Il Quadriregio/Libro quarto/XI

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XI. Della virtú della giustizia, e come e perché furono trovate le leggi

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Federico Frezzi - Il Quadriregio (XIV secolo/XV secolo)
XI. Della virtú della giustizia, e come e perché furono trovate le leggi
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CAPITOLO XI

Della virtú della giustizia, e come e perché furono trovate le leggi.

     La nobil compagnia, ch’io trova’ allora,
fu quella vergin sacra, con cui ’l sole
a mezzo agosto e settembre dimora,
     non giá d’Astreo, ma di divina prole.
5Quand’ella percepette ch’io la vidi,
benignamente disse este parole:
     — Con qual ardir quassú venir ti fidi?
come, cosí soletto, movi il passo?
or non hai tu persona che ti guidi?
     10Se tu venuto se’ dal mondo basso,
qual fu quella Virtú, la qual ti scòrse
tra’ regni tristi del re Satanasso?—
     Ed io a lei:— Minerva mi soccorse,
quando per mio errore era ito al fondo,
15onde a cavarmi la sua man mi porse.
     Mostrato m’ha lo inferno, il limbo e ’l mondo
e delli vizi li reami crudi;
poi mi condusse nel giardin giocondo,
     ove veduto ho io le tre Vertudi;
20e tutte insieme con festa e diletto
menato m’han tra nobili tripudi.
     Cercando or vo colei, da cui fu retto
sí in pace il mondo, che sub suo governo
fu l’etá d’oro e ’l secol benedetto.
     25— Poi ch’Avarizia uscío fuor dell’inferno,
a cui la voglia mai saziò pasto,
né poterá saziar mai in eterno,

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     quel reggimento buon fu tutto guasto,
perché la forza vinse la ragione
30e conculcolla con superbia e fasto.
     Allor li Vizi preson le corone
delli reami, e leggi inique e rie
teson per lacci e levôn via le buone.
     Per questo Astrea dal mondo si partíe
35e quassú venne; ed ha la signoria
coll’altre tre sorelle oneste e pie.
     — Perché tu fossi omai la scorta mia,
che io venissi sol— dissi— a Dio piacque;
però io prego: mostra a me la via.—
     40Qual si fe’ Citarea, nata tra l’acque,
in sul partir del suo figliuolo Enea,
che confessò nel viso ciò che tacque,
     cotal fece ella e disse:— Io sono Astrea,
che resse il mondo con iuste bilance,
45innanzi che la gente fusse rea.
     Quando Superbia colle enfiate guance
e li danar fên la ragion subietta,
scacciata fui con spade e con lance.
     Da che il mio regno veder ti diletta,
50verraimi dietro; e fa’ che mai in fallo
dall’orme mie il piede tu non metta.—
     Un sesto miglio forse d’intervallo
era ita, quand’io giunsi al regno quarto,
ch’avea le mura tutte di cristallo.
     55Lí era un uscio piccoletto ed arto,
il qual tantosto a noi aperto fue,
quando gittaimi in terra tutto sparto.
     Intrammo dentro e poco andammo insue,
che le sue dame con corone in testa
60vennono incontro a noi a due a due.
     Poiché gran riverenzia e molta festa
ebbon mostrata, stette innanzi ognuna
come alla donna ancilla a servir presta.

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     E, come il cerchio che a sé fa la luna,
65quando dimostra che ’l seguente giorno
sará seren, cacciando l’aria bruna:
     cosí facean a lei il cerchio intorno,
cosí di sé una corona fenno
alla Iustizia, che fa lí soggiorno.
     70E, poco stando, ed ella fece cenno
ad una che dicesse alcuna stanza;
e l’altre tutte quante attente stenno.
     Come donzella che ha a guidar la danza,
che a chi l’invita riverenzia face
75e po’ incomincia vergognosa e manza;
     cosí colei, e disse:— Da che piace
alla nostra signora che le lode
dica del regno che a lei subiace,
     tu, che se’ vivo, ben ascolta ed ode,
80ché la regina, la qual qui ne regge,
vuol che a noi giovi e a te faccia prode.
     — La voglia e la ragion del sommo Regge
— cominciò poi— è la prima mesura,
regola e veritá è prima legge.
     85E ciò, che segue lei, va a dirittura;
e, quando alcuna cosa da lei parte,
tanto convien che torca e vada oscura.
     E, perché questa è regola ad ogni arte,
quando dall’arte torce l’operante,
90convien che l’opra vada in mala parte.
     E le scienze e leggi tutte quante
vengon da questa; e tanto ognuna è dritta,
quanto di questa seguitan le piante,
     perché ogni legge convien che sia scritta
95e promulgata, acciò che chi ’n quella erra,
non possa avere alcuna scusa fitta.
     Però, quando Dio fe’ l’uomo di terra,
conscrisse in lui questa legge eternale,
quando l’alma spirò, che ’l corpo serra.

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     100E questa fu la legge naturale;
e, mediante questa luce eterna,
ognun conoscer può tra ’l bene e ’l male.
     A questa legge fu poi subalterna
l’antica e nova; ed ognuna bastâra,
105se non che ’l mondo sí mal si governa.
     E, poiché fu la gente fatta avara,
la legge natural e la divina
fu ecclipsata, che in prima era chiara.
     Corson le genti a froda ed a rapina;
110ed eran senza legge e senza duce,
ond’era il mondo in rotta ed in ruina.
     Ed uno, in cui splendea piú questa luce,
congregò alcuno e mostrò in quanto errore
il vivere bestial altrui conduce.
     115A poco a poco, con questo splendore
mostrò che i rei e viziosi e vili
di legge avean bisogno e di signore.
     Allor principiôn leggi civili,
sopra le qual son tante chiose poste,
120che giá si troncan: sí si fan sottili.
     E le piú sonno storte e sonno opposte
al senso vero e primo intendimento,
mercé alli denar che l’hanno esposte.
     Se a ciò, che ho detto, ben se’ stato attento,
125iustizia è sí degna e sí risplende,
che d’ogni sodo stato è ’l fundamento,
     tanto che li ladroni e chi l’offende
e nullo conversar mai durar puote,
se modo di iustizia non apprende.
     130Se anche ciò, ch’io ho detto, tu ben note,
Iustizia fu da cielo e di Dio è figlia,
ed ogni bona legge a Dio è nipote.—
     E qui tacette; ed io alzai le ciglia
e vidi molti inver’ di noi venire
135uomin d’estima e di gran maraviglia.

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     Ed un di loro a me cominciò a dire:
— Or cesserá laggiú il mondo unquanco
novi statuti e nòve leggi ordire?
     Non son venute ancor le carte manco?
140non son le voci advocatorie fioche
delli notai, ch’abbaian forte al banco?
     Se ’l danar non facesse che si advoche,
non saría in terra conculcato il vero,
e bastarían le leggi buone e poche.
     145Io son quel re piatoso, e fui severo,
che la dolcezza temperai col duolo
nel nato mio, che trova’ in adultèro.
     Io fei cavar un occhio al mio figliolo:
e, perché ne dovea perdere dui,
150io pagai l’altro e serbaimene un solo.
     In quanto padre, fui piatoso a lui;
in quanto re, servai la legge intera:
sí che pio padre e iusto re io fui.
     Quest’altro è Bruto, l’anima severa,
155che, per servar la legge, ardito e forte
a duo suoi figli segò la gorgiera.
     Piú tosto volle ad elli dar la morte,
che la iustizia fusse morta in loro,
o che mancasse alla pubblica corte.
     160L’altro, ch’è ’l terzo qui tra ’l nostro coro,
chiese il figliolo alla mortal sentenza
’nanti al senato e al roman concistoro;
     ché combattuto avea senza licenza,
e, benché avesse avuta la vittoria,
165reo el provò di tanta penitenza,
     che legge contra lui facíe memoria.—