Il filosofo/Parte I

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Parte I

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Personaggi Parte II
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PARTE PRIMA.

SCENA PRIMA1.

Anselmo solo.

Mondo, misero mondo,

Ognuno ti strapazza,
E par che sol tu sia
La cagion d’ogni danno.
Oh di stolto pensier brutale inganno!
La più bella fattura,
Delizia de’ viventi,
Ricreazion de’ mortali,
Sarà fonte de’ mali? Oibò, pensate!

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È l’umana malizia,

Che il bene in mal converte,
E con ingorde voglie
Dove trovasi il mel, tosco raccoglie.
Ma che veggo! Una donna! Io mi nascondo.
Donna fatal, per cui sì brutto è il mondo!

SCENA II.

Lesbina e detto.

Lesbina. Signor, perchè fuggite?

Sono forse una furia,
Che v’arrechi timore?
Anselmo. D’una furia la donna è assai peggiore.
Lesbina. Affé, che v’ingannate;
Se fossero le donne orrende tanto,
Dagli uomini sarian meno bramate.
Anselmo. Quei che non han giudizio,
Soglion sempre scherzar col precipizio.
Lesbina. Signor, d’un grand’affare
Favellarvi degg’io;
Certa difficoltà bizzarra e strana...
Anselmo. Parlate alla lontana.
Lesbina. Proponervi vorrei, se mi è permesso...
Anselmo. Ditela pur, ma non mi state appresso.
Lesbina. Di che avete timor?
Anselmo.   Ah, non vorrei,
Che gli atomi invisibili
D’un femminil sembiante
Facessero il mio cor misero amante.
Lesbina. I filosofi dunque
Son capaci d’amore?
Anselmo.   E in che maniera!
Se un uomo virtuoso

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Ad impazzir comincia, egli diviene

In breve tempo pazzo da catene.
Lesbina. (Volesse il Ciel, che arrender potess’io
Il filosofo ricco all’amor mio!)
Anselmo. Orsù, spiegate tosto
Il vostro dubbio.
Lesbina.   Udite:
Voglio saper se il matrimonio sia,
Come vogliono alcuni, una pazzia.
Anselmo. In massima dirò, che il matrimonio
Necessario si rende al nostro mondo.
Ma chi meglio l’intende,
Per fuggir i travagli, e viver sano,
Da un laccio sì crudel vive lontano.
Lesbina. E pur ve ne son tanti
Di contraria opinione,
Che si mariteriano ogni stagione.
Anselmo. Ma s’io solo restassi
Fra gli uomini viventi,
Francamente rispondo,
Che già per me si finirebbe il mondo.
Lesbina. Tanto nemico voi del nostro sesso?
Anselmo. Non mi venite appresso.
Lesbina. E se donna gentil di voi invaghita
Vi chiedesse pietà?
Anselmo.   Sarei lo stesso.
Lesbina. Perchè così crudel?
Anselmo.   Non tanto appresso.
Lesbina.   Se una donna vi dicesse:
  Nel mio petto sento il core
  Tutto fiamme, tutto ardore;
  Voi ne siete la cagione,
  Deh movetevi a pietà.
  Che direste? Che fareste?
  Non sarebbe buon’azione

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  Il mostrarle2 crudeltà.

Anselmo. S’arde per me qualcuna,
Acciò l’ardor non cresca,
Io la consolerò con l’acqua fresca.
Lesbina. Vi vuol altro, signore!
Orsù, mi meraviglio,
Che un uomo come voi dotto e civile,
Dia in un pensier sì vile.
Anselmo. Nella filosofia non v'è precetto,
Che m’obblighi all’affetto.
Lesbina. Se la filosofia dunque obbligasse
Ad amar, amereste?
Anselmo.   Io certamente
Farei quel che far deve un uom sapiente.
Lesbina. Dunque aspettate un poco.
A piedi delle scale,
V’è un giovine studente;
Egli provar s’impegna.
Che l’amar una donna
D’un filosofo saggio è cosa degna.
Anselmo. Venga. S’egli lo prova, io vi prometto
Alle fiamme d’amore aprire il petto.
Lesbina. Vinto dalla ragione
Resterete addrittura.
(Soccorretemi voi, arte e natura). (parte

SCENA III.

Anselmo solo.

Chi sarà mai quell’ignorante ardito,

Che mi voglia provar cosa sì strana!
Sarà forse un di questi

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Filosofi moderni,

Che sogliono offuscar l’altrui ragione
Con l’amor di Platone3.
Questa invalsa nel mondo
Diabolica dottrina,
Quante volte l’onor manda in rovina!
Certe visite fatte in ora fresca,
Certe conversazion di vario sesso,
Quel, sedendo d’appresso,
Toccarsi or con le mani, or con il piede,
È platonico amor? Pazzo chi il 4 crede.
Chi consuma l’entrate in regaletti,
Chi maltratta la moglie
Per cagion del genietto,
Chi piange, chi sospira,
Chi geloso s’adira,
Chi con la vaga sua vive felice:
Questo è amor di Platon? Pazzo chi il dice.
Tutti, tutti i5 seguaci
Di sì bella morale
Dicon ch’è gran delitto il pensar male.
Vede una madre vagheggiar la figlia,
Nè dice una parola,
Seguendo anch’essa di Platon la scuola.
Li maritati poi,
Del volgo ignaro per sottrarsi all’onte,
La scuola di Platon portano in fronte.
  È questa l’usanza,
  Che corre oggidì:
  Lo sposo di là,
  La sposa di qui,
  Non so se Platone
  Faceva così.

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SCENA IV.

Lesbina in abito da Studente, e detto.

Lesbina. Signor Anseimo, il Ciel vi dia contento 6.

Anselmo. L’uomo sempre è beato,
Se si vuol contentar del proprio stato.
Lesbina. Ma lo stato è migliore
Di chi sente nel petto
Qualche fiamma gentil d’onesto affetto.
Anselmo. Falsissimo principio.
Lesbina.   Anzi infallibile,
Come sarebbe a dir, l’uomo è risibile.
Anselmo. Se tal proposizione
Voi sapete provarmi,
Prego il Cielo, signore, (oh che scongiuro!)
Lo dirò, prego il Ciel d’innamorarmi.
Lesbina. Ascoltatemi, dunque, e rispondete.
Negar non mi potete
Che in questo nostro mondo
È la vita il maggior di tutti i beni.
Anselmo. È vero.
Lesbina.   E che la morte
Questo gran ben ci toglie.
Anselmo.   È ver pur troppo.
Lesbina. Il conforto maggior che nella morte
Provi l’uomo languente,
È il lasciar ne’ suoi figli
Un’immagine sua viva nel mondo.
Anselmo. A questo non rispondo.
Si sa che la natura
Inclina ad eternar la propria spezie.
Lesbina. Questo conforto, dunque,

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Quel che moglie non ha, non può sperare.

Anselmo. Voi dite ben.
Lesbina.   (Comincia a vacillare). (da sè, con gioia7
Ma chi vuoi prender moglie.
Deve pria innamorarsi.
Anselmo. In questo passo voi la fallate assai.
Vi son de’ maritati,
Che non s’erano pria veduti mai.
Lesbina. Sì, ma in tal matrimonio,
Più d’un tenero amor, v’entra il demonio.
Che val somma ricchezza,
Che vale ogni grandezza.
Se l’amore non v’è?
Anselmo.   (Questo studente
Nella scuola d’amor è un gran sapiente).
Lesbina. Concludiamola dunque.
L’amore è una virtude
Che anima si può dir di tutto il mondo.
Ei fa l’uomo giocondo,
Gli reca in dolce guisa
Conforto ne’ travagli, e nelle gioie
Moltiplica il piacer. Aman le piante,
Aman le belve ancor, aman le pietre.
Più di tutto insensate,
E voi, che siete un uom, voi non amate?
  L’agnellino ama l’agnella,
  Ama il toro la torella,
  L’usignolo in sua favella
  Va dicendo: Ardo d’amor.
Anselmo. Amico, tai ragion m’avete detto,
Ch’io già vinto mi rendo.
Lesbina.   Or ricordatevi
Del vostro gran scongiuro, e innamoratevi.
Anselmo. Difficile cred’io

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Trovar donna che piaccia al genio mio.

Io son dato agli studi,
Le donne per lo più son vanarelle.
Lesbina. Credete non vi siano
Donne nella virtù versate e franche?
Anselmo. Sì, ma son rare come mosche bianche.
E poi, se ve n’è alcuna,
Che sia un poco sapiente,
Tosto divien superba e pretendente.
Lesbina. Signor, io vi propongo
Una giovine onesta,
Che non avrà certi catarri in testa.
Anselmo. Fate pur che la veda,
E se mi piace, io sarò suo marito.
Lesbina. Andremo a visitarla;
Ma quest’abito vostro,
Ch’è da stoico, assai più che aristotelico,
Non mi sembra decente.
Anselmo. Quest’è un abito alfin d’uomo sapiente.
Lesbina. Sì, sì, ma con le donne
Cotanta antichità non istà bene.
Se volete tentar d’esser suo sposo,
Comparite più vago e spiritoso.
Anselmo. Basta, m’ingegnerò, benchè sia troppo
Difficile ad un savio
L’uniformarsi al gusto d’oggigiorno.
Tanti pizzi d’intorno,
Tanta polve di Cipro, e tanti fiocchi,
Tante superflue gale,
Son fumo senza arrosto
Di zucche senza sale.
Lesbina. (Consolati, mio core,
Che la filosofia vinta è d’amore).
Anselmo.   Andiam, signor studente,
  La dama a visitar.

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a due8 Oh gran virtù d’amore,
Che mi fa giubilar!
Lesbina.   Alla dama spiritosa

  Voi farete un complimento.
Anselmo.   Come, come! Questa cosa
  Or mi pone in gran spavento.
Lesbina.   Nol sapete?
Anselmo.   Signor no.
Lesbina.   Dunque a voi l’insegnerò:
  Padrona illustrissima,
  Che fa? come sta?
  La prego, s’accomodi.
  No, non s’incomodi,
  Son servo divoto
  A tanta beltà.
Anselmo.   Padrona illustrissima...
Lesbina.   Un poco più basso.
Anselmo.   Che fa? come sta?
Lesbina.   Movete quel passo.
Anselmo.   Così?
Lesbina.   Signor no.
Anselmo.   Così?
Lesbina.   Signor sì.
Anselmo.   Son servo divoto.
Lesbina.   Un poco di moto.
Anselmo.   S’accomodi, non s’incomodi.
Lesbina.   Rispetto, umiltà.
Anselmo.   Che pena, che imbroglio!
Lesbina.   Più lesto vi voglio.
Anselmo.   Sarò spiritoso,
  Galante, grazioso.
Lesbina.   Ed io goderò.

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Anselmo.   Fra pochi momenti

  Maestro sarò.
Lesbina.   Fra pochi momenti
  Maestro vi fo.


Fine della Prima Parte.


Note

  1. Conservo per comodo dei lettori la divisione in scene, che si trova soltanto nella edizione Zatta (t. XXXV; ossia t. I, classe IV, 1794).
  2. Così l’ed. Zatta. Nelle edizioni precedenti: mostrargli.
  3. Nell’ed. Zatta c’è punto interrogativo.
  4. Zatta: ch’il.
  5. Zatta: tutt’i.
  6. Nelle edizioni Malatesta e Tevernin, precedenti all’ed. Zatta, nelle quali non esiste divisione in scene, c’è qui la didascalia: in abito di Studente.
  7. Questa didascalia c’è solo nell’ed. Zatta.
  8. Nell’ed. Zatta è stampato: a 2 ciascun da sè.