I Nibelunghi (1889)/Avventura Quinta

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Anonimo - I Nibelunghi (XIII secolo)
Traduzione dal tedesco di Italo Pizzi (1889)
Avventura Quinta
Avventura Quarta Avventura Sesta

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Avventura Quinta

In che modo Sifrido vide Kriemhilde


Cavalcar si vedea di giorno in giorno
Là, fino al Reno, chi venìa bramoso
Alla festa regal. Molti destrieri
E molte vesti prezïose intanto
5Con mano liberal fûr date attorno
A quanti discendeano a quella terra
Per amor di tal re. Seggi fûr pronti,
Come fu detto a noi, per maggiorenti
E per illustri e per ben trenta e due
10Prenci famosi della festa al tempo;
E di rincontro con industre gara
Molte si ornâr vaghe donzelle. Stanco
Gislhero giovinetto unqua non fue;

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Egli e Gernòt e d’ambo esti gagliardi
15I valorosi gli ospiti e gli amici
Accoglieano cortesi, e come suolsi
Per onore adoprar, lor fean saluti
Ambo i due prenci. Aurifulgenti selle
Recavan quelli ne la terra, e targhe
20Dipinte e vesti prezïose al Reno
Recavan seco per la festa. Molti,
Ancor feriti, vidersi a que’ giorni
Lieti e festanti, e chi giaceasi ancora
In letto e per sue piaghe avea rancura,
25Veramente obbliò quanto è la morte
E dura e trista. Gli egri ancor cessaro
Da’ lor lamenti, e pei giorni alla festa
Regale indetti ebbero gaudio e gioia
Alle novelle. Oh sì! dolce la vita
30Trarre ei volean nell’ospital dimora;
E di là da misura alta letizia
Con gioia superante ebber le genti,
Che là trovârsi, tutte. In quella terra
Di re Gunthero fûr sollazzi molti.
     35Ad un mattin di Pentecoste in folla

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Fûr visti uscir gagliardi e valorosi
In vesti ricche, cinquemila e ancora
Più di cotesti assai, mossi alla regia
Festa bramosi, e in molti lochi a gara
40Incominciâr sollazzi allegri. Il regio
Ospite inver questo vedea nel core
(Ciò gli era noto) con qual fè costante
Amava il sir di Niderlànd la sua
Suora Kriemhilde, ben che ancor non vista,
45In cui ben si dovea su tutte l’altre
Giovinette notar beltà sovrana.
     Al re così parlò principe Ortwino:
Se d’onor con pienezza a vostra festa
Esser volete voi, fate che ammiri
50Altri le vaghe giovinette nostre,
Che ben degne d’onor sono in Borgogna.
Dell’uomo qual piacer, che la sua vita
Gli allegri, vedi tu, che inclita donna
O vaga giovinetta a lui non faccia?
55Deh! fate sì che a’ vostri ospiti innanzi
Passi vostra sorella! — E tal consiglio
Fu dato inver di molti eroi con gioia.

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     Questo consiglio seguirò, dicea
Prence Gunthero. E chi n’avea l’annunzio
60Molto in cor ne gioìa. Ma donna Ute
Ebbe con la sua figlia per messaggio
Cortese invito, ond’ella pur venisse
Con le sue ancelle a corte. E ne’ forzieri
Tosto si ricercâr le ricche vesti,
65Quante sì di tal gente e grande e illustre
Si rinvenian riposte. Armille assai
Con lor fermagli eranvi pronte; e intanto
Molte leggiadre giovinette adorne
Si fean con cura, e molti giovinetti,
70Gagliardi in guerra, da que’ dì pensavano
Che gioiosi ei sarian le vaghe donne
In rimirar, sì che ciascun per nulla
Stimato avrìa di un gran signor l’impero.
Bramosamente assai venian cotesti
75Le non conte fanciulle a rimirare.
     Il nobile signor volle che mille
De’ suoi gagliardi con la sua sirocchia,
A servirla condotti, a lui cognati,
Cognati a lei, venisser tosto; e questi

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80Avean lor spade strette in pugno. Questo
Era di corte l’inclito servigio
Là nella terra di Borgogna. Intanto
Con cotesti venirne Ute fu vista,
La possente regina. Ella con seco
85In compagnia vaghissime matrone
Aveasi prese, mille o più, che ricche
Avean lor vesti, e dietro alla sua figlia
Venìan pur anco molte giovinette
Leggiadre e vaghe. Tutte da una stanza
90Uscir fûr viste da la gente, e grande
Affollarsi fu allor di cavalieri
Che speme aveano in cor che tanto almeno
Lor potesse accader, le giovinette
Illustri di mirar gioiosamente.
     95L’amorosa donzella ecco s’avanza
Come l’aurora fa da fosche nubi;
E ratto chi l’avea recata in core,
E recata l’avea lunga stagione,
Da molto affanno or si disciolse. Ei vide
100L’amorosa fanciulla in tutta sua
Bellezza là restar. Dalle sue vesti

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Molte splendean nobili gemme, e il suo
Color di rosa delle guance avea
Tanto splendor che insinuava amore;
105Per quanto brama un uom quaggiù, nessuno
Dir già potea che più avvenente cosa
Avea vista pel mondo. E come innanzi
Agli astri sta la bianca luna allora
Che tra le nubi mostrasi più chiaro
110Il suo splendor, così, pari alla luna,
Ella stava dinanzi all’altre donne
Tutta leggiadra. D’avvenenti eroi
In petto il cor balzò. Venirne a lei
Vedeansi innanzi le sue ancelle adorne
115E gli altezzosi eroi non desisteano
Dall’affollarsi per vederla intenti,
Amorosa fanciulla. Oh! ma dolore
E d’amor gioia avea prence Sifrido!
     Egli pensava nel suo cor: Deh! come
120Avvenir ciò potea ch’io mi dovessi
Accendere di te? Speme fu questa
D’inesperto garzon. Ma s’io dovessi
Da te partirmi, con desio più dolce

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Io mi morrei. — Per questi suoi pensieri
125Più fiate ei si fe’ rapidamente
Acceso in volto e pallido. E si stava
In tale atto d’amor di Sigemundo
Il vago figlio, qual se immagin fosse
D’abil maestro dalla man dipinta
130Su pergamena ad arte. E si dicea
Da la gente di lui che sì leggiadro
Mai non fu visto armigero guerriero.
     Ma chi venìa con le matrone, ratto
Scender fea dalla via da tutte parti
135I circostanti; e fecero cotesto
Molti guerrieri. Le donzelle adorne,
Di fiero cor, di gioia e di contento
Furon cagione, e furon viste allora
Donne leggiadre assai pomposamente
140Di vesti ornate. Di Borgogna intanto
Dicea sire Gernòt: Quei che vi offerse,
Gunthèr, dolce fratello, il suo servigio
Tanto cortese, cortesìa da voi
Abbiasi agli altri cavalieri innanzi,
145Tutti, ned io giammai di tal consiglio

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Avrò vergogna. Fate sì che venga
Da mia sirocchia principe Sifrido,
Perchè il saluti la fanciulla. Sempre
Gioia avrem noi di ciò. Lei che guerrieri
150Unqua non salutò, costui saluti;
E noi quel prode valoroso e bello
Acquistato ci avrem per tal favore.
     Dell’ospite regal vennero allora
Tutti i congiunti là ’ve l’uom gagliardo
155Rinvennero. Ei dicean questa parola
Di Niderlànd al valoroso: Invito
Il re vi fa perchè venirne in corte
Tosto vi piaccia. Vi farà un saluto
La sua sirocchia. Ad onor vostro è questo!
     160Di ciò ben fu gioioso in fino all’alma
Il giovinetto sire; ei ne recava
Gioia nel cor senza rancura, intanto
Che vicino a mirar d’Ute leggiadra
Era la figlia, ed ella sì dovea
165Sifrido salutar con un dolce atto.
Quand’ella innanzi a sè vide arrestarsi
L’altero garzoncel, ratto del viso

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Le si accese color. Voi benvenuto,
Prence Sifrido, la fanciulla disse
170Avvenente e leggiadra, o cavaliero
Nobile e prode! — L’alma del garzone
A quel saluto si elevò. Dinanzi
A lei chinossi con bramoso intento
Il giovin sire ed ella con la destra
175La destra gli prendea. Con la fanciulla
In quale atto d’amor costui ne andava!
E allor, con riguardar d’occhi amorosi,
Miravansi l’un l’altro i giovinetti,
Il sire e la donzella; e ciò si fea
180Nascostamente inver. Ma se talvolta,
Per dolce amor del cor, la bianca mano
In caldo atto d’amor fu stretta al seno,
A me noto non è. Non però credere
Anche poss’io che ciò si tralasciasse,
185Chè tanto ei far potean rapidamente
In lor dolce desìo. Ma nella estate
E nei giorni di Maggio egli in suo core
Mai non portò così gran gioia, quale
Ebbesi allora, poi che accanto a lui

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190Quella appunto venìa ch’egli d’amore
Bramava posseder. Molti gagliardi
Fean tal pensiero in cor: Deh! m’accadesse
Ch’io pur anco venissi a lei da presso,
Come Sifrido ho visto or or! Posarmi
195Accanto a lei deh! potess’io! Davvero!
Che far ciò lascierei senza rancura!1
     A regal donna mai non fe’ migliore
Servigio un cavalier. Ma da qualunque
Terra di prenci gli ospiti venièno,
200Tutti egualmente a rimirar soltanto
Stavano intenti i due garzoni. A lei
Vènia fu data di baciarsi in fronte
L’uom sì avvenente, e in terra mai non fue
Per lui più dolce cosa e più gradita.
     205Di Danimarca il principe dicea:
In questi alti saluti, e tristi e grami
Già molti stanno (e ben di ciò m’avveggo)
Per la man di Sifrido. Oh! nella terra

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Del regno mio non voglia mai l’Eterno
210Che ritorno egli faccia! — In tutte parti,
In tutte parti allor via dal passaggio
Di Kriemhilde leggiadra a ognun fu indetto
Di sgomberar. Molti campioni arditi
Fûr visti allor con atti onesti andarne
215Alla chiesa con lei. L’uom sì avvenente
A quell’ora da lei si separava.
     Così ella andava al monastero, e dietro
Molte donne seguìan. Della regina
Tanto era adorna la persona bella,
220Che andavane frustrato ogni più alto
Desìo d’altrui. Veracemente nata
Era costei qual pascolo di molti
Prodi guerrieri agli occhi. A stento attese
Allor Sifrido che le sante preci
225Fosser cantate. Egli potea pur sempre
Alla fortuna sua render sue grazie,
Che tanto fosse a lui quella propizia
Ch’ei recava nel cor. Ma, con ragione,
Inchinevole ei pur ver la leggiadra
230Era per caldo amor. Quand’ella uscìa

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Dal monastero (uscito erane primo
Il giovinetto), a lui, gagliardo e prode,
Fu indetto ancor di porsele daccanto;
E l’amorosa giovinetta a rendergli
235Ratto sue grazie incominciò la prima,
Ch’egli con tal valor dinanzi ai forti
Pugnato avea. Prence Sifrido, disse
La bella giovinetta, Iddio signore
Vi ricompensi, chè mertato aveste
240Che ogni più forte, d’ora in poi, com’io
Sento narrar, fedele a voi si serbi
Con anima leal. — Con molto amore
Donna Kriemhilde ei cominciò intento
A riguardar. Degg’io sempre servirvi,
245Disse quel prode, e a questo capo mio
Riposo non darò, fin ch’io non aggia,
Per quanto mi vivrò, la grazia vostra
Mertata, o donna mia. Per compiacervi,
Ciò si faccia da me, donna Kriemhilde.
     250Dodici giorni ancora, e in ciascun giorno,
Degna di tutta laude accanto al prode
Starsi fu vista la fanciulla, intanto

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Ch’ella andarne solea, dinanzi a’ suoi
Congiunti, in corte; e al giovane guerriero
255Con molto amor prestavasi dagli altri
Fedel servigio. Così fu che innanzi
Di Gunthero alle sale, ad ogni giorno,
E dentro e fuori ancor, gioia e tripudio
Ed echeggiar d’allegre voci assai
260Per molti si sentîr valenti e prodi,
Ed Hàgene ed Ortwin meravigliose
Opere incominciâr. Gli eroi gagliardi,
Con vigor pieno e piena voglia, a tutte
Cose eran pronti quante alcun mortale
265Osa tentar quaggiù. Questi, e valenti
E prestanti in virtù, fûr noti allora
A’ lor ospiti, e tutta e sol per essi
La terra di Gunthèr si fea più bella.
Chi ferito giacea, fu visto allora
270Venirne innanzi. Ognun volea co’ suoi
Soci e compagni aver sollazzi e feste,
Farsi difesa con le targhe e molti
Giavellotti avventar. Molti in aita
Venìan per essi, chè gran gente seco

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275Avean pur anco. Ma nei dì giocondi
Di tante feste, con elette dapi
Tutti fe’ intrattener l’ospite regio,
Chè ogni biasmo evitar, quanti si prende
Un re talvolta, egli volea. Fu visto,
280Amico in atto, a quegli ospiti suoi
Venir dinanzi. O nobili guerrieri,
Disse, i miei doni di pigliar vi piaccia
Pria d’andarne di qui. Sta in me pur sempre
Questo pensier, perch’io vi serva sempre.
285Non disdegnate il mio possesso, ch’io
Vo’ spartirlo con voi. Questo sol bramo.
     Quelli parlâr di Danimarca allora:
Pria che di qui tornarne ai nostri tetti
In nostra terra cavalcando, ferma
290Una pace vogliam. D’uopo è di pace
Ai nostri prodi, e noi qui morti abbiamo
Pei vostri eroi molti diletti amici.
     Fra Liudgasto di sue piaghe omai
Venuto a guarigion; dopo la pugna
295De’ Sassoni guarìa pur anco il duce,
E davver! che sul campo alcuni morti

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Egli ebbero a lasciar. Là ’ve Sifrido
Rinvenne, andava allor prence Gunthero.
     Ei disse al prode: Ciò che far degg’io,
300Tu mi consiglia. Cavalcar dimani
Al primo albor, di qui partendo, vonno
Questi nostri nemici, e ferma pace
Chiedon con meco e con le genti mie.
Or mi consiglia, eroe Sifrido, quale
305A te in questo parrassi opera bella
Ch’io far mi deggia. Quanto a me offerendo
Vanno i prenci, vo’ dirti. Ei volentieri
A me daranno quanto in oro han possa
Di carreggiar, se liberi li sciolgo,
310Cinquecento cavalli. — Oh! ciò sarìa
Opra non bella assai! disse quel forte
E valente Sifrido. E sì v’è d’uopo
Via lasciarli partir liberamente
Da questa terra; e per che i prenci illustri
315Guardinsi bene un dì che da nemici
Ei non vengan più mai qui cavalcando,
Fate sì che di ciò d’ambo que’ prenci
Vi dia la mano sicurezza e pegno.

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     Questo consiglio seguirò. — Con questo
320Andavan elli, e a’ lor nemici intanto
Noto si fe’ che niun volea quant’essi
Oro offrivano in pria. Ma i lor diletti
E cari amici, nel paterno ostello,
D’essi, di pugne stanchi, avean desire.
     325Colme targhe recavansi frattanto
Dal tesoro del re. Senza bilancie
Spartiva in copia a’ suoi diletti il sire
Fin cinquecento, e più ne dava ancora,
Fulgidi marchi. A re Gunthèr cotesto
330Gernòt ardito consigliava. Intanto
(Elli andarne volean) prendean commiato
Tutti, e fûr visti allor gli ospiti innanzi
A Kriemhilde venirne, anche ove assisa
Donna Ute si stava. Oh! mai non ebbero
335Miglior commiato cavalieri e prenci!
Ma quand’ei si partîr, vuoti rimasero
Tutti gli ostelli, e sol restò co’ suoi,
Nobili invero e valorosi, il sire
Gentil di Niderlànd. Egli co’ suoi
340Andarne si vedea di giorno in giorno

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Appo donna Kriemhilde. Eppur, volea
Chieder vènia al partir Sifrido ancora,
L’eroe valente. Di ottener colei
Che in core ei si recava, oh! non avea
345Fidanza certa; ma poichè già udìa
Prence Gunthero, per ciò che altri disse,
Che partirsi ei volea, dal suo vïaggio
Giselhèr giovinetto a dietro il tenne.
     Sifrido inclito assai, dove pertanto
350Volete cavalcar? Qui vi restate
Appo i nostri gagliardi (oh! fate voi
Ciò ch’io vi chieggo!), presso a re Gunthero,
Presso i campioni suoi. Donne qui sono
Leggiadre assai, quali vorrà ciascuno
355Volentieri mostrarvi. — I palafreni,
Disse Sifrido valoroso, voi
Lasciate adunque. Cavalcando volli
Di qui partir, ma da cotal disegno
Mi traggo a dietro. Anche i pavesi nostri
360Dentro portate. Alla natal mia terra
Io tornarmi volea, ma Giselhero
Impegnando sua fè vinsemi ’l core.

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     Per amor degli amici, in questa guisa
Là si rimase il valoroso. In altra
365Terra giammai non fe’ soggiorno il prode
Con tanta gioia; e da quell’ora in poi
Avvenne sì che ad ogni giorno sempre
La leggiadra Kriemhilde egli vedea.
Così, per tal beltà che non avea
370Misura, il sire in quella terra ancora
Restava a soggiornar. Fra molti e vari
Sollazzi l’ore trapassar que’ prodi
Vedeano intanto, e sol amor di lei
Era cruccio a Sifrido. Aspro tormento
375Amor gli dava; e per l’amor quel forte
Giacquesi poi miseramente estinto.



Note

  1. Detto con ironia. Cioè con gran dispiacere.