I Marmi/Parte terza/Ragionamento di diversi affanni umani con alcune poesie degli academici Peregrini/Il Disperato, l'Adormentato e il Negligente

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Il Disperato, l'Adormentato e il Negligente

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Il Disperato, l'Adormentato e il Negligente
Parte terza - Ragionamento di diversi affanni umani con alcune poesie degli academici Peregrini Parte terza - Pedone sensale, Santi Buglioni e Giomo pollaiuolo

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Il Disperato, l’Adormentato e il Negligente.

Disperato. Vedete che dolore fu il mio, a vedermi dinanzi agli occhi morto il mio signore ed essere fatto prigione, legato e come malfattore condotto in una fortezza, dove stetti molti giorni senza avere alcuna consolazione al mondo.

Adormentato. A me non m’importa piú una cosa che un’altra: io so che io sono stato mandato in questo mondo per istentare; o stare in piedi o sedere, o patir fame o stare del continuo traboccante, trovo che tutto ha un certo che di fastidio. Chi vi cavò della prigionia?

Disperato. San Giovan Boccadoro: parecchi migliaia di ducati.

Negligente. Come foste voi fatto prigione?

Disperato. Morto il mio signore, io diedi nella furia dell’esercizio e mi straccai con il tagliare carne umana, disperato della mia vita e risoluto di non campare; onde m’affaticai tanto che io caddi d’affanno, d’ira e di stanchezza; cosí, fui preso e legato, come nel disegno passato si può vedere. [p. 52 modifica]

Adormentato. Voi dovevi compor qualche poesia in quelle strettezze.

Disperato. Se non volete altro, quello fu il mio conforto, il fare un’egloga pastorale mesta e dolente.

Adormentato. Piacevi egli dirmene quattro versi?

Disperato. Ancor tutta: e la feci da cuore.

Negligente. So che non mi sarebbe venuto voglia di poetare. Or dateci questo piacere. Disperato.

PASTORALE.

     Mentre che Dafni il gregge errante serba
ove Rimaggio scorre, e Filli a lato,
3 scegliendo fior da fio5 sedendo in l’erba,
     Dono piangeva il lagrimabil fato
del fiorentin pastor che da gli armenti,
6 come candido cigno è al ciel volato.
     Dicea: — Almo Dameta, qual lamenti
per questi ombrosi faggi uditi fôrno,
9 qual tra le selve lo spirar de’ venti,
     quando i rapidi fiumi raffiettôrno
l’usato corso e preser varie forme
12 le ninfe, ch’a te amiche erano intorno!
     De la tua morte pianse ogni orso informe,
e di ciò testimon ne sieno i monti
15 e i marmi ove la spoglia tua si dorme.
     Né piú gustâr le greggie i chiari fonti
né il citiso le capre o i salci amari,
18vedendo in erba i figli lor defonti.
     Crudel le stelle, i fati empii ed avari
Flora, abracciando le tue care spoglie,
21chiamò, né piú diede agni ai sacri altari
     né piú d’aranci ornò né d’altre foglie
i templi pastoral né di verbena,
24 ma disfogò piangendo le sue voglie:
     «Muoiano i cedri in ogni piaggia amena,
che ’l chiaro Arno d’ogn’intorno cinge,
27 e disperga l’odor che l’aura mena,

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     e tutti i gigli che ’l terren dipinge
muoiano in erba e secchi l’amaranto
30 con quel che nel suo fior il nome pinge,
     né piú rida negli orti il lieto acanto
né le viole al mattutino sole
33 spurghino al ciel l’odor soave tanto».
     Quanto del tuo partir Mugnon si duole!
In mezzo dell’aflitte pecorelle
36 ti chiama dalle valli ascoste e sole.
     Uscite omai, uscite, pastorelle,
dal vostro albergo ed ombra fate a’ fonti,
39 che d’anno in anno ogn’or si rinovelle.
     Ma tu, pria che da noi il sol tramonti,
scendi dell’aureo ciel, felice spirto,
42 e racconsola i tuoi di questi monti;
     vien, godi l’ombre usate del bel mirto
che sopra il tuo mortal stassi pendente;
45 vien, serba ’l gregge nostro umil ed irto;
     come onor foste al mondo, la tua gente
riguarda, e la tua prole bella e rada
48 fa ch’a tuo esempio al ciel alzi la mente,
     acciò, mentre di timo e di rugiada
si pasceranno e di celesti odori
51 fieno satolle l’api e la cicada,
     sempre le lodi tue, sempre gli onori,
se verno fia, al sol, s’estate, all’ombre,
54 risuonin le zampogne de’ pastori,
     né tempo fia che ’l tuo bel nome adombre. —

Negligente. La mi par bellissima, cosí alla prima udita; ma io la voglio vedere scritta, per poter saper meglio darne giudizio.

Disperato. Quando si seppe questa mia virtú, fui cavato del fondo di quella scura prigione, e diedi al mio capitano l’insegna che io m’aveva acquistato nell’uscir della tomba buia; e quel proprio capitano che mi prese prigione, quello stesso mi liberò e lasciommi andare a procacciar la taglia. Ecco, la poca virtú mia delie lettere vinse l’armi, per questa volta. Né si tosto [p. 54 modifica] fui della carcere sciolto che io mi voltai al fiume di Mugnone con questi versi:

     Sonanti liti e voi, rigidi scogli,
ove piangon dal vento Tonde rotte,
diserte piaggie e solitarie grotte,
ov’apro, ad altrui chiusi, i miei cordogli;
     Mugnone immenso, che nel grembo accogli
il fonte delle lagrime dirotte
ed al suon de le rime aspre interrotte
per pietá cheti gl’inquieti orgogli;
     orridi monti, e voi, minute arene,
che senza numer sète e senza fine,
sí come sono ancor mie grave pene,
     e voi, cime di monti al ciel vicine,
spargerò sempre al vento fuor di spene
da gli occhi umor, dal cuor voci meschine?

Adormentato. Chi non ha provato la corte di parecchi anni d’aspettativa e poi si vede morire il padrone inanzi che sia remunerato, non sa che cosa si sia disperazione: n’è vero, Disperato?

Disperato. Io mi sfogava con i versi e cantava i miei affanni e in rima metteva i miei dolori.

     Soleva ogni fontana lieto farmi,
ogni arbuscel, ogni ruscel corrente,
ogni selva lontana dalla gente
e ’l ciel scarco di nebbia rallegrarmi;
     or nulla può dal grave duol quetarmi
né ’l garrir delli augelli dolcemente
né quanta armonia il ciel o ’l mondo sente,
ché ciò vedo, odo, gusto, amaro parmi.
     Morto è il gran... e ogni mia voglia
in pianto è volta, ogni gioia in martiri,
ogni allegrezza in infinita doglia;
     lungo il turbato fiume aura che spiri
non è né venticel percuote foglia,
ond’io rinfreschi i caldi miei sospiri.

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Negligente. Gran cosa che i dolori grandi non si possin celare e gli affanni non si possin coprire! Io, che sono la negligenza del mondo, quando il vostro signore era portato a sepellire con quella pompa di cavalleria dietro e si solennemente con tanti cordogli, fui forzato a dolermene, perché per sua cagione persi il bel Mugnone; e però, tratto dal desiderio dell’amore che io a tal loco aveva e dalla cagione d’avermelo perduto, desiderava di rivederlo, e scrissi dall’alpestro luogo ove io dimorava, fuggendo amore tutto sdegnato.

     Nei lidi estremi, ove ne more il giorno
lontan dal sol fra le gelate nevi,
quando piú i giorni son noiosi e brevi
corro veloce al mio dolce soggiorno:
     un nuvoletto Amor mi sparge intorno
e ’mpenna il cor e i piedi arditi e lievi
drizza per l’aure ch’or sí tarde e grevi
lá verso ove ’l sol nasce fan ritorno.
     Che se destin sott’altro ciel mi tiene,
ove sdegno d’amor mi trasse prima,
disio pur di calcar le nostre arene;
     e se non fa il dolor ch’entro ’l cor lima
con l’altro mio mortal finir la spene,
vedrò Mugnon e la sua spoglia opima.

Adormentato. Io, che mi sto sempre fra il letto e lettuccio, ho del continuo, fuor de’ miei, molti travagli, e, quando penso a’ miei vecchi amori, stupisco alle matterie che io ho fatte e de’ versi che io ho composti mi rido, perché scriveva cose da ridersene. Udite questo amoroso dialogo fra due amanti.

  — Non ardo e son nel foco. —
— Ed io son tutto foco in mezzo il ghiaccio. —
— La mia speranza fa ch’io mi disperi,
perché ’l mio foco viene
da sí suave sguardo ch’io no ’l sento. —
— Foco è ’l mio cor, che di fredda paura

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di gelosia s’aghiaccia, ardendo in pene;
beltá mi fa sperare e star contento. —
— Sua crudeltá la mia speranza fura:
cose fuor di natura,
viver in gioia e non poter gioire
far mille morti e non poter morire. —

Disperato. Se nelle armi io sono sventurato, nelle amorose imprese fui sgraziatissimo: non potetti mai consequir cosa che io volesse, non mai avere una dolcezza di due parole e d’un fatto; ma mi fuggivano i tempi, si perdevano le occasioni e ogni cosa m’andava a traverso e in mal’ora: onde quando componevo sonetti, giuocavo sempre alla disperata. Deh, udite che rime eran le mie.

     Una fiera selvaggia, alpestre e dura
m’apparve un giorno, in vista cheta e umile,1
con sí bel portamento e sí gentile
ch’io posi in seguir lei ogni mia cura;
     e, riposta in disparte ogni paura,
quanto si può nell’etá giovinile,
incominciai lodarla in vario stile,
sperando lei cangiato aver natura.
     Ahi fallace sperar! Quand’io credei
trovato aver mercé non che pietate,
ella in un punto e la speme perdei:
     pur, lasso!, vo cercando, vern’e state,
s’io veggio alcun vestigio ancor di lei,
né trovo chi mi mostre l’orme usate.

Adormentato. Voi state fresco, se tutte le vostre imprese vi riescano di sí fatta sorte!

Disperato. Peggio assai che io non dico. Io ho provato a star per servo, e conosceva veramente che ’l padrone stava talvolta meco, perché, se voleva andar fuori, bisognava che [p. 57 modifica] egli aspettasse che io mi mettesse in ordine; se levar la mattina, aspettava che io andasse a vestirlo; se andare al letto, io lo spogliasse: tanto che lui aveva l’affanno dell’aspettare e io del servire. Io mi ridevo talvolta da me medesimo, dicendo: — Costui non va fuori senza me, perché ha paura di non si perdere, e io non son pagato da lui ad andargli dietro per altro che per saperlo rimenare a casa: ecco bella matteria che è questa che io fossi posto dalle stelle nel venir giú a far quest’ufízio di andar sempre dietro a un uomo ed egli sempre inanzi a me!

Adormentato. Provaste voi altra arte?

Disperato. L’esser religioso; e lasciai stare, perché non mi bastava l’animo di diventar si buono né osservar tante cose degne ordinate per nostra salute dalla religion cristiana.

Adormentato. L’armi vi piacquero poi piú che le lettere.

Disperato. Anzi le lettere prima; ma non seguitai, perché le veddi cariche di travagli, di fastidi e d’affanni. S’io pigliavo amicizia, e che io la perdessi, crepava di dolore; non l’avendo, viveva da fiera di bosco; tenendola stabilmente, i suoi travagli erano i miei e tutti i dispiaceri degli amici gli sentiva in me medesimo: senza amicizia non si può fare; gli amici buoni si trovano radi, e cosí io non ci trovo un boccon di netto: per tutto c’è che fare e che travagliare.

Adormentato. Pur troppo!

Negligente. Io voglio pur dire una composizion piú dolce, se bene l’è poco avemurata anch’ella, e farmi udire lamentar d’Amore a tutto il mondo; e se ci mancasse in queste mie rime non qualche cosa, non poco, ma assai, ricordatevi che io mi chiamo il Negligente, e me ne contento, se giá non mi voleste ribattezzare e chiamarmi l’Ignorante.

1
     Quanto piú s’invaghisce il gran desio
che mi conduce alla fiorita piaggia,
de le lodi di voi spazioso albergo,
men so dove posarmi e di quai fiori
tesser ghirlanda a le dorate chiome
dove io m’avvolsi e mai fuggir non credo;

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2
     che quando piú nel cor pensando credo
saziato avere il mio dolce desio
in adornar vostre lucenti chiome,
allor la colorita e fresca piaggia
mi porge or questi ed or quegli altri fiori
e fo nuova elezion nel fresco albergo.
3
     E s’io mi volgo al glorioso albergo,
dove a la vostra fama in tutto credo
ordir la tela di cangianti fiori,
tosto si tronca il filo e pur desio
colmarmi il grembo nell’erbosa piaggia
per non mancare a sí preziose chiome;
4
     ma l’altére, lucenti e crespe chiome
son di tanto valor ch’io non m’albergo
o fermo sopra fiori o frondi in piaggia,
sí megliorar ogn’or mi spero e credo
nel tesser cominciato del desio,
ché la beltá mi tra’ di fiori in fiori.
5
     Cosí mi trovo involto in sí bei fiori
e stretto sí dall’adornate chiome,
ch’io mi starò legato nel desio
di lunga servitú, mio fido albergo
(oh che dolce servir!), tal che io mi credo
posarmi in mezzo a sí amena piaggia.
6
     E se nell’ampia e dilettevol piaggia
mancasser gli odorati e freschi fiori,
cosa che mai nella mia vita credo,
il vólto, il ragionar, gli occhi e le chiome
daranno al spirto mio pietoso albergo
e colmeran d’ambrosia il bel desio.
7
     Ma, pure, in questa piaggia ogn’or desio
ornar l’albergo e poi raccoglier fiori
per sempre coronar le chiome credo.

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Adormentato. I vostri versi hanno bisogno di comento.

Disperato. Altro bisogna far ora che comnienti! A me convien partirmi, che l’ora mi caccia.

Negligente. E me preme assai: adunque un’altra volta seguiteremo di dir molti casi accaduti a chi ci vive e pochi a chi, vivendo, non ci crede vivere.

Disperato. Io, che ho provato tanti affanni, ne saprei lèggere in catedra, ma il tempo mi taglia la tela; però vi lascio. A rivederci tosto per finire il nostro discorso.

Adormentato. Sia fatto: a Dio, a Dio.

  1. Il testo originale ha in line al primo verso «cruda» e al secondo «umana»:
    il nesso delle rime suggerisce facile la correzione [Ed.].