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Il Parlamento del Regno d'Italia/Luigi Chiesi

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Luigi Chiesi

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Giuseppe Garibaldi Francesco Maria Correale di Terranova
Questo testo fa parte della serie Il Parlamento del Regno d'Italia


[p. LIV modifica]Luigi Chiesi.

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L’avvocato Luigi Chiesi è nato di onesta, ma non ricca famiglia in Reggio di Lombardia.

Il corso degli studî primordiali fece alle pubbliche scuole dei padri Gesuiti, che sotto il mal governo di Francesco IV estense avevano il monopolio dell’insegnamento.

In tutte le scuole il giovinetto si distinse, riportò i primi premi, e compiuto il corso filosofico, diede un pubblico saggio presieduto dal ministro stesso della pubblica istruzione, dopo il quale venne decorato di medaglia d’argento.

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Impresi quindi gli studî legali, essendo chiusa l’Università di Modena, fu costretto a seguirli nel Convitto di Reggio, dove ebbe a maestro quell’eccellente professore di Pandette che fu Jacopo Bongiovanni, dal quale nell’animo del giovine studente venne ispirato l’amore il più vivo pel Diritto Domano.

Uscito da quel Convitto compiè lo studio col laurearsi in Modena, subendo un felicissimo esame.

Terminati i due anni di pratica prescritti dalla legge, si diede tosto il Chiesi all’esercizio dell’avvocatura, sicchè mediante l’applicazione sua e il pronto naturale ingegno venne presto in fama di abilissimo giureconsulto, non solo, ma anche di efficace ed onestissimo patrocinatore. Amiamo ricordare che una causa, tra le altre, rimasta memoranda nel foro di Reggio, gli fornì propizia occasione di dar prova non solo della sua dottrina e de’ suoi talenti, ma sibbene anche del proprio coraggio civile.

Si trattava in tal causa di fare annullare il testamento in cedula segreta estorto alla defunta contessa Govenani, debole di mente, con illecite blandizie dal medico della testatrice, protetto dal duca Francesco IV e specialmente favorito dal conte Scapinelli, governatore di Reggio, e da tutta la setta dei partigiani del governo austro-estense.

Il pubblico plaudiva al coraggio del giovine avvocato, che si era assunto l’arduo incarico di difendere causa sì giusta contro un avversario forte per sè e gli aderenti, e soprattutto potente per la protezione ducale, ma disperava affatto che il Chiesi valesse ad uscire trionfante nella lotta.

Si fu in quella occasione che il nostro protagonista dette alle stampe un’elaborata memoria, letta avidamente in tutto il Ducato, e che gli attirò il plauso e l’ammirazione di tutti i ben pensanti. Questa memoria, e le orazioni da lui eloquentemente proferite nei dibattimenti dinanzi ai tribunali di prima e di seconda istanza fecero sì che entrambi i giudizî di questi due tribunali gli accordassero un pieno trionfo: il testamento venne annullato e l’eredità, tolta all’erede testamentario, fu concessa al naturale e legittimo. [p. 248 modifica]

Se quella importante e notevole vittoria servì a far crescere nell’amore e nella stima delle genti illuminate e liberali del proprio paese il nostro avvocato, valse altresì, come ognuno il comprende, a farlo segno ai sospetti ed all’ire del partito ducale.

Ciò nondimeno il Chiesi continuò ad occuparsi con ardore della sua professione, pubblicando anche un commento sul vecchio codice estense, col prender le mosse appunto dalla materia testamentaria, che aveva avuto campo di profondamente studiare in occasione della causa sopra accennata. La sua pubblicazione esser doveva periodica, e già erano usciti alla luce due volumetti, l’uno sui testamenti, l’altro sulle istituzioni e sui legati, quando la rivoluzione del 1848 interruppe l’arduo lavoro, e chiuse la carriera d’avvocato percorsa sino allora con non tenue splendore dal nostro protagonista.

I suoi concittadini, non appena conosciuta la fuga del duca Francesco V, dettero al Chiesi ampia testimonianza della stima che facevano di lui col nominarlo a membro della sezione governativa estratta dal municipio di Reggio a governare la città e la provincia. E allorchè i municipi di Modena e Reggio ebber costituito un governo provvisorio centrale sotto la presidenza del benemerito patriota cavaliere Giuseppe Malmusi, risiedente in Modena, Chiesi continuò ad esser uno dei reggenti la natale città, adempiendo insieme ai colleghi suoi con tanta moderazione, giustizia e civile sapienza l’arduo ufficio, che quando egli ed il professore Magliani suo amico, stanchi delle soverchie fatiche sopportate, e desiderosi di tornare ai prediletti studî nella quiete della vita privata, rassegnarono la loro dimissione, vennero da ogni parte firmati indirizzi dai più cospicui cittadini, nei quali si facevan vivissime istanze ai due dimissionari, onde continuassero nell’esercizio delle assunte attribuzioni. Non potendo di tal guisa resistere al voto popolare, Chiesi e Magliani dovettero di nuovo sobbarcarsi al gravissimo incarico. In tale ufficio e mediante la giusta influenza da esso esercitata l’avvocato Chiesi, in un co’ suoi colleghi, fu caldo propugnatore dell’annessione della provincia al regno [p. 249 modifica]costituzionale del magnanimo Carlo Alberto, e quando il popolo di Reggio raccoglievasi sotto le vòlte del tempio della Vergine della Ghiara, alla presenza del vescovo e dei varî corpi costituiti, e in cui era il fiore della cittadinanza, per celebrare con solenne rogito l’alto medesimo di annessione, furono i primi a sottoscriverlo i membri della sezione governativa. Tale, solenne rogito si conserva nell’archivio comunale di Reggio ad imperituro monumento della ferma volontà dei Reggiani di far parte del regno italiano che l’eroico padre del nostro Vittorio Emmanuele II anelava comporre.

Quantunque dopo l’annessione la provincia di Reggio venisse retta dal regio commissario Pietro Santarosa, non per questo fu concesso al nostro protagonista di ritrarsi dai pubblici affari, mentre lo stesso Santarosa il nominò a membro di una consulta di governo, e il volle continuamente al suo fianco, legandosi con essolui in istrettissima dimestichezza. E quando suonò l’ora fatale in cui il regio commissario ebbe a lasciare la città e ritirarsi in Piemonte, anche Chiesi, gravemente compromesso, dovette dare un addio alla patria ed alla famiglia per riparare in Torino in compagnia del Santarosa. In Torino visse dapprima vita solitaria, ma essendosi di poi costituito un comitato di emigrati modenesi e parmigiani allo scopo di protestare in faccia all’Europa contro l’ingresso di Francesco V nelle provincie del ducato, a violazione del patto di fusione col regno subalpino, il Chiesi accettò di farne parte, e per quest’atto di civile coraggio e di patriotismo fu fatto segno insieme ai propri colleghi alle ire e alla vendetta di Francesco V, che li condannò tutti alla pena dell’esilio, qualificandoli rei di lesa maestà in primo grado.

Rotto l’armistizio Salasco, corse a Parma, e là si fermò sino al giorno in cui il coraggioso commissario regio senatore Plezza tenne le redini del potere in nome del re. Fuggendo da Parma, quando gli Austriaci stavano per rientrarvi, il Chiesi fu arrestato da un corpo di usseri a Culecchio e ricondotto in città, con grave pericolo per lui di essere consegnalo alla vendetta del duca di Modena; ma fortunate combinazioni lo sottrassero a tanta sventura, ed il senatore Plezza [p. 250 modifica]il salvò completamente favorendo la di lui fuga col farlo salire in serpa della propria carrozza sotto l’abito di suo cameriere.

Dopo la pace di Milano, che tolse a non pochi emigrati la speranza di rivedere sì presto libera la patria terra, il Chiesi si diede tutto allo studio ed all’educazione del maggiore suo figlio, che gli fu indivisibile compagno e che valse a temprargli il dolore di dover viver lungi dalla città nativa e dalla amata famiglia.

Si fu durante questo primo periodo dell’esilio che il Chiesi pubblicò a Firenze coi tipi del Le Monnier un’opera in cinque volumi: Il Sistema Ipotecario illustrato, che intitolò con affettuose parole ai giureconsulti del suo paese. — Quest’opera gli ottenne il plauso dei più distinti scrittori in materia legale, italiani e stranieri, fra gli altri quello del celebre Mittermayer, e gli valse l’onore d’esser nominato socio della regia accademia dei Georgofili di Firenze e cavaliere dell’ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro.

Nel 1859, alfine, dopo undici anni d’esilio, ripatriò, accolto da’ suoi concittadini con entusiastiche dimostrazioni di stima, d’affetto e di viva esultanza.

Il governatore Farini chiamollo subito a sè, e lo nominò direttore in Modena del Ministero di Grazia e Giustizia. Fu membro dell’assemblea modenese, e il Farini stesso, anche dopo che per la pace di Villafranca ebbe assunto titolo e mandato di dittatore, lo confermò nella carica precedentemente occupata.

Nell’amministrazione del proprio dicastero il Chiesi si mostrò solerte, imparziale, moderato, animato sempre dallo spirito di preparare ed agevolare l’unificazione legislativa e giudiziaria col regno Sabaudo. — Il dittatore poneva nei lumi e nella moderazione del nostro protagonista tanta fiducia da accordargli facoltà ed autorità di rappresentarlo e di firmare in suo nome atti e decreti, allorquando era costretto ad assentarsi. Allorchè poi il Farini ebbe riunite le provincie romagnole, modenesi e parmigiane in un solo Stato, abolite le direzioni reggenti i diversi ministeri e costituito il ministero dell’Emilia, innalzò Chiesi al grado di ministro di grazia e giustizia ed affari ecclesiastici.