Il Quadriregio/Libro terzo/I

Da Wikisource.
I. Come l’autore fu a battaglia con Satanasso e, umiliandosi, lo vinse

../../Libro terzo ../II IncludiIntestazione 1 aprile 2021 25% Da definire

Federico Frezzi - Il Quadriregio (XIV secolo/XV secolo)
I. Come l’autore fu a battaglia con Satanasso e, umiliandosi, lo vinse
Libro terzo Libro terzo - II
[p. 197 modifica]

CAPITOLO I

Come l'autore fu a battaglia con Satanasso e, umiliandosi, lo vinse.

     Dell’orizzonte il sole era giá fuora,
e, per aver la lena, io m’era assiso
come chi stanco a riposar
dimora.
     E, risguardando, tenea in alto il viso,
5perché ammirava il superbo arrogante,
che fu ribello a Dio in paradiso,
     quando la dea a me su venne avante:
— Or ti bisogna assai esser gagliardo
ed usar le tue forze tutte quante.
     10— Minerva mia, a cui sto i’ a riguardo,
che di guidarmi dietro a te ti degni
al loco, ov’io d’andar di desio ardo,
     prego che m’addottrini e che m’insegni
quai sonno i mostri, che tengon la strada,
15che l’uom non saglia a’ tuoi beati regni.
     Da che convien che alla battaglia vada,
dammi fortezza e dammi la dottrina
ch’io non sia preso e che vinto non cada.—
     Rispose a questo a me quella regina:
20— Quando il gran mostro su vorrá levarte,
e tu col capo sempre ingiú declina.
     Questa fie la vittoria, e questa è l’arte,
con che si vince sua superbia ardita:
va’, ché, se vuoi, potrai da lui aitarte.—

[p. 198 modifica]

     25Andai, quando la dea ebb’io udita,
come colui che a duello combatte
o per dar morte o per perder la vita.
     Quale Davíd incontra a Goliatte,
gigante grande, ed egli era fantino
30e non avea all’armi le membra atte;
     tal pareva io, quando presi il cammino
contra Satán, se non ch’a lui rispetto
ben mille volte er’io piú piccolino.
     Quand’io fui presso e contra al suo cospetto,
35e’ s’adirò da che m’ebbe veduto,
e mostrò grande sdegno e gran dispetto.
     Io saría morto e del timor caduto,
se non che Palla con voce e con cenni
mi rinfrancava il cor e dava aiuto.
     40Andai piú innanti e insino a lui pervenni,
e del piè il dito, piú ch’un trave grosso,
colle mia braccia avvinchiato gli tenni.
     Allora a stizza vieppiú fu commosso,
e le gran braccia stese con grand’ira,
45e ’nsú tirommi, tenendomi il dosso.
     A questo gridò Palla:— A terra mira;
pensa ch’a darti morte egli t’afferra,
e per gittarti a basso insú ti tira.
     Fa’ come Anteo, e vincerai la guerra,
50che tante volte le forze francava,
quante toccava la sua madre terra.—
     Come colui che se medesmo aggrava,
che tien le membra come fosson morte,
cosí fec’io, quando insú mi levava.
     55Mirabil cosa! Allora i’ fui sí forte,
che gli feci abbassare ingiú le braccia,
e giú mi pose con le mani sporte.
     Le reni in terra, insú tenea la faccia;
e con ingegno e forza e con li morsi
60facea com’uom che volentier si slaccia.

[p. 199 modifica]

     Cosí le dita sue da me distorsi,
che m’avean preso; e sí me dilungai,
che cento passi e piú a lunga corsi.
     Quando sei spenta, ancor potenzia hai,
65o gran superbia! Per questo fui preso,
ché d’esto scampo io me ne gloriai.
     Chinossi allora, tutto d’ira acceso,
il crudel mostro, e con la man feroce
volea levarmi nell’aer sospeso.
     70Allor gridò la dea ad alta voce:
— Abbassa a terra!— Ed i’ a terra mi diede
col ventre e il volto e colle braccia in croce.
     Cosí prostrato, entrai di sotto al piede
del gran superbo, col qual chiude il calle,
75il qual senza battaglia mai concede.
     Per questo a terra giú diede le spalle
e nel pian cadde con sí gran fracasso,
che tremar fece tutta quella valle.
     Quando vidi caduto Satanasso
80cosí prostrato, io misi la mia testa
ed intrai su la via per l’arto passo.
     Come alli vincitor si fa gran festa,
tal fece a me la scorta onesta e saggia:
poscia si mosse insú veloce e presta.
     85Prese la via per la pendente piaggia
e disse:— Vieni e sempre alla ’nsú sali,
ed alla ’ngiú nullo tuo passo caggia.—
     Mentr’io movea alla ’nsú del desio l’ali,
ed io sentii a me gravar le penne
90da una che dicea:— Vo’ che giú cali.—
     La mia persona abbracciata mi tenne,
tirandomi alla ’ngiú con tale scossa,
ch’appena ritto il piede mi sostenne.
     E del salir sí mi tolse la possa,
95che, andando insú, io non potea seguire
la scorta, che a guidarmi s’era mossa.

[p. 200 modifica]

     Dietro alla guida insú volea pur gire,
ed ella mi tirava seco ingiue
e suso meco non volea venire.
     100Cosí insieme luttando amendue,
ella tirando ingiú ed io insú lei,
sí mi stancava, ch’io non potea piue.
     — Oimè!— dicea fra me— chi è costei,
che ha le voglie sí lascive e pronte,
105che vuol menarmi ov’io gir non vorrei?—
     La dea salito avea molto del monte,
e, vòlta a me, gridò:— Perché non vieni?
perché ristai? perché quassú non monte?
     Cotesta donna, che ti sta alle reni
110pensa che è muliere, e tu se’ viro;
però vergogna t’è, se la sostieni.—
     Allor con gran fatica e gran sospiro,
usai mie forze e camminai fin dove
Palla aspettava col suo dolce miro.
     115Sí come sotto il giogo tira il bove
con tutta la sua possa il grosso trave,
che, punto dallo stimolo, si move;
     cosí tirai insú la donna grave
dietro a Minerva per quell’arta via
120contra la forza di sue voglie prave.
     E quanto a poco a poco io piú salía,
tanto piú la gravezza venía manco
di quella che me ’ngiú tirava pria.
     Alla mia scorta appena era giunto anco,
125quando di lei nulla sentia fatiga,
e fui leggero e niente era stanco.
     — Chi è colei che dá qui tanta briga
— diss’io a Palla,— e fa che l’uom s’arreste
e, giú tirando i passi, altrui intriga?
     130— Parte è in voi angelica e celeste
— rispose quella,— e fa che si cammine
per sua natura a tutte cose oneste.

[p. 201 modifica]

     E questa ha sempre le voglie divine:
della fatica presente non cura,
135sol che conduca altrui poscia a buon fine.
     L’altra è parte brutale, vile e oscura;
e questa guarda al diletto presente
e per buon fin non sostien cosa dura.
     Questa è l’ancilla mal obbediente,
140questa è la mala e repugnante legge
a quella c’ha Dio posta in vostra mente.
     Come il signor, che ben sua casa regge,
la fante e la mogliera, ch’è provosa,
battendola e privandola, corregge;
     145cosí costei alla ragion ritrosa
ed arrogante, superba e proterva,
batter conviensi e dargli poca posa:
     allor verrá subietta come serva.