Il Tesoretto (Laterza, 1941)/XI
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XI
Apresso esta parola
voltò ’l viso e la gola,
e fecemi senbianza
930che sanza dimoranza
volesse visitare
e li fiumi e lo mare.
E sanza dir fallenza,
ben ha grande potenza.
935Ché s’io vo’ dir lo vera,
lo suo alto mistero
è una maraviglia.
Ché ’n un’ora compiglia
e cielo e terra e mare,
940compiendo suo affare.
Ché ’n cosí poco stando,
al suo breve comando
io vidi apertamente,
come fosse presente,
945li fiumi principali,
che son quatro, li quali,
secondo ’l mio aviso,
movon di Paradiso.
Ciò son Tigre, e Fison,
950e Ofrade, e Gion.
L’un se ne passa a destra,
e l’altro vèr sinestra.
Lo terzo corre in zae,
e ’l quarto va di lae,
955sí che Ufrade passa
vêr Babillona cassa
in mezzo Ipotania,
e mena tuttavia
le pietre preziose
960e gemme dignitose
di troppo gran valore
per forza e per colore.
Gion va in Etiopia,
e per la grande copia
965d’aqua che ’n esso abonda,
bagna dela sua onda
tutta terra d’Egitto,
e l’amolla a diritto
una fiata l’anno.
970E ristora lo danno
che l’Egitto sostene,
che mai piova non vene.
Cosí serva suo filo
ed è chiamato Nilo.
975D’un suo ramo si dice
ched ha nome Calice.
Tigre tien altra via,
che corre vêr Soria
sí smisuratamente,
980che non è om vivente
che dica che vedesse
cosa che sí corresse.
Fison va piú lontano,
ed è da noi sí strano,
985che, quando ne ragiono,
io non truovo nessuno
che l’abia navicato,
né ’n quelle parti andato.
E in poca dimora
990provide per misura
le parti del Levante
lá dove sono tante
gemme di gran vertute
e di molte salute.
995E sono in quello giro
balsimo, ed ambra, e tiro,
e lo pepe, e lo legno
aloé, ch’è sí degno,
e spigo, e cardamomo,
1000gengiove, e cennamomo,
e altre molte spezie,
che ciascuna in sua spezie
è migliore e piú fina,
e sana in medicina.
1005Apresso in questo poco
mise in asetto loco
le tigre, e li grifoni,
leofanti, e leoni,
cammelli, e drugomene,
1010e badilischi, e gene,
e pantere, e castoro,
le formiche dell’oro,
e tanti altri animali,
ch’io non posso dir quali,
1015che son sí divisati,
e sí dissomigliati
di corpo e di fazzone,
di sí fera ragione,
e di sí strana taglia,
1020ch’io non credo san faglia
ch’alcuno omo vivente
potesse veramente
per lingua o per scritture
recittar le figure
1025dele bestie ed uccelli,
tanto son laidi e belli.
Poi vidi immantenente
la regina piú gente,
che stendea la mano
1030verso ’l mare ociano,
quel che cinge la terra,
e che la cerchia e serra,
e ha una natura
ch’è a veder ben dura,
1035ch’un’ora cresce molto,
e fa grande timolto,
poi torna in dibassanza;
cosí fa per usanza.
Or prende terra, or lassa,
1040or monta, ed or dibassa,
e la gente per motto
dicon c’ha nome fiotto.
Ed io, ponendo mente,
lá oltre nel ponente
1045apresso questo mare
vidi diritto stare
gran colonne, le quale
vi pose per segnale
Ercoles lo potente,
1050per mostrare ala gente
che loco sia finata
la terra e terminata,
ch’egli per forte guerra
avea vinta la terra
1055per tutto l’occidente,
e non trovò piú gente.
Ma dopo la sua morte
si son gente raccorte,
e sono oltre passati,
1060sí che sono abitati
di lá in bel paese
e ricco per le spese.
Di questo mar, ch’i’ dico,
vidi per uso antico
1065nella profonda Spagna
partire una rigagna
di questo nostro mare,
che cerchia, ciò mi pare,
quasi lo mondo tutto,
1070sí che per suo condotto
ben può chi sa dell’arte
navicar tutte parte,
e gire in quella guisa
di Spagna infin a Pisa,
1075e ’n Grecia, ed in Toscana,
e ’n terra ciciliana,
e nel Levante dritto,
e in terra d’Egitto.
Ver’è che ’n oriente
1080lo mar volta presente
vêr lo settentrione
per una regione
dove lo mar non piglia
terra che sette miglia,
1085poi ritorna in ampiezza,
e poi in tale stremezza,
ch’io non credo che passi
che cinque cento passi.
Da questo mar si parte
1090lo mar che non disparte,
lá v’è la regione
di Vinegia e d’Ancone.
Cosí ogn’altro mare
che per la terra pare
1095di traverso e d’intorno,
si move e fa ritorno
in questo mar pisano
ov’è ’l mar ociano.
E io che mi sforzava
1100di ciò che io mirava
saver lo certo stato,
tanto andai d’ogne lato,
ch’io vidi apertamente
davanti al mio vedente
1105di ciascuno animale
e lo bene e lo male,
e la lor condizione,
e la ’ngenerazione,
e lo lor nascimento,
1110e lo cominciamento,
e tutta loro usanza,
la vista, e la sembianza.
Ond’io agio talento
nello mio parlamento
1115ritrare ciò ch’io vidi;
non dico ch’io m’afidi
di contarlo per rima
dal piè fin ala cima,
ma ’n bel volgare e puro,
1120tal che non sia oscuro,
vi dicerò per prosa
quasi tutta la cosa
qua ’nanzi dala fine,
perché paia piú fine.