Il Quadriregio/Libro quarto/XVI

Da Wikisource.
XVI. Della resurrezione de’ nostri corpi dopo il Giudizio

../XV ../XVII IncludiIntestazione 1 aprile 2021 25% Da definire

Federico Frezzi - Il Quadriregio (XIV secolo/XV secolo)
XVI. Della resurrezione de’ nostri corpi dopo il Giudizio
Libro quarto - XV Libro quarto - XVII
[p. 352 modifica]

CAPITOLO XVI

Della resurrezione de' nostri corpi dopo il Giudizio.

          Inver’ l’apostol poscia mi voltai,
e dissi a lui:— Questa scrittura letta,
di nostra fede articuli primai,
     bench’io la creda, ancora mi diletta
5udir come suade la Scrittura
la resurrezion, la qual s’aspetta.—
     Ed egli a me:— A due cose pon’ cura:
una è ch’ognun ritornerá in vita,
ché non va a morte, ma per sempre dura,
     10e che de’ buon la carne rivestita
será immortale ed ará l’altre dote,
che fia impassibil, lieve e fia polita;
     l’altra cosa è che le celesti rote,
che ora giran sí veloce e forte,
15non voltaranno piú, né fien piú mote,
     e per questo seran chiuse le porte
al futur tempo, e non fia piú Carone,
che ora ognun, che nasce, mena a morte.
     Se vuoi di questo persuasione,
20sappi che ’l moto, quando il fine acquista,
convien che cessi dalla sua azione.
     E cosí ’l ciel convien ch’anco desista,
quando fie giunto al fin, pel qual si move,
come opra fatta fa posar l’artista.
     25Or gira il ciel, perché le cose nòve
produce e figlia e corrompe l’antiche,
mentre fa state qui e verno altrove;

[p. 353 modifica]

     produce uccelli e quel, del qual nutríche
gli animal suoi, e produce ogni pomo,
30mentre il sol volge tra le rote obliche.
     E tutto questo è fatto a fin dell’uomo;
e l’uomo è fatto a rifar le ruine
di que’ che su da ciel cadêro a tomo.
     Però convien che ’l ciel tanto cammine,
35sinché tanta ruina si ristora;
e poi il moto suo averá fine.
     Allor cessará il tempo, che divora
ciò che produce il primo moto, il quale
fa ciò ch’e’ figlia, che vivendo mora.
     40In questo, Cristo altèro e triunfale
dirá:— Surgete, o morti, della fossa:
venite alla sentenzia eternale.—
     Allor ripiglieran la carne e l’ossa
li rei oscuri, e i buoni con splendori
45per la vertú della divina possa.
     Sí come gli arbor, che perdon li fiori
nell’autunno e perdono ogni foglia
e paion morti e senza vivi umori,
     talché ’l coltivatore anco n’ha doglia
50che paion secchi, e quasi si dispera
che mai su d’elli piú frutto ne coglia:
     poi la vertú del sol di primavera
li fa di frondi e fiori adorni e belli,
e rivivisce in lor la morta cèra;
     55cosí li corpi sfatti negli avelli
resurgeranno in istato felice
co’ membri interi insino alli capelli.
     Come di polve nasce la fenice,
che arde sé e del cenere stesso
60giovin resurge, sí come si dice;
     e cosí ’l corpo, sotto terra messo,
suo spirito averá da quel che viene
da prima infuso ed al corpo concesso.

[p. 354 modifica]

     Ancora alla iustizia s’appartiene
65render secondo l’opera a ciascuno
il mal al male, e ’l premio dar al bene;
     ché ogni atto moral sempre è comuno
allo spirito e al corpo, e insieme vanno
ad ogni atto splendente ed anco al bruno.
     70Se sol del mal lo spirto avesse affanno,
potrebbe dire:— O Dio, se tu se’ iusto,
perché io solo del peccar n’ho ’l danno?
     perché solo sto io nel fuoco adusto?
perché no’ ’l corpo, dacché la dolcezza
75ebbe degli occhi, del tatto e del gusto?—
     Cosí li santi, i quali ebbon fortezza
tanta, che i sensi fenno consenzienti
alli martíri, affanni ed all’asprezza,
     potrebbon dire:— O Dio, ché non contenti
80noi delli corpi nostri, ch’a’ martíri
ne seguîr volentieri ed a’ tormenti?—
     Quando questo dicea, gravi sospiri
udii nel tempio; e parve ch’ogni morto
avesse a suscitar mille desiri.
     8585— Vendica il nostro sangue, sparto a torto
— diceano,— o Dio, non véi ch’ognun desia
di rivestirsi i corpi omai ’l conforto?
     Non ch’in noi voglia di vendetta sia,
cosí preghiam; ma per aver la vesta
90de’ corpi, a noi natural compagnia.
     Acciò ch’elli con noi abbian la festa,
perché ’l Iudizio, o Signor, non affretti?
perché non fai la vendetta piú presta?—
     Risposto fu:— Da voi tanto s’aspetti,
95che il numero si compia di coloro,
che son da Dio con voi nel cielo eletti,
     insin che fatto sia tutto il ristoro
de’ piovuti da ciel primi arroganti,
che fûn cacciati dal celeste coro.—

[p. 355 modifica]

     100Poi miglia’ d’alme m’apparson innanti,
ed un angelo die’ splendide stole,
in scambio delli corpi, a lor per manti.
     Sí come un’altra cosa dar si suole
per consolar alquanto chi pur chiede,
105quando non puote aver quel ch’egli vuole;
     cosí l’agnol le vesti bianche diede
e disse a lor:— Queste vestite, intanto
che d’uomin s’émpian le superne sede.—
     Quell’alme allora andonno in ogni canto,
110cercando il tempio, e lor corpi mirando
con tal desio, che mi mossono a pianto.
     — Il corpo mio è questo: o Dio, oh! quando
lo mi rivestirò?— dicevan molti.
Alquanti il sangue lor givan basciando;
     115alquanti dimostravan li loro volti
e le ferite e le lor membra sparte,
le braccia e i piè intra li ferri involti.
     Po’, come fa l’amico, che si parte
dall’altro amico, e, perché amor dimostri,
120sospira e dice:— A me incresce lasciarte;—
     cosí dissono quelli:— O corpi nostri,
dormite in pace, e tosto Dio ne doni
voi venir nosco alli beati chiostri.—
     Poi se n’andôn con piú dolci canzoni,
125e sol rimase meco il Vaso eletto,
il qual proferse a me questi sermoni:
     — Se d’altro vuoi ch’io informi il tuo intelletto,
mentr’io son teco, perché non domandi?—
Ed io, che il domandar avíe concetto,
     130risposi:— O dottor mio, da che ’l comandi,
dichiara a me in qual etá li morti
resurgeranno e quanto parvi o grandi.—
     Ed egli a me:— Di lor saran due sorti,
com’io ho detto, ed una de’ captivi,
135l’altra di quei ch’a ben far funno accorti.

[p. 356 modifica]

     Quei che son morti buon, poiché fien vivi,
trentaquattro anni in apparente etade
dimostreranno floridi e giulivi.
     Quella è di umana vita la metade;
140ogn’uom, che ci esce prima, ha mancamento,
e quando cala inver’ l’antichitade.
     Se parvitá ovver troppo augumento
non fie per mostro o natura peccante,
ognun di sua statura fie contento;
     145sí che, se alcun fu nano, alcun gigante,
questo ed ogni altra cosa mostruosa
ridurrá a forma il divino Operante.
     Ed anco noterai un’altra cosa:
che ogni dota, che ’l corpo riceve,
150gli vien dall’alma sua, ch’è gloriosa;
     sí che l’esser sottile, illustre e lieve,
non l’ha ’l corpo da sé, se ben pon’ mente;
ch’egli è da sé oscuro, grosso e grieve.
     Ma, quando fie rifatto risplendente,
155dall’anima verrá quello splendore
e ’l mover, che fará subitamente.
     E, perché l’alme ree questo valore
in sé non averanno, però elle
non potran dar al corpo tal onore.
     160Non seran liete e non seranno belle:
tutti i difetti in lor averanno anco,
ch’ebbon per caso o per corso di stelle,
     e di letizia e luce averan manco.—