Vai al contenuto

Il Trentino/Capitolo I

Da Wikisource.
Prefazione

../Prefazione ../Capitolo II IncludiIntestazione 19 settembre 2016 100% geografia

Prefazione Capitolo II

[p. 1 modifica]Laghetto di Presena.



Capitolo Primo.

Il Trentino. — Regione naturale e storica.


1. Non tutta la regione compresa fra i limiti dell’Italia fisica coincide coi confini dell’Italia linguistica. Le differenze fra le due Italie non sono dato da piccole propaggini, ma da vasti territori al di qua delle Alpi occupati da popolazioni non italiane. Questo fenomeno ci appare più che mai spiccato osservando la grande catena mediana delle Alpi centrali che sta fra il gruppo dell’Oetz e il Venediger. Essa segna un tratto confine naturale d’Italia toccando le cime elevate del Weisskugel (3741 m.), del Similaun (3599 m.) e dell’Hochwildspitz (3477 m.), drizzandosi a NE. verso la sella di Timbl (2480 m.) e risalendo allo Sonklarspitz (3479 m.) donde si abbassa alla depressione del Brenner (1362 m.) e raggiunge, scorrendo [p. 2 modifica]lungo la cresta delle Alpi dello Zillerthal, sulle quali emerge l’Hochfeiler (3506 m.), il Picco dei Tre Signori (3499 m.)1.

Con questa catena che costituisce la parete settentrionale del bacino dell’Adige non coincide il confine linguistico e, ancor meno, quello politico dell’Italia. Quest’ultimo scorre quasi parallelo alla catena fra l’Oetz e il Venediger ed è formato alquanto bizzarramente da una linea che scende a cuneo tra il Lago d’Idro e il Benaco; risale e taglia l’estremità nordica del Lago di Garda, ridiscende da monte Altissimo e, seguendo la catena del Baldo, si spinge sull’Adige che tronca inferiormente a Borghetto e quindi si rialza e serpeggia pei Monti Lessini. Tanto all’Oetz che al Venediger, punti estremi della catena mediana, fanno corteo una densa selva di controsproni e di spalti che fanno capo ai colossi del Cevedale e della Marmolata donde alla lor volta si triforcano.

Dall’Oetz per il Cevedale (3762 m.) si sferrano verso S. il ramo più poderoso che si espande e si incunea con larghe branche tra l’Adige, il Garda, e l’Iseo e verso libeccio un altro ramo non meno gagliardo che spinge i suoi avamposti fino sulle sponde del Lago di Como; una terza e più modesta giogaia corre invece ad oriente in direzione parallela all’Adige il cui bacino viene da essa diviso in due parti.

Sull’opposto versante atesino si stacca dal Venediger una nodosa catena che dapprima a S. e poi a SW. si protende per il Picco dei Tre Signori, fino alla Marmolata (3260 m.), e prosegue quindi alle Pale di S. Martino, alle Vette Feltrine, al plesso di Cima d’Asta, donde si diramano altri contrafforti che coi Monti Lessini si avanzano fino alla sinistra dell’Adige; mentre la diramazione orientale si diffonde vastamente nel Cadore e nella Carnia e all’occidente corre la terza giogaia, di carattere secondario, a compiere, parallelamente al corso inferiore dell’Eisack, la divisione della vallata dell’Adige. Ora [p. 3 modifica]se si considerano le linee principalissime di questi plessi, vale a dire la catena media fra l’Oetz e il Venediger e i due rami che con essa si incardinano e corrono verso S., si ha un poligono che abbraccia una parte notevole della regione alpina d’Italia, abitato da popolazioni italiane e tedesche e che malgrado i poderosi confini fisici non può assolutamente per ragioni storiche ed etnografiche appellarsi con un nome unico. Se invece si tien conto delle due giogaie secondarie, ma pur considerevoli, che incontrandosi all’Adige formano una catena parallela alla cerchia centrale e coincidente quasi perfettamente colla linea di divisione linguistica fra la nazione italiana e la tedesca, il poligono da prima considerato ci appare diviso in due figure: una quadrilatera, l’altra poligona, (vedi fig. 1).

La prima è la parte meridionale di quella regione che si stende al di là delle Alpi, dove pure risiede la sua capitale, vale a dire del Tirolo; la seconda costituisce quel territorio che è oggetto del nostro studio e che noi, scegliendo fra i vari nomi appiccicati dai governi o proposti dagli studiosi per ragioni storiche ed orografiche, chiameremo: Trentino.

La catena, che dal Cevedale alla Marmolata — i giganteschi piloni del Trentino — divide le due regioni, ha verso i paesi tedeschi una sola apertura — quella della valle atesina — mentre i lati dell’esagono che costituiscono il Trentino si insinuano fra le provincie di Sondrio, Brescia, Verona, Vicenza e Belluno con numerosi sbocchi verso la pianura padana.

Sicchè il paese nostro si presenta come centro di molti valichi, che fanno capo alla valle dell’Adige proprio dove questa si restringe a quella Chiusa di Verona, che il Correnti con frase scultoria chiamava le «termopili veronesi» del «vestibolo d’Italia.»

Non tutte le valli comprese fra la cerchia composta dalla catena centrale secondaria e dalle due giogaie, che si rannodano ad essa perpendicolarmente, formano dei bacini completi. Solo il bacino medio dell’Adige, colla Chiusa di Verona, rappresenta un’unità geografica. Le altre valli invece, della Brenta, del Sarca e del Chiese, che si spingono in mezzo alle [p. 4 modifica]varie diramazioni delle due catene perpendicolari, vanno a perdersi nella pianura veneta e lombarda senza un limite di divisione ben marcato — come quello della val d’Adige — fra il loro bacino superiore e il medio.

Di più i caratteri etnici e linguistici degli abitanti di queste Fig. 1. valli, che contendono il terreno a quella dell’Adige, sono differenti assolutamente da quelli di quest’ultima. La Brenta dovrebbe perciò escludersi dal Trentino, inteso come regione naturale, ed esser unita alla Venezia propriamente detta, mentre il Sarca e il Chiese dovrebbero esser congiunti alla regione lombarda.

Giova però notare che un leggiero tratto d’unione fra il bacino medio dell’Adige e queste valli è dato da una serie di gole non molto elevate e di facile passaggio: di cui le più importanti sono il buco di Vela, la gola di Pontalto e quella di Loppio. Tolte al territorio trentino queste valli, che fanno capo direttamente alla Venezia e alla Lombardia, resta il bacino medio dell’Adige, vale a dire proprio quella parte che corrisponderebbe esattamente al nome di Venezia trentina proposto dall’Ascoli e accettato dal Marinelli. Ragioni civili e storiche danno però carattere di unità ai diversi bacini secondari, che assieme a quello medio dell’Adige compongono il Trentino e noi verremo ora riassumendo a grandissimi tratti quel processo d’evoluzione che del Trentino attuale fa una regione storica.

2. Il nome di Tridentini, quale designazione di popolo, è assai antico; forse è ricordato per la prima volta da Strabone laddove descrive la posizione dei Reti, dei Venoni, che sovrastano al Lago di Como, dei Leponti, dei Tridentini e degli [p. 5 modifica]Stoni che stanno a levante dei primi2. Più tardi il nome dei Tridentini, della città Tridentum, Tredens, e specialmente delle Alpi tridentinae ricorre frequentissimo negli autori greci e latini, ma è difficile discernere se con quest’ultimo nome si designava la catena centrale alpina, che geograficamente divide l’Italia dalla Germania, oppure semplicemente un breve tratto delle Alpi sovrastanti al Garda e alla parte centrale della vallata dell’Adige. Involta in dense tenebre è anche l’origine della città3 e più oscuro è se essa abbia dato il nome dalla popolazione o l’abbia da questa ricevuto4.

Tridentum molto prima dei tempi di Claudio è detta splendidum municipium e ad esso erano aggregati, come ci conferma la Tavola Clesiana5, gli Anauni, i Tulliassi ed i Sinduni, popolazioni che abitavano probabilmente tutta la valle del Noce. Per via di induzione si argomenta che la sede dei Tridentini si estendesse oltre che a questa valle, alla vallata media dell’Adige (dalla confluenza coll’Eisack a settentrione e molto più a N. della Chiusa veronese a mezzodì) al bacino del Sila, della Fersina e a quello, che da Terlago si estende a ponente fino al lago di Toblino. Certo è, che la valle di Fiemme non era abitata se non da pochi pastori e che quelle della Brenta e del Sarca non erano tenute dai Tridentini o almeno non dipendevano da Trento.

Fu solo nell’epoca longobarda che vennero ad aggrupparsi intorno a Trento le valli minori, determinando il fondamento territoriale del principato di cinque secoli dopo, che non solo inchiudeva ma superava in estensione il Trentino odierno, [p. 6 modifica]giacchè d’esso facea parte anche il territorio dove più tardi sorsero Castel Tirolo e Merano.

Ma questi confini a settentrione erano incerti per la breve durata delle varie signorie e solo ai tempi di Carlo Magno — è questo il periodo in cui il nome di Tridentum compare per la prima volta sincopato in quello di Triantum o Trientum — il ducato di Trento ripigliò stabilmente la sua ampiezza nel tratto superiore dell’Adige.

Alla fine del sec. XIII la superiorità territoriale dei vescovi di Trento, ai quali nella persona del venerabile Uldarico, l’imperatore Corrado II avea affidato nel 1027 il Comitatus tridentinus6 con tutte le sue pertinenze, comprendeva la vallata dell’Adige dalle origini sin quasi alla Chiusa di Verona, con tutte le valli minori, la valle del Sarca e parte di quelle della Brenta e del Chiese.

Nè qui forse parrà fuor di luogo questa nostra osservazione: che nella necessità degli imperatori germanici di affidare alle mani di un’unica persona e raggruppare in un unico stato non solo la valle dell’Adige, ma anche tutti i valichi che ad essa fanno capo per rendersi così completamente sicura la via d’ingresso in Italia, sta la ragione prima che presiedè allo stabile nesso fra la vallata atesina e la parte superiore delle valli contermini che sboccano nella pianura lombarda e veneta.

Notevoli mutazioni avvennero nei secoli successivi in conseguenza specialmente del predominio dei principi tirolesi, che influì sulla germanizzazione della val Venosta e del tenere di Bolzano e ne determinò il distacco dal principato di Trento. Sul finire del 400 nella valle dell’Adige, da S. Michele fin verso Bolzano, la popolazione tedesca avea il sopravvento e veniva con ciò a cadere la giurisdizione dei vescovi di Trento sul comitato di Bolzano. Cessata nel sec. XVI l’influenza diretta dei principi tirolesi, l’elemento italiano riguadagnò di [p. 7 modifica]nuovo terreno in quella plaga fin quasi al punto di bilanciarsi coll’elemento tedesco. La dominazione napoleonica (1810-1814), che inchiudeva nel Dipartimento dell’Alto Adige il cantone di Bolzano con Caldaro ed Egna, ridiede momentaneamente al Trentino i vecchi confini e quel periodo brevissimo bastò perchè la lingua italiana ripigliasse nel tenere di Bolzano nuovo vigore.

Altre perdite ebbe ancora a subire il principato ma meno importanti. Esse furono causate dagli innumerevoli sbocchi del Trentino verso mezzodì, i quali davano luogo a facili e frequenti incursioni dei vicini signori italiani e in modo speciale dei Carrara, degli Scaligeri, dei Visconti e dei Veneziani. La dominazione di questi signori italiani si estese nella valle Lagarina e nei bacini del Sarca, della Brenta e del Chiese, esclusi dalla regione naturale del Trentino.

Queste perdite però — causate esclusivamente da vicende politiche — non furono durature e le singole valli o parti di valli staccate ritornarono nel corso del tempo all’antico centro politico, economico ed intellettuale del comitato tridentino, che per esse rimase intatto, mentre le perdite fatte verso il Nord, le quali determinarono e furono alla lor volta determinate e rinvigorite dal fattore etnografico, furono irreparabili e ridussero a più angusti confini quella regione che s’era formata attorno al solido nucleo della città di Trento e che viveva, come tutt’ora vive, di una propria coscienza e individualità storica fortemente cementatesi malgrado le varietà del tipo etnico e le difficoltà della natura che altri centri additavano alle popolazioni escluse dalla valle dell’Adige.

Ridotta a questi termini la regione storica trentina, collima quasi perfettamente coll’attuale confine politico verso il Regno d’Italia e amministrativo verso il Tirolo, che racchiude quella estensione di paese che burocraticamente si chiama Territorio dell’I. R. Sezione di luogotenenza di Trento oppure Tirolo italiano meridionale e che noi, coerenti alla tradizione storica, indichiamo col nome di Trentino.




Note

  1. Marinelli Giovanni. La Terra. Vol. IV, Cap. III. La regione italiana. Milano, Vallardi, 1897. — Correnti Cesare. Fisionomia delle regioni italiche. In «Nipote del Vesta Verde» Anno 1853, Milano. — Ricci Vittore. Il Trentino. Nel giornale «La Famiglia e la Scuola » Milano, 1879. — Id. Di una causa remota del monumento a Dante Alighieri in Trento, nel volume «Il Trentino a Dante Alighieri». Trento, Zippel, 1896.
  2. Strabonis. Geographica. L. 4. C. 204.
  3. Malfatti B. I confini del principato di Trento. In «Arch. Stor. per Trieste, l’Istria e il Trentino» Vol. II. fasc. I, Roma, 1880. La bibliografia trentina su quest’argomento è abbastanza vasta, ma io mi limiterò in questo capitolo e in tutto il libro a citare solo le opere importantissime rimandando per le altre il lettore alla recente pubblicazione del Dott. Filippo Largaiolli. Bibliografia del Trentino. Trento, Zippel, 1897.
  4. L’etimologia del nome Tridentum, è incerta. Alcuni vogliono derivarlo dai tre denti o dossi (Dosso di S. Agata, Dosso di S. Rocco e Doss Trento) fra i quali sorge la città; altri dal tridente di Nettuno
  5. Mommsen Edict des ClaudiusHermes» T. IV, pag. 99 e segg.).
  6. Il Comitatus tridentinus trovasi ricordato nel testamento del vescovo veronese Notkero, che ha la data del 928, e in una carta del 941 pubblicata dal Muratori. Cfr. Malfatti, op. cit. dal quale ho riassunto gran parte di queste notizie.