Il Quadriregio/Libro secondo/XIV

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XIV. Dove trattasi della pena, che dá l’Amore, quando ha il vero fondamento

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Federico Frezzi - Il Quadriregio (XIV secolo/XV secolo)
XIV. Dove trattasi della pena, che dá l’Amore, quando ha il vero fondamento
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CAPITOLO XIV

Dove trattasi della pena, che dá l'Amore, quando ha il vero fondamento.

     Poscia salendo un monte ruinoso,
noi ci partimmo ed, in un pian saliti,
trovammo altro martír molto penoso.
     Uomin vedemmo insieme molto uniti,
5come di molti corpi un si facesse;
ma i volti eran distinti e dispartiti.
     Pensa, lettore, un mostro che avesse
un grande busto, e, bench’egli foss’uno,
un collo molti capi contenesse.
     10Vero è che lor color o bianco o bruno
e lor gionture e lor lineamenti
aperti si parean in ciascheduno.
     Lí stan dimoni e con spade taglienti
dividon quelli, e, quando alcun si parte,
15li capi piangon tutti e son dolenti.
     Non credo che spargesse giammai Marte
cotanto sangue; né fo mai battaglia
di tai ferite, né si legge in carte.
     Non vale qui lo scudo ovver la maglia;
20ché la iustizia dá le gran percosse,
ed ei fatt’han le spade, che li taglia.
     Vidi un dimonio, che irato si mosse
ed un recise intorno in ogni canto,
sí ch’e’ rimase come un fusto fosse.
     25Un capo sol rimase e con gran pianto
a me si volse e disse:— O tu, che mena
seco Minerva, a me risguarda alquanto.

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     Vedi l’amor quanto a noi torna in pena
E tanto affliggon piú le parentele,
30quanto pria strinson con maggior catena.
     Ahi, quanto a’ vivi torna amaro il mèle
del dolce amor de’ figli e de’ congiunti,
quando gli uccide la morte crudele!
     Diece figliuoli in salda etade giunti,
35nove nepoti ebb’io ed un fratello,
e poi li vidi in un mese defunti.
     Com’io, che ’n questo inferno ti favello,
intorno intorno son cosí tagliato
e, perché troppo amai, ho tal flagello;
     40cosí interviene all’uom, quando l’amato
figlio o fratel gli è tolto, e piú tormenta,
quanto piú forte è coniunto e legato.
     La casa, onde fui io, è tutta spenta;
fui da Perugia, di santo Ercolano,
45e de’ Vencioli la prima somenta.—
     Per la piatá ingavicchiai la mano,
e volea dar risposta a sue parole;
ma e’ sparío sí come un corpo vano.
     Ond’io dissi alla dea:— Se tanto duole
50la cosa amata, quand’altrui si toglie,
ben è stolto colui ch’ama e ben vuole.
     Se non voglio d’amor sentir le doglie,
non posso avere al cor migliore scudo,
se non che d’ogni amore mi dispoglie.
     55E, se questo facessi, saría crudo;
ché, se non amo le persone note,
sarei di caritá e di piatá nudo.
     Né anco il posso far, ché mal si pote
ben rifrenar a che natura inclina:
60tanto a quel corso son le cose mote.
     — Tra tutte l’altre cose la piú fina
— disse Minerva a me— è ’l dolce amore,
se dal ver fundamento non declina.

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     Ma, se nel fundamento sta l’errore,
65quanto piú l’edifizio cresce o sale,
tanto fa piú ruina e duol maggiore.
     Fundamento è che quanto alcun ben vale,
tanto si stimi e tanto amore accenda,
quant’egli ha di bontá e men di male.
     70E, s’egli è ben che d’altro ben dependa,
non s’ami quasi per sé esistente,
se vuoi che, quando è tolto, non t’offenda.
     Fundamento è che quel, ch’è dipendente,
non s’ami come fermo e per sé stante,
75ch’ei da se sol non ha essere niente;
     ché ’l Creator le cose tutte quante
fe’ di niente, e, s’egli le lassasse,
niente tornerian come che innante.
     Adunque come il servo, che estimasse
80essere sue le cose del signorso
e come proprie sue cosí le amasse,
     se poi gli fusson tolte, saría morso
di gran dolore ed avería li duoli
per quell’error, nel qual è in prima corso;
     85cosí fanno li padri de’ figliuoli,
e de’ coniunti li mondani stolti,
che gli estimano stanti e per se soli.
     E ’l giusto Iobbe de’ figliuoli adolti,
quando fûr morti, fe’ questa risposta:
90— Dio me gli diede e Dio me gli ha ritolti.—
     Tu mi dicesti nella tua proposta:
— A nullo, amando, voglio avere affetto,
dacché, perduto, tanto amaro costa.—
     Io dico ch’abbi amor, ma sia perfetto
95e temperato sí, che, se ’l divide
o Dio od altro, non t’affligga il petto.—
     Ed io a lei:— Maestra, che mi guide,
dimostra a me ancora un altro vero,
ch’è sí oscur, che mai mia mente il vide.

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     100Tu di’ che volontá ha ’l summo impero
di nostra barca e che regge il timone
di tutti i sensi e ’l carnal desidèro.
     S’egli è cosí, or dimmi qual cagione
piú volte vince questa volontade,
105che non pò far quel che vuol la ragione,
     che par contrario alla sua nobiltade,
poiché libero arbitrio gli è concesso,
sí che ’l sí e ’l no sia in sua libertade.
     Io so d’alcun c’ha ’l piede in amor messo
110e non ha forza a poterlo ritrare:
tanto Amor puote e vince per eccesso.
Ben so che ogni cosa debbo amare
in quanto è buona, e solo in Dio è buona;
e, benché ’l sappia, io non lo posso fare.—
     115Ed ella a me:— Vostra natura è prona
agl’impeti de’ sensi, e, se v’indura
per molta usanza e troppo s’abbandona,
     allora l’uso converte natura,
sí che ragion non può guidare il freno
120del desiderio bene a dirittura.
     Di diecemila uno ed ancor meno
si trova, che co’ sensi non s’accorde
in tutto o in parte col voler terreno.
     L’amor vi può legar con quattro corde:
125la prima è di Cupido la gran fiamma,
l’altra è di cupidigia e voglie ingorde,
     poi de coniunti, figli, padre e mamma,
e ’l quarto amor d’amici ed è sí poco,
quanto rispetto a mille è una dramma.
     130Or sappi di Cupido che ’l gran foco
e l’amor de’ coniunti tanto lega
e l’amor della borsa e d’ampio loco,
     ch’è molto forte che ragion il rega,
se gran virtú non rompe il gran legame,
135che tanto forte inver’ l’amato piega.

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     E, benché Dio ne dica ch’ognun l’ame,
ciascuna d’este fun sí forte tiene,
ch’a lui non lascia ir, benché vi chiame.
     E perciò nel Vangelio si contiene
140che amiate Dio col core e colla forza,
sí come il primo e piú sovrano bene.
     E, se avvien ch’altro amore vi torza,
rompete quella fun, ch’altrove tira
colla vertú, che giammai non s’ammorza.
     145Siate come Sanson, commosso ad ira,
quando li fe’ la moglie il grave laccio,
cioè l’amor carnal, a chi ben mira.
     E cosí, Dio amando senza impaccio,
colla virtú che sta nelli capelli
150e non sta nella carne ovver nel braccio,
     d’amor carnal non si senton fragelli.—