Gli scorridori del mare/4. Bonga

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4. Bonga

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3. La tribù negra 5. Il carico di carne umana
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Capitolo IV.

BONGA


I due giganteschi pachidermi, stretti da vicino dai cani e dai cacciatori, agitando vivamente le loro lunghe proboscidi camminavano a gran passi verso le macchie che servivano di rifugio ai negrieri. I cani li tribolavano continuamente, balzando loro intorno per [p. 24 modifica]stornare l’attenzione, mentre i cacciatori scoccavano volate di frecce, semplici punture di spillo per la grossa epidermide di quei giganti delle foreste.

Però vi fu un istante in cui i due elefanti, esasperati senza dubbio, si rivoltarono precipitandosi violentemente in mezzo ai negri ed agitando le lunghe trombe. L’intera tribù si ritirò precipitosamente, ma un negro fu afferrato da una proboscide, e lanciato a prodigiosa altezza e poi orrendamente calpestato.

Un lungo grido di rabbia s’alzò fra la tribù. Dieci o dodici zagaglie si piantarono nel ventre di uno dei due elefanti.

Il povero animale allungò il passo perdendo sangue da dieci ferite, cercando di dirigersi verso il bosco, però prima che avesse fatto venti passi fu nuovamente attaccato e colpito mortalmente in un fianco. Egli si raddrizzò in tutta la sua altezza, agitò la sua tromba e mandò un lungo barrito, poi si piegò e precipitò a terra spezzando una zanna. Un clamore immenso salutò la caduta del gigante.

I cacciatori, non soddisfatti di quella preda colossale, corsero sulle tracce dell’altro, che distava appena cinquanta passi dal luogo ove erano imboscati i negrieri.

Era questo di statura gigantesca e portava delle zanne lunghe sei piedi e di una bianchezza ammirabile. Vedendo approssimarsi i cacciatori, li caricò furiosamente rovesciandone due o tre colla proboscide, poi abbandonò il campo e si affrettò a guadagnare il bosco. I negri in un baleno gli furono nuovamente addosso, tempestandolo colle zagaglie e, colpendolo mortalmente, lo fecero cadere.

I negri si divisero allora in due drappelli e si gettarono sui corpi dei due elefanti assalendoli a colpi d’ascia, poi strapparono il grasso, assai pregiato dalle orde africane.

Mentre stavano sventrando quelle due enormi carcasse, si udì echeggiare fra le macchie un lungo fischio. Quasi subito si videro i negrieri balzare fuori dai loro nascondigli e precipitarsi sui cacciatori sbalorditi.

— Addosso! Addosso! — gridò il secondo.

I negri si erano aggruppati confusamente dietro uno dei due elefanti, impugnando le loro lunghe zagaglie, decisi, a quanto pareva, ad opporre una disperata resistenza.

— Arrendetevi! — gridò il secondo.

La risposta fu data da una folata di frecce e due negri di Pembo rotolarono sul terreno. I marinai risposero subito con una scarica generale dei loro fucili.

I negri rincularono confusamente, lasciando a terra sei o sette cadaveri.

— Avanti, — gridò il secondo. — Assaltiamoli.

I marinai si preparavano a marciare, quando un terribile grido [p. 25 modifica]di guerra echeggiò. I negri balzarono improvvisamente innanzi e si gettarono furiosamente sugli uomini bianchi, cercando di abbatterli colle zagaglie e le frecce.

I marinai indietreggiano rapidamente, poi fanno fronte all’attacco.

Le zagaglie, le frecce e le palle fanno strage, ma la lotta non dura che pochi istanti. I negri, scagliate le loro azze da guerra fra i marinai, si sparpagliano per il bosco, salvandosi in mezzo ai tronchi degli alberi.

Una viva scarica saluta la loro fuga, poi i marinai si slanciano verso il bosco dove i negri, coricati dietro i cespugli e dietro gli alberi, si credono sicuri.

Malgrado le frecce, i marinai si scagliano fra le piante e, scaricate le loro armi in tutte le direzioni, riescono a snidare i fuggiaschi facendone prigionieri dieci o dodici.

Gli altri però, comprendendo che era impossibile lottare contro le armi da fuoco, dopo una breve resistenza si erano nuovamente dispersi, scomparendo nel più folto della foresta.

Il secondo fece richiamare i marinai già lanciati sulle tracce dei fuggiaschi e si rese conto delle perdite subite. Due bianchi e otto guerrieri di Pembo erano rimasti sul terreno, assieme a sedici cacciatori di elefanti. Undici uomini giacevano però legati ai piedi di un albero.

La caccia non era stata tanto buona, ma il secondo calcolava di rifarsi sul villaggio di Upalè.

Dopo un’ora di riposo, durante la quale i marinai curarono le loro ferite, il secondo diede ancora il segnale della partenza, premendogli di giungere al villaggio. Solo venti miglia li separavano ancora.

La foresta fu attraversata rapidamente, senza che nessun negro si mostrasse; poi, usciti dalla boscaglia, furono costretti a scalare alcune colline rocciose e aride.

Verso il tramonto, dopo una marcia assai faticosa, i cacciatori d’uomini giungevano presso un fiumicello affluente della Coanza. Le sue rive erano coronate da fitti cespugli alti dieci piedi e da alcuni tamarindi. Intorno si estendeva un terreno molle e fangoso, che rendeva la marcia estremamente difficile.

Nel momento in cui i negri si preparavano ad attraversarlo, si arrestarono bruscamente, poi si nascosero fra le erbe. Tutti i marinai li imitarono e la colonna sparve fra le fitte erbe. Il secondo strisciò presso un negro e gli chiese:

— Quali nuove?

— Abbiamo veduto delle persone sulla riva opposta.

— Andiamo egualmente innanzi.

Il negro si alzò, si spinse sino alla riva e guardò, ma nessun essere umano comparve. [p. 26 modifica]

— Avanti, — comandò egli brevemente.

La colonna riprese le mosse e s’immerse nell’acqua.

Attraversato il fiumicello e risalita la riva opposta, i negri si arrestarono ancora, osservando il suolo.

— Vi sono delle orme umane, — dissero al secondo che li interrogava.

— Sono numerose?

— Una ventina d’uomini sono passati di qua.

— Da molto tempo?

— Da ieri sera, — rispose il negro e, spingendo lo sguardo più lontano, indicò al secondo un cadavere steso fra le alte erbe.

— Un morto?

— E colla gola spaccata da un colpo di scure. La banda che è passata di qui, deve essere composta di schiavi.

— Diamo loro la caccia?

— Sarebbe tempo sprecato. Essi hanno un vantaggio di dodici ore su noi. È meglio che ci occupiamo di Bonga.

— Hai ragione, — rispose il secondo. — Andiamo avanti.

Camminavano da circa mezz’ora, quando i negri tornarono ad arrestarsi. Il secondo si avvicinò e chiese loro cosa significava quella seconda fermata.

— Il villaggio, — rispose un negro accennando alcune punte rosse che apparivano a trecento passi al di là di una piccola foresta.

Il secondo si volse verso i marinai, dicendo:

— Ci siamo. Domani mattina al levar del sole attaccheremo il villaggio. — Indi, volgendosi verso due negri, ordinò loro di andare ad esplorare i dintorni.

I due guerrieri non se lo fecero ripetere, e strisciarono in direzione del villaggio, scomparendo fra le erbe.

Mezz’ora dopo erano di ritorno. Bonga era ancora ad Umpalè assieme a centocinquanta dei suoi guerrieri.

— È molto fortificato il villaggio? — chiese il secondo.

— No, è difeso solamente da una palizzata.

Il secondo respirò e avvolgendosi nella sua coperta, rispose:

— A domani, all’alba.

La notte passò tranquilla e ai primi raggi del sole l’intera banda era in piedi, coi fucili carichi e pronta all’assalto. Il secondo divise il suo drappello in due gruppi e diede l’ordine di circondare il villaggio e di avvolgerlo in una rete di fuoco.

I marinai con passo rapido si spinsero sino alle palizzate senza essere stati visti, circondando l’intera borgata.

Quasi subito delle grida di spavento risuonarono fra le capanne, ma un istante dopo circa duecento guerrieri, guidati da un negro di statura gigantesca, ornato di penne e di anelli di bronzo, si [p. 27 modifica]slanciavano in massa verso le palizzate, brandendo lunghe zagaglie, squarcine, scuri e lunghi archi.

In quel momento cinquanta spari rimbombarono e cinquanta e più palle caddero su i negri schierati dietro le trincee. Dapprima vi risposero urla di rabbia, poi nuvoli di frecce attraversarono l’aria.

I negrieri, divisi in tre colonne si slanciarono all’assalto, fra le grida dei combattenti e le detonazioni dei fucili. I negri dall’alto delle palizzate cercarono respingere l’attacco, ma vedendo che i pali cedevano sotto le accette degli assalitori, si ritirarono fra le capanne, lottando sempre ferocemente.

Radunatisi sulla piazza, resistettero all’attacco, respingendo tutti gli assalti dei negrieri. Questi, resi furenti per l’ostinata resistenza, cominciarono ad aprire un fuoco infernale ed a gettare granate, le quali, scoppiando, accendevano facilmente le capanne. Le donne ed i fanciulli, in preda allo spavento, correvano da tutte le parti per salvarsi dalle fiamme che si dilatavano con incredibile rapidità.

I guerrieri intanto lottavano con furore scagliandosi ferocemente sui bianchi ed impegnando delle lotte corpo a corpo. Il fumo avvolgeva quegli uomini, mentre il crepitar dell’incendio aumentava, però non cedevano. Il loro erculeo capo faceva prodigi. Circondato e sostenuto dai suoi, fendeva la massa dei combattenti a grandi colpi di azza. Un marinaio lo prese di mira e fece fuoco, ma un negro giunse in tempo per ricevere in pieno petto il colpo diretto sul suo capo. Un altro si avventò su di lui con un’accetta, ed un altro negro sviò il colpo e cadde morente ai piedi del monarca.

Per alcuni istanti non fu che un avvicendarsi di assalti e di ritirate, poi Bonga, deciso di por fine al macello dei suoi guerrieri, con un’azza in mano si scagliò sui marinai, cercando spezzar la loro fila. Attaccato però da tutte le parti, fu ben presto atterrato. Una diecina di scuri lo minacciarono nel tempo stesso, costringendolo ad arrendersi. Gli altri marinai si gettarono sui guerrieri, i quali disorganizzati e demoralizzati e stretti fra il fuoco del villaggio e i fucili dei negrieri, dovettero arrendersi. Però alcuni di essi, resi pazzi dal furore, benchè disarmati lottarono ancora coi pugni, finchè furono legati solidamente.

Duecento e più guerrieri, ottanta donne e sessanta fanciulli furono fatti prigionieri. Una trentina di negri e una diecina di bianchi giacevano però inanimati al suolo.

I marinai frugarono tutte le capanne già mezze arse, salvando una diecina di buoi e una ventina di capre. Legati solidamente gli schiavi, i vincitori accesero dei falò e, scannati quattro buoi, li misero ad arrostire interi, secondo l’usanza del paese. Terminata la colazione, si misero tutti in marcia, in direzione della Coanza. I negri legati a sei a sei camminavano in silenzio, mentre le donne, lasciate [p. 28 modifica]libere, mandavano incessanti lamenti. Il capo era stato posto sotto la sorveglianza speciale di quattro marinai.

Era un negro superbo, alto sei piedi e dotato di una forza erculea. Quantunque vinto, marciava a testa alta, guardando fieramente i marinai; quando poi scorgeva il secondo, i suoi occhi lanciavano lampi di cupa collera.

Giunta la notte, furono accesi i fuochi e quattro altri buoi caddero ancora sotto i coltelli dei marinai.

Numerose sentinelle furono disposte attorno al campo per impedire la fuga dei prigionieri.