I naviganti della Meloria/15. La vendetta dello slavo

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15. La vendetta dello slavo

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XV.

La vendetta dello slavo.


Il pescatore non si era ingannato.

In lontananza, sotto le vôlte tenebrose nell’immensa galleria, si vedeva a scintillare ancora il punto luminoso a luce rossa, che già avevano scorto nella grande caverna.

A quale distanza si trovava? Era impossibile saperlo con qualche precisione, però secondo il giudizio dei pescatori, abituati a misurare le miglia anche durante le più oscure notti, non doveva trovarsi a più di una lega.

Quel punto luminoso indicava chiaramente che non tutti gli uomini che s’erano pure internati nel canale sotterraneo, erano periti nella catastrofe della miniera.

Quanti potevano ancora essere? Uno solo o di più? Le tracce trovate presso la fontana ardente segnavano tre paia di piedi diversi, ma qualcuno poteva non essere sbarcato.

— Per centomila merluzzi! — esclamò padron Vincenzo. — Siamo in quattro e abbiamo una buona scialuppa, quindi dovrebbe essere cosa facile il raggiungere quei misteriosi esploratori. Non credo che siano ancora in tale numero da competere con noi.

— Nemmeno io — disse il dottore, che osservava col cannocchiale quel punto luminoso, cercando di distinguere se brillava sopra una scialuppa o sopra una zattera.

— Se diamo dentro ai remi, noi li raggiungeremo presto. Vi pare che si allontani rapidamente?

— A me sembra quasi immobile.

— Una lega non è una grande distanza. In tre quarti d’ora possiamo superarla.

— Bisognerebbe spegnere i nostri fanali — osservò Michele. — Se quegli uomini s’accorgono che noi li inseguiamo faranno anche essi forza di remi o si nasconderanno in qualche caverna.

— E se urtiamo? — chiese il dottore. — La nostra scialuppa è debole e potrebbe affondare.

— Non abbiamo incontrato mai alcun ostacolo in questo canale — disse padron Vincenzo. — Terremo la prora sempre puntata sul punto luminoso il quale ci servirà di faro.

— Rispondete della direzione?

— Sì, dottore. [p. 123 modifica]

— Allora si spengano i fanali.

Le due lampade di sicurezza che erano state collocate a prora furono ritirate e spente.

— Avanti! — comandò padron Vincenzo.

La scialuppa si rimise in caccia dietro ai misteriosi esploratori che fino allora erano sfuggiti a quell’accanito inseguimento.

Il punto luminoso brillava sempre fra le tenebre e pareva che fosse quasi immobile. La sua luce rossastra talvolta si rifletteva sui neri flutti del canale, tracciando come una linea di fuoco tremolante.

Talvolta, momentaneamente spariva, ma poi tornava a scintillare sotto le infinite vôlte del tunnel. Quelle sparizioni dovevano certamente essere causate dalle persone che montavano il galleggiante, le quali nel muoversi si frapponevano fra il fanale e gli sguardi degli inseguitori.

I tre pescatori ed anche il dottore, facevano sforzi sovrumani per guadagnare via. Tendevano i muscoli e puntavano i piedi per arrancare con maggior forza, decisi questa volta a piombare addosso ai fuggiaschi.

Infine avevano bene il diritto di conoscere coloro che avevano carpito il segreto, non essendo ammissibile che avessero trovato il canale per caso o che avessero trovato qualche altro documento del capitano Gottardi. E poi, in questo caso, non avrebbero avuto alcun motivo per fuggire, anzi avrebbero dovuto essere lieti di trovare altri esploratori e di riunire gli sforzi per compiere meglio che era possibile quella perigliosa traversata.

A poco a poco la distanza che separava i fuggiaschi dagli inseguitori scemava.

Pareva però che i primi si fossero accorti della caccia che veniva loro data, poichè la lampada non rimaneva più immobile come prima.

Di tratto in tratto la si vedeva oscillare come se alla barca o alla zattera venissero impressi dei movimenti precipitati e anche il riflesso della fiamma in acqua si vedeva allungarsi ed accorciarsi rapidamente.

Certamente avevano udito i colpi dei remi che la galleria trasmetteva, essendo diventata d’una sonorità straordinaria.

— Cercano di sfuggire — disse padron Vincenzo, che si era voltato per misurare la distanza che li separava da quei misteriosi esploratori.

— Me n’ero già accorto — rispose il dottore.

— Guadagnamo però egualmente — disse Michele. — Ormai non devono distare da noi più di cinque o seicento metri.

— Allora possiamo parlamentare — disse il dottore.

— Provatelo, dottore — rispose padron Vincenzo. — Noi intanto continueremo ad arrancare.

Il signor Bandi s’alzò e facendo colle mani una specie di portavoce, gridò:

— Ohe! Chi siete voi? Fermatevi ed attendeteci! Da noi nulla avete da temere!

Invece di rispondere, la lampada fu subito spenta a bordo dell’imbarcazione. [p. 124 modifica]

— Siamo amici! — gridò il dottore.

Nemmeno questa volta ottenne risposta.

— Che ci credano dei briganti! — esclamò padron Vincenzo che cominciava a perdere la pazienza. — Non riesco a comprendere questa ostinazione nello sfuggirci. Vivaddio! Noi abbiamo da fare con quel cane di Simone! Ora ne sono convinto.

— Che creda che noi vogliamo ucciderlo? — si chiese il dottore.

Poi alzando la voce, gridò ripetutamente:

— Simone! Simone!

Fu fiato sprecato. Nè la lampada fu riaccesa, nè alcuno rispose.

— Voglio raggiungere quel gaglioffo e torcergli il collo — disse padron Vincenzo. — Forza ragazzi!

— Accendiamo prima le nostre lampade — disse il dottore. — Con questa oscurità e senza aver un punto dinanzi a noi, possiamo urtare contro le pareti del canale.

Mentre i tre pescatori continuavano ad arrancare con furore, accese le due lampade di sicurezza appendendone una a prora e l’altra a poppa, poi riprese il remo per aiutare i suoi compagni.

La scialuppa dei fuggiaschi pareva che fosse scomparsa. Si era fermata in qualche luogo o si era rifugiata entro qualche caverna? Era impossibile saperlo.

I pescatori ed il dottore avevano guadagnati altri trecento metri, quando tutto d’un tratto due spari rimbombarono, destando l’eco della galleria.

Una palla andò a spezzare il remo di Roberto, mentre l’altra passava sibilando sopra la testa del dottore.

Quella scarica era partita così vicina, da credere che gli aggressori si trovassero solamente a cinquanta o sessanta metri dalla scialuppa.

Il dottore ed i tre pescatori erano prontamente balzati in piedi colle rivoltelle in pugno, pronti a rispondere.

— Canaglie! Arrendetevi! — aveva urlato padron Vincenzo.

Nessuno rispose. Gli aggressori, approfittando dell’oscurità si erano forse di già allontanati.

Il dottore staccò una lampada e l’alzò più che potè, proiettando la luce tutto all’intorno, e non distinse nulla.

— Rispondete o faccio fuoco! — urlò padron Vincenzo, con voce minacciosa.

Non ottenendo alcuna risposta, bruciò una dietro l’altra le sue cariche della rivoltella, sparando a casaccio. Probabilmente le palle non colpirono alcuno, poichè nessun grido si udì a echeggiare fra le tenebre.

— Saranno veramente fuggiti — disse il dottore.

— Scendano anche nelle viscere della terra noi li raggiungeremo! — gridò padron Vincenzo, con ira.

— Non commettiamo però imprudenze. Ora che sappiamo che quegli sconosciuti non indietreggiano dinanzi ad un assassinio, cerchiamo di non farci ammazzare come folaghe. [p. 125 modifica]

— Tanto più che la nostra scialuppa può venire guastata — aggiunse Michele. — Il tessuto non resiste alle palle.

— Anzi nemmeno ad un colpo di coltello — disse il dottore.

— E cosa volete fare? — chiese Vincenzo.

— Avanzare con prudenza. Michele e Roberto riprendano i remi e noi teniamoci pronti a respingere qualsiasi aggressione.

— Maledette tenebre! — esclamò padron Vincenzo.

— Avanti! — comandò il dottore.

La scialuppa riprese la corsa tenendosi vicino alla parete sinistra essendovi da quella parte delle numerose escavazioni, come delle nicchie entro le quali si poteva trovare un rifugio in caso di pericolo.

Mentre i due pescatori remavano, il dottore e padron Vincenzo, collocatisi a prora, scrutavano ansiosamente le tenebre per cercare di scoprire i fuggiaschi.

Avevano abbassate le lampade, tenendole quasi a fior d’acqua onde ingannare gli avversari ed impedire loro di mirarli.

Sotto le tenebrose vôlte del tunnel non si udiva più alcun rumore. Certamente i fuggiaschi avevano cercato qualche rifugio, non potendo gareggiare colla scialuppa dei pescatori.

Quel silenzio inquietava non poco il dottore e padron Vincenzo. Il pericolo che non si vede e che può piombare addosso quando meno si aspetta è certamente il peggiore. Per quanto l’uomo sia coraggioso, difficilmente riesce a calmare i suoi nervi e le sue apprensioni. È la paura dell’ignoto, la più tremenda di tutte.

Altri duecento metri erano stati guadagnati, quando nel volgere intorno gli sguardi, il dottore scorse una profonda escavazione che s’apriva nella parete di destra.

Pareva che fosse una caverna poichè l’acqua usciva da quella spaccatura con una certa violenza, essendo già cominciata la bassa marea.

— Che si siano nascosti là dentro? — si chiese.

— Volete che la visitiamo? — domandò padron Vincenzo.

— Temo che non abbiano continuata la loro corsa.

— Entriamo in quella caverna, dottore. Se quegli uomini non si fossero arrestati in qualche luogo a quest’ora noi li avremmo raggiunti.

— Così la penso anch’io.

Stava per dar ordine ai due pescatori di virare di bordo, quando gli parve di udire un tonfo.

— Attenzione, Vincenzo — disse.

— Cosa avete veduto?

— Mi pare che qualcuno si sia tuffato.

— Dove?

— A babordo.

Padron Vincenzo alzò la lampada e gettò all’intorno un rapido sguardo. In quel momento credette di scorgere un braccio uscire rapidamente dall’acqua e alzarsi verso la scialuppa.

Impugnò la rivoltella per far fuoco, ma prima che avesse appoggiato il dito sul grilletto udì come un leggero crepitìo dalla parte opposta. Pareva che un coltello lacerasse un tessuto. [p. 126 modifica]

— Dottore! — gridò.

Un urlo di rabbia e di disperazione gli rispose.

— Cos’è accaduto? — chiesero Michele e Roberto abbandonando precipitosamente i remi.

— Caliamo a fondo! — gridò il dottore. — I miserabili hanno squarciato il tessuto della scialuppa!

— Mille demoni! — urlò padron Vincenzo, balzando innanzi.

La scialuppa aveva già cominciato a piegarsi sul babordo.

L’acqua entrava a torrenti dalla squarciatura, zampillando e gorgogliando fra le casse ed i barili e scorrendo verso poppa.

I tre pescatori rimuovevano rapidamente il carico per vedere se era possibile di turare quella ferita, mentre il dottore sparava all’impazzata per tener lontani gli avversari che forse nuotavano a breve distanza, in attesa della catastrofe.

— E dunque? — chiese angosciosamente il signor Bandi.

— Dottore! Siamo perduti! — rispose padron Vincenzo, con voce rauca. — Il tessuto è stato tagliato dall’alto in basso.

— Non perdiamo tempo.

— Cosa si deve fare? — chiesero i pescatori che parevano avessero perduta la loro calma abituale.

— Cerchiamo di tenere unite le casse ed i barili e rifugiamoci in quella caverna. Badate che le lampade non si spengano.

— Michele, a te quella di babordo, a me quella di tribordo. Maledetti! Me la pagheranno!

La scialuppa, già quasi piena d’acqua, affondava rapidamente inchinandosi sempre più sul fianco squarciato.

— Attenti alle casse! — gridò il dottore.

— Ho delle funi in mano — disse Roberto.

— Le lampade?

— Le abbiamo — risposero Michele e padron Vincenzo.

— Lasciate andare!

In quel momento la scialuppa mancò sotto i loro piedi scomparendo nelle tenebrose acque del tunnel. Al suo posto però galleggiavano i barili e le casse, urtandosi rumorosamente.

I quattro disgraziati esploratori si erano messi a nuotare vigorosamente. Padron Vincenzo e Michele colla sinistra tenevano alte le lampade, mentre il dottore e Roberto cercavano di spingere quella massa di galleggianti verso la caverna.

Fortunatamente la corrente era debolissima, essendo appena cominciato il deflusso sicchè potevano tenere quasi insieme tutti quegli oggetti galleggianti che per loro rappresentavano ormai l’unica salvezza.

Essendo le casse tutte ermeticamente chiuse e costruite a prova di umidità, non vi era pericolo di vederle affondare e tanto meno i barili. Colle une e cogli altri si poteva quindi formare alla meglio una zattera e cercare di raggiungere lo sbocco della galleria, già non molto lontano, secondo i calcoli del dottore.

Incoraggiandosi ed aiutandosi vicendevolmente, i quattro disgraziati poterono attraversare felicemente il canale e giungere dinanzi alla squarciatura. [p. 127 modifica]

Prima però d’inoltrarvisi s’arrestarono in preda ad una estrema ansietà.

I traditori che prima li avevano accolti a colpi di fucile e che poi li avevano privati della barca collo scopo di annegarli, potevano essersi nascosti in quella caverna e fulminarli a bruciapelo con qualche scarica. Ormai quei miserabili dovevano essere decisi a tutto.

— Bisognerebbe spegnere le lampade — disse padron Vincenzo. — Se quei furfanti ci scorgono ci assassineranno.

— Non fatelo — disse il dottore. — Come faremo a riaccenderle? I nostri zolfanelli sono ormai bagnati e la luce per noi rappresenta la nostra salvezza.

— Cerchiamo almeno d’ingannarli.

— In qual modo?

— Mettendo le lampade sulle casse.

— Fate pure, Vincenzo.

I due pescatori cercarono le due casse più grandi e vi collocarono le due lampade, poi tutti quattro, tenendosi più sommersi che potevano, spinsero quei galleggianti attraverso ad una specie di canale aperto fra le pareti enormi della galleria.

Appena superatolo s’accorsero di trovarsi in una caverna, ma la luce delle lampade era troppo scarsa per poter accertarsi se era molto vasta.

— Cosa facciamo dottore? — chiese a bassa voce padron Vincenzo.

— Si ode nulla?

— Si direbbe che questa caverna è deserta.

— Non fidiamoci, Vincenzo. Cerchiamo per ora qualche spiaggia o qualche scoglio e mettiamo al sicuro le nostre casse ed i nostri barili. Da questi galleggianti dipende la nostra salvezza.

— Volete costruire una zattera?

— Sì, se sarà possibile.

— Zitto! — disse Michele.

Tutti trattennero il fiato, tendendo gli orecchi.

Verso l’estremità della caverna, almeno così supponevano, non conoscendone l’ampiezza, si udiva l’acqua a gorgogliare come se qualcuno la fendesse.

— Udite dottore? – chiese Michele.

— Sì — rispose il signor Bandi.

— Qualcuno nuota laggiù.

— O che sia un pescecane? — chiese Roberto, con voce tremula.

— Non lo credo — disse padron Vincenzo.

— Ad ogni modo affrettiamoci a cercare la spiaggia — concluse il dottore.

Nuotando lentamente si spinsero nella caverna, dirigendosi verso la loro destra, ove era sembrato loro di aver scorte delle scogliere.

Avanzatisi di quindici o venti passi, i loro piedi toccarono improvvisamente un fondo roccioso, cosparso di grossi ciottoli.

— La sponda è vicina — disse padron Vincenzo.

— Ci sono tutte le casse? — chiese il dottore. [p. 128 modifica]

— Tutte — risposero Roberto e Michele. — Non manca nemmeno un barile.

— Un ultimo sforzo, amici.

Dispostisi in catena, spinsero innanzi quella massa di galleggianti finchè arenarono su di una spiaggia bassa, irta di scoglietti dalle punte nere come se fossero di carbone.

I tre pescatori stavano per far rotolare i barili, quando ad una certa distanza videro a brillare una rapida fiamma, ma che subito si spense. Quantunque quel bagliore avesse avuto la durata di un secondo, poterono distinguere, a breve distanza, una forma umana di statura quasi gigantesca.

— Per centomila merluzzi! — esclamò padron Vincenzo. — Era un uomo o un fantasma?

— Un uomo in carne ed ossa — disse il dottore.

— Uno dei fuggiaschi adunque?

— Certamente.

— Uno di quei cani che ci hanno sparato addosso e squarciata la scialuppa.

— Sì, Vincenzo.

— Ah! Per mille demoni! Spero che lo uccideremo!

— Se non lo uccideremo lo costringeremo almeno ad arrendersi. Portate un po’ lontano le due lampade e noi teniamoci dietro questa roccia. Offriamo troppo bersaglio a quei furfanti.

— Vi consiglierei però di agire subito onde impedire a quelle canaglie di sfuggirci ancora.

— Pensiamo prima a costruirci la zattera, Vincenzo, e mandiamo uno di noi a guardare l’uscita della caverna. Abbiamo due rivoltelle nella mia cassa e se sarà necessario ne faremo uso per impedire a quei banditi la fuga.

— Non si saranno bagnate le cartucce?

— La cassa è ben chiusa ed impenetrabile anche all’umidità. Orsù, sbrighiamoci.

Stavano per mettersi al lavoro quando udirono in mezzo al bacino un leggero tonfo seguìto da un leggero gorgoglìo che si faceva più vicino.

— Qualcuno s’è immerso — sussurrò padron Vincenzo.

— O che sia una scialuppa che s’avanza? — chiese invece il dottore.

— Aprite la cassa delle armi! Presto!

Michele e Roberto s’affrettarono a obbedire e porsero a Vincenzo ed al dottore le due rivoltelle di riserva, che erano già cariche.

— Facciamo un bel doppio colpo, signor Bandi — disse il lupo di mare.

— Vedremo, Vincenzo, poichè non ti nascondo che mi spiacerebbe uccidere quegli uomini.

— Hanno pur cercato di assassinarci.

— Non dico di no, però...

— Silenzio!

— Si avanzano? [p. 131 modifica]— Mi sembra.

— Abbiamo delle torce in una delle casse, accendiamone alcune. La loro luce sarà sufficiente per illuminare l’uscita della caverna.

— Sbrigatevi — disse Vincenzo a Michele ed a Roberto.

La cassa fu tosto aperta ed essendo anche questa ermeticamente chiusa fu trovata perfettamente asciutta.

Due torce furono levate e accese e la luce venne proiettata, mediante due riflettori di nickel in direzione dell’uscita della caverna.

— Nulla — disse padron Vincenzo, che si teneva nascosto dietro uno degli scogli più avanzati.

— Pure al largo si ode ancora l’acqua a gorgogliare — disse Michele. — Non udite questi tonfi? Si direbbe che un remo batta la superficie del laghetto.

Roberto, che teneva le due torce, proiettò la luce in altra direzione. Allora fra la penombra, fu scorta a fior d’acqua una massa oscura, informe, che scivolava lentamente verso l’uscita della caverna.

Non potendo la luce giungere fino là, era impossibile sapere di che cosa si trattava, però non aveva certamente l’aspetto d’una scialuppa. Si poteva supporre che fosse piuttosto una zattera o qualche cosa di simile.

— I furfanti cercano di fuggire! — urlò padron Vincenzo balzando innanzi colla rivoltella in pugno.

— Ma io non vedo delinearsi alcuna forma umana — disse il dottore.

— Quelle canaglie sono più furbe di noi, dottore — gridò Michele. — Sono nascoste dietro quella massa.

— Alto là! — tuonò padron Vincenzo. — Arrendetevi o facciamo fuoco!

Una rauca imprecazione si alzò fra le nere acque del laghetto sotterraneo.

— Ve lo dicevo io che vi è qualcuno nascosto dietro quel galleggiante? — gridò Michele, volgendosi verso il dottore.

— Fermati! — tuonò padron Vincenzo.

Una forma umana, d’aspetto gigantesco, sorse improvvisamente dai flutti, issandosi sul galleggiante e tendendo la destra verso gli esploratori, urlò:

— Cani! Non avrete il tesoro! Vi ucciderò tutti!

Poi si precipitò nel laghetto sollevando una grande ondata, scomparendo agli sguardi attoniti del dottore e dei tre pescatori.

— Mille demoni! — gridò padron Vincenzo. — Lo slavo!

— Simone! — avevano esclamato il signor Bandi, Michele e Roberto.

Una voce lontana, che veniva dall’opposta estremità della caverna, rispose con tono di terribile minaccia.

— Sì, lo slavo Simone.

— Vieni qui, disgraziato — gridò il signor Bandi.

— No!

— Vuoi dunque la guerra?

— Vi ucciderò tutti! Il tesoro è mio! Guai a chi me lo toccherà. [p. 132 modifica]

— Tu sei pazzo!

— Il tesoro è mio! — ripetè un’ultima volta Simone.

— Quell’uomo non ha più il cervello a posto!— esclamò padron Vincenzo. — Il tesoro glielo ha sconvolto.

— Sì, deve essere pazzo — disse il dottore.

— Che sia solo?

— Non abbiamo veduto alcuno presso di lui — dissero Michele e Roberto.

— Che cosa facciamo dottore?

— Costringiamolo ad arrendersi.

— In qual modo?

— Privandolo del suo galleggiante. Vedo che si trova ancora in mezzo al bacino. Cosa vi sembra?

— È una zattera, dottore.

— Che quegli uomini si siano spinti fino qui, su poche tavole?

— Hanno avuto una bella audacia, dottore.

— Ammirabile, Vincenzo.

— In acqua, Michele — disse il lupo di mare. — Spingi qui la zattera.

Il pescatore s’immerse, dopo però di essersi assicurato d’avere alla cintola il coltello e nuotò vigorosamente verso il galleggiante il quale spinto dalla marea, era già giunto presso l’uscita della caverna.

Con poche bracciate lo raggiunse e vi si issò sopra.

Si trattava precisamente d’una zattera formata di travi con una piattaforma che pareva fosse stata costruita col fasciame d’una scialuppa.

Quattro barili, legati ai quattro angoli, la sorreggevano.

Sulla piattaforma non v’erano che due casse contenenti alcune vesti, una lampada rotta ed alcune bottiglie vuote.

Nè biscotti, nè altra specie di viveri si vedevano in alcun luogo. Anche il fucile che lo slavo aveva scaricato contro il suo ex-padrone ed i suoi camerati era scomparso.

Michele prese un remo che aveva scorto a prora e spinse il galleggiante verso la sponda, arenandolo sulla sabbia.

— Magro bottino — disse balzando a terra. — Io non so che cosa metteva sotto i denti quel furfante di Simone. Non ho trovato nemmeno un sorso d’acqua dolce.

— Che quei tre disgraziati siano rimasti senza viveri? — si chiese il dottore.

— O che la zattera si sia rovesciata? — disse invece padron Vincenzo.

— O meglio sfasciata — disse Michele. — Mi pare che queste tavole siano molto sconnesse. Forse il galleggiante è stato sventrato da qualche scogliera subacquea.

— Allora Simone sarà affamato.

— Certamente, dottore — rispose padron Vincenzo.

— Che la fame e la sete lo abbiano fatto impazzire?

— Tanto peggio per noi, poichè quell’uomo può diventare pericolosissimo. Dottore, volete un consiglio? [p. 133 modifica]

— Parlate, Vincenzo.

— Giacchè abbiamo trovato questa zattera imbarchiamoci e lasciamo subito questa caverna.

— E Simone?

— Che il diavolo se lo porti! Egli ha già tentato di assassinarci ed è capace di giuocarci qualche altro brutto tiro.

— Vincenzo! — esclamò il dottore con tono di rimprovero.

In quell’istante fra le tenebre si udì echeggiare un scoppio di risa sataniche, poi una voce lontana, gridò con accento minaccioso:

— Il tesoro sarà mortale a padron Vincenzo! Ah! Ah! Sarà mortale perchè l’oro sarà tutto mio!