, o allo scoverto; e se in casa, verso la fronte della sala; imperciocchè sogliono fabbricarsi in modo, che la porta riesca a Mezzodì. Credo, che facciano così, per la modestia, che affettano; e acciò non paja, che l’uno riceva quella mezza adorazione dall’altro; quasi debbano farla per civiltà, ma non accettarla, come indegni: ma qualunque ne sia la cagione, il fatto va pur così. Se poi si scontrano letterati, che hanno qualche carica (e perciò vanno o a cavallo, o in ispalla a quattro, e talvolta a più uomini) il dameno smonta, e incomincia a fare, e ricevere le convenevoli riverenze. Giammai i Cinesi non si cavano il cappello; e’l presentarsi un’uomo a chi che sia col capo ignudo, vien riputata cosa disdicevole: e perciò a gran ragione i Sommi Pontefici, per aderire in parte al loro costume, han dispensato a’ nostri Sacerdoti, di celebrar nella Cina il Divin Sacrificio, e amministrare i Sacramenti, col capo convenevolmente coperto.

Quanto alle visite fra’ nobili, non se ne fa alcuna, senza mandarsi un foglio di carta rossa, lungo un palmo, e mezzo; [p. 327 modifica]nel quale si scrive cortesemente, che si và a far la visita (altrimente non sarebbe alcuno ammesso), senza tralasciar punto le solite cerimonie, così nella soscrizione, come nel principio, secondo la condizione, e qualità della persona, che dee esser visitata. Questo foglio lo porrà prima un servidore; e se il richiesto non è, o non vuol essere in casa, si lascia in mano d’un qualche suo fante; e con ciò resta il debito della visita interamente pagato.

Alle volte vi sono di quelli, che non vogliono esservi, per usanza propria; e costoro appendono alle porte una tavoletta, scrittovi sopra; il padrone essersi ritirato nella casa di studio, o di ricreazione: e val tanto, che dire; non vuol’essere annojato con visite. E questo costume, di affiggere alcuna scrittura o sopra, o intorno alla porta delle case, massimamente de’ letterati, è uno de’ lodevoli fra di loro, e sono dichiarazioni del personaggio, che ivi abita. Accettata poi, che si è la visita del forestiere, o dell’amico; il luogo, che se gli dà nelle Provincie Settentrionali, è a destra; nell’altre di Mezzodì, la sinistra: e il darla, il ricusarla, il riceverla, e subito renderla, è un [p. 328 modifica]rio, che non finisce così di brieve; sempre facendosi gl’inchini, detti di sopra. Ne v’è punto men che contendere nell’ordinar delle sedie, (perocchè i Cinesi in ciò imitano gli Europei, nel non sedere in terra, colle gambe incrocicchiate, come nella Persia, e gran parte d’Oriente) perocchè il forestiere al padrone, il padrone la mette al forestiere: e se già sono disposte, almeno le toccano; e si osserva, che la destinata al più degno, sia in ugual distanza lungi dalle pareti. Poi, avvegnache elleno sien pulitissime, si fa sembiante di ripulirle, e torne via ogni fior di polvere, che vi fusse, col lembo della gran manica; che si raccoglie in pugno, così destramente, che il tutto è mano per aria. Se i forestieri fusser cento, tutti l’un dopo l’altro, pigliano a fare il medesimo ripulimento, tanto gradito dal padrone; con atti però d’una cotal ritrosia, come se si confondesse, per quell’eccessivo onore. Incominciasi poi fra i ricevuti la contesa di chi ha da seder prima, e chi poi; cosa lunga, ed increscevole, anche solo a descriverla. Finalmente seduti, in meno d’un quarto d’ora compaiono i servidori, colle tazzette del Cià, o erba Te: e se il ragionare va in [p. 329 modifica]lungo, torna il Cià due, e tre volte. La terza dinota commiato; di modo che sarebbe stimato un barbaro, chi non si licenziasse dopo aver bevuto: e così questa, come qualunque altra cosa, che si porti, dee prendersi con amendue le mani; che l’avvalersi mai d’una sola, sarebbe atto incivile.

Or in quei pochi passi, che sono nel ricondurgli sino alla porta, sono tante le cerimonie, e i rinovati inchini, e le finzioni, fatte come la più sincera cosa del Mondo; che il ristorarsi prima col Cia, par che sia per bisogno, non per semplice gentilezza. Ma lo sforzo è nel volere il padrone indurre, con ragioni, e con prieghi, chi il visitò, a rimontar, lui veggente, a cavallo; e dell’altro, in protestarsi, che prima il Mondo andrà sossopra, che ciò per lui si faccia; e tanto vi dura, e suda d’intorno, che vince: perocchè il padrone alla fine, dopo replicati inchini (che tutti hanno le loro risposte) si nasconde dietro la porta, o sotto una grande ombrella; e allora il vittorioso monta a cavallo. Ma che? appena è in sella, che l’altro balza fuori; e dicegli in sua favella, Addio: Addio ripiglia l’altro, e più volte ciò ripetendosi, si partono [p. 330 modifica]alla buon’ora; nè di ciò paghi, indi a pochi passi, rimandansi l’un all’altro un servidore con un cortssissimo rendimento di grazie.

Il mandarsi presenti fra’ Cinesi è altrettanto in costume, che il visitarsi; e vi ha anche in ciò le sue leggi, stabilite dall’uso. Si manda scritto in un foglio, in istile di particolar gentilezza, tutto quello, che s’invia in dono: e può essere, e’l più delle volte accade, che sieno cose d’assai leggier valuta; ma ordinariamente molte insieme, e diverse. Bene spesso però, prima di mandarsi, si notano nel foglio; e colui, al quale si presenta, ne segna quattro, o più che vuol ricevere; che non avendole chi deve regalare, bisogna, che le compri. Ordinariamente debbono essere sei cose diverse; ed è lecito accettarle tutte, o niuna, o solo quelle, che piacciono: ma quanto si riceve, altrettanto fa di mestieri rendere, non in ispezie, ma in valsente; talch’è anzi un permutare, che un presentare. Evvi altresì costumanza di mandar danari, e tal volta il valsente d’un ducato Napoletano, accompagnato però da quattro eleganti parole in iscritto; perche in gentilezza eglino sono prodighi, nel rimanete parchissimi. [p. 331 modifica]

Quanto poi alle cerimonie de’ conviti, dal dì che si significa la prima volta (ciò che dee farsi alquanti giorni prima, e rinovarsi tre volte in iscritto, altrimente l’invito sarebbe nullo, e non mai accettato) sino al dì dopo fatto, in cui si mandano dall’uno all’altro scambievoli ringraziamenti: elleno son tante, ora diverse, ora le medesime replicate, che chi non ci è accostumato dalle fasce, s’eliggerebbe, per minor pena, morir di sete, che per mezzo di tanti tormenti, ubbriacarsi alla tavola d’un Cinese. Però essi l’hanno tutte per così necessarie, che una sola, che ne mancasse, non si terrebbono per Cinesi; ma barbari, e indegni di essere riveriti (quanto presumono) da tutte le nazioni del Mondo.

Dalla notte poi, destinata al convito, consumano quattro, e sei ore in discorsi, e sollazzi; toccandosi istrumenti, e rappresentandosi commedie. Ciò è tanto ordinario ne’ conviti, che vi ha Compagnie di Recitanti, le quali, eziandio non richieste, sapendo dove si cena solennemente, vengono da se stesse a far le loro rappresentazioni. Or se il convito non è fra poveri, quanti sono i convitati, tante sono le tavole, larghe un braccio, e [p. 332 modifica]lunghe uno e mezzo. I cibi vengono in piatti d’oro, d’argento, e di porcellana; tovaglie però non ne usano, ma deschi i lucidi, e mondissimi, tinti d’una vernice, mescolata con vaghi colori. Oltreacciò non si servono di tovagliolini, nè di coltelli, nè di forchette, nè di cucchiari; nè costumano di lavarsi le mani prima, o dopo mangiare; perciocchè amantissimi della pulitezza, mai cosa niuna, di quante lor se ne presentano a tavola, toccano colle mani, o dita, ma per recarsela in bocca, adoprano due bastoncelli (d’avorio, d’ebano, o d’altro legno prezioso) sottili, e lunghi presso a un palmo e più: l’uno fermo sul dito anulare della destra; e l’altro mobile, che si muove coll’Indice, e dito di mezzo; e vi mangiano sì destramente, che colgono sino a un granel di riso (al contrario de’ nostri Europei, che vi patiscon molto, prima che vi si avvezzino), e quanto a’ coltelli non ve ne ha di bisogno, perche tutto si porta trinciato in minutissimi bocconcelli. Vanno sempre insieme vivande di carne, e di pesce (per dilettare colla varietà) isquisitamente condite; e più tosto in numero molte, e in qualità diverse, che in quantità assai: onde anche le ciotole (che [p. 333 modifica]così pajono) in cui si recano le vivande, son picciole; non che quelle de’ manicaretti, che si framezzano, per istuzzicar l’appetito. Dopo prese quattro bricciole di quel tritume, che loro si mette avanti; dipongono i bastoncelli, e va in giro il bicchiere: perche il bere, non il mangiare è fra’ Cinesi la delizia de’ conviti. Per durar nondimeno bevendo alle volte sei, e più ore, sempre in buon senno, e in discorsi di sublime argomento; adoprano tazzette picciole quanto un guscio di noce: oltreche il sorbiscono tanto a poco a poco, che prima di votarne una, la si recano alle labbra quattro, e cinque volte; per lo costume, che hanno di non bere mai a un sol fiato, ma a sorso a sorso. Sia poi di Verno, o di State, bevono sempre caldissimo; e quindi credesi, che provenga, il non sapersi colà pure il nome di certe penosissime malattie, che tanto abbondano in Europa, e nascono da molti umori indigesti, e fiacchezza di stomaco: come altresì il godervisi una robusta sanità sino a’ 70. agli 80. ed anche a’ 100. anni; età, alla quale non pochi giungono. La lor bevanda si fa, ponendosi il riso macinato nell’acqua, la quale imbevuta di tal sostanza (come la birra, o [p. 334 modifica]cerevisia di Fiandra, si passa poscia per lambicco. Or avvegnache sì piccioli sieno i bicchieri, si bee così spesso (massimamente verso la fine) che di tanti pochi si fa un tal troppo, che sovente mette il celabro a mal partito; onde le mogli del Padron della casa stanno osservando, quanti de’ convitati vadano rotando per le scale, per farsene poi le risa col marito; il quale giammai non stimerà il suo convito essere stato buono, se non manda alcuno a casa ubbriaco; altrimente pensa, e si rammarica, che il vino non è stato buono. Fra questi conviti però non s’osserva quella barbara legge, di costringere a bere chi non ha sete, et empiere nuove tazze di vino a chi n’è così pieno, che d’ogni verso trabbocca; onde è solito porsi avanti certi ripari, per non vedersi l’uno l’altro, ma l’allegrezza del convito, il non aver altro che si fare, e’l dover onorare l’amico, son loro in vece di legge, acciò bevano sino a tanto, che s’ubbriachino; benche la debol bevanda, che usano, si smaltisca con ogni poco che dormono.

Finisco questo Capitolo con dire, che una delle maggiori virtù Cardinali (che sono infinite tra’ Cinesi) è la Cortesia, e [p. 335 modifica]la convenevolezza in ogni azione, che debba farsi; e ciò non già riguardando la dignità, e’l merito delle persone, che si onorano, ma più tosto per soddisfare a una cotal vaghezza, che tutti hanno di mostrarsi, la più costumata, e gentil cosa del Mondo. Imperocchè eziandio colla più sordida gente, (sia tale per nascimento, o per condizione di suo mestiere) adoprano forme di ragionare tanto nobili, e sollevate, che di me, no potrebbe contentarsi un Principe: come a dire al mulattiere dan titolo di gran bacchetta; e’l chiamarlo per lo vero nome, che ha, sarebbe un gravemente offenderlo; e così ogni altro mestiere ha la sua propia, e nobil forma di nome: e se alcuno non ha contezza della condizione di colui, col quale ragiona, si tien sull’universale onorevole, e gli dà titol di fratello. Evvi poi oltreacciò un particolar vocabolario, per nominar le cose propie, sempre avvilendole, e le altrui magnificandole; e’l ragionare altrimente, sarebbe un grave errore, non di favella, ma di creanza, e vero barbarismo. Fino a gli allevati alla rustica dentro le selve, hanno del gentile, assai più che altrove i nati nelle [p. 336 modifica]Città; e per lo contrarlo i più manierosi, e che appresso di noi sono accostumati alle finezze dell’usar cortigiano, nella Cina parrebbono incivili, e salvatici.