Il Quadriregio/Libro quarto/X

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X. Delle specie ovvero delle parti della prudenza

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Federico Frezzi - Il Quadriregio (XIV secolo/XV secolo)
X. Delle specie ovvero delle parti della prudenza
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CAPITOLO X

Delle specie ovvero delle parti della prudenza.

     Dietro al mio cittadino avea lo sguardo,
quando Prudenzia disse:— Ormai ti volta
a veder l’altre cose, e non sie tardo.—
     Come scolaio che ’l suo mastro ascolta,
5io stetti attento e piegai le mie braccia,
mirando lei con riverenzia molta.
     Ed ella a me:— Io voglio che tu saccia
che lo mio offizio è quadripartito,
ché a quattro fin dirizzo la mia faccia;
     10ché la prudenza, di cui hai udito,
fatta è da Dio che guidi e signoregge,
sí come imperator bene obbedito.
     Però il prudente pria se stesso regge;
ché, se alcun non guida ben se stesso,
15mal reggerá la sua subietta gregge.
     E, come il Genesis ne dice espresso,
l’appetito lascivo all’uom subiace,
sí come servo a signor sottomesso.
     Il fin di questo è ch’alla somma pace
20gli occhi dirizza ed attura l’orecchia
alle lusinghe del mondo fallace.
     E nell’ultimo fin sempre si specchia,
io dico in Dio, ed anco indietro sguarda
al tempo che trasvola e sempre invecchia.
     25L’altra prudenza, presta e non mai tarda,
icomica si chiama, c’ha ’l governo
della famiglia e la sua casa guarda.

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     Questa provvede l’arriedo paterno
alli figliuoli, il vestimento e l’ésca,
30ed alli campi per la state e ’l verno.
     Il fin di questa è che in divizie cresca
e ch’abbia prole buona e siagli erede,
e che del mondo alfin con onor esca.
     Terza prudenza a guerra move ’l piede,
35chiamata di milizia triunfale,
la qual al mondo pria Marte gli diede;
     ché la prudenza, in quel ch’è duca, vale
piú che la forza e fa vie maggior guerra,
che non fa ’l caldo giovanil ch’assale.
     40Gran moltitudin spesse volte atterra
un ben picciolo stuolo; e questo avviene,
quando nell’arte militar non s’erra.
     Il fin di questo, se tu noti bene,
è la vittoria e pace; e sol per questo
45guerra si piglia ed anco si mantene.
     L’altra, sí come hai letto in alcun testo,
politica si chiama e regnativa;
e, perché bene a te sia manifesto,
     in prima sappi che ogni cosa viva
50ed anche ciò che non ha vita, è retto
dalla prima cagione, onde deriva.
     E questa è primo e supremo intelletto
e prima provvidenza, e questa ha ’n cura
e drizza verso il fine ogni suo effetto.
     55Séguita poi l’angelica natura,
la qual dispon, voltando sopra il cielo,
ciò che in spezie in sempiterno dura.
     Onde, che l’ape faccia il favomelo
e che del gran provvegga la formica
60tutta la state pel tempo del gelo,
     el fa l’intelligenza, che ’i notríca;
e ciò che senza mezzo da lei piove,
non rinnovella etá, o fálla antica.

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     Ma ogni effetto, che con mezzo move,
65benché influisca, movendo sua spera,
conven che ’nvecchi e l’altro si rinnove.
     E, quando è discordante la matera
dall’influenza, non pò l’operante
dar la sua forma tutta quanta intera:
     70però le cose non son tutte quante
d’una perfezione: però ’l naso
alcuno ha meno e ’l dito, e alcun le piante.
     Non è però ch’ella erri o faccia a caso;
ma fa come il vasaio, a cui mancasse
75la terra, che non fa perfetto il vaso.
     Seguitan poi le signorie piú basse
delli reami dell’umane genti,
subiette al tempo, che convien che passe;
     ciò che avvien per casi contingenti,
80ciò che puote arte ovver umano ingegno,
non però che da Dio sien mai esenti,
     commessi sono a vostro umano regno;
e quanto lo ’ntelletto è acuto e saggio,
tanto a signoreggiarli è atto e degno,
     85perché prudenzia, sí come detto aggio,
del reggimento è la prima radice,
quando si guida dietro al primo raggio.
     Perciò un disse il mondo esser felice,
quando a lui guidaranno i saggi il freno
90e Sapienza aran per lor nutrice.—
     Per satisfarmi poi del tutto appieno,
mi disse:— Sguarda omai e drizza il viso
alle donzelle, che a lato mi meno.
     Questa, che dalla lunga mira fiso
95il futur tempo, è detta Provvidenza,
che bon tesor ripone in paradiso.
     E l’altra è la Presente Intelligenza;
l’altra è Memoria ovver esperta mente,
che del passato tempo ha esperienza.

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     100E queste tre faríen poco o niente,
se non che ognuna parturisce e figlia
altre Vertú, che fanno esser prudente.
     Però la quarta è Vertú che consiglia,
la qual la Provvidenza mena seco,
105che senza consigliar sempre mal piglia;
     ché, come senza guida cade il cieco,
cosí conven che l’uom, andando, tome
senza consiglio e ch’erri come pieco.
     Solerzia la quinta ha poscia nome,
110cioè sollicitu’ ingegnosa ed arte:
quest’è che trova il fine, il perché e ’l come;
     ch’ogni voler, che da casa si parte
per voler camminar agli alti fini
di Iove ovver d’Apollo ovver di Marte,
     115convien che sia ingegnoso e che festin
e che la possa e che li modi trovi
che al proposto fin ben si cammini.
     Alquanto ancora addietro gli occhi movi
alla vertú che Provvidenza è detta,
120acciò ch’anco di lei udir ti giovi.
     Convien ch’ella sia cauta e circumspetta;
e però è Cautela l’altra luce,
la qual provvede al mal che si suspetta;
     ché non è saggio ovver prudente duce
125chi spregia il suo nemico o chi nol teme,
ché timor senno e prudenza produce.
     L’altra donzella, che con lei sta inseme,
è qui chiamata Circumspezione,
d’Intelligenzia ancor secondo seme.
     130Ella è che gli atti e la condizione
e ’l quanto e ’l come, mesurando, attende
e li subiti casi e le persone.
     Docilitá è l’altra che risplende,
cosí chiamata, ovver ingegno buono,
135se d’uso e di scienza ben s’accende.

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     Vero è che ingegno è un natural dono;
ma, quando l’uso e l’arte questa cetra
temperan sí, che ha perfetto suono,
     Docilitá si chiama, che penètra
140sí nel veder, che sa pigliar lo scudo,
’nanzi che in capo gli giunga la pietra.
     Alcun lo ’ngegno ha tanto grosso e rudo,
che la scienza s’affatica invano
che mai a provvedersi egli abbia cudo.
     145Benché in alcun sia l’intelletto umano
e grosso e rozzo, si fa luminoso,
quand’egli stesso vi vuol tener mano;
     ché un, che ’l cielo facea vizioso,
respuse:— La scienza mi fe’ casto,
150e l’assiduitá mi fe’ ingegnoso.—
     E spesso vidi giá esser contrasto
tra ’l sasso e l’acqua, e una goccia sola,
cadendo spesso, l’ha forato e guasto.—
     La man mi prese dopo esta parola,
155dicendo:— Addio, addio, dolce figliolo;
ch’io vo’ tornar a mia beata scòla.—
     Partissi allor con quel beato stuolo,
ed io piú ad alto presi la mia via;
e forse un sesto miglio era ito solo,
     160quando m’occorse un’altra compagnia.